• Non ci sono risultati.

2. Osservazione dell’esperienza:

2.5 Quarta categoria: elementi pedagogici, metodologici e didattici

2.5.7 Gli studenti: si apprende più in azienda che a scuola

Durante il focus group gli studenti hanno avuto modo di riflettere e di confrontarsi su alcuni aspetti pedagogici, metodologici e didattici che caratterizzano i due contesti, scolastico e aziendale, in cui sono immersi.

Per quanto concerne quello aziendale, tra gli

© Nuova Secondaria - n. 8, aprile 2018 - Anno XXXV - ISSN 1828-4582 43

studenti si notano tre differenti percezioni relative ai metodi di apprendimento da loro utilizzati durante il lavoro di ogni giorno: essi sono definibili, utilizzando le loro stesse parole, come «autoapprendimento»,

«ambientamento» e «osservazione e riflessione» (si veda la tabella sotto). Ognuna di queste tipologie porta con sé alcune riflessioni comuni nei ragazzi ma una sola di queste ha guidato gli apprendisti consapevoli verso l’attuazione di modifiche dei propri atteggiamenti orientate al perfezionamento ulteriore della propria conoscenza. I ragazzi che dichiarano di aver appreso, toccando con mano, da soli tutto ciò che c’era da apprendere all’interno del contesto aziendale (prima riga della tabella), non mostrano ulteriore stimolo all’apprendimento e sviluppano un senso di “frustrazione” rispetto alla condizione di apprendista, che comporta un minore riconoscimento della loro professionalità e del loro ruolo in azienda.

Chi invece dichiara di aver appreso tutte le modalità di lavoro richieste dall’azienda attraverso un veloce ambientamento lungo due o tre mesi al massimo (seconda riga della tabella), mostra di non comprende le motivazioni per cui dovrebbe continuare ad essere in formazione e quindi un apprendista.

Anche questa percezione quindi, non predispone i ragazzi a riconoscere la necessità di modificare i propri atteggiamenti verso una

modalità di apprendimento continuo.

Solo gli studenti che riconoscono nella loro esperienza in azienda una tipologia di formazione legata all’osservazione e alla riflessione sui dati guidata continuamente dalla curiosità e dalla voglia di entrare sempre di più all’interno della propria professione (terza riga della tabella) dimostrano nei loro discorsi di essere realmente predisposti al cambiamento e alla crescita. Se infatti inizialmente dichiarano di non aver potuto

«chiedere ogni cosa di ciò che vediamo» sul posto di lavoro ai propri tutor, in un secondo momento dichiarano di aver modificato il proprio atteggiamento mossi da motivazioni intrinseche. Così uno studente racconta:

«Adesso quando vado a lavoro faccio domande perché mi interessano quelle cose, perché mi interessa per il mio futuro, per trovare il lavoro».

Per quanto concerne il contesto scolastico i fattori che entrano in gioco sono molto diversi I ragazzi, durante il focus group, discutono infatti sui loro docenti e sugli stili di insegnamento che hanno percepito essere stati da loro attuati. In particolare ne rilevano tre:

utilizzando le loro parole si possono definire come: «spiegazione e approfondimento su richiesta», «proposta degli stessi argomenti in meno tempo», «immobilità».

Tabella 6: Percezione del metodo di apprendimento utilizzato in azienda

Riflessione condivisa Eventuale modifica atteggiamento Per auto-apprendimento

«Io ho imparato da solo»

«In azienda tocchi con mano, cioè puoi capire quali strumenti saranno usati o come funzionano»

«in azienda non c’è riconoscimento»

Per ambientamento

«Alla fine bastano due o tre mesi di ambientamento in azienda e impari a saper fare da solo»

«Io adesso se vado in fabbrica, dopo tre mesi so fare tutto quello che fa un operaio normale»

«Io poi non ho capito una cosa: noi questo anno lo abbiamo iniziato e perché l’anno prossimo devo fare ancora un anno di formazione?»

Per osservazione e riflessione

«Loro vogliono che impariamo in azienda per osservazione e poi che facciamo domande»

«Questo metodo può essere giusto, ma non possiamo chiedere ogni cosa di ciò che vediamo e tante cose non le immagini nemmeno»

«Adesso quando vado a lavoro faccio domande perché mi interessano quelle cose, perché mi interessa per il mio futuro, per trovare il lavoro»

© Nuova Secondaria - n. 8, aprile 2018 - Anno XXXV - ISSN 1828-4582 44 Tabella 7:

Stili di insegnamento

Testimonianze Riflessione condivisa Comprensione del problema e/o proposte alternative

Spiegazione e approfondimento su richiesta

S1. «A scuola Il prof parte da una base di spiegazione anche senza che tu chiedi qualcosa. Poi dopo sta a noi approfondire e chiedere qualcosa in più»

C. «E tu quante domande di approfondimento hai fatto nell’ultimo anno?»

S1. «Zero»

