• Non ci sono risultati.

2 L’ente creato

2.3 Il tempo dell’anima

Come mi ero proposto, l’indagine dello statuto dell’anima in rapporto al principio della mutabilità è giunta sulla soglia della tematica cruciale della temporalità. Viste la complessità e l’estensione della ricerca agostiniana sul tempo, ma limito a seguire da gli sviluppi contenuti nel libro XI delle Confessiones. Prima mi sembra però opportuno ricapitolare la linea di ragionamento che sto seguendo, per mettere in luce, se ce ne fosse bisogno, la coerenza del percorso di ricerca.

42

Cfr. Adversus mathematicos libros 1-6 continens, in Sexti Empirici Opera, vol. 3, edidit J. Mau, (Bibliotheca scriptorum Graecorum et Romanorum Teubneriana), in aedibus Teubneri, Lipsiae 1961.

43 Cfr. Adv. Mat. VII, 310. Il riferimento al testo di Sesto Empirico si trova in Agäesse, “La connaissance de l’âme”, in La Trinité, cit., pp. 603-604.

44

Cfr. Gn. litt. VII, xxi, 28.

45

81

Ho preso le mosse da un noto brano agostiniano tratto dal libro XI delle Confessiones in cui Agostino sostiene che le realtà esterne, se fatte oggetto di osservazione, esprimono la propria natura di creature attraverso l’essere soggette a mutamento e variazione. Ho quindi formulato un’equivalenza tra i caratteri della creaturalità e della mutabilità, considerando anzi quest’ultimo la cifra costitutiva del primo. Avendo tuttavia fatto menzione dei soli esseri osservabili esternamente, ho avvertito l’esigenza di estendere il discorso anche ad alcune realtà che, pur non essendo tangibili, tuttavia non godono del privilegio dell’immutabilità. Agostino infatti concepisce la sfera delle creature secondo una strutturazione gerarchica, che al grado più basso comprende alcune realtà maggiormente intaccate dalla molteplicità e perciò stesso meno semplici, e a quello più alto invece delle altre con un più alto livello di semplicità, che tuttavia non può mai dirsi assoluto: si tratta nel primo caso delle creature corporee, nel secondo di quelle spirituali46. Ho poi constatato come la semplicità dei due differenti tipi di esseri creati si esplichi rispettivamente nell’essere soggetti a mutamento sia in relazione allo spazio che al tempo, oppure al tempo solamente.

Ho lasciato da parte la trattazione dei principi costitutivi degli enti corporei, la forma e la materia, per prendere in considerazione l’anima, in quanto creatura spirtuale. Il primo passo è stato quello di mostrare come essa non sia una realtà di tipo corporeo: chi volesse approfondire questa tematica all’interno del pensiero agostiniano dovrebbe certo tener presente il De quantitate animae, per più di tre quarti dedicato a dimostrare che l’anima non possiede esistenza spaziale, e una serie di altri brani molto importanti47. Ho invece preso in considerazione un testo contenuto nel VII libro del De Genesi ad litteram, che ho letto in parallelo con un brano del libro X del De trinitate, nel quale il Agostino deduce l’inerenza del carattere dell’incorporeità alla natura dell’anima a partire dall’analisi del processo con il quale essa stessa giunge a conoscersi in modo immediato nella sua interezza. Tuttavia l’anima, la cui natura è quindi di tipo spirituale, se non può dirsi soggetta a mutazione locale, lo è per quanto concerne quella di ordine temporale. Proprio quest’ultima affermazione - è il secondo compito che ci eravamo prefissati di assolvere - deve essere ora tematizzata con più attenzione.

Un’indagine che volesse seguire compiutamente lo snodarsi delle riflessioni agostiniane sul rapporto che intercorre tra le dimensioni dell’interiorità e del tempo dovrebbe risalire sino agli esordi letterari di Agostino databili al soggiorno presso Cassiciaco. Questi infatti sono lo scenario, secondo un’espressione di Luigi Alici48, di un

46

Cfr. trin. VI, vi, 8.

