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Il sermone LXXII In dedicatione ecclesiae. Il rituale della dedicazione oltralpe da Leone IX

Nel documento DOTTORATO DI RICERCA IN Studi storici (pagine 153-161)

IV. L A MISSIONE DI P IER D AMIANI NELLE G ALLIE . I NTERLOCUTORI ETEROGENEI E APPROCCI

IV.2. Il sermone LXXII In dedicatione ecclesiae. Il rituale della dedicazione oltralpe da Leone IX

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avanti. L’intero testo può essere snocciolato attraverso due diverse chiavi di lettura, slegate l’una dall’altra, ma entrambe interessanti per alcuni aspetti della vita liturgica del secolo XI.

Una prima analisi riconduce al nucleo centrale del discorso: l’aspetto teologico, esegetico e morale si intrecciano inscindibilmente attorno al tema del ruolo dei fedeli all’interno del popolo di Cristo e, in particolare, al loro ruolo durante la funzione della messa; sarebbe riduttivo, come dicevo, isolare il solo tema del sacerdozio regale. Dopo aver impiegato gran parte del testo a spiegare alcuni riti, ecco che nella seconda parte dello stesso il predicatore interloquisce direttamente con gli astanti.

L’approccio retorico da parte del Damiani nei confronti dei laici si rende palese già in apertura di sermone. Il distacco è netto, i fedeli sono visti in posizione di subalternità, il loro ruolo è totalmente passivo all’interno della celebrazione che si sta svolgendo e, a sottolineare ciò, lo stesso Pier Damiani si rivolge loro con l’epiteto simpliciores fratres ac minus periti. L’idea che se ne ricava è quella di un rituale che coinvolge i soli appartenenti agli ordini ecclesiastici, gli altri sono dei meri spettatori di uno spettacolo in cui probabilmente ci avrebbero capito molto poco.132 Tuttavia, quello

132 L’attenzione alle differenze presenti nella partecipazione attiva durante la celebrazione della messa è stata viva nell’Avellanita fin dagli anni giovanili, come nota D’Acunto N., I laici nella Chiesa, pp.

100-112 ed è più che mai presente nell’analisi sulla gestualità profilata dall’autore nella lettera 111 dell’edizione Reindel, successiva alla missione gallica, in cui lamenta a Ugo di Besancon la pigrizia della maggior parte dei chierici transalpini, che durante la celebrazione eucaristica restano seduti. Sempre nella stessa lettera, poco più avanti, rimarca il concetto estendendolo ai laici per i quali si augura una maggiore partecipazione proprio attraverso lo sforzo fisico nelle varie fasi della liturgia. Questo breve excursus permette di vedere un approccio diverso dell’Avellanita nei confronti delle usanze vigenti nelle Gallie. Le lettere restituiscono sovente un Pier Damiani più autentico rispetto alla rigidità e al distacco presente nei sermoni. Infatti, guardando al sermone e a quest’ultima epistola, notiamo dapprima un’omologazione dello stesso alla liturgia gallica e anzi una profonda assimilazione delle pratiche di dedicazione dell’edificio sacro, tanto da doverle egli stesso rielaborare e, alla luce delle Scritture, snocciolarle per una piena comprensione anche dei laici; mentre nella lettera si assiste a un perentorio rimprovero diretto all’amico e vescovo Ugo affinché ponga fine al lassismo presente nella sua chiesa e promuova il corretto comportamento di chierici e laici durante la messa e la preghiera anche nelle diocesi contigue. Il cardinale ostiense non si risparmia mai nelle critiche e nella correzione dei cattivi costumi e quello rimproverato a Ugo doveva essere un aspetto lui molto caro se effettivamente la lettera venne scritta alcuni anni dopo la missione affidatagli da Alessandro II.

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dell’Avellanita non è un attacco alle inevitabili lacune culturali e teologiche degli astanti;

si tratta dell’ennesimo artificio retorico utilizzato per far convergere il discorso verso il punto più congeniale, cioè la catechesi dei rituali per la dedicazione della chiesa. La ritualità seguita è quella prevista dal Pontificale Romano Germanico del X secolo con le relative modifiche di età carolingia, quando furono aggiunti dei pomposi riti gallicani molto graditi al clero e al popolo delle Gallie, relegando la celebrazione eucaristica all’ultimo posto.133 Ma cosa ci dice esattamente questo sermone riguardo tali riti? Si possono ricostruire efficacemente le azioni svolte durante la celebrazione?