«A scuola è tutto diverso da quello che faccio io»

«Ma finché parlano del tornio e io mi occupo di elettrico…»

«A scuola non c’è nel programma la fibra di carbonio che uso io»

«Gli anni precedenti di scuola non ci hanno preparato all’ingresso in azienda»

«Il problema è che essendo tante aziende diverse che fanno tanti lavori diversi, la scuola non può stare al passo»

«In teoria dovresti arrivare in azienda con già una base della scuola, però, essendo tutti in aziende diverse che fanno lavori diversi, diventa difficile»

Proposta degli stessi argomenti in meno tempo «I programmi vengono

contratti. Devono fare tutto ma velocemente»

«non c’è una selezione dei contenuti ma si fanno tutte le cose che si farebbero normalmente e per di più nello stesso modo, solo più concentrato».

«Dovrebbero farci studiare più pratica. Dovrebbero usare un metodo meno teorico e spiegare la teoria facendo pratica insieme»

Immobili

«I prof non sanno cosa fare»

«In parte è colpa nostra perché ci vedono che non abbiamo voglia di far niente dopo che torniamo dall’azienda. Siamo un po’ passivi e disinteressati»

«Io personalmente da quando ho iniziato a lavorare non ho più voglia di venire in classe e quindi i professori non sanno come prenderci perché ci vedono nulla facenti in classe e non sanno come farci lavorare»

«Ci sentiamo più demotivati»

Ascolto e riflessione su testimonianze «Un po’ di tempo fa se non

ricordo male i professori della nostra scuola ci hanno detto: “Se volete parlare di un argomento, di un attrezzo che vedete in azienda lo portate qua e ci studiamo sopra”».

S2. «Sì, cioè sono diventati più

disponibili perché se gli poni il problema tipo del CNC che noi non sapevamo come comportarci noi, avendolo chiesto, ci hanno dato una mano e ci hanno spiegato, quelli di indirizzo».

S3. «Non tutti i prof sono disposti a imparare o interessati a farlo»

S4. «Non tutti sono interessati perché facciamo cose diverse»

S1. «Certo, si fa. Solo che queste tre settimane che siamo a scuola si devono recuperare le altre tre settimane […] c’è da seguir un programma e quindi se ci sono da fare 10 verifiche in 12 mesi quelle 10 verifiche ce le fan fare in 6».

© Nuova Secondaria - n. 8, aprile 2018 - Anno XXXV - ISSN 1828-4582 45

Un quarto, «ascolto e riflessione su testimonianze», è stato proposto da alcuni docenti ai ragazzi hanno poi espresso il loro parere in proposito. Per ogni stile di insegnamento si riportano nella tabella 7 le citazioni da cui sono state dedotte le quattro categorie degli stili, le riflessioni che gli studenti hanno fatto su ogni stile e eventuali citazioni che mostrano una avvenuta comprensione del problema o l’elaborazione di proposte alternative. Per quanto concerne il primo stile, caratterizzato da una spiegazione preliminare di un argomento non concordato precedentemente con la classe e un successivo approfondimento su richiesta dei ragazzi stessi, gli studenti mostrano disinteresse. Le motivazioni principali sono ritrovabili nella mancanza di attinenza degli argomenti alle esperienze vissute in azienda, tanto da arrivare a portare un apprendista ad affermare che «gli anni precedenti di scuola non ci hanno preparato all’ingresso in azienda». Gli studenti mostrano dalle loro affermazioni di comprendere il problema che caratterizza questo approccio, come mostrano le seguenti citazioni: «Il problema è che essendo tante aziende diverse che fanno tanti lavori diversi, la scuola non può stare al passo«; «In teoria dovresti arrivare in azienda con già una base della scuola, però, essendo tutti in aziende diverse che fanno lavori diversi, diventa difficile». Non arrivano, però, ad elaborare alcuna proposta alternativa per cercare di superare il problema. Il secondo stile percepito è invece caratterizzato dalla proposta, da parte degli insegnanti, degli stessi argomenti che appartengono ai programmi scolastici seguiti in classi classiche seppur presentati in tempi più concentrati. I ragazzi non entrano nel merito di tale metodologia, ma sviluppano una proposta radicalmente diversa in alternativa:

«Dovrebbero farci studiare più pratica.

Dovrebbero usare un metodo meno teorico e spiegare la teoria facendo pratica insieme».