47 Cfr. Ad es. ep. 146, ii, 4; an. et or. IV, xii, 17-21, 35; Gn. litt. VII, xv, 19-21, 26.

48

L. Alici, “Genesi del problema agostiniano del tempo”, StPat, 22 (1975), pp. 43-67, p. 66: «Lo sviluppo del problema tempo-interiorità nei primi scritti agostiniani si profila dunque nel senso di una progressiva interiorizzazione del tempo; una volta respinto un concetto naturalistico, oggettivistico del

82

processo di “progressiva interiorizzazione del tempo”, come attestano le numerose indicazioni presenti al loro interno: basti pensare, ad esempio, a quelle relative alla relazione tra il dinamismo dell’anima e il suo divenire49 o al processo di percezione del ritmo da parte dell’anima in quanto radicato nella temporalità50.

Tuttavia, il luogo principe nel quale la speculazione di Agostino si concentra sul concetto di tempo, mostrandone l’indissolubile legame con le intime profondità dello spirito umano51, è sicuramente il libro XI delle Confessiones.

Tale libro contiene un andamento di pensiero che si articola su differenti livelli speculativi, i quali vanno dall’indagine specificamente filosofica alla fenomenologia

tempo, Agostino ha puntato ad una riscoperta interiore, là dove il tempo è percepito come crescita interiore nel sapere e l’interiorità come dominio degli avvenimenti, tramite la forza connettiva della memoria».

49

Cfr. imm. an. III, 3-4.

50

Cfr. mus. VI, xvii, 57.

51 Ho parlato di conf. XI come del luogo nel quale viene espresso con maggior nettezza il legame che unisce la realtà del tempo e lo spirito umano. Deve altresì essere preliminarmente notato che la comprensione del legame tra lo statuto del tempo e la dimensione interiore dell’anima ha portato nel corso della modernità a una sorta di deriva ermeneutica di tenore soggettivistico e intimistico. Mi limito a segnalare la possibilità di rinvenire una decisa reazione contro tali tendenze interpretative in U. Jeck, Aristoteles gegen Augustinus. Zur Frage nach dem Verhältnis von Zeit und Seele bei den antiken Aristoteleskommentatoren, im Arabischen Aristotelismus und in 13. Jahrhundert, Gruner, Amsterdam-Philadelphia 1992; e K. Flasch, Was ist Zeit? Augustinus von Hippo, das XI. Buch der “Confessiones”. Historisch-philosophische Studie. Text, Übersetzung, Kommentar, Klostermann, Frankfurt am Main 1993. Di quest’ultimo segnalo anche il contributo Ancora una volta: l’anima e il tempo, in Ripensare Agostino, cit., pp. 25-40. I due studiosi tedeschi concordano nel sostenere che Agostino, parlando in conf. XI dell’anima in quanto soggetto della distentio con cui viene identificato il tempo, non stia facendo riferimento propriamente all’animus individuale del singolo soggetto umano, quanto piuttosto alla nozione filosofica tradizionale dell’anima del mondo. A favore di tale convinzione, i due studiosi riportano alcuni dati, di cui ricordo sommariamente i più significativi (cfr. Flasch, Ancora una volta, cit., pp. 30-ss.): 1) già Aristotele in Phys. IV,14 avrebbe sostenuto tale ipotesi, riconducendo il tempo, in quanto numero del moto, ad un’anima (ψυχή καὶ ψυχής νοῦς) intesa quindi non come interiorità, ma come facoltà dei numeri che ordinano il processo naturale. Anche autorevoli commentatori antichi del testo dello Stagirita, come ad esempio Alessandro d’Afrodisia, Simplicio e Giovanni Filopono, confermano una simile ipotesi; 2) un’analoga idea si ritroverebbe nell’ambito del Neoplatonismo sia in Plotino (Enn. III 7), sia nelle Sententiae di Porfirio, anche se viene lasciato da parte il problema relativo ad un influsso diretto di questi testi sulla teoria agostiniana e si parla di un fondo storico comune; 3) l’affermazione positiva della necessità dell’esistenza dell’anima del mondo per spiegare il tempo non costituirebbe un dato incompatibile con l’orizzonte di fede di un cristiano del IV-V secolo quale Agostino, come confermerebbe il sostegno ad essa concesso da Giovanni Filopono (V-VI secolo); 4) lo studio della “Wirkungsgeschichte” della teoria agostiniana del tempo nel corso del Medioevo confermerebbe l’insostenibilità di una lettura in chiave “soggettivistica” di conf. XI; 5) Agostino stesso in numerosi suoi testi avrebbe fatto allusione, senza rigettarla esplicitamente, alla dottrina dell’anima del mondo; all’interno del contesto limitato di conf XI tale riferimento apparirebbe con evidenza quando viene presa in considerazione l’ipotesi dell’esistenza di un tam grandi scientia et praesciantia pollens animus (XI, xxxi, 41).

