Partirei, pertanto, da un excursus sugli studi accademici italiani che hanno lasciato in eredità spunti di riflessione importanti sul gdr. La quantità di ricerche sociologiche è scarsa e concentrata soprattutto in una determinata fascia temporale, (cioè gli anni dal 1990 alla prima decade del 2000), ma, certamente, tra gli studi italiani fondamentali occorre ricordare quelli di Marcello Ghilardi e Ilenia Salerno (2007), il breve saggio teorico di Fabio d'Andrea (1998), le ricerche di sociologia culturale applicata a sottoculture urbane e giovanili dei gamers di Luca Giuliano (1991; 1992; 1993 1994; 1995) e le collaborazioni editoriali di un giornalista, allievo di Giampaolo Dossena , i cui impegni e la cui esperienza vengono tuttora riconosciuti in ambito sociologico e ludologico186. Gli ultimi due soprattutto, hanno contribuito
attivamente, nel corso degli anni, alla promozione di una cultura del gioco narrativo, intelligente e impegnato: Giuliano ha all'attivo la creazione in collaborazione con altri designer di svariati giochi di ruolo, a sfondo sociale o storico ( I cavalieri del tempio, 1990, 2005; On stage!, 1995; Sogno di una notte
di mezza estate, 1996; Pantanella Shish-mahal, 1996; CYB: gioco di ruolo in un lontano futuro, 1997; Inventare destini-i giochi di ruolo per l'educazione, 2003) e una frequente collaborazione con testate di
informazione settoriale online (come Gioconomicon o la testata del Festival del gioco e del fumetto di Lucca) per la divulgazione del mondo sottoculturale del gdr, sia analogico che digitale.
In effetti, è proprio a partire dalla seconda metà degli anni '90 che si assiste in Italia, alle prime avvisaglie della diffusione di quel sottile panico morale, dapprima allacciato al consumo di videogiochi da parte di fasce sempre più giovani di popolazione, poi confluito nel sospetto generico verso tutto ciò che potesse avere a che fare con culture o “sottoculture del tempo libero” di chiara origine britannica o statunitense (miniature, war games, libri game, giochi di ruolo), rinforzato da operazioni di lettura fuorvianti su fatti di cronaca incresciosi (come il suicidio di un adolescente a Spinea, nel 1996, collegato alla sua passione per gdr dal vivo e il lancio di pietre da un cavalcavia a Tortona, sempre ad opera di giovani giocatori), a cui i media risposero a fasi alterne e con diversi atteggiamenti (citare testate), ma sempre tirando in ballo un nesso causale tra consumo di giochi di ruolo, scarsa autostima, violenza sociale, oltre e ideazione suicidaria. Ovviamente, i magistrati dei tribunali coinvolti nei casi decisero di non associare alcun nesso causale, anche se il danno d'immagine fu comunque disastroso per la comunità e il mercato italiano in crescita. A tal proposito, con un movimento prima nato dal basso, dalle singole realtà aggregative (specie del Veneto e della Toscana: vedasi il collettivo online ancora operativo gdr2.org e il sito treemme.org) e successivamente allargatosi sulle riviste specializzate come Agonistika News, ZZAP!, a convegni e contro-articoli informativi si adoperò per riscattare un'attività legitttima. La tesi sostenuta dall'”accusa” sarebbe stata che la totale immersione in fantasie violente e autolesioniste (il ragazzo di Spinea giocava a Killer! gioco dal vivo in cui i partecipanti, in contemporanea, vestono i panni di assassini e vittime designate, un po' come in un “acchiapparello” dai toni adulti), avrebbe portato i ragazzi, ancora in età critica, a compiere avventatezze. La versione finale poi ponderata dai giudici è stata che in entrambi i casi ci potessero essere cause ben più serie da prendere in considerazione.
Il compito di chi lavorava, scriveva o comunicava i giochi di ruolo attraverso stampa e televisione (e in un certo senso partecipava ad essi con entusiasmo) fu dunque, per molto tempo, la normalizzazione dell'opinione pubblica e la tendenza didascalica a semplificare questioni socialmente e culturalmente assai più complesse.