Il terzo è l’immobilità: in questo caso gli studenti rilevano che i docenti arrivano addirittura a non saper più cosa fare per guidarli verso nuovi apprendimenti. In questo

caso i ragazzi sono consapevoli della loro co-responsabilità e che è il loro atteggiamento a bloccare i docenti. Ciò compare chiaramente dalle seguenti citazioni: «In parte è colpa nostra perché ci vedono che non abbiamo voglia di far niente dopo che torniamo dall’azienda. Siamo un po’ passivi e disinteressati»; «Io personalmente da quando ho iniziato a lavorare non ho più voglia di venire in classe e quindi i professori non sanno come prenderci perché ci vedono nulla facenti in classe e non sanno come farci lavorare». Gli apprendisti quindi riconoscono chiaramente i loro atteggiamenti

«demotivati», ma non arrivano a fare proposte alternative che potrebbero portare la classe e i docenti a far mutare la situazione. L’ultimo stile nasce da una proposta che alcuni professori hanno proposto agli studenti di immaginare una didattica basata sulla loro attivazione, sulla presentazione di testimonianze dirette di esperienze lavorative che potrebbe venire da parte degli studenti stessi seguite da un ascolto e successivo approfondimento, studio e riflessione sul tema. Tale metodologia, però, viene percepita di difficile attuazione dai ragazzi, che, durante il periodo di rientro a scuola si rendono conto di dover recuperare in minor tempo il programma e le verifiche da svolgere. A questa difficoltà, poi, si aggiunge che, secondo la loro opinione, i docenti non sarebbero interessati ad intraprendere una azione del genere per due motivazioni principali: la prima legata alla forte diversità dei lavori svolti nelle diverse aziende dai ragazzi, la seconda invece di derivazione più personale: «Non tutti i prof sono disposti a imparare o interessati a farlo». Lo scenario aziendale e quello scolastico, dunque, risultano agli occhi dei ragazzi come «due binari di uno stesso treno», ossia intimamente slegati, anche a livello metodologico e didattico. Il valore aggiunto che l’esperienza di scuola in apprendistato dovrebbe portare, quindi, non riesce ad essere riconosciuto dagli studenti, nonostante questo emerga chiaramente in alcuni loro racconti, che riportano di seguito: «Qui a scuola non c’è la

© Nuova Secondaria - n. 8, aprile 2018 - Anno XXXV - ISSN 1828-4582 46

possibilità di vedere turbine e compressori e toccarli con mano, magari il professore ci spiega, ci fa un disegno, ci fa vedere un video e ok, però io adesso alcune cose sì, me le ricordo da scuola, ma ho visto veramente il funzionamento in azienda. Quando sono tornato qua [a scuola N.d.R.], infatti sono migliorato anche nella materia». «Per me vale la stessa cosa, quello che magari non avevo capito molto bene a scuola quando mi è capitata l’occasione di vedere nel lavoro le ho capite bene». Della circolarità descritta, quindi, non c’è consapevolezza. «Qua a scuola diciamo che magari studi alcune cose che ti serviranno al lavoro ma poi arrivi al lavoro e trovi una realtà nuova e in azienda magari trovi cose nuove e le impari lì». Così quindi conclude un apprendista: «Ho fatto l’apprendistato perché volevo imparare due cose diverse: a scuola la teoria e poi anche un mestiere. E invece si è imparato più in azienda». Emerge, dunque, un quadro di crisi per la scuola che viene percepita dai ragazzi fondamentalmente come impreparata a supportare dal punto di vista culturale e scientifico lo sviluppo professionale degli apprendisti. Alla fine del focus group è stato chiesto ai ragazzi di indicare alcune possibili piste di miglioramento di questa esperienza.

Gli studenti hanno raccolto la richiesta e hanno lanciato le seguenti proposte:

• potrebbero dividerci nelle varie aziende ma far svolgere tutti la stessa mansione, perché non si può studiare la teoria giusta per ogni tipologia di lavoro;

• potrebbero cercare di mettere tutti gli alunni in contesti aziendali simili, è difficile affrontare in classe cose così diverse, siamo troppo eterogenei;

• i professori non sono mai venuti a vedere cosa facciamo in azienda.

Dovrebbero venire a vedere invece.

Una maggiore vicinanza ai contesti aziendali da parte dei docenti e la possibilità di delimitare in confini più sostenibili l’eterogeneità dei contesti o delle mansioni aziendali sono quindi i due suggerimenti che gli apprendisti maggiormente propongono.

Da queste riflessioni emerge comunque uno sbilanciamento dell’interesse degli studenti verso la realtà aziendale, dalla quale sono incuriositi e attratti dopo aver affrontato un lungo percorso scolastico e maturato un bagaglio di conoscenze e competenze

«generiche», oltre ad aver vissuto esperienze sia positive che negative. In pratica chiedono alla scuola di farli apprendere di più sull’azienda, perché intuiscono che è una realtà che entrerà a far parte del loro futuro molto presto, terminando quindi l’esperienza educativa scolastica. Non colgono, tuttavia, il potenziale importante insito nelle materie non specialistiche e nello stare a scuola, in ottica, ad esempio, di rafforzamento di quelle competenze trasversali che sono invece ben viste e richieste dalle aziende come meglio esplicitato dalle imprese stesse in altra parte di questa ricerca.

2.5.8 Le famiglie: entusiasmi e