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Il panorama specialistico italiano, seppur misero, ha avuto come precondizione essenziale gli studi sociali di settore statunitensi dei primi anni '80. Nel capitolo di introduzione al fenomeno, ho avuto modo di dare una collocazione storica e sociale alla nascita e sviluppo della comunità di giocatori, consumatori e

designer di giochi di ruolo ed è possibile osservare una crescente attenzione mediatica a partire dalla fine

degli anni '70: anni in cui (come abbiamo notato in Italia successivamente) sorgono alcune infondate preoccupazioni in seguito a fatti di cronaca nera poco chiari e inseriti in un circolo mediatico predatorio e ostile.

Nel 1983 uscì la monografia del sociologo Gary Alan Fine (“Shared Fantasy: Role-playing games as

social worlds”), scritta a partire dalle ricerche intensive sul campo condotte tra il 1977 e il 1979, ben

prima del moral panic, di cui sopra.

Ora, l'autore ha avuto una formazione sociologica abbastanza classica, con elementi di interazionismo simbolico, microsociologia ed etnometodologia , con una buona base di studi qualitativi all'attivo (v. Fine, 1976; Rumor and Gossip: The Social Psychology of Hearsay ) che pongono un focus specifico sugli aspetti relazionali all'interno di gruppi sociali ristretti, coesi dal punto di vista delle variabili anagrafiche e di genere e collocati in aree sociali informali (i gruppi dei pari, le squadre di baseball giovanili o,

appunto, i gruppi di gioco delle prime ludoteche americane). La monografia è stata strutturata in base a tre propositi principali:

1. Descrivere una sottocultura urbana legata al tempo libero in cui

2. Capire se ci sia spazio per la formazione di sistemi simbolici microculturali e

3. Analizzare le relazioni implicite ed esplicite che questi sistemi intrattengono con la società nel suo complesso.

bagagli teorici. In primo luogo, viene circoscritto e catalogato un ambito, quello sottoculturale che già dalla metà degli anni '70 era stato studiato ed analizzato della scuola britannica di Birmingham, il Centre

for contemporary Cultural Studies (in primis Hebdige, 1979), come riedizione e riappropriazione di un

“concetto-scatola”, nato nella facoltà di sociologia e pianificazione urbana dell'Università di Chicago, come descrittore di fasce ghettizzate e criminalizzate all'interno della società urbana in piena espansione, tra la fine della Prima e la fine della Seconda Guerra Mondiale (prima gli studi di Burgess, Wirth e Thrasher e successivamente di Becker e Cohen). In questo caso vi si associava un generico valore di “devianza” o di “outsider”, quindi di lontananza normativa da un centro legittimo di produzione culturale, di creazione teorica di un soggetto-al-di-fuori di un interno giuridicamente retto. Hebdige, partendo da questa distanza, invece, ne valorizza e descrive un legittimo valore contro-culturale ed espressivo, con una codificazione complessa di stile e pratiche, trasmesse prendendo a prestito i simboli della realtà sociale circostante in inversione di significato e fine. Il senso teorico che vi applica Fine si colloca, in un certo senso, a metà fra i due (sebbene nella sezione bibliografica, il testo di Hebdige non sia citato, è assai improbabile che all'epoca della stesura non ne fosse venuto a conoscenza), in un'area di distanza teorica che tende idealmente all'oggettività nei confronti di una serie di pratiche che sembrano lontane dalla razionalità dell'”homo oeconomicus” americano bianco borghese e che, comunque cerca di comprendere (Verstehen), partecipando (v.Geertz, 1957 in bibliografia), scendendo in prima persona nel mondo delle

“leisure activities”.Qui, secondo Fine, occorre capire se vi sia una stratificazione culturale di significato,

se nelle pratiche, nei discorsi nelle enunciazioni che avvengono costantemente all'interno dei gruppi vi siano particolarità semantiche notevoli, osservabili, codificabili in identità precise e che rapporto vi sia fra esse e il tessuto sociale, le industrie della cultura da cui si riforniscono e a cui, magari contribuiscono, tramite pubblicazioni autonome non ufficiali (fanzines, auto-pubblicazioni).

Le fasi dell'osservazione partecipante (in cui il ricercatore ha assunto il ruolo di giocatore e narratore alternativamente) sono state corredate da un'analisi goffmaniana, incentrata sul riferimento a tre cornici cognitive del gioco di ruolo fantastico: la cornice sociale che corrisponde al mondo delle relazioni sociali quotidiane, delle interazioni significative; la cornice delle regole, che viene sempre tenuta più o meno silente, fino a quando non si debba fare dei riferimenti al sistema con cui il gioco funziona e viene portato avanti ; la cornice della finzione, ovvero l'universo diegetico delle interazioni fra i personaggi creati tramite fantasia e regole, all'interno di un mondo immaginario (a volte anche estremamente complesso e profondo, come Tekumel di Barker v. pp. 123-152). Le cornici interpretative sono molto sottili e a volte si interpenetrano, come emerge, del resto in molte interviste, in cui l'universo creato dalla finzione narrativa viene raccontato in prima persona dai giocatori (a tratti anche con dettagli particolarmente crudi o

sessisti), che psicologicamente vivono una interiorizzazione e identificazione delle scelte del personaggio , non schizofrenica, ma estremamente piacevole , chiamata da Fine “engrossment”: un essere assorbito cognitivamente, fisicamente ed emozionalmente nell'attività.