Giuliano, nel suo “I padroni della menzogna”, compie dunque un tentativo nobilitante, che collega i giochi di ruolo alle sedute di terapia collettiva, ideate da Jacob Moreno187 e introduce il gioco di ruolo
come un'occasione importante di crescita personale ed educazione, facendo leva sulle sperimentazioni pedagogiche da lui portate avanti tramite On stage! . Su un versante già più speculativo e teorico, si trova il volume di D'Andrea, che parte da una cornice filosofica, costruita du classiche e autorevoli fonti che hanno trattato le pratiche ludiche, per definire il “gioco” (cita Caillois, Huizinga, Carse e Moreno) come categoria fluida, caratterizzata da una sostanziale “non finitudine” e alla nascita del gioco di ruolo come effetto di una propagazione mondiale per una dimensione di esperienza che esaltasse la
soggettività umana. Essa si articolerebbe in una serie di segni, simboli e pratiche di riconoscimento (il tiro dei dadi, la compilazione delle schede, l'avanzamento del personaggio), che vanno a costituire una “esperienza significativa”, al di fuori della monotonia esistenziale della vita contemporanea: è un
tentativo di analisi peraltro interessante e inusuale, forse poco strutturato, ma sicuramente innovativo. Con il volume del 2003, “Inventare destini”, invece, ha luogo una retrospettiva sociale sui consumi di prodotti ludici tra il 1990 e il 2000 e una valutazione positiva delle esperienza ludico-teatrali (vedasi il capitolo curato da Sidoti, “Mondi al congiuntivo. Come e perché il gioco di ruolo”: buona definizione, già più curata e calata nelle pratiche , di quali differenze sussistano tra una pièce teatrale partecipativa à
la Boal per il cosiddetto “Teatro degli oppressi” e una sessione di Dungeons&Dragons, in cui a contare
sono assai di più le regole costitutive e la strategia dedicata al problem solving; situazioni utili anche per un approccio efficace all'educazione e alla formazione continua.
“Giochi di ruolo. Estetica e immaginario di un nuovo scenario giovanile”, esce nel 2007, anno
senz'altro importante per il mercato del gioco di ruolo internazionale, dato che (come già menzionato nel capitolo 2, inserire pagina) vengono stampate le prime copie di Pathfinder, “clone” autorizzato di D&D che, nel frattempo, si rinnova in una Quarta Edizione (come tanti altri gdr mainstream, seguiti da una fioritura di giochi indie) e raccoglie i grossi fatturati della Edizione 3.5 che ha all'attivo decine di manuali. Sugli scaffali delle librerie e delle ludoteche non mancano dunque prodotti e l'hobby ha conosciuto una notevole espansione sociale. Il saggio, scritto a quattro mani da ricercatori di filosofia, interessati all'ambito ludico come traduttori e pedagogisti, ha avuto modo di fare proprie molte
considerazioni pregresse, come l'importanza della contestualizzazione storica ed economica dei fenomeni socio-culturali (dove e come nasce il gdr? Come si può definire e cosa non lo costituisce? Quali sono state le sue evoluzioni? Attraverso quali media?), l'attenzione posta sui partecipanti e sul ruolo che il gdr ha nella società (se a nutrirlo sia un immaginario e quale sia), una buona cornice teorica che si aggancia a tematiche come l'attività immaginativa, creativa ed estetica (tipica non solo del gdr , ma comune anche a tutte le narrazioni) e la presenza di un capitolo interamente dedicato al lavoro etnografico di ricerca sul campo particolare della ludoteca (con interviste e osservazioni non partecipanti. Sebbene rivoluzionario in termini di contenuti e comunicazione, lo studio rimane sempre sulla eccessiva nobilitazione del fenomeno a scapito di una lettura più aderente alla trasformazione transmediale che in quegli anni avveniva e colpiva anche il settore in questione , in modi effettivamente molto originali e interessanti (come la costante contaminazione di cartaceo e digitale nel mercato videoludico e la crescente complessità e importanza data ai processi dell'industria culturale).
