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27 In sintesi tracce di attività di culto per l’età arcaica sono documentate nelle aree sacre

nn. 2-3 e alla metà del V sec. a.C. per l’area sacra n. 8176, per le restanti non sono stati individuati indizi che vadano prima della metà del IV sec. a.C.

La Missione austrica ha quindi definito una tipologia dei santuari velini in: luoghi di culto all’aperto, privi di strutture, se non portici (aree sacre n. 2, n. 8 e n. 9); santuari con naiskoi (aree sacre n. 1, n. 3 e n. 4); temenoi con piccoli edifici di culto, monumentalizzati nel II sec. a.C. (aree sacre n. 6 e n. 7).

Per essi sono state sottolineate le stringenti analogie, dal punto di vista strutturale, con altri luoghi di culto di area lucana (Roccagloriosa, Torre di Satriano, Civita di Tricarico), in cui sono edifici di culto a pianta quadrata entro recinti, poi ristrutturati come templi a pianta allungata nella fase romana (II sec. a. C.).

Tra IV e III sec. a.C. Velia, dunque, pur conservando lingua e istituzioni greche, non è esclusa dalle dinamiche del territorio circostante, come dimostra l’adozione dell’edifico di culto a oikos, ma secondo soluzioni architettoniche proprie177.

Tra le produzioni artigianali a destinazione sacra per l’età ellenistica sono documentate matrici per la realizzazione di terrecotte antropomorfe, che per stile e iconografia rientrano in tipi diffusi sia in ambito lucano (molto stringenti le analogia con la coroplastica pestana) che della Campania interna (Fratte, Capua, Teano)178.

A Paestum rimanda la figura femminile in trono, interpretata come Hera179, o dell’offerente con porcellino o cista, ben nota dagli esemplari del santuario di San Nicola di Albanella o il busto di figura femminile180.

Per quest’ultimo sono attestati due tipi, uno dei quali di ascendenza siceliota e ampiamente diffuso in Magna Grecia.

Sono attestate, inoltre, figurine del tipo ‘tanagrina’, in 27 tipi differenti, le cosiddette

‘donne fiore’ e immagini di divinità (Afrodite, Pan, Eroti)181.

A queste testimonianze va aggiunta la statua della dea Cibele in marmo pentelico, su modello agoracriteo, realizzata da un’officina attica della seconda metà del IV sec. a.C.182.

176 Velia 2009, 82-100.

177 Gli edifici di culto non presentano, infatti, il recinto caratteristico in altri contesti lucani. GASSNER 2019, 744-745 e 748-749.

178 GRECO G. 2009-2011, 116.

179 SVOBODA-LADURNER 2008; Velia 2009; LADURNER 2010; LADURNER-SVOBODA-TRAPICHLER 2010.

180 CIPRIANI 1989, 98-128; 139-151.

181 GRECO 2009-2011, 116. Un numero cospicuo di frammenti di figure femminili, soprattutto teste, è stato individuato tra il materiale degli scavi del 1995 presso la Masseria Cobellis (contesto V04001, Cfr. paragrafo. 3.4).

Considerata la natura alluvionale dei depositi archeologici e una prima osservazione dei reperti, è possibile che si tratti di materiale fluitato dalla zona del Vallone del Frittolo. Per l’edificio romano al di sotto della Masseria Cobellis è stata individuata, ma non ulteriormente indagata, anche una fase ellenistica, forse rappresentata da un culto delle acque. Uno studio più approfondito delle terrecotte e la lettura della stratigrafia potrebbero dare maggiori

informazioni sulla possibile natura sacra dell’area in età ellenistica e definire eventuali soluzioni di continuità con il periodo romano.

182 GRECO G. 2005b; RECO G. 2009-2011, 116.

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Fig. 1.5 Acropoli (da CICALA 2012, tav. 6).

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Fig. 1.6 Aree sacre 1-2 (da Velia 2009, 81, fig. 5.2).

Fig. 1.7 Aree sacre 3-8 (da Velia 2009, 81, fig. 5.3).

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1.2.4.2. Lo spazio pubblico

Le testimonianze di edifici con funzione pubblica non sono molto nutrite per l’età ellenistica, tuttavia i pochi spazi individuati sono caratterizzati da planimetrie ampie e articolate e si distinguono per gli impianti scenografici.

Un esempio è rappresentato dal complesso architettonico che si sviluppa in più terrazzamenti digradanti nell’area del Vallone del Frittolo, all’inizio interpretato come agorà greca (Fig. 1.8, 4-5)183.

La depressione naturale del Frittolo rappresenta, come si è visto, un elemento caratterizzante dell’assetto orografico velino, con tutti i fenomeni di natura idrogeologica ad essa collegati, che ha influenzato l’aspetto attuale e antico di ampi settori della città, ma allo stesso tempo ne ha permesso la conservazione, tramite la formazione di importanti stratigrafie, da cui è stato possibile, inoltre, acquisire numerose informazioni sulla cultura materiale velina.

Nonostante i fenomeni ad essa collegati, e soprattutto alla presenza di un corso a carattere torrentizio, che doveva avere una entità maggiore in età arcaica, non è mai avvertita come impedimento alla espansione urbana, anzi viene utilizzata come elemento di raccordo tra i vari quartieri, mediante la Via di Porta Rosa.

Quest’ultima rientra tra le opere pubbliche realizzate tra il IV e il III secolo a.C. ed è caratterizzata da una pavimentazione in blocchetti di calcare grigiastro, disposti di coltello, per una larghezza di 4,50 m, e presenta ai lati cunette per lo smaltimento dell’acqua piovana184.

In età ellenistica, nel pieno della fase di monumentalizzazione, il vallone viene occupato da un imponente complesso disposto su tre terrazzamenti185, che deve aver svolto un ruolo importante nella vita della comunità, considerate la vastità dell’area occupata e le soluzioni planimetriche adottate, a prescindere dalle interpretazioni date.

Sul primo terrazzamento dall’alto si dispone un edificio termale di particolare interesse per l’architettura ellenistica magnogreca, scavato da W. Johannowsky nel 1982.

Esso si compone di sei ambienti tra cui il frigidarium, con pavimentazione a mosaico a motivi floreali, confrontabile con repertori decorativi del Mediterraneo orientale, e un ambiente circolare con vasche fittili per il bagno individuale. Esempio di architettura termale unico per la Magna Grecia, che conferma l’alto livello qualitativo dei repertori locali, nonché la ricezione di modelli estremamente innovativi, riscontrabili in area siceliota (Gela, Megara Hyblaea, Siracusa, Morgantina), considerato l’ambito cronologico dell’impianto, collocabile intorno alla metà del III sec. a.C.186.

La cronologia trova conferma nei materiali rinvenuti nei livelli di fondazione e nei tagli per la messa in opera del sistema di canalizzazione, oltre che in un deposito votivo, individuato all’esterno dell’ingresso, con materiale ceramico riferibile alla prima metà del III sec. a.C. e nell’utilizzo dell’opera a scacchiere e del mattone velino nelle murature187.

Le terme sono rifornite da una sorgente le cui acque vengono convogliate in una canalizzazione, con percorso sotterraneo e aereo, nel cui tracciato si intervallano pozzetti di decantazione e ramificazioni secondarie, che alimentano fontane sia nel terrazzamento

183 Cfr. paragrafo 3.5.

184 GRECO G. 2002, 39-42.

185 GRECO G. 2015, 369-376.

186 JOHANNOWSKY 1982, 243-246; CICALA 2012, 441-442, con bibliografia alla nota 50; GRECO G. 2013.

187 GRECO G. 2015, 369.

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