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può accadere che in alcune si vada a individuare un numero maggiore di piani di quelli richiesti o selezio-nati nelle altre porzioni: ciò, come si è visto, porta ad un possibile mascheramento di alcune informazioni importanti. Il metodo automatico, intervenendo sulla nuvola di punti nella sua interezza, è meno soggetto a questo tipo di problematiche, fermo restando che, se alcune peculiarità statiche della parete sono eviden-ziate da poche superfici, è solo l’abilità dell’operatore che permette di metterle in luce, nonostante l’analisi numerica e statistica tenda a non riconoscerle.

Come nel caso precedente l’individuazione di micro-zone e macro-zone è sostanzialmente equivalente.

E’ facile osservare che l’estrazione automatica, tende a mettere in luce molti più piani di discontinuità, in quanto va a considerare anche quelli esclusi nella procedura interattiva, pur fornendo sostanzialmente lo stesso risultato in termini di famiglie presenti nell’ammasso; lievissime differenze (2÷3 gradi) possono es-sere riscontrate nel confronto fra le varie figure, ad eccezione soltanto del piano sub-orizzontale che, nella soluzione automatica presenta dip direction di 10° maggiori verso nord: oltre al fatto che più il piano medio tende ad essere orizzontale, più tale parametro perde di importanza, si osserva come la tecnica automatica abbia messo in luce molti piani con dip direction più settentrionale rispetto alle soluzioni interattive.

Al momento, non disponendo di un rilievo tradizionale da usare come controllo, non è possibile stabilire quale delle due soluzioni sia maggiormente corretta: l’elevato grado di somiglianza fra i vari stereogrammi dimostra, comunque, che anche la procedura automatica dimostra una buona affidabilità.

CAPITOLO 4. Determinazione dei piani di discontinuità di pareti rocciose 163

Al giorno d’oggi, il monte Granier forma un bastione di massa calcarea dalle pareti verticali alte circa 300 m che appoggia su livelli marno-calcarei affioranti sulla parete Nord per circa 550 m di altezza e aventi inclinazione di 15° verso Sud-Est. La fessurazione interessa tutta la massa dei calcari, caratterizzati da fratture verticali ben visibili sulla faccia Nord. Tale massiccio è caratterizzato inoltre da numerose gallerie estese anche per parecchi chilometri, provocate dal fenomeno del carsismo, le quali sono state in passato utilizzate dagli speleologi per lo studio dell’ammasso roccioso. D’altra parte sono state riscontrate all’in-terno della massa rocciosa delle fratture caratterizzate da una notevole apertura ma non di origine carsica, che presentano cioè un allontanamento delle pareti di una discontinuità. L’osservazione di queste fratture, che interessano l’intera massa calcarea, dalla superficie superiore ai livelli marno-calcarei, permette di con-statare la decompressione attuale del massiccio, che potrebbe essere dovuta ad un rilassamento della base marnosa, e l’instabilità risultante.

Questa decompressione dell’ammasso roccioso e l’apertura delle fratture possono essere dovute al ri-lassamento della base marnosa, oltre alla pendenza sfavorevole. Una destabilizzazione improvvisa con conseguente crollo di una massa stimata nell’ordine di 500000 metri cubi potrebbe venire innescata da un aumento eccezionale della pressione idraulica alla base dell’ammasso oppure da una scossa sismica. In tal Figura 4.13: Inquadramento cartografico del sito del Granier.

caso, la zona che verrebbe interessata dal crollo è di difficile identificazione e richiederebbe uno studio completo (rilievi, simulazioni, modellazioni tridimensionali, ecc…).

