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Eccoti, di nuovo, nella stanza. Hai comprato i bristol e dopo tanto tempo sbozzi una mappa. Hai preso pure un set di dadi nuovo e una confezione da dodici lapis Fila gommati, per quanto ce ne siano già decine.

“La stanza profonda”- Vanni Santoni

I miei ricordi spaziano fino al 2001 o al 2002, anni in cui presi le prime dimestichezze con un sistema di gioco fantasy come D&D nella sua edizione 3.5, dotato di non comune difficoltà di apprendimento, aveva almeno il pregio di essere per l'epoca parco di manuali (in seguito non lo sarebbe stato più e me ne accorsi dopo qualche anno solamente). Con i tre manuali-base che di solito compravano uno o due di noi, andavamo al parco sotto casa e in tre o quattro si decideva a rotazione chi facesse il master, anche se a quel tempo preferivo assai di più giocare. Con noi avevamo sempre uno o due set di dadi poliedrici in plastica nera; i miei provenivano da una scatola introduttiva della Seconda Edizione italiana, avevano i numeri dipinti in bianco sulla plastica nera e li infilavo tutti e sei dentro un piccolo sacchetto di feltro da cui strabordavano. Giocare su un tavolo di legno ad assi con panchine ai lati molto spesso si faceva cadere, sporcare e bagnare ; poi si perdevano e ora, di quel set, me ne rimane solo uno: un vecchio ottaedro nero, che di fianco ai set da sette dadi sponsorizzati dalla Paizo Games fa veramente una brutta figura.

Le schede venivano stampate quasi sempre dalla quarta di copertina o direttamente da una prima fotocopia-matrice o, per chi sapeva fare, da un primitivo formato in pdf che passava nel gruppo; erano tutte, ovviamente in bianco e nero. Noi le riempivamo di calcoli e annotazioni a matita oltre ai form da compilare necessariamente. Gli strascichi delle gomme, lasciavano scie nerastre e porzioni di vecchie note semi-cancellate o incise nel campo bianco; le macchie di tè e di qualche pizza al pomodoro ne corrompevano la superficie e rimanevano, testimoni silenti di una serie di dis-avventure o successi quantomeno discreti, ma mai eccezionali. Il nostro era un mondo di oggetti e di spazi negoziabili e sostituibili (poco importava se ci mancavano fogli o dadi, sicuramente li potevamo prendere in prestito e potevamo scrivere tranquillamente a mano tutti i parametri di cui avevamo bisogno. Nel capitolo

introduttivo ho descritto a grandi linee come si gioca di ruolo, prendendo a esempio alcuni giochi della corrente mainstream e che tipo di oggetti siano utili in tal senso. Generalmente, il gioco di ruolo analogico è povero di risorse materiali: nell'immaginario condiviso e nell'idea dei creatori (che

ricordiamo essere stati appassionati di wargame analogico), vi è la riduzione del campo di gioco a poco altro rispetto a mappe, schede, matite e dadi ed eventualmente miniature (singole miniature e non battaglioni): “Rules for fantastic medieval wargames campaigns playable with paper and pencil and

miniatures” nella formulazione originale (vedasi Gygax 1974) , che sfruttano un qualsiasi supporto

orizzontale sufficientemente piano. Come, tuttavia abbiamo già chiarito,l'evoluzione culturale e tecnica delle forme espressive e della sofisticazione di design ludico, portò all'aumento di strumentazione

necessaria per una fruizione completa (tutti corollari abbastanza scontati di una serie di pratiche condivise da giocatori e Narratori): schermi del Narratore che non permettono la visione di appunti e tiri, mappe quadrettate preimpostate, miniature sempre più realistiche e differenziate, set di dadi personalizzati e manuali di espansione e ambientazione (si calcola che la sola edizione di D&D 3.0/3.5 conti più di 140 manuali cartacei, compresi i tre manuali-base, senza poi contare le edizioni delle case indipendenti come la Mongoose ins. cit . sitografica pie di pagina ). Il tavolo da gioco si riempie di accessori dove già erano posizionati supporti come bottiglie d'acqua, bicchieri, patatine, noccioline, popcorn, cola, pizza, qualche caramella gommosa e dei disegni personalizzati da appiccicare su un taccuino personalizzato. Tutto questo è inserito in uno spazio esistenziale (perché fruito anche per scopi domestici legati alla vita quotidiana) e in un “setting” scenografico in cui ogni elemento trova la sua collocazione, anche in relazione allo strutturarsi del potere e dell'”autorità ludica”.