Lo schema illustrativo proposto non è lineare e non affronta in maniera strutturale e schematica le varie fasi di questo particolare contesto liturgico. È possibile, però, rielaborare quasi visivamente ciò che accadde in quell’occasione nella chiesa francese134. I riti svolti da Pier Damiani e dai sacerdoti francesi vengono elencati in maniera chiara e in modo altrettanto preciso esplicati ai laici. Ogni gesto riconduce ai passi delle Scritture e alla numerologia presente nelle stesse. Il tre, a richiamare la Trinità, non può che essere il primo numero su cui porre l’attenzione. Ma il semplice riferimento numerico non esaurisce il profondo significato circa l’utilizzo dell’acqua come primo gesto compiuto nel rito della dedicazione. L’Antico Testamento funge da inesauribile fonte di significati, come se l’atto descritto compiesse ciò che nel Libro era ancora incompleto, imperfetto. I patriarchi vengono continuamente richiamati: dapprima Giosuè e i suoi sette giri attorno alle mura di Gerico135 affinché le stesse crollassero; successivamente Giacobbe, in riferimento al fatto di cospargere l’altare con olio santo e crisma, in qualità di ideatore di tale sacramento136. Il cerchio si stringe, l’azione iniziale dell’aspersione dell’acqua che riguardava il perimetro dell’intera chiesa vede un suo progressivo restringimento attorno all’altare, è qui che si svolgono i rituali più importanti ed è

133 Petri Damiani, Sermones (II-XXXV). Pier Damiani, Sermoni (36-76), a cura di Ugo Facchini e Lorenzo Saraceno, traduzioni di Vigilucci L., Dindelli A., Saraceno L., Roma 2015, pp. 405-406

134 Ibidem.

135 Sermo LXXII, PL 144, coll. 908C-912B e CCCM 57, pp. 420-430.

136 Sermo LXXII, PL 144, coll. 908C-912B e CCCM 57, pp. 420-430.

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all’interno di esso che vengono custoditi i beni più preziosi in possesso del nuovo edificio religioso, le sante reliquie, in modo che divengano un tutt’uno con il corpo del Signore.137

Ma non solo i numeri, anche le lettere trovano un significato fondamentale, la lingua della liturgia era naturalmente il latino, ma quelle tracciate sul pavimento sono tam grecae tam latinae138. La necessità nell’utilizzo di questi caratteri va, ancora una volta, a evidenziare il distacco tra tutto ciò che afferisce al sacro, sia che si tratti dei rituali stessi, sia che ci si riferisca agli elementi fisici che compongono l’edificio. Il luogo deve essere estraneo alle nugae saeculares, dice il Damiani. Si tratterebbe di una presa di posizione netta contro l’utilizzo delle lingue volgari all’interno degli edifici sacri? Probabilmente no, l’attacco propugnato dall’Avellanita è diretto a esaltare l’importanza del silenzio durante il rituale della messa e all’obbligo di utilizzare solo ed esclusivamente le lingue proprie della liturgia durante la celebrazione. Basti qui ricordare l’esempio, seppur cronologicamente successivo di qualche anno, del rifiuto da parte di Gregorio VII di concedere ai Boemi le letture della messa in volgare139, proprio perché la liturgia avrebbe dovuto fungere da strumento essenziale per ribadire in tutta la Christianitas il primato romano e il suo carattere unitario e universale.140. Il colloquio tra Dio e i fedeli, come aggiungerà poco più avanti, si svolge nella chiesa e deve rispettare precise regole, il fedele comunica con Dio solo attraverso le lodi divine e le preghiere, perché Dio tende l’orecchio solo a ciò che nella chiesa si legge.141

Si evince da questo sezionamento del corpo del sermone una severa rigidità da parte dell’autore, quasi a voler sottolineare continuamente un distacco profondo tra i laici e i chierici. Anche il passo del colloquio con Dio, dietro un’apparente apertura per cui il fedele “parla” con il Signore, cela in verità un monito, quello di attenersi scrupolosamente al rituale della messa e partecipare a esso, questo sì attivamente, tramite, però, la semplice

137 Si tratterebbe in questo caso delle reliquie del defunto abate Odilone di Cluny. Cfr. Longo U., Come angeli in terra. Pier Damiani, la santità e la riforma del secolo XI, Viella, Roma 2012, pp. 95-148.