Mi è parso doveroso premettere alle considerazioni seguenti un seppur breve accenno a questa soluzione interpretativa, così come altrettanto doveroso mi sembra ricordare l’accorato invito a tener presente il necessario mutamento che concetti e teorie filosofiche tradizionali devono inevitabilmente subire una volta inserite in un contesto creazionistico e cristiano qual è quello di conf. XI, invito che si trova nella recensione di G. Madec a Flash, Was ist Zeit?, in Bullettin Augustinien pour 1993/94, RÉAug, 1994, pp. 525-526.

83

dell’ascolto e della meditazione della parola divina, e può essere sostanzialmente diviso, secondo uno schema di matrice neoplatonica52, in due parti: la prima “dedicata a risolvere i grandi interrogativi posti dal temporalizzarsi del linguaggio della verità”, la seconda contenente la descrizione dei “meccanismi della percezione individuale del tempo” ed illuminante “le aporie del linguaggio nel definire la realtà sfuggente della temporalità”53. Provo a seguire dunque gli sviluppi principali.

Se è vero che la nozione di tempo compare sin dall’incipit del libro XI54, giocando poi un ruolo centrale nel tentativo agostiniano di ascoltare e comprendere rettamente il primo versetto delle Sacre Scritture che comincia nel capitolo iii55, lo è ugualmente il fatto che essa viene tematizzata esplicitamente a partire dal capitolo x, dove viene preso in considerazione l’interrogativo formulato da alcuni individui ricolmi di vecchiaia spirituale, in relazione alla presunta attività divina precedente la creazione del mondo56. Ho tuttavia deciso di ripercorrere la riflessione agostiniana a partire dal capitolo xiv, luogo in cui comincia propriamente l’indagine relativa alla natura del tempo, pur con la consapevolezza di correre il rischio contro cui mette in guardia Marta Cristiani, ossia quello di isolarne l’andamento dal più ampio contesto dell’intellectus fidei57.

Il capitolo xiv del libro XI delle Confessiones è dedicato alla formulazione di una complessa aporia concernente la nozione di tempo, la cui risoluzione richiederà una lunga e complessa argomentazione filosofica. Lo stato che esso descrive è infatti quello di una vera e propria impasse per il pensiero. Agostino, assodato che non si addice al divenire temporale altro statuto che quello di creatura non coeterna a Dio, caratterizza infatti la natura del concetto di tempo in termini estremamente singolari: esso rappresenta certamente di per sé la nozione più nota e familiare nell’ambito del discorrere (familiarius et notius in loquendo), ma non possiede uno statuto di cui sia facile formare un concetto, per poi esprimerlo a parole (quis hoc ad verbum de illo proferendum vel cogitatione comprehenderit?). La constatazione di un simile carattere paradossale confluisce

52 Sant’Agostino, Confessioni. Volume IV (libri X-XI), commento a cura di M. Cristiani ed A. Solignac, traduzione di G. Chiarini, ed. Fondazione Lorenzo Valla, Milano 1996, p. 255 (M. Cristiani): «Lo schema neoplatonico del manifestarsi di un assoluto, verso il quale si cerca la traccia di un possibile e problematico itinerario di ritorno, contribuisce ad illuminare anche la trama nascosta del libro XI».