Qui gli spazi sono più vari e aperti; non è comparsa mai una logica di clausura e nascondimento , semmai qualche raro conflitto quando i limiti fenomenologici (suoni, odori, oggetti) del gioco e del suo contesto, sconfinavano negli ambiti domestici gestiti da altri individui o viceversa in una sorta di scivolamento (in più di una serata nel gruppo masterizzato da Marco da L. a Musile, il fumo della sigaretta elettronica di Giorgio P, uno dei giocatori di più lunga data, ha provocato più volte la rabbia della compagna del Master,oltre che il nostro fastidio per la pervasività del fumo e in un'occasione di sessione col gruppo di Dario P. a S. Alvise il volume della televisione utilizzata dalla madre ha coperto le descrizioni del Master causando tensione fra inquilini (come da note di campo del 24/06/2017, 01/05/2017, 05/05/2017 e

18/05/2017 ). Nella loro fisicità, spazi e oggetti, si uniscono all'”immaterialità” del soundscape, dettaglio

ambientale fondamentale all'interno dell'occasione (per il concetto di soundscape, rimando al capitolo sulla cornice teorica e a Schafer R.M. 1977) e costituito in larga parte dalla partecipazione enunciativo- descrittiva dei giocatori in serie o turni di “enunciato-reazione-enunciato”, dai discorsi “a latere” (già noti nell'ambito dell'interazionismo simbolico sia in chiave prettamente sociale, come in Goffman 1959; sia in chiave espressivo-emotiva in Fine, 2012: 85-87) di carattere scherzoso che possono coinvolgere più partecipanti e dall'eventuale presenza di una “colonna sonora” che può essere originata da computer portatili collegati a impianti stereo,da smartphone semplicemente poggiati sul tavolo di gioco o da mp3 e altri dispositivi (nell'occasione della sessione di D&D giocata a casa di Dario il 09/07/2017

l'accompagnamento proveniva dallo smartphone di Andrea M. scollegato da fonte di alimentazione, poggiato a lato del tavolo, che riproduceva da Youtube brani della colonna sonora di “Bloodborne”, videogioco di ruolo d'azione della casa From Software, da poco tempo, in quel caso, uscito).

Il tavolo di gioco in varie occasioni, può persino cambiare, come composizione, affollamento, oppure è lo stesso ambiente circostante a mutare: a casa di Dario P. (Sant'Alvise) nel corso delle sessioni, si può

accedere a tre ambienti differenti: il salotto, con un grande tavolo in vetro sorretto da gambe di legno a liste congiungentisi, proprio di fronte al divano e alla televisione, ampio e spazioso anche in caso si debba cenare o condividere qualche snack, passare fogli e manuali e tutto il necessario per disegnare mappe all'occorrenza, la camera da letto di Dario, situata al secondo piano dell'abitazione (costruita sulla base di un ex alloggio per marinai, mi ha detto in una comunicazione privata), piccola, ha uno spiazzo centrale di fronte al letto a castello e alla scrivania con il computer fisso, file di videogiochi, una miniatura in poliestere di Pip-boy da “Fallout 3” (Bethesda 2008) in cui ci siamo messi, intorno a un pouf dotato di supporto usato come tavolo, poco stabile, ma molto pratico (vedasi note di campo del

23/05/2016 e 15/06/2016) in cui possono stare le sacche per dadi mie e di Sofia e la scatolina di Andrea

col suo set, una mappa su foglio A4, qualche matita e uno o due manuali impilati; il pc portatile di Dario o se lo poggiava sulle ginocchia o sul tavolo, ma rimaneva comunque un dispositivo essenziale per la presenza nella memoria interna di numerosi manuali in formato pdf da poter consultare: gli oggetti che circolano nelle sessioni sono per forza anche di natura ipertestuale, come, appunto i documenti di riferimento o le informazioni da siti, forum o pagine Facebook immediatamente disponibili e