138 Sermo LXXII, PL 144, coll. 908C-912B e CCCM 57, pp. 420-430.

139 Cattaneo E., La vita comune dei chierici e la liturgia, in La vita comune del clero nei secoli XI e XII. Atti della I settimana di studio: Mendola, settembre 1959, Milano 1962, I, 241-272.

140 Cattaneo E., La partecipazione dei laici alla liturgia, in I laici nella "Societas Christiana" dei secoli XI e XII. Atti della terza Settimana internazionale di studio: Mendola, 1965, Milano 1968, p. 401-402

141 Sermo LXXII, PL 144, coll. 908C-912B e CCCM 57, pp. 420-430.

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recita delle formule eucologiche. Da un punto di vista retorico, il sermone nella sua strutturazione fortemente schematizzata riproduce la rigidità del rituale della dedicazione della chiesa enunciato.

La dimensione in cui opera la descrizione damianea si fa più concreta nella parte centrale del sermone. I rituali descritti non hanno più richiami simbolico-numerici, bensì simbolico-materiali. Si crea un legame tra tutti gli oggetti messi in mostra durante la celebrazione e delle particolari virtù: incenso, candele, vino, issopo, sale, cenere, un frammento di pietra rossa e, infine, le stesse pietre tenute insieme dal cemento con le quali la chiesa è stata costruita. Non mi dilungherò sullo scioglimento del significato mistico riportato per ciascun oggetto, ciò che preme qui sottolineare è la funzione fortemente didascalica del discorso. L’impianto narrativo cede il passo alla minuziosa descrizione non tanto del rituale, quanto, piuttosto, degli oggetti che circondano gli astanti, rendendo in tal modo il discorso non solo utile ma necessario a una piena comprensione (e, dunque, partecipazione) dell’avvenimento in atto.

Scorrendo rapidamente il corpus omiletico damianeo, la differenza tra quest’ultimo e gli altri sermoni risulta ancora più marcata. Non vi è, infatti, la celebrazione di un determinato santo o di una precisa festività e ciò impedisce un’impostazione agiografica della narrazione. Il modo migliore per tener viva l’attenzione dei riceventi, siano essi gli uditori dei sermoni o i destinatari delle lettere, è quella di infarcire il discorso con aneddoti, passaggi tratti dalle vite dei santi, miracoli e Pier Damiani lo sa bene. In questo caso, però, gli unici passi narrativi sono relativi alle vicende dei patriarchi veterotestamentari, sempre con una precisa funzione esplicativa dei riti compiuti durante la celebrazione. Il vero centro tematico del sermone sono, però, i destinatari, coloro che avevano assistito alla dedicazione della chiesa francese. Già in apertura rivolgendosi loro con la formula «Ad dedicationem ecclesiae, dilectissimi, piae devotionis vos attraxit»142, l’Avellanita rende concreto il pubblico e la stessa occasione in cui si trova a predicare viene ad assumere una maggiore connotazione storica. Gli appelli all’attenzione sono continui, lo scopo è quello di mettere in comunicazione diretta gli oggetti di cui parla e gli astanti, fungendo egli stesso da strumento per sviluppare questa connessione imprescindibile per la partecipazione consapevole al rito.

142 Sermo LXXII, PL 144, coll. 908C-912B.

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Letto in questo modo, il sermone LXXII sarebbe probabilmente quello che più ci cala nella realtà biografica damianea, sarebbe il testo che meno si inserisce in quella logica da “prontuario omiletico” che pure aveva guidato, come visto, l’intera risistemazione delle sue opere. Sarebbe così, se non fosse che i riferimenti espliciti alla missione gallica sono pressoché assenti. Pier Damiani non parla di se stesso, del perché gli sia stato affidato il compito di procedere alla dedicazione della chiesa, non parla esplicitamente di una differenziazione tra il rito gallicano e quello romano, non vi sono sottolineature polemiche sulla centralità di Roma. Sono gli stessi rituali descritti nel testo a rimandare all’ordo XLII del Pontificale Romanum e alla sua utilizzazione in ambito transalpino, secondo quanto testimoniato dal sacramentario di Drogone di Metz (826-855) e dal racconto del rito di dedicazione compiuto da Urbano II nel 1096 presso l’abbazia di Marmoutiers143. Per questo motivo il sermone potrebbe essere stato pronunciato nella chiesa in cui erano sepolti i gli abati di Cluny, Maiolo (954-994) e Odilone (994-1049).144 L’ipotesi non è da escludere e risulta certamente in linea con l’operato damianeo nelle Gallie. Il punto interessante è, però, un altro. Pur nell’estrema concretezza e nel continuo coinvolgimento del laicato simplicior et minus peritus, Pier Damiani realizza un testo tanto vincolato alla contingenza quanto declinabile in infinite occasioni affini. E quest’ultimo aspetto riporta il testo alla sua originale dimensione schematica da applicare in differenti contesti.

