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UN MODELLO MULTI-STAGE INTEGRATIVO DI TURNAROUND

Un modello che risolve le questioni discusse in precedenza è quello presentato da Arogyaswany, Barker e Yasai-Ardekani (1995)81.

In base a tale modello (Tavola 4.3), il declino si verifica quando l'impresa incomincia ad adattarsi malamente all'ambiente o quando l'ambiente diventa ostile. Ogni declino, se non contrastato, conduce a tre conseguenze: la continua erosione del supporto esterno da parte degli stakeholder, la crescita delle inefficienze interne, e il deterioramento del clima interno e del processo decisionale.

Tavola 4.3.

Il Two Stage Model82

81 Arogyaswany, Barker e Yasai-Ardekani: Firm Turnaround: an integrative two-stage model. Journal of Management Studies, n°4, 1995, pp 493-525.

82 Arogyaswany, Barker e Yasai-Ardekani: Firm Turnaround: an integrative two-stage model. Journal of Management Studies, n°4, 1995, pp 493-525.

Un'impresa in crisi fallisce nel momento in cui queste tre conseguenze ne esauriscono le risorse finanziarie, facendo venire meno il supporto all'impresa da parte dei creditori. L'incidenza di queste tre conseguenze sul declino dell'impresa è collegato anche alla loro reciproca influenza, come ad esempio, nel caso in cui il deterioramento del clima interno influisca negativamente anche sul livello di l'efficienza.

Pertanto, il processo di turnaround di un'impresa comincia con una fase composta da delle strategie di contenimento del declino (decline stemming) destinata a arginare queste tre conseguenze.

Si dovranno, quindi, realizzare:

a. strategie che favoriscano il cambiamento dell'impressione che gli stakeholder hanno dell'impresa, in modo da poterne incrementare il supporto. Anche altri studiosi83 hanno evidenziato come il rinnovamento della credibilità di un'impresa in declino faciliti il successo del turnaround. Com'è noto, la teoria degli stakeholder sostiene che intorno all'impresa ruotino una miriade di interessi cooperativi e competitivi. Gli stakeholder, essendo gruppi di persone portatori di interessi e di attese nei confronti dell''impresa, costituiscono parte integrante del processo decisionale degli indirizzi strategici. Se questo è vero, così come l'impresa dedica attenzione alle esigenze degli stakeholder durante il suo normale ciclo di vita, allora, a maggior ragione, dovrà farlo nell' affrontare un processo di cambiamento radicale quale il turnaround. Tuttavia, poiché, come è stato osservato, durante la fase di declino, gli stakeholder preferiscono tutelare i loro interessi personali, lasciando passare in secondo piano quelli dell'organizzazione, il turnaround potrà dirsi di successo soltanto quando l'impresa sarà in grado di riportare gli obiettivi

83 Si consulti:

S.Slatter: Corporate Recovery. Penguin Book – [ Harmanndsworth] – 1984.

Cfr. F.Izzo: Le strategie di Turnaround nella letteratura di management. Pp 144 e ss.

degli stakeholder verso un nuovo indirizzo comune. Di qui la necessità che il management dedichi una quota significativa del proprio tempo al ristabilimento di un rapporto di fiducia con i soggetti esterni all'impresa, tramite la comunicazione degli obiettivi, delle azioni, dei programmi e dei benefici attesi dal processo di turnaround.

b. Il ripristino delle condizioni di efficienza in modo che l'impresa in crisi possa utilizzare al meglio le proprie attività e i propri assets nella successiva fase di rilancio. Ciò potrebbe stabilizzare parzialmente la posizione competitiva dell'impresa attraverso una riduzione dei costi, in modo che i rischi di insolvenza di breve periodo diminuiscano grazie al miglioramento del cash-flow.

c. Interventi per stabilizzare il clima interno e il processo decisionale.

Poiché, come detto, un'impresa in declino s'imbatterà in tutte e tre queste conseguenze, e poichè ognuna di esse può contribuire al fallimento, il processo di turnaround dovrà, inizialmente, essere intrapreso con questa fase di contenimento che sovverta o almeno controlli, tutte e tre le conseguenze. Di contro, un fase di contenimento focalizzata, ad esempio, solamente sulla gestione dei rapporti con gli stakeholder e sul ripristino del clima di fiducia interno potrebbe non risultare sufficiente a arginare la crisi, se le inefficienze non saranno diminuite. Queste sarebbero capaci, infatti, di deteriorare le risorse finanziarie al punto che, nonostante gli sforzi del management, i creditori ritirino il proprio supporto e chiedano istanza di fallimento..

Pertanto, visto che le tre conseguenze della crisi sono strettamente interconnesse tra di loro, ogni azione del management, diretta a migliorare solamente una di queste potrebbe peggiorare il livello delle altre. Da qui un'ulteriore prova del fatto che le semplici azioni di riduzioni dei costi finanziari, previste dal retrechment siano, da sole, insufficienti a garantire il successo del turnaround.

Ricapitolando, questa prima fase di stabilizzazione del declino comprende una serie di azioni strategiche, che cerchino di migliorare contemporaneamente le tre conseguenze della crisi. Interventi sbilanciati, che mirino, invece, a cercare di contenere solamente una componente delle tre conseguenze del declino, saranno destinati a essere meno efficaci, comportando il continuo scivolamento dell'impresa verso il fallimento e fornendo una debole piattaforma di partenza per la successiva fase di recovery.