virtualmente accessibili. Ovviamente le azioni sul tavolino sono confusionarie e in più di un'occasione è anche capitato che per Dario ci volesse almeno un quarto d'ora per trovare un foglio con dei riferimenti scritti di suo pugno. In effetti, come nella scena al parco già menzionata, la ri-localizzazione del setting con movimento di oggetti, cambio di ambiente e riappropriazione della stabilità cognitiva utile a metter nuovamente in piedi la cornice narrativa e la cornice del gioco, il disturbo può essere fatale per un'intera sessione (personalmente ho percepito spesso a casa di Dario questo peso intellettivo e fisico, a differenza di Andrea che è abituato a queste pratiche di Dario). Infine, il terzo ambiente e, direi quello più ingombro di oggetti significativi all'interno dell'esperienza di gruppo di Sant'Alvise, è un secondo locale ricavato al piano terra dell'abitazione, con tre lati sulla calle perpendicolare alla fondamenta, finestrato solo su due lati, quello ovest e quello sud. L'ambiente è poco coibentato e d'estate è caldo-umido, d'inverno solo freddo (perché manca il riscaldamento). Sulla parete Nord e quella Est, subito dopo un'anticamera ingombra di tavolini, carte, vecchi costumi da carnevale, ingranaggi e polvere, si trovano due mobili- biblioteca con volumi di saggistica (a volte anche doppi), manuali di architettura e romanzi, perlopiù di fantascienza e fantasy (in edizioni vecchie e probabilmente preziose per assenza di ristampa, come la Nord e l'Armenia, che curiosamente ha edito i romanzi di E.R. Salvatore sulla “Saga di Drizz't”, ambientato nel famoso mondo creato per ospitare le regole di D&D, nel lontano 1982, da Ed Greenwood). Di fronte c'è uno specchio pendente con un bancale adattato a tavolino che ospita un modello in scala di un edificio (Dario studia Architettura allo IUAV e a volte mi confessa di lasciare i modelli in disordine per noia) e nel centro due tavoli sono uniti per formare un pianale adatto al gioco: un foglio di compensato unito da due treppiedi e un vecchio tavolo da gioco della Playmobil, reminescenza dell'infanzia. Nel corso dell'intervista del 10/07/2016, Dario mi ha mostrato la sistemazione del doppio foglio di compensato e la creazione di una mappa quadrettata stampata in A0 e creata con “Auto-cad”,

applicata su un cartone resistente e poi coperta da due fogli di plexiglass sottili: unendo i tavoli sarebbe stato possibile avere i manuali e gli oggetti utili sul tavolo di plastica, le miniature (segnalini di cartone) e i fogli sopra il compensato con accanto la mappa, senza doverne disegnare sempre una piccola da

quaderno con scarsa visibilità. L'unica pecca è stata la poca trasportabilità da un ambiente all'altro. Finché alla fiera Play di Modena del 2017 non h acquistato una serie di mappe stampate in plastica scrivibile e cancellabile , quadrettata e abbastanza ampia; purtroppo in alcune sessioni è stata ignorata o soppiantata dalla velocità di disegno su carta del Master (vedasi note di campo del 09/04/2017), il che mi ha portato molte volte a pensare che, più che la praticità tattica, quando ci si concentra su una serie di risoluzioni regolistiche (combattimenti, prove di abilità di vario tipo da determinare con più lanci di dado), conti l'immersione e la stabilità con cui la si mantiene: per Dario la “mappa”conta abbastanza, ma rimane nell'insieme un supporto al gioco, se non è di per sé un rafforzante di qualche descrizione introduttiva (nell'intervista di cui sopra, mi ha confessato che le sue carenze descrittive vengono colmate dalla sua perizia e bravura nel disegnare mappe credibili dal punto di vista topografico, che disegna e immagina ore prima della sessione). Nella sessione che abbiamo condotto al piano inferiore del 05/06/2016,