Proprio in ambito transalpino era stato molto attivo nella dedicazione delle chiese il pontefice Leone IX (1049-1054), sia in area franca sia teutonica; infatti, la grande quantità di attestazioni di questo tipo lascia pensare che «egli le concepisse come uno strumento di applicazione della riforma; bisognerà aspettare Urbano II e Pasquale II per

143 Othlonus, Ex libro visionum, ed. Wilmans R., in MGH SS XI, Hannoverae 1854, p. 384, r. 16.

Sull’entourage lotaringio di Leone IX cfr.: Parisse M., L’entourage de Léon IX, in Léon IX et son temps, Actes du colloque international organisé par l’Institut d’Histoire Médiévale de l’Université Marc Bloch Strasbourg-Eguisheim (20-22 juin 2002), éd. par Bischoff G.et Tock B. M., Turnhout 2006 («ARTEM», 8), pp. 435-456; id., Leone IX, santo, in Enciclopedia dei papi, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2000, II, pp. 157- 162; Capitani O., Immunità vescovili ed ecclesiologia cit.; id., Episcopato ed ecclesiologia nell’età gregoriana in Le istituzioni ecclesiastiche della ‘societas Christiana’ dei secoli XI-XII. Papato, cardinalato ed episcopato, Atti della quinta Settimana internazionale di studio (Mendola, 26-31 agosto 1971), Milano 1974, «Miscellanea del Centro di studi medioevali», 7, pp. 360-364.

144 Petri Damiani, Sermones (II-XXXV), a cura di Ugo Facchini e Lorenzo Saraceno, p. 405-406.

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riscontrare numeri simili»145. L’operato damianeo si colloca al di fuori di questi due periodi (quello di Leone IX è antecedente e gli altri due pontificati successivi di qualche decennio), ma è certamente figlio della riforma promossa da Leone IX. Infatti, a livello contenutistico c’è un dettaglio che, pur non richiamando esplicitamente il primato petrino o gli ideali riformatori, si riallaccia in maniera inequivocabile a una nuova concezione della Chiesa gerarchica e piramidale già presente nel Dialogo tra un costantinopolitano e un romano146, prodotto dall’entourage di Leone IX: vale a dire il tema dell’Arca dell’Alleanza come prefigurazione della Chiesa. Nel sermone viene ribadito tale significato figurale e spiegato il ruolo dei sacerdoti e dei predicatori nella Bibbia durante la distruzione delle mura di Gerico.147 L’affinità tra questa nuova concezione ecclesiologica e Pier Damiani è a suo tempo già stata evidenziata da Umberto Longo, richiamando a testimonianza di ciò l’epistola 48 del 1057 indirizzata ai cardinali, nella quale lo studioso ravvisa un richiamo evidente da parte del Damiani alle procedure riguardanti le consacrazioni promosse da papa Leone IX.148

Si tratta dunque di rituali fortemente utilizzati dal gruppo riformatore già dagli anni ’50 del secolo. Un esempio ben descritto dell’operato di Leone IX durante la consacrazione delle chiese transalpine è rappresentato dal De dedicatione ecclesiae beati Remigii Remensis, composto dal monaco di Saint-Remy, Anselmo, tra il 1055 e il 1060149.

145 Longo U., Leone IX e la diffusione della riforma. Uomini, procedure, monachesimo, in La reliquia del sangue di Cristo. Mantova, l'Italia e l'Europa al tempo di Leone IX, a cura di Cantarella G. M.

e Calzona A., Verona 2012, pp. 295-312.

