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La naturale espansione del mercato ludico che si appoggia sempre alla comunicazione dell'industria culturale , avvenuta nei primi anni 2000, ha portato esperti di marketing digitale, game designers, scienziati della comunicazione, sociologi, filosofi e accademici letterari a unire le menti per ritrarre la realtà del tempo libero all'interno delle società dell'informazione (v.Castells) in maniera più chiara, ma direi soprattutto più utile a fini commerciali, produttivi e teorici. Nascono così prospettive nuove e nuove direzioni di ricerca riconosciute a livello ufficiale per la loro importanza , come quella dei “Game

studies”. Secondo la definizione di Frans Mäyrä (vedasi, Mäyrä, 2008, ) si tratta di studi interdisciplinari

che coinvolgono sia discipline umanistiche come storia e studi letterari, sia discipline sociali come antropologia, sociologia, pedagogia e psicologia. L'attenzione è dedicata al “gioco” inteso come fenomeno culturale , come mondo semiotico complesso che intrattiene relazioni con ogni ambito della società e vengono auspicati metodi inclusivi per considerare sia aspetti interni (meccaniche, regole, estetiche, comunità di giocatori) sia esterni (contesto culturale ed economico). L'eterogeneità e l'ampiezza di oggetti potenzialmente indagabili tramite gli assunti della nuova disciplina, produssero nell'ambiente ludico una nuova coscienza collettiva: sia per quanto riguardava l'universo video-ludico, sia per quanto concerneva gli altri universi analogici del gioco: poteva finalmente essere portata avanti una serie di riflessioni impegnate e corroborate da approcci teorici validi e scientificamente significativi. I primi ad approfittarne furono i giocatori di ruolo scandinavi (in particolare in Finlandia e Svezia).

Nel 2004, Mäyrä curò la prefazione di “Beyond Role and Play: tools, toys and theory to harness the

imagination”, un volume collettaneo con contributi provenienti dall'intera comunità di giocatori di ruolo

provenienza. Oltre a fare pubblicità alla nascente facoltà dei Game Studies, venne portato avanti un discorso tecnico e specializzato sul gioco di ruolo (qui inteso anche e soprattutto come gioco di ruolo dal vivo o LARP, modalità che ha differenti realtà rispetto al gioco da tavolo, ma ne ha in comune alcune basi narrative e teoriche). Tra i contributi più importanti, conviene sicuramente citare l'analisi semiotica della narrazione di ruolo (Loponen e Montola), la fondamentale concettualizzazione del gioco all'interno di una cornice liminoide (Ericsson), le note sull'interpretazione e interiorizzazione del personaggio- maschera (Lappi) e quelle sulla costruzione testuale dell'esperienza di gioco (Stenros). Una parte

interessante e innovativa è sicuramente rappresentata dalla sezione dedicata al gioco di ruolo come nuovo strumento educativo (Henriksen e Harviainen) e sul design di personaggi, ambientazioni, genere narrativo e stile (Stenros, Lankoski). Tutte tematiche riprese e ampliate nel successivo volume, edito in occasione della Decima Knutpunkt Convention ,“Role,play, art. Collective experiences of role-playing”, Aprile 2006: una conferenza annuale che si tiene sin dal 1997 in vari paesi scandinavi a rotazione e raccoglie tutte le opinioni, gli studi e le voci dal mondo del gioco di ruolo analogico , sia da tavolo, che dal vivo di quei paesi, da cui il termine Nordic roleplay e Nordic LARP . Lo stile e il formato decisamente più informali hanno permesso una partecipazione più ampia del pubblico e una collaborazione più stretta fra giocatori e specialisti su un terreno comune, per avere infine una prospettiva di insieme circa questioni come: qualità narrativa del gioco, creatività, teatralità ed espressività, esperienza e cognizione nel gioco. Da questa nascente area transdisciplinare e internazionale di studi, negli ambienti di gioco e delle

convention scandinave ha avuto origine una serie di raccolte saggistiche e lavori sempre più complessi e impegnati su svariati aspetti del gioco di ruolo analogico, che, anziché perdere terreno di fronte