inaugurando la plancia di plexiglass, Dario è riuscito a disegnare in poco tempo una mappa proporzionata e dettagliata di una catacomba sotterranea abbandonata molto ampia (ha quindi scalato la metratura in maniera adeguata, circa “trenta metri per quadretto”), formata da una sala centrale circolare e varie stanze circostanti, che disegnava, man mano che i nostri personaggi venivano là diretti dalle nostre risposte. In questo caso c'è stato un feedback costante a livello narrativo (nella cornice diegetica) e a livello di mappatura (dunque all'interno della cornice di gioco), un espediente che ha portato tutti noi giocatori a immergerci di più e a ricevere una gratificazione intensa ogni volta che “ci” imbattevamo in nuovi particolari: io e Maria abbiamo deciso di esplorare un deposito militare, mentre Andrea ha deciso di approfondire la conoscenza di una biblioteca su più piani e la divisione dell'attenzione non ha causato grossi problemi alla presenza del Master Dario. In tutti e tre gli spostamenti il Master ha sempre assunto posizioni in evidenza: ha cioè occupato spazi sopraelevati, in genere coperto dal proprio pc-breviario- macchina per effetti e circondato dai manuali; in camera aveva sempre a disposizione la scrivania, sul tavolo della sala il lato del tavolo che sta di fronte alla TV e nel piano terra il lato di fronte allo specchio. La mia esperienza come Master invece è ricominciata nella primavera-estate del 2016, passando per una disposizione minima di spazio in un tavolo circolare della cucina, ma solo quando le altre due mie coinquiline erano assenti. La cucina stessa dell'appartamento di San Polo, era molto piccola, il tavolo era addossato alle finestre della cucina e le sedie in numero di tre occupavano metà dello spazio. La prima sessione di prova con solo Claudia e Andrea, si è svolta nella mancanza assoluta di mappe quadrettate, con solo le schede , i loro dadi e una pila dei miei manuali , praticamente inutilizzati per la poca

manovrabilità, accanto a un pc portatile che mi ha fornito l'essenziale per le statistiche di nemici e prove da superare necessari (note di campo sessione del 15/04/2016). Vi era anche il necessario per rinfrancarsi e il tavolo aveva terminato lo spazio disponibile. La seconda volta, una settimana dopo, circa, ci siamo

spostati tutti (Io, Lucia, Andrea, Claudia e Silvia), in camera mia, comunque stretta tra l'altra stanza doppia e la cucina, ma più estesa per il lungo, in modo da lasciare stendere i giocatori sul pavimento. Sono riuscito poi a collegare il pc e usarlo come riferimento e colonna sonora (che avevo

scaricato,creando una playlist su Media Player). Le difficoltà più grandi erano senz'altro: la distanza fisica tra me e gli altri, perché stavo sul letto, quasi steso o con le gambe accavallate, mentre tutti i giocatori di fronte e attorno, con Andrea sull'unica poltroncina. Mi sono trasferito a Marghera nell'autunno del 2016 e ho trovato un ottimo posto in cui tenere le sessioni: la nostra casa è una

costruzione bi-familiare su due piani (io occupo una singola al primo piano e siamo un totale di quattro inquilini), molto spaziosa all'interno, ma anche molto vecchia (costruzione popolare del 1964), che tuttavia possiede un'ampia sala con funzione di soggiorno, chiamata per celia “La sala degli specchi” (in onore di quella famosa a Versailles), in cui, a parte gli specchi, vi è un grande tavolo centrale ben

illuminato e ampie poltrone con divano, mobili a specchio capienti e un'ampia porta-finestra che dà sul giardinetto. Ho deciso sin dall'inizio di posizionarmi dando il fronte allo specchio, per evitare occhiate furtive al materiale, poi ho sistemato una plancia al centro, con blocchi, matite, pennarelli, gomme, riferimenti stampati, manuali utili e bicchieri. Oltre lo schermo del Dungeon Master che ho acquistato ho sistemato computer e quadernone ad anelli (vedasi note di campo della sessione 07/04/2017). In questo caso le mappe che abbiamo noi non sono tante e complesse come quelle di Dario: all'inizio di una sessione di Marzo (dopo l'uscita a San Sebastiano), ho deciso di ridisegnare due mappe su carta

quadrettata da 0,5, raffiguranti la “Cittadella Sprofondata”, un elemento architettonico importante della mia campagna (vedi le note di campo che vanno dal 09/03 al 08/06/2017) che ho rielaborato da un modulo preparato di avventura edito dalla Wizards of The Coast, “Sunless citadel” nel 2000 ( in Italia edita come “La cittadella senza sole” dalla 25th Edition-Panini, 2001 ), una per me, completa con

l'indicazione a vari colori di “porte chiuse” o “porte aperte”, di “trappole”, prove necessarie per superarle e annotazioni a lato sull'ecologia e una mappa per il gruppo di giocatori che presenta solo le parti

esplorate da loro, senza annotazioni a parte le loro , a matita; stratificazione di narrazioni,