Come le crisi, anche i turnaround non sono tutti uguali tra loro e le imprese in declino possono avere differenti bisogni di diverse strategie di contenimento.

Come è indicato nella Tavola 4.3, due importanti elementi influenzano la dimensione delle strategie che il management dell'impresa deve realizzare per arginare la crisi: la gravità della crisi e il livello di risorse organizzative disponibili al momento dell'avvio del processo.

La gravità della crisi influenza la prestanza con la quale le tre conseguenze del declino mettono a repentaglio la sopravvivenza dell'impresa. Pertanto in condizioni di elevata gravità, bisognerà attendersi interventi limitativi di dimensioni rilevanti, per poter contenere stakeholder particolarmente scettici e disfunzioni estremamente onerose.

Accanto alla gravità della crisi, bisogna considerare anche il livello di risorse ancora utilizzabili dall'impresa. Infatti, in caso di scarse risorse disponibili, le imprese, che sperimentano crisi severe, sono più vulnerabili e sono pertanto richieste strategie di contenimento più vigorose.

In sintesi, quindi, bisogna notare l'esistenza di un rapporto direttamente proporzionale tra la gravità della crisi e le dimensioni degli interventi che caratterizzano questa prima fase del processo di risanamento; tale proporzione, però, è governata dall'esistenza o meno di risorse aziendali, che possono influenzare in positivo o in negativo, la portata degli interventi richiesti per frenare la crisi.

Un processo di turnaround di successo richiede anche una seconda fase di attuazione di strategie di recovery. Si tratta di azioni strategiche e politiche di cambiamento che cerchino di eliminare le cause del declino, con l'obiettivo di riportare le performance dell'impresa ad un livello paragonabile a quello precedente alla crisi.

Come mostrato sempre dalla Tavola 4.3, le strategie di recovery si basano sulle condizioni create dal buon risultato degli interventi limitatori realizzati nella primo stadio del processo e sono condizionate dalle cause del declino e dalla posizione competitiva dell'impresa. Ciò nonostante, tali condizioni realizzate dalla precedente fase di contenimento sono necessarie, ma non sufficienti a garantire una fase di recovery efficace. Questo perché, mentre le strategie di contenimento del declino tentano di occuparsi delle conseguenze della crisi, le recovery strategies mirano a rimuoverne le sue cause primarie, le sue origini. Molte strategie di recovery inefficaci, infatti, possono lasciare intatte le radici del declino dell'impresa e così ogni tentativo di stabilità creato dalle strategie di contenimento si traduce in un equilibrio di breve periodo.

Come vedremo successivamente, le varie strategie di recovery possono essere descritte in base a due attributi che sono stati ampliamente trattati in dottrina. Questi attributi sono il livello di riorientamento strategico richiesto dalla strategia dello stadio di recovery e la dimensione della contrazione o dell'espansione delle risorse dell'impresa a seguito dalla realizzazione di un strategia di recovery.

In particolare il primo attributo merita qualche breve riflessione. Con il livello di riorientamento strategico richiesto dallo stadio di recovery si indica la dimensione dei cambiamenti delle strategie, delle strutture, della distribuzione di potere e di controllo dell'impresa a seguito di un tentativo di turnaround.

Introdotto per la prima volta da Tushman e Romanelli (1985), il riorientamento strategico è divenuto un parametro standard per differenziare i risanamenti di secondo ordine dai veri e propri turnaround rivoluzionari.

Come accennato, i precedenti schemi di processi di turnaround spesso si basavano su una serie di azioni sequenziali per cui lo stadio di recovery poteva realizzarsi solo dopo che una precedente fase si fosse conclusa con successo.

Riteniamo, invece, che il descrivere il turnaround come una serie di azioni puramente sequenziale sia soltanto un'astrazione del processo, perché questo implicherebbe che il management dell'impresa dovrebbe attendere che il primo stadio si concluda con successo per potersi dedicare all'analisi delle cause della crisi. Ciò, come abbiamo discusso anche nei capitoli precedenti, rappresenterebbe un sicuro errore. Questo modello, invece, prevede che i due stadi del processo siano interdipendenti, piuttosto che sequenziali. L'essere interdipendenti significa non solo che entrambe le fasi possono verificarsi simultaneamente, ma anche che:

a. Il successo di un solo stadio non sia sufficiente per realizzare il turnaround

b. Il successo anticipato in uno dei due stadi creare delle condizioni che facilitano il successo nell'altro stadio

c. Le scelte fatte nella fase di recovery possono attivare un meccanismo di feed-back, che influenzi la scelta delle strategie di contenimento più adeguate.

Ad esempio, una tipologia di meccanismo di feed-back che si può attivare riguarda la possibilità, che il top-management dell'impresa in crisi ha, di poter organizzare gli interventi limitativi in base alle scelte fatte in merito alle strategie di recovery. In tal senso, interventi di recovery atti a enfatizzare un riorientamento strategico, sono meglio supportati da strategie di contenimento che preparino l'impresa a un cambiamento di larga scala, mentre interventi di recovery che mirano, invece, a migliorare l’efficacia dell'orientamento strategico esistente, si possono basare su strategie restrittive della crisi volte a implementare l'efficienza della attività aziendali già esistenti.