53

Ibid.

54

conf. XI, i, 1 (CCL 27, p. 194, i-ii): «Numquid, domine, cum tua sit aeternitas, ignoras, quae tibi dico, aut ad tempus uides quod fit in tempore?».

55

Ivi XI, iii, 5 (CCL 27, pp. 196-197, xiii-xvi): «Audiam et intellegam, quomodo in principio fecisti caelum et terram. Scripsit hoc Moyses, scripsit et abiit, transiit hinc a te ad te neque nunc ante me est. […]Cum ergo illum interrogare non possim, te, quo plenus uera dixit, ueritas, rogo, te, deus meus, rogo, parce peccatis meis, et qui illi seruo tuo dedisti haec dicere, da et mihi haec intellegere».

56

Ivi XI, x, 12 (CCL 27, p. 200, i-ii): «Nonne ecce pleni sunt uetustatis suae qui nobis dicunt: "Quid faciebat Deus, antequam faceret caelum et terram?».

57

Sant’Agostino, Confessioni. Volume IV (libri X-XI), cit., p. 299: «A partire da questo momento inizia la riflessione sulla natura del tempo, troppo facilmente estrapolata dal suo contesto, che è quella di uno straordinario approfondimento scritturistico, guidato dall’intellectus fidei».

84

nell’affermazione universalmente nota - probabilmente si tratta di una reminescenza plotiniana58 - secondo cui chi volesse rispondere ad un interrogativo sulla natura del tempo, si troverebbe in uno stato simultaneamente descrivibile in termini di sapere e ignoranza: Quid est ergo tempus? Si nemo ex me quaerat, scio; si quaerenti explicare velim, nescio59.

Tale difficoltà apparentemente insormontabile trova spiegazione nel fatto che la sola certezza posseduta da Agostino, quella dell’esistenza di tre differenti dimensioni temporali, se indagata in modo scrupoloso, si tramuta nella fonte di un dubbio ancora maggiore: infatti passato e futuro non si possono dire dotati di esistenza effettiva in quanto l’uno non è più (praeteritum iam non est) e l’altro non è ancora (futurum nondum est), allo stesso modo in cui il presente, non godendo della prerogativa dell’eterna permanenza, tende costantemente e inesorabilmente a dissolversi nel passato, ossia nel non essere (praesens […] cui causa ut sit, illa est quia non erit). L’essere autentico della temporalità sembra quindi una continua tensione verso il non essere (non vere dicamus tempus esse, nisi quia tendit non esse)60.

L’aporia, che mina le più assodate certezze a proposito dello statuto del tempo, viene ribadita e approfondita nel corso dei capitoli successivi, nei quali si snoda una riflessione sulle modalità espressive del linguaggio ordinario: nonostante infatti la temporalità possegga uno statuto effimero, è abitudine comune designare alcuni suoi intervalli passati o futuri mediante l’attribuzione di veri e propri termini di estensione. Un primo quesito da risolvere sarà dunque quello relativo alla possibilità che qualcosa di non esistente, come il passato e il futuro, possa essere detto lungo o breve: una simile ipotesi