all'avanzamento tecnologico del videogioco su console o pc, ha finito per rimanere una scelta condivisa da un nutrito pubblico (sia di affezionati che di nostalgici). Del 2001 è un testo che si sviluppa sui punti lasciati aperti da Fine circa le pratiche di gioco che sconfinavano in un certo modo nell'espressione di una personalità fittizia, tramite parametri fissi (scheda, manuali, regole). Daniel Mackay espande l'importanza teatrale del medium di gioco arrivando persino ad affermare che costituisca un'arte performativa a sé stante, avvalorandosi delle tesi della “performance come evento diffuso” sostenute da Schechner (1988) Mackay è convinto che il gioco delle parti costruito attorno alla divisione in compiti fra Narratore e Giocatori , l'uso delle regole e quindi di una costrizione scenica, la presenza di una sorta di copione (in realtà più simile a una traccia mentale supportata da brevi annotazioni e suggestioni), sia una forma di “teatro del destino” che confonde continuamente spettatori e attori in una serie di cornici narrative: dalla più ristretta e meno inclusiva (il sistema di gioco formato da regole e statistiche, la cornice narrativa costituita dal racconto del Master e da quello dei giocatori in dialogo costante in un universo verbale e comunicativo, la cornice teatrale della fictio vera e propria fatta dai personaggi all'interno del mondo di gioco e infine la cornice performativa che comprende tutto ciò che sperimentano i giocatori a livello individuale e le tipologie di azione che a turno esercitano Narratore e Giocatori). La partita viene vista dunque da Mackay come un sistema integrato di relazioni e comunicazioni che può avere il potere di re-

incantare l'esistenza personale dei partecipanti al pari di uno spettacolo teatrale, di un'opera d'arte performativa, appunto.

L'esperienza collettiva della simulazione, del teatro, della finzione narrativa assumono ora un valore estremamente positivo che può portare a sperimentazioni inedite, indagate in volumi concepiti e scritti da designers per giocatori e colleghi (“Second Person: Role-playing and story in games and media”, 2007), col fine dichiarato di insegnare a produrre “scatole narrative” efficaci e accattivanti anche all'interno di videogiochi e nel settore videoludico in generale.

Dalla stessa casa editrice, la McFarland (Jefferson/North Carolina), che ha edito anche Mackay, escono quasi contemporaneamente i saggi di ricerca di Sarah Lynne Bowman (sociologa) e di Jennifer Grouling Cover (studiosa di lettere) nel 2010. Dalla prima , “The function of role playing” prende il compito di chiarire che influenza abbia la pratica del ruolo sull'individuo. Partendo da una storia del roleplay come tecnica psicoterapeutica, Sarah cerca di trovare anche nella forma ludica le stesse tensioni catartiche e migliorative e le trova nelle caratteristiche che più risaltano durante le sessioni: la capacità di risoluzione di enigmi, lo spirito di squadra e l'immaginazione. Ogni gioco di ruolo da tavolo necessita di

un'interazione costante fra più di tre individui , sia a livello strategico, sia narrativo-emozionale,

costituendo di fatto un buon esercizio empatico. La funzione del roleplay inteso in senso generale e non più come lo intendevo in maniera clinica Moreno, diviene quella di esercitare facoltà utili nella vita di ogni giorno, se opportunamente considerate. La ricerca è corredata anche di un modello di questionario che l'autrice ha somministrato nei gruppi in cui ha preso parte al gioco. Jennifer Cover, partendo da un

background letterario, sulla scorta dei saggi prima elencati compie una rivalutazione della capacità

interattiva del medium: il gdr da tavolo non è semplicemente un racconto costruito da più voci la cui autorialità pende sicuramente di più dalla parte del Narratore, ma è bensì una costruzione interattiva (Punday “Creative accounting: roleplaying games, possible world theory, and the agency of

immagination”, 2005) ed ergodica (Aarseth,1997), che si forma dialetticamente come interazione di più

agencies ludiche su più livelli di astrazione ( ovvero le cornici di Fine, sviluppate da Mackay, ma prese da Goffman, il cui richiamo alla teatralità della vita sociale pubblica non può essere un caso). Questi intrecci narrativi vengono sviluppati dagli utenti a partire, spesso e volentieri, da materiale prodotto e già

confezionato dall'industria culturale in formati diversi (media tradizionali come libri o film, ma anche testi interattivi, videogiochi), ma sempre e comunque con una appropriazione e risettorializzazione personale ( che è evidentissima nella interattività ludico-narrativa della sessione di ruolo, in cui il copione, scritto o non scritto, del Master, riceve modifiche e spinte dall'agentività narrativa di un pubblico-attoriale composto da giocatori con in mente un'interpretazione e un sistema di regole codificato).