146 «Arca siquidem sanctam ecclesiam, circuli eius divinam scripturam; vectes eius praepositos ecclesiae significant, quos semper expedit sacrae scripturae insistere: ne pudenter tunc velint discere, quando ia ad exaltationem sanctae ecclesiae debent quaestiones quorumlibet enodare». Will C., Acta et scripta, quae de controversiis ec- clesiae Graecae et Latinae saeculo undecimo composita extant, Lipsiae et Marpurgi, Elwerti, 1861 (rist. 1963), 94, 11-17a; D’Agostino M. G., Il primato della Sede di Roma in Leone IX (1049-1054). Studio dei testi latini nella controversia greco-romana nel periodo pregregoriano, Cinisello Balsamo (Mi) 2008, pp. 207-215, 263-264.

147 Sermo LXXII, PL 144, coll. 908C-912B.

148 Longo U., Leone IX e la diffusione della riforma, p. 303.

149 Wilbertus Tullensis, La vie du pape Léon IX (Brunon, évêque de Toul), a cura di Goullet M., Parigi 1997, pp. 89-91; Anselme de Saint-Remi, Histoire de la dédicace de Saint-Remy, éd. et trad. Hourlier J., in La Champagne bénédictine. Travaux de l’Académie nationale de Reims, CLX (1981), pp. 181-297.

Cfr. Munier C., Le pape Léon IX et la Réforme de l’Eglise 1002-1054, Strasbourg 2002, pp. 269-282;

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Questo tipo di testimonianza offre la possibilità di delineare una panoramica sulle strategie messe in atto dai riformatori150. Nel testo sulla chiesa di Reims si parla esplicitamente di more romano in riferimento alla celebrazione e Longo vi legge un’attestazione consapevole del ruolo supremo del pontefice esportato al di fuori delle basiliche romane151. Ruolo che, tuttavia, non emerge dallo scritto damianeo. Ma la differenza sostanziale tra questo e l’esempio del sermone LXXII risulta dalla specificità del caso, che risente della natura stessa della composizione scrittoria. Il sermone del Damiani è composto in maniera standardizzata, deve poter essere riutilizzato in svariati contesti, sono rituali replicabili, i riferimenti alle reliquie restano anonimi, non vi è (caso unico per i sermoni) il minimo accenno all’importanza di queste e dei santi cui appartennero.

Tutta l’attenzione è incentrata sui gesti e sui materiali, lo stesso riferimento alle mura della chiesa ne esalta la materialità e non specifiche forme architettoniche, planimetrie o elementi decorativi. Proprio questi ultimi avevano, in particolar modo con l’esplosione del romanico pienamente in atto, una funzione estremamente importante per comunicare al fedele episodi tratti dalle Scritture. Pier Damiani, nella continua ricerca del coinvolgimento degli astanti avrebbe potuto indicare un determinato affresco posto nelle navate o, ancor più, uno degli straordinari capitelli scolpiti raffiguranti uomini, animali, mostri e non è pensabile che in una chiesa costruita e consacrata negli anni Sessanta del secolo XI in area borgognona, dove l’arte romanica si è precocemente espressa regalando momenti di altissimo virtuosismo, non fosse presente alcun elemento decorativo di questo genere o che, se ci fosse stato e non fosse stato pertinente alla predica, un uomo come il Damiani non avrebbe saputo coglierlo e rielaborarlo a vantaggio del proprio discorso. La verità è che questo sermone conferma più di ogni altro il distacco in fase di scrittura da quello che effettivamente fu il discorso declamato. Una volta di più, Pier Damiani è

Prat D., Léon IX, pape consécrateur, in Léon IX et son temps actes du colloque international organisé par l'Institut d'Histoire Médiévale de l'Université Marc-Bloch, Strasbourg-Eguisheim, 20 - 22 juin 2002, a cura di Bischoff G. e Tock B. M., pp. 355-383, pp. 361-362. Cfr. inoltre: Robinson I., The Papal Reform of the Eleventh Century: Lives of Pope Leo IX and Pope Gregory VII, Manchester 2004.

150 Si tenga presente che alla traslazione delle reliquie di Saint-Rémi il I ottobre 1049 a Reims era presente anche l’abate di Cluny, Ugo di Semur, che parteciperà anche alla sinodo che si occuperà della simonia in Francia.

151 Longo U., Leone IX e la diffusione della riforma, p. 302.

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attento al futuro riutilizzo della propria opera e alla perenne vitalità della stessa, ottenibile solo grazie a una totale alienazione rispetto al contesto. L’ennesima occasione per dimostrare un’inesauribile maestria nell’arte della retorica.

IV.3. L’Iter Gallicum (1063). Rapporti tra Pier Damiani e le grandi abbazie del

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