58 Plotino, Enneadi, a cura di M. Casaglia, C. Guidelli, A. Linguiti, F. Moriani, II voll., UTET 1997, trattato III 7, 1, p. 471: «Quando diciamo che l’eternità e il tempo sono cose diffuse, e che l’eternità riguarda la natura perpetua, mentre il tempo riguarda ciò che diviene e questo universo, ci viene fatto di pensare, sul momento e come per un’intuizione istantanea della mente, che nelle nostre anime possediamo un’impressione chiara di entrambe le cose, dal momento che ne parliamo sempre e le nominiamo in ogni occasione. Ma quando invero proviamo a procedere al loro esame ed ad accostarci, per così dire, ad esse, non sappiamo nuovamente che pensare». Per quanto riguarda il testo critico e l’analisi filosofica di Enn. III 7, si veda W. Beierwaltes, Plotinus, Über Ewigkeit und Zeit (Enneade III 7), übersetzt, eingeleitet und kommentiert von Werner Beierwaltes, Frankfurt 1967 (tr. it. Eternità e tempo: Plotino, Enneade III 7, saggio introduttivo, testo con traduzione e commentario di W. Beierwaltes; introduzione di G. Reale; traduzione di A. Trotta, Vita e Pensiero, Milano 1995).

59

conf. XI, xiv, 17 (CCL 27, p. 202, iii-ix): «Quid est enim tempus? Quis hoc facile breuiterque explicauerit? Quis hoc ad uerbum de illo proferendum uel cogitatione comprehenderit? Quid autem familiarius et notius in loquendo commemoramus quam tempus? Et intellegimus utique, cum id loquimur, intellegimus etiam, cum alio loquente id audimus. Quid est ergo tempus? Si nemo ex me quaerat, scio; si quaerenti explicare uelim, nescio».

60 Ibid. (CCL 27, p. 203, x-xix): «[...] fidenter tamen dico scire me, quod, si nihil praeteriret, non esset praeteritum tempus, et si nihil adueniret, non esset futurum tempus, et si nihil esset, non esset praesens tempus. Duo ergo illa tempora, praeteritum et futurum, quomodo sunt, quando et praeteritum iam non est et futurum nondum est? Praesens autem si semper esset praesens nec in praeteritum transiret, non iam esset tempus, sed aeternitas. Si ergo praesens, ut tempus sit, ideo fit, quia in praeteritum transit, quomodo et hoc esse dicimus, cui causa, ut sit, illa est, quia non erit, ut scilicet non uere dicamus tempus esse, nisi quia tendit non esse?».

85

appare da subito però alquanto problematica (sed quo pacto longum est aut breve quod non est? Praeteritum iam non est et futurum nondum est)61.

La necessità di recuperare uno spiraglio di senso alla durata, per poter salvaguardare quanto meno il senso della stessa confessio62, rende a dir poco incalzante il discorso agostiniano: la sola via che sembra percorribile è quella che conduce a valutare la possibilità che una certa forma di estensione possa dirsi inerente alla dimensione temporale del presente. Anche quest’ultimo tentativo però, come avvenuto nel caso del passato e del futuro, si rivela infruttuoso.

Lasciando scorrere il proprio sguardo sui diversi intervalli convenzionali di durata, in ordine decrescente dall’anno alla singola ora, con i quali il presente è di volta in volta identificato, Agostino mostra come essi siano costituiti da fuggenti particelle (et ipsa una hora fugitivis particulis agitur) che, svanendo una dopo l’altra irreversibilmente nel passato, si dimostrano in possesso di una natura evanescente. L’unica realtà che sembra quindi poter essere definita come presente, ossia quell’infima frazione di tempo non divisibile in ulteriori parti (quod in nullas iam vel minutissimas momentorum partes dividi posset), trapassa dal futuro al passato con tanta rapidità da dimostrarsi con evidenza priva di estensione (praesens autem nullum habet spatium)63. La difficoltà di partenza si è accresciuta ulteriormente e ha raggiunto una profondità ancor più preoccupante.