Le esperienze di anni di produzione e ricerca, gioco concreto e sperimentazione, portano prima

all'inaugurazione, come per i game studies quattro anni prima, di una rivista specializzata che conferisce al campo degli studi sul gioco di ruolo (di qualsiasi tipo, non solo analogico) un'importanza accademica e

teorica mai avuta prima ( dal 2006 l'International Journal of role-playing ha fatto uscire nove numeri) , a cui hanno contribuito produttori e designers, studiosi sociali e di lettere, psicologi, antropologi e

scienziati della comunicazione. Alle più importanti tematiche che sono state enunciate prima, nel corso dei numeri editi, ne vengono aggiunte altre grazie alle diverse prospettive, anche filosofiche, che vengono implementate nell'analisi delle realtà sociali e interattive che potenzialmente hanno luogo sia online che

offline in contesti transmediali (a tal proposito si veda Harviainen e Tuomas, Issue-1 o Arjoranta, Issue-

2). Vengono esplorati anche i temi della differenza di genere e dell'identità (si veda White e si veda anche

Curran, Issue-2) e le potenzialità immersive di vari formati di gioco (si veda Lankoski e Järvelä, Issue- 3), oltre che quelle più spiccatamente pedagogiche (si veda l'intero Issue-6 dedicato all'uso del gdr come

ausilio educativo in vari ambienti scolastici). Nell'idea ufficialmente trasmessa nel sito della rivista viene indicata come mira quella di costituire un canale informativo stabile per una comunità in crescita e incredibilmente forte di specialisti e non (Knowledge Network) che possa essere utile a chiunque voglia approfondire tematiche, continuare studi intrapresi o fare ricerche personali o di gruppo.

E appunto nel volume “The role-playing society: essays on the cultural influence of RPGs”, a cura di Andrew Byers e Francesco Crocco (2016), ci imbattiamo in una buona introduzione sul genere ludico che chiarisce cosa si intenda per gioco di ruolo fantasy, quale sia stata la sua storia editoriale, commerciale, culturale in breve e quali i principali lavori sul tema che possano chiarire molti aspetti anche a un pubblico totalmente ignaro: l'opera ha anche l'intento di avvicinare e divulgare. Vengono sia indagate le temperie culturali più recenti, sia quelle più datate (reazioni di vario tipo, dal preoccupato satanic panic all'apprezzamento degli effetti psicologici positivi riscontrati). Gli autori (vari e di varia formazione) dibattono anche sulle pratiche educative possibili, ne immaginano alcune, ne sperimentano altre e riportano le impressione proprie e degli alunni (vedasi Jonathan Bradley- “Do you want to be Dr.

Frankenstein or Edna Pontellier? How getting into character enhances literary studies”, pp. 122-142) ,

sulle implicazioni politiche di un gioco responsabile che possa introdurre un cambiamento nella pratica quotidiana delle persone (sul valore del gioco di ruolo “come” educatore e non “per l'educazione”, vedasi Troy Leaman-”Playing for change. Free Market and the rise of serious tabletop role-playing games” pp. 184-207, che mostra come si possa riflettere su una pratica economicamente negativa come la

sperequazione). In ultima istanza, viene prospettata dal collettivo la possibilità di creare contaminazioni ludiche fra vari media e differenti possibilità tecniche (per la realtà aumentata vedasi Kai-Uwe

Werbeck-”Shapers, portals, and exotic matter. Living fiction and augmented reality in Google's Ingress” pp. 234-255 e per la trans-medialità dei mondi immaginari vedasi Cathlena Martin e Benton

Tyler-”Descent to Munchkin: from pen-and-paper to board and card” pp. 256-277). È infine da segnalare la recentissima uscita a tiratura accademica della Routledge (New York), di una notevole raccolta di saggi che tira le somme sul fenomeno del gioco di ruolo inteso in ogni sua incarnazione mediatica, grazie alla collaborazione di esperti rinomati di vari settori per un totale di 40 collaboratori e 27 saggi che coprono tematiche sociali, culturali, psicologiche, narrative, mass-mediali, comunicative ed economiche (vedasi

“Role-playing game studies: a transmedia approach” , curato da Josè P. Zagal e Sebestian Deterding, 2018; Routledge, New York). Interessante l'introduzione che contestualizza il fenomeno del gioco dal punto di vista culturale e sociale e lo relaziona con efficacia alla sua applicazione nel gdr. Viene poi fatto un excursus dettagliato sugli studi accumulatisi nei decenni a partire dagli anni'80 (di cui, sopra), fino alle attuali ramificazioni nelle istituzioni accademiche anglosassoni e nei circoli di appassionati scandinavi. Manca, tuttavia, un riferimento esteso a tante altre realtà geografiche (tra cui l'Italia e il resto

dell'Europa).