Il discorso dominante che ha nutrito l'immaginario sui cosiddetti “nerd” (affetti da chiusura, scarsa attitudine sociale, settarizzazione degli interessi, segregazione sociale ed elitismo sessista , di cui si vedano i riflessi nelle ricerche già citate di Fine,1983) non viene scalfito tuttavia dagli studi specialistici italiani e permane per lungo tempo, sin fino al 2014-2015 circa, anno in cui le uscite di nuove edizioni di giochi storici e di punta come “D&D” e “Call of Cthuluh” coperte massicciamente da social media e diffusione capillare di nuove e più efficaci tecnologie infirmative come smartphone e tablet (che permettono la fruizione di contenuti audio-video e la lettura di manuali in formato pdf), aprono l'esperienza del gioco di ruolo da tavolo a nuove generazioni, maturate in ambienti fortemente
digitalizzati e riassorbono una “vecchia” generazione (che ha iniziato a giocare e acquistare prodotti nella seconda metà degli anni Ottanta) attraverso richiami pubblicitari nostalgici e meccaniche di gioco
ammiccanti a vecchie edizioni (più legate all'esperienza dell'interpretazione di ruolo e all'esplorazione). Le possibilità comunicative del nuovo ambiente, unite a una mentalità più aperta e propositiva nei
confronti della dimensione del “tempo libero”, permettono a rubriche social e pagine dedicate di fiorire e aggregarsi (si veda in particolare i forum GDR Italia, Io gioco di ruolo; le pagine Facebook “Sesso,droga
e D&D” e Storie di ruolo, tra le molte). Si forma attorno all'interesse una vera e propria comunità
partecipativa di giocatori-consumatori consapevoli della propria importanza, che cominciano a produrre materiale autonomamente e a inserirsi nei canali di comunicazione ufficiali per gestire un “gusto” in pieno sviluppo (si noti la presenza di canali Youtube dedicati alle recensioni, alla diffusione di opinioni e consigli come Harbrus DM, MasterKae e d20Nation e pagine social di recensori semi-ufficiali come
Morgen-Gabe). All'interno di questo contesto si sono mossi autonomamente alcuni ricercatori sociali,
appassionati giocatori e giocatrici ( collettivo online Donne, Dadi & Dati), che tra Aprile e Maggio del 2018, ha raccolto, tramite un questionario standardizzato, le opinioni di oltre quattromila individui giocanti solo in Italia, attraverso Facebook, circa la percezione delle pratiche ludiche e della
discriminazione di genere all'interno della cultura del gdr. Lo studio fotografa una realtà in ascesa con il 54% di partecipanti in una fascia d'età che va dai 20 ai 30 anni compiuti, con una maggior componente maschile o che si identifica come tale (il 63% circa del campione), ma con una frangia femminile comunque consistente e in ascesa (del 33,4%). La maggioranza afferma di aver iniziato nel periodo cardine del 2003-2007 con giochi di ruolo “tradizionali” e di averli portati avanti. La discriminazione che compare fra le righe non è quella assoluta, che quasi tutti (circa il 93% del campione), non lamenta, ma in proporzione è maggiore nella fascia femminile (ben il 18,3%) e si esplicita in forme di gatekeeping, sessismo, omofobia e razzismo o abilismo, il che ci porta a riflettere come l'importanza attribuita al fenomeno sia in crescita e si assista alla collaborazione fra varie categorie di specialisti per
un'osservazione più attenta e variegata, aperta anche all'analisi delle problematiche sociali interne. Del resto, studi qualitativi recentissimi come quello di Enrico Gandolfi (2015) sul consumo culturale del gioco in Italia, hanno già potuto mostrare come i complessi collegamenti tra consumo ludico e sentimento inclusivo/esclusivo sottoculturale, producano identità fluide che seguono gli sviluppi di vari settori e di varie medialità in tempo reale. In questi processi, viene a incunearsi una differenziazione sempre più netta fra chi ha potuto accumulare col tempo una mole di nozioni notevoli e chi dispone di uno scarso capitale culturale. Di un campione di 64 individui, tutti aventi relazioni strette con il gioco, si sono fatte tre categorie (giocatori, gatekeepers e istituzioni) e se ne è indagata la composizione, la tendenza ideale , le pratiche di consumo: la storia biografica di gioco ha un alto valore emotivo e sociale , specie fra i gatekeeper più anziani e le sue ramificazioni identitarie e sociali ricevono l'attenzione della maggioranza. Poi risulta chiaro come essi siano più interessati al medium ludico analogico e promuovano una cultura dell'indipendenza da un mainstream senitito come troppo vicino alla velocità del multimediale, anche se
il videogioco rimane un universo che tutti coloro che hanno a che fare con l'industria culturale del tempo libero devono tenere in considerazione per poter formare un'identità riconosciuta all'interno della
comunità dei giocatori italiani.