A differenza del sito analizzato precedentemente, inizialmente non è stato possibile realizzare un rilievo topografico della parete, e la restituzione è avvenuta in un sistema di riferimento arbitrario. Si è lavorato quindi sulle immagini digitalizzate di un precedente rilievo fotogrammetrico con camera metrica UMK 10 effettuato da elicottero: le dimensioni della parete e la difficoltà di accesso rendono infatti economica-mente vantaggioso questo tipo di approccio. La camera (dimensione del formato 160x115 mm) era dotata di un’ottica da 100 mm ed era accompagnata da un certificato di calibrazione per le distorsioni ottiche. I fotogrammi sono stati digitalizzati in un primo momento alla risoluzione di 14 mm/pixel, e in seguito, dal momento che era emerso dagli studi preliminari che si poteva utilizzare un livello di dettaglio minore, alla risoluzione di 20 mm/pixel.

L’orientazione delle immagini, viste le dimensio-ni ragguardevoli (circa 8000x6000 pixel), è avvenuta manualmente, in quanto il software per la structure and motion presentava problemi di gestione di memoria;

inoltre, come è possibile notare in figura 4.14, le basi di presa fra le diverse coppie di fotogrammi utilizzate per generare il modello sono piuttosto lunghe: viene meno quindi una delle ipotesi di base delle tecniche S&M, ovvero il blocco non aveva caratteristiche adat-te a garantire risultati accettabili.

Il DSM dell’intera parete (rappresentato in figura 4.15) è stato ottenuto utilizzando quattro diverse cop-pie di fotogrammi, in assetto pseudonadirale rispetto alla parete. Per ciascuna coppia si è ottenuta la nuvola di punti corrispondente e, al termine del procedimento, le varie nuvole, per mezzo di un software commercia-le, sono state allineate ed unite. Il modello complessi-vo risulta costituito all’incirca da 3.5 milioni di punti con interdistanze medie di circa 10 cm. In un primo

momento, non disponendo di punti d’appoggio, si è effettuata una georeferenziazione di massima del DSM utilizzando le informazioni desumibili dalla cartografia alla scala 1:25000; mentre l’orientamento al nord del modello (importante per la determinazione dei parametri di giacitura dei piani di discontinuità, è stato ricavato con precisione sufficiente (circa un paio di gradi) per gli scopi dello studio, la determinazione del fattore di scala dei modelli non era sufficientemente affidabile (errori di circa 2÷5 m) per poter estrarre, con il grado di dettaglio richiesto, altre informazioni (spaziatura tra le discontinuità, dimensioni dei blocchi, Figura 4.14: Posizioni di presa e punti di legame del blocco realizzato per il sito del Granier.

CAPITOLO 4. Determinazione dei piani di discontinuità di pareti rocciose 165

etc.).

In seguito, servendosi di quattro punti d’appoggio misurati topograficamente, gentilmente forniti dal-l’Université Joseph Fourier di Grenoble, è stato possibile georeferenziare il modello, stimando errori di posizionamento dell’ordine di 10÷20 cm, più che adeguati alle richieste dei geologi.

Per quanto riguarda lo studio delle discontinuità, si è proceduto come nel caso precedente: una analisi preliminare ha definito le soglie di accettazione per l’estrazione dei piani. In questo caso, essendo molto più ampia la zona da considerare ed assai inferiore la risoluzione delle immagini sull’oggetto, si sono adottati valori di soglia intorno ai 30÷40 cm, che hanno permesso di mettere in evidenza i macrosistemi di discon-tinuità della parete.

Sempre in analogia a quanto fatto negli altri casi, si sono individuate manualmente le famiglie di discon-tinuità, analizzando separatamente ciascuna nuvola (non si è cioè utilizzato il DSM complessivo) e indivi-duando di volta in volta sia macro-zone che micro-zone. Come mostrato in figura 4.16.a e 4.16.b, anche in questo caso, i risultati con i due metodi sono sostanzialmente equivalenti; dal confronto con la figura 4.16.

c, in cui sono rappresentati i risultati ottenuti con il metodo automatico, si nota che il numero di famiglie individuabili è decisamente maggiore: con il metodo interattivo, infatti, viste le dimensioni dell’oggetto da analizzare, si sono estratte informazioni solamente in zone che sembravano significative, e non si è coperta interamente la superficie dell’ammasso. L’esempio mette in mostra due aspetti: da un lato il fatto che il metodo automatico è in grado di estrarre correttamente le stesse informazioni che vengono determinate da un operatore umano; dall’altro il fatto che il metodo interattivo, per essere condotto correttamente, deve sempre analizzare tutta l’estensione della superficie rocciosa. Il limitare l’analisi a zone apparentemente significative, probabilmente, è corretta quando si dispone di un elevato livello di dettaglio sulle immagini, Figura 4.15: DSM della parete nord del complesso del Granier, ottenuto dall’unione di quattro differenti modelli.

a.

b.

c.

