• Non ci sono risultati.

5. Tempo rappresentato e tempo della rappresentazione

Il problema del tempo nella narrazione è stato identificato da Todorov (1966, citato in Genette 1972, trad. it. p. 77) come la questione «in cui si esprime il rapporto fra il tempo della storia e quello del discorso». La duplicità temporale insita nel racconto riguarda, infatti, l’«ordine di disposizione degli avvenimenti o dei segmenti temporali nel discorso narrativo» e l’«ordine di successione che gli stessi eventi hanno nella storia» (Genette 1972, trad. it. p. 83). Il tempo della storia fa riferimento agli eventi considerati sul piano della fabula mentre il tempo del discorso o tempo del racconto concerne gli sviluppi degli accadimenti sul piano dell’intreccio. Tuttavia, poiché l’idea che le coppie di concetti considerate (fabula/intreccio, storia/racconto, sequenza lineare/sequenza configurante) siano

sovrap-ponibili è alquanto controversa, nel dibattito contemporaneo la tendenza è di optare per una termino-logia maggiormente neutra (Bernini & Caracciolo 2013, p. 33): la doppia temporalità della narrazione viene considerata in termini di tempo rappresentato – il tempo degli eventi che si dispiegano nel mondo narrativo – e tempo della rappresentazione – il tempo attraverso cui gli eventi rappresentati emergono nell’interazione tra lettore e storia.

La relazione tra questi due diversi ordini temporali apre a interrogativi teorici la cui tematiz-zazione ha interessato in particolar modo la narratologia di ispirazione strutturalista. A partire da una analisi formale dei testi letterari, i narratologi hanno esplorato quesiti molteplici. Ad esempio, in che modo la storia viene fissata nel presente? Che relazioni si stabiliscono tra l’ordine naturale degli eventi della storia e l’ordine della loro rappresentazione tramite il discorso? Come confrontare la durata della storia e quella dell’enunciazione discorsiva? (Chatman 1978, trad. it. p. 62). Nei racconti è infatti connaturata una sorta di “impressione del presente”, un adesso narrativo (ibid.), da cui si genera un intreccio di relazioni temporali complesse che possono riguardare il piano dell’ordine, della durata e così via. Per quanto riguarda le possibili risposte a questo ordine di questioni, l’analisi det-tagliata operata da Genette (1972) costituisce il punto di partenza imprescindibile della narratologia classica. Come è noto, l’obiettivo del lavoro genettiano è stilare una classificazione delle categorie che pertengono alle strutture della narrazione nel tentativo di costruire una teoria generale che possa applicarsi alle realizzazioni narrative particolari, vale a dire ai vari testi letterari.

La categoria di tempo viene suddivisa da Genette (1972) nelle determinazioni di ordine, durata e frequenza. L’ordine temporale riguarda il confronto tra la sequenza di eventi disposti nel discorso narrativo e la sequenza di quegli stessi eventi nella storia. La durata concerne invece i rapporti tra la durata degli avvenimenti dispiegati nella storia e la pseudo durata della loro relazione nel racconto.

Quella della durata appare una determinazione particolarmente ostica da formalizzare; la difficoltà consiste nel trasporre dal piano temporale della storia al piano spaziale del discorso un fenomeno che appare sfuggente «per il semplice motivo che nessuno può misurare la durata di un racconto» (Genette 1972, trad. it. p. 135). Infine, la frequenza ha a che fare con le relazioni di ripetizione tra racconto e storia. Gli eventi possono infatti ripetersi e tale iterazione può essere traslata sul piano del racconto;

i rapporti di frequenza individuano precisamente il sistema di relazioni che si genera tra il ripetersi degli eventi narrati e il carattere iterativo del racconto. Per citare un esempio illustre, Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust si affida largamente al fenomeno della ripetizione in una sorta di ebbrezza dell’iterazione (ibid., trad. it. p. 172) per cui il tempo sembra essere scandito dalla ricorrenza e dall’abitudine.

L’analisi genettiana opera poi un’ulteriore scomposizione minuziosa che individua delle sotto-determinazioni per ciascuna categoria. Non riprenderemo qui tale scomposizione in base alla

quale sarebbe possibile esaminare le relazioni tra tempo della storia e pseudo-tempo del racconto. A risultare particolarmente significativa è la questione dell’ordine temporale di un racconto. La ragione di tale interesse va ricercata nella possibilità che una formalizzazione della categoria di ordine riesca a fornire una descrizione unitaria della dualità tra tempo rappresentato e tempo della rappresenta-zione. L’ordine temporale, in effetti, dà conto di come gli eventi della storia vengono ordinati dal discorso posto che l’intreccio generato lasci intatta una unità che renda percepibile il tema della storia (Chatman 1978, trad. it. p. 63). Sotto la categoria di ordine si avrà, pertanto, una descrizione dei meccanismi per cui una certa sequenza di azioni costituisce un intreccio differente dalla sua succes-sione logico-cronologica. A tal fine, l’analisi che ha per oggetto l’ordine temporale si incentra sulla disposizione sintagmatica degli episodi in un testo narrativo con lo scopo di individuare in che modo vengano a generarsi tutte le distorsioni temporali che rendono il racconto capace di «far fruttare un tempo in un altro tempo» (Metz 1968, p. 27, citato in Genette 1972, trad. it. p. 81). Come rileva Chatman (1978, trad. it. p. 41), in effetti, la “funzione” della duplicità temporale è proprio quella di

«sottolineare o attenuare certi eventi della storia, interpretarne alcuni e la-sciarne altri alla inferenza, rappresentare o raccontare, commentare o tacere, mettere a fuoco questo o quell’aspetto di un evento o di un personaggio».