Agostino affida dunque le speranze di poter spezzare le pesanti catene che attanagliano il pensiero all’incontestabile evidenza del fatto che gli uomini godono della facoltà di sentire e confrontare i differenti intervalli temporali (sentimus intervalla temporum et comparamus), facoltà a partire da cui diviene per essi possibile misurarli nel medesimo istante in cui scorrono (sed praetereuntia metimur tempora, cum sentiendo metimur). Si produce a quest’altezza uno scarto decisivo all’interno dell’andamento del discorso: il pensiero agostiniano, sulle orme di quello plotiniano, abbandona l’orizzonte della “sensazione”, che era stato teatro dell’intero dispiegamento della speculazione stoica, e viene a collocarsi sul più elevato piano della “misurazione” del tempo64. Sembra quindi essere stato recuperato, a partire dal suo essere percepibile e misurabile

61

Cfr. ivi XI, xv, 18.

62

Sant’Agostino, Confessioni. Volume IV (libri X-XI), cit., p. 301: «Tuttavia il senso della durata dovrà essere comunque recuperato, perché senza durata non esiste narratio (e oggetto della riflessione agostiniana è prima di tutto la Scrittura, la sua storia del mondo e della Salvezza) e non esiste confessio».

63

conf. XI, xv, 20 (CCL 27, p. 204, xxxxvi-liii): «Et ipsa una hora fugitiuis particulis agitur: quidquid eius auolauit, praeteritum est quidquid ei restat, futurum. Si quid intellegitur temporis, quod in nullas iam uel minutissimas momentorum partes diuidi possit, id solum est, quod praesens dicatur; quod tamen ita raptim a futuro in praeteritum transuolat, ut nulla morula extendatur. Nam si extenditur, diuiditur in praeteritum et futurum: praesens autem nullum habet spatium».

64

Sant’Agostino, Confessioni. Volume IV (libri X-XI), cit., p. 303: «Il passaggio dal “sentire” al “misurare” è decisivo, poiché consente di abbandonare la sfera della sensazione, della temporalità indissolubilmente condizionata dal movimento dei corpi. Se tentiamo di ricostruire il complesso intreccio delle fonti, è questo il passaggio che dalla tradizione stoica, fortemente presente nella concezione agostiniana, conduce a Plotino, ma le soluzioni agostiniane non possono in nessun modo considerarsi un calco delle dottrine plotiniane».

86

nell’attimo in cui scorre (cum ergo praeterit tempus, sentiri et metiri potest)65, uno spazio sufficiente per l’affermazione di una certa esistenza riguardante il presente.

Facendo ricorso a due nuovi ambiti legati all’interiorità umana, la memoria (memoria) e la premeditazione (praemeditatio), Agostino mette in atto un analogo tentativo in relazione anche al passato e al futuro: se infatti questi ultimi non fossero in possesso di un’effettiva estensione, non sarebbe possibile compiere operazioni, di per sé evidenti e ordinarie, quali narrare eventi veri che però più non sono o predirne altri che effettivamente si verificheranno, ma che ancora non sono. In questo senso occorre dunque che sia il passato sia il futuro esistano (sunt ergo et futura et praeterita).

Così dunque, nell’ottica di garantire loro uno statuto dotato di consistenza, il passato viene ricondotto al presente grazie all’azione della memoria, al cui interno le immagini sono rimaste impresse come delle orme (vestigia), mentre il futuro nel presente viene concepito e predetto, anche se Agostino non si dichiara pienamente consapevole delle modalità con cui ciò avviene66.

Il fatto che entrambe le dimensioni temporali assumano una reale consistenza solamente in relazione a quella del presente induce Agostino a profondersi in un’acuta osservazione finalizzata a evidenziare il nucleo di verità che risplende al di sotto delle locuzioni ordinarie che tematizzano lo statuto del tempo stesso: non è pienamente corretto sostenere che esistono tre tempi oggettivamente distinti, presente, passato e futuro, ma bisogna invece più correttamente affermare che tali dimensioni differenti sono rispettivamente tre modalità intenzionali67 in cui si articola la mente umana, il