Figura 4.16: Stereogrammi ottenuti dall’analisi del sito del Granier: (a.) rilievo in-terattivo con micro-zone; (b.) rilievo inin-terattivo con macro-zone; (c.) rilievo automa-tico.

CAPITOLO 4. Determinazione dei piani di discontinuità di pareti rocciose 167

che permette di avere una visione abbastanza chiara della morfologia della parete, ed, al tempo stesso, non si affrontano casi eccessivamente estesi, in cui un’analisi qualitativa sommaria dell’aspetto della roccia non assicura l’individuazione di tutte le possibili discontinuità significative per l’analisi.

Anche in questo caso, come nel precedente, deviazioni di qualche grado fra una soluzione e l’altra sono da ritenersi del tutto trascurabili.

Sebbene la sperimentazione sia solo all’inizio, e i tre siti analizzati non formino certamente un campio-ne sufficiente per la valutaziocampio-ne delle capacità dei metodi sviluppati, i risultati sono molto incoraggianti.

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Conclusioni

Oggetto della presente dissertazione è stato lo sviluppo e l’applicazione di tecniche di automazione in fotogrammetria dei vicini (close-range) con particolare riguardo, in campo geotecnico, al loro impiego nell’analisi di stabilità di pareti rocciose.

La motivazione per un impegno in questo ambito è nata dalla constatazione che, di fronte agli sviluppi tecnologici nel settore del rilevamento, che vedono altre strumentazioni e nuove esigenze affacciarsi, solo un progresso nel senso dell’automazione può tener vivo il patrimonio di conoscenza accumulato nel settore della fotogrammetria. Perché ciò sia possibile occorre realisticamente prendere atto anzitutto delle affinità con il settore della visione artificiale e dell’elaborazione di immagini e riconoscere che concetti nuovi o ripresentati in chiave moderna e assai promettenti per le applicazioni del rilevamento stanno maturando o sono già patrimonio di questi gruppi. Fa riflettere in particolare il fatto che non solo tali metodi ed innova-zioni sono, come naturale, nel settore proprio dell’elaborazione delle immagini (in cui la fotogrammetria digitale ha pur dato nel decennio scorso contributi di assoluto rilievo, come il LSM e il MGCM) ma anche e soprattutto sulla geometria adatta per descrivere la presa dei fotogrammi e sui metodi di stima, considerati patrimonio indiscusso dei fotogrammetri e dei geodeti.

Per quanto riguarda la ricostruzione della Structure and Motion, il lavoro svolto e l’esperienza fatta mostrano che l’estrazione ed il matching di features è una fase decisiva per il successo del metodo e che la ricerca si sta orientando verso operatori sempre più sofisticati, con proprietà di invarianza che li rendono molto più robusti rispetto a variazioni del punto di vista. Con tutto ciò, i risultati presentati nel primo capi-tolo con l’orientamento automatico di una sequenza di Mobile Mapping composta da quasi 100 coppie di immagini dimostrano, al di là dei problemi certamente ancora da risolvere e dei miglioramenti possibili, che la selezione ed il matching di corrispondenze possono affrontare ambienti pochissimo strutturati (nel caso, essenzialmente campi e strada, ovvero tessiture povere o ambigue per definizione).

Non meno importante è il ricorso a tecniche di stima robusta, in particolare RANSAC e le sue varianti, capaci di lavorare con percentuali di errori grossolani (inevitabili) che renderebbero del tutto inutilizzabili

i risultati dei minimi quadrati.