Da questo punto di vista, le discordanze temporali generate dal gioco di differenze di ordine tra storia e discorso rappresentano l’oggetto di indagine privilegiato per ogni discussione sul tema. A tali di-scordanze Genette (1972) attribuisce l’etichetta di anacronie. Tralasciando le ulteriori ripartizioni proposte, le anacronie si dividono principalmente in prolessi e analessi. L’uso delle prolessi comporta un raccontare in anticipo, vale a dire l’utilizzo di riferimenti ad aventi futuri rispetto al presente del racconto; le analessi caratterizzano il raccontare attraverso un salto all’indietro e il riferimento ad eventi passati rispetto all’adesso narrativo. In chiave cognitiva, chiameremmo tali tecniche di rappre-sentazione narrativa anticipazione e retrospezione, definizioni che Genette (1972) scarta intenzional-mente per evitare connotazioni psicologiche dei processi temporali in gioco nel racconto.

Le anacronie postulano l’esistenza di una sorta di grado zero rappresentato dalla coincidenza tra successione narrativa e successione diegetica. In questo caso, il racconto segue l’ordine cronolo-gico degli eventi accaduti. C’è da dire che il grado zero rappresenta uno stato di riferimento ipotetico più che reale poiché racconto e storia non coincidono quasi mai, se non nel racconto popolare. Nella tradizione letteraria l’effetto di anacronia è una tecnica ampiamente utilizzata che genera spesso in-castri narrativi complessi. Tale discordanza viene spesso impiegata allo scopo di modificare il senso di eventi passati in un processo di significazione differita o di reinterpretare eventi futuri che avevamo immaginato in maniera differente. Due esempi di questa strategia. Il primo è la già citata Alla ricerca

del tempo perduto di Proust che appare disseminata di richiami che hanno il fine di «opporre l’avve-nire diventato presente all’idea che ce ne eravamo fatti in passato» (Ricoeur 1984, trad. it. p. 138).

Un altro esempio è rinvenibile nel racconto Un incontro contenuto in Gente di Dublino. Il racconto comincia con la descrizione di eventi che rimandano a tempi lontani in cui Joe Dillon mostrava un’esuberanza spiccata. Il racconto rendo chiaro che nella diegesi quegli eventi sono avvenuti prima e il discorso si colloca dopo. Dopodiché si legge: «Tutti rimasero increduli quando si disse che aveva una vocazione per il sacerdozio. Nondimeno era vero». Questo frammento di discorso fa riferimento a eventi riguardanti Joe Dillon che avverranno molto dopo. Lo slittamento tra passato e futuro a par-tire da un adesso narrativo sono numerose. Risulta perciò evidente che le dislocazioni temporali pos-sono essere molteplici e aprire a scenari complessi anche in una porzione di storia tanto breve.

L’utilizzo delle anacronie comporta frequentemente l’entrata in medias res nella storia a cui seguono vari flash-back attraverso cui ricostruire gli eventi precedenti – è il caso dell’Iliade, ad esem-pio – o a cui segue un’alternanza articolata tra presente e passato (Chatman 1978). Un esemesem-pio di quest’ultima strategia è il film di Bertolucci Il conformista in cui la discordanza tra tempo della storia e tempo del racconto ricalca la confusione psicologica del protagonista: la tecnica narrativa usata, incentrata su un intrigo che racchiude continui rimandi in cui si alternano flash-back e realtà presente, si sposa con gli intrecci contorti della mente del protagonista.

L’indagine operata da Genette (1972) prevede la formalizzazione dello zigzag di relazioni temporali che si innescano nell’alternanza tra prolessi e analessi assegnando a ognuna di queste rela-zioni la categoria di appartenenza. La codifica di tali relarela-zioni, insieme alle classificarela-zioni minuziose delle altre categorie individuate dalla narratologia strutturalista, vengono considerati strumenti acqui-siti di indagine testuale, impiegati persino nel contesto della didattica scolastica. L’applicazione di tali strumenti si è infatti accompagnata a un rigore metodologico e a risultati puntuali grazie ai quali è parso possibile catturare gli aspetti essenziali dei prodotti narrativi. In una prospettiva narratologica, accanto agli aspetti temporali che, abbiamo visto, si legano molto spesso a quelli causali, ad essere considerata determinante e definitoria della narrazione è la categoria di punto di vista.