Minneapolis e delle giovani Convention (Gen-Con era ed è tuttora una delle più importanti e si tiene ogni anno dal 1969) era una comunità abbastanza chiusa (sia dal punto di vista della composizione di genere che della composizione etnica), principalmente formata da giovani caucasici in età adolescenziale che raramente toccavano i 20-25 anni, legati da interessi comuni come la storia , le principali riviste di intrattenimento, i videogiochi nel loro albore e i giochi di società, che dava grande valore all'esperienza dei membri più anziani e con più esperienza e che rimaneva in contatto con fornitori e creatori di contenuti tramite magazines ufficiali (Dragon, Dungeon) e non ufficiali (Alarums&Excursions e altre

fanzines). Il contesto di riferimento principale di questa sottocultura urbana era il sottobosco della

produzione letteraria di Fantasy, Pulp e fantascientifica, che è stata ovviamente applicata all'interno dei mondi immaginari ideati per contenere le regole del gioco, che nelle idee dei loro creatori (Gygax e Arneson), sarebbe stata una naturale evoluzione in piccolo del gioco di simulazione bellica e, pertanto, privilegiava ancora un approccio strategico-procedurale al combattimento e all'esplorazione, lasciando poco spazio al dramma della scelta morale, nonostante il focus scendesse sul personaggio. Va ricordato anche che l'autore non si è limitato a illustrare il funzionamento del solo D&D, ma ha passato in rassegna giochi come “Traveller”, di ispirazione fantascientifica, orientato all'azione e all'esplorazione nelle meccaniche, e anche “Chivalry&Sorcery”; il terzo esemplare, invece è “Empire of the Petal Throne” a cui è dedicato un intero capitolo, dato che costituisce il perfetto esempio di gioco di ruolo che ruota sia come meccaniche, sia come grafiche, attorno all'ambientazione: un mondo immaginario complesso, verisimile e pensato inizialmente come base per una serie di romanzi, dal professore linguista M.A.R. Barker. In maniera quasi paradossale, quella che Fine trovò fu una riconferma della presenza di un clima conservatore, arroccato su interessi comuni abbastanza semplici, il cui ingresso veniva generalmente tenuto chiuso per determinate categorie e con molta protervia. Col tempo, soprattutto dopo il 1980, nelle intenzioni degli autori, notò Fine, vi fu la volontà di includer che avrebbe giovato certamente agli affari, attraendo clienti e utenti sempre più differenziati, conformemente al volume delle vendite (Fine usò un censimento di una rivista settoriale collegata alla TSR di Gygax, la Judges Guild Journal, che stimò una presenza femminile del 2,3%, in concomitanza con una simile del 3,8% alle maggiori Convention, anche se si auspicava una crescita del pubblico femminile, che si attestava tra il 1977 e il 1979 a un 10-15% di tutta la comunità di giocatori di ruolo).

I lavori, gli articoli, le monografie che seguirono furono perlopiù indirizzati a chiarire lo svolgimento del gioco, a difenderne i giocatori e le valenze psicologiche e/o educative in base ad analisi psico-attitudinali di campioni di giocatori selezionati assieme a gruppi di controllo (v. Douse e McManus, 1993). Il fine ultimo fu sempre quello di stabilire quale fosse la tendenza emotiva dei giocatori e il loro grado di suscettibilità grazie a scale collaudate di valutazione (Karson e O'Dell,1976 per quanto riguarda la stabilità emotiva), con più conferme empiriche accumulate dai sostenitori, rispetto ai detrattori più accaniti(vedasi Simòn, 1987; Hughes, 1988; Carter e Lester, 1998, per uno studio di personalità neurotiche e suicidarie; infine per interazioni fra identità, persona ludica e persona sociale vedasi

Mulcahy, 1997, Waskul e Lust, 2003; e per finire uno studio psicologico esteso, ma non pubblicato ufficialmente di Yee, 1999 che fa uso di questionari e di scale della personalità per

intoversione/estroversione , ma senza alcun gruppo di controllo).

Si può osservare dunque nella bibliografia generale sul fenomeno dalla metà degli anni '80 fino alla prima metà degli anni '90, una tendenza all'analisi psicometrica e sociale tendenzialmente favorevole, ma poco attenta alle variazioni culturali che avvenivano sia all'interno del mercato del gioco europeo e

statunitense, sia all'interno dei gruppi che andavano prendendo una forma identitaria sottoculturale ben distinta, sia di fronte a nuove categorie di giocatori e appassionati (trading card games, videogiochi e

fantasy wargames) che seguivano l'avvento di nuove possiblità espressive dei media.