Queste tecniche, per filtrare gli errori, devono tuttavia determinare i parametri di un modello fisico o geometrico che discrimini le osservazioni accettabili dagli errori. Entra qui in gioco la novità dell’approc-cio della geometria proiettiva, in cui è possibile formulare il tradizionale vincolo di complanarità ed il più complesso legame tra i parametri di orientamento di una terna di immagini in forma lineare, senza quindi richiedere la conoscenza di parametri approssimati. Si tratta di un risultato, come evidente dalla trattazione nel primo capitolo, che non si consegue a poco prezzo né senza una districarsi in una complessità algorit-mica che pare talvolta perfino ingiustificata. La potenza del metodo risiede però proprio nel fatto che non è richiesta la conoscenza di alcuna informazione preliminare sulla struttura del blocco o della scena e nella sua generalità, che consente sia applicato nel rilievo architettonico come nell’analisi di sequenze, in campo archeologico, medico, cinematografico etc…

Vi sono tuttavia anche dei limiti al percorso delineato nella geometria proiettiva. Per ritrovare risultati metricamente validi e corretti, occorre infatti tornare al classico bundle adjustment ed alle equazioni di col-linearità; imporre o sfruttare condizioni e vincoli su parametri validi in uno spazio non è semplice. Sembra quindi in un certo senso incompleto (e forse lo è, almeno per un fotogrammetra) l’approccio delineato; si tratta di una linea di sviluppo possibile del lavoro che può arricchire questo percorso, ad esempio studiando il bundle adjustment nello spazio proiettivo e le sue proprietà.

Se in passato la ricostruzione di superficie era svolta per curve di livello e punti quotati con restituzione manuale, oggi questa operazione è svolta dal calcolatore in modo estremamente più rapido (e, con gli op-portuni distinguo, preciso) grazie allo sviluppo ormai quasi ventennale di algoritmi di matching sub-pixel.

Una scommessa di questo lavoro, senza pretendere di aver dato una risposta definitiva, è stata quella di puntare sul matching vincolato geometricamente. Idea estremamente illuminata e concettualmente brillan-te, non ha a nostro avviso finora trovato la diffusione che merita, perchè unisce in modo semplice la preci-sione di localizzazione con la congruenza geometrica. Non tutti gli aspetti della sua gestione, in particolare i pesi, sono ancora ben assestati, ma il potenziale, specie nel close range, è certamente molto elevato. Per sfruttarlo, il matching denso richiede di essere però programmato con estrema attenzione sia nel calcolo dei parametri approssimati, sia nella correzione delle distorsioni, sia nel ricampionamento epipolare delle immagini. Anche qui, spazi di miglioramento sono possibili, a fronte della grande varietà di situazioni che la geometria di presa e la forma dell’oggetto presentano, rendendo di volta in volta assai utile questo o quel-l’accorgimento. Il fatto che, in un ambiente non semplice come quello delle pareti in roccia i risultati siano del tutto confrontabili con quelli di un laser a scansione terrestre, come mostrato nel capitolo 2, mostrano che il metodo è solido.

La sfida più aperta è forse quella relativa all’ultima delle fasi del procedimento, ovvero la classifica-zione dei dati: un tempo lasciati all’interpretaclassifica-zione dell’operatore, oggi devono per quanto possibile essere etichettati da un algoritmo. Si tratta di un settore per certi aspetti nuovo, per certi altri di una costola

del-Conclusioni 171

l’image processing, tuttavia in forte espansione. Anche se i contributi più innovativi di questo lavoro sono stati raggiunti proprio in questo settore, la presentazione dei metodi è stata ristretta a quelli adottati o in fase di implementazione, ovvero senza coprire che in minima parte la varietà delle tecniche, spesso application-oriented, per la segmentazione. Il risultati in buon accordo con quelli tradizionali ottenuti nei siti test col metodo automatico per la determinazione di piani di discontinuità messo a punto, sebbene la sperimentazio-ne non possa ancora dirsi conclusa, indicano che la metodologia sviluppata è certamente promettente.

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Appendice A