incomprensioni, maneggi, rielaborazioni e dunque cancellature e sovrascritture a vari colori di pastello. La plancia in plastica è stata spesso marchiata con pennarelli nero, verde e rosso cancellabili e vi sono state poggiate sopra miniature di carta piegata, simbolo di nemici e personaggi. Essa ha anche avuto funzione di spazio di tiro per i dadi e ognuno ha il proprio set o i propri (come me); Silvia mi ha persino raccontato che i suoi dadi, incisi con motivi floreali, profumano (comunicazione personale avvenuta su whatsapp). Al massimo a chi li dimentica, gliene presto almeno un set. La mia volontà di rendere tutto perfetto o comunque aderente a un'ideale di organizzazione, mi ha fatto produrre una spazialità

chiaramente gerarchica, per cui gli occhi di tutti sono puntati allo schermo in direzione della voce che da là proviene, dalla parte rivolta all'esterno di un tavolo rettangolare. La mia sedia, che ho portato con me dal trasloco, è più alta (e credo ulteriormente alzabile) e girevole. Anche Dario per sé teneva posizioni lievemente rialzate,ma in un contesto espositico di circolarità e quasi di raccoglimento (la sua camera, il

suo studiolo, il tavolo da pranzo); sono abitudini collaudate da un gruppo o più gruppi interrelati che hanno esperienza di lunga data e di sistemi ludici analogici pregressa. In una delle mie prime sessioni da Osservatore non partecipante, che ho registrato il 21/05/2016, notai che la disposizione del master Andrea (che abita poco distante da casa di Dario, sempre a S.Alvise) era casuale attorno a un tavolo bianco della sala, con le sole bottiglie d'acqua e i relativi bicchieri; attorno a lui qualche foglio e il suo unico set di dadi scolpiti con caratteri alieni ispirati al mondo fantastico di Lovecraft (passione che lo ha spinto anche a sperimentare il gdr “Call of Cthuluh” : vedasi le note di campo del 10/03/2017 e le interviste del

15/07/2016 e del 29/09/2017). È stato un po' come se avesse un suo canovaccio pronto, i riferimenti su un tablet e non ci fossero divisori fra i partecipanti, nemmeno in occasione della sessione di Call of Cthuluh in cui la Narrazione è stata portata avanti da lui dopo una cena veloce, con giocatori con poca o molta esperienza , ma nuovi quanto lui del sistema, cosa che mi ha lasciato pensare al tempo che di solito deve impiegare per preparare le sue scene, in quest'ultimo caso disposte su un file formato Word nel pc Apple di Francesca, sua ragazza e nostra ospite; in quel caso io da esterno al gioco ho potuto osservare i fogli word e i radi appunti scritti che teneva insieme a una mappa scarna, ma funzionale dell'Accademia inglese immaginaria, ambientazione centrale della narrazione d'indagine (come si evince da intervista del 15/07/2016 , pare impieghi due o tre ore nei momenti di commutazione fra Venezia, Padova e viceversa , dato che studia là). D'altronde ha nei suoi “gruppi condivisi” una maggioranza di giocatori esperti e di lunga data come Dario e Alvise , a cui non servirebbe nascondere dettagli numerici, basta solo non leggere ad alta voce la propria storia. Per quanto mi riguarda, ho provato più volte il sottile piacere che concerne il “prendersi cura” di giocatori nuovi come Claudia e Silvia, Andrea e la mia ragazza Lucia e in questo farmi Master consapevole ho cercato anche di imprimere al setting una forma autoritaria ,

separativa, ma immersivamente efficace. Una disposizione che ho notato nella sessione del 20/05/2017 Narrata da Sebastiano alla Giudecca: la casa (che non è di Sebastiano, ma di Giulio un suo amico giocatore) era l'ambiente e il setting si sviluppava sul tavolo della cucina , piccola, che dava su un cortiletto interno; il soggiorno ricavato nello stesso ambiente aveva una sezione dedicata alla manualistica di ruolo e ai videogiochi (ho notato manuali di D&D e varie custodie di giochi per la Playstation 3 ). Sul tavolo i giocatori avevano già disposto tutto al mio arrivo, quindi piccola plancia a quadri, miniature di vari colori e matite; le schede del personaggio di Pathfinder in mano e il manuale Base in un angolo, vicino allo schermo di Sebastiano che dietro aveva applicato con delle graffette due fogli protocollo A4 pieni di trama. Non esistevano spazi fra le righe e non erano presenti mappe. Tra tutti i partecipanti non mancavano i dadi, ma Maria ne era sprovvista (come capitava spesso anche con la campagna di Dario, per cui prendeva in prestito i miei o quelli di Dario stesso), così Hata (soprannome