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Una valutazione in chiave critica dei criteri di collegamento

Abbiamo già avuto modo di affermare che i fattori di connessione tradizionalmente previsti per la determinazione della legge applicabile sono la sede reale (variamente intesa) e la sede legale della società dal momento che questi rappresentano gli elementi di collegamento più intensi in termini fisicalisti, che possono intercorrere tra una società (pura creazione di diritto) e l’ordinamento giuridico. In realtà, una più attenta disanima dei diversi sistemi di diritto internazionale privato mostra come tale classificazione sia piuttosto generica e non colga la varietà del diritto positivo. Accanto alla distinzione suddetta, innanzitutto altri criteri minori sono immaginabili e hanno storicamente trovato applicazione. A riguardo può essere utile ricordare: 1) la teoria della differenziazione di Grasmann (Differenzierungstheorie), secondo la quale i criteri di collegamento in materia societaria devono necessariamente variare in relazione ai rapporti che prendono in considerazione. In particolare, mentre i rapporti interni tra i soci devono essere informati al principio della libertà di scelta delle parti attraverso l’applicazione del criterio della costituzione, i rapporti esterni, ponendo in essere esigenze di tutela dei terzi, necessitano l’applicazione di criteri di collegamento ulteriori al fine della salvaguardia delle posizioni di tali terzi.

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all’esigenza di tutela dei creditori e dei terzi che entrano in contatto con una legge straniera. L’autore, infatti, se da un lato aderisce alla teoria della costituzione (Gründungstheorie), dall’altro ritiene opportuna la «sovrapposizione» alla prima del criterio della sede reale quando lo richiedano particolari esigenze di protezione dei creditori e dei terzi.

3) Bisogna, infine, menzionare una serie di altri criteri che possono essere sintetizzati nell’espressione criterio «economico» in quanto fanno tutti riferimento ad elementi di fatto che valgono a creare un collegamento economico stretto della società con la struttura economica di un determinato Stato. In particolare: la nazionalità degli azionisti o del management, la sede delle assemblee e dei consigli di amministrazione, il luogo di sottoscrizione del capitale sociale, il paese in cui avviene l’emissione delle azioni o della maggior parte di esse. Tra i criteri elencati, tutti per vero ormai piuttosto desueti, un qualche interesse presenta la c.d. teoria del controllo144 secondo la quale

la nazionalità di una società, ai fini del riconoscimento della stessa nell’ordinamento che la prende in considerazione, è data dalla nazionalità dei soci di controllo o del management. La teoria del controllo ha trovato larga applicazione in tempi bellici come misura protezionistica per risolvere il problema delle c.d. «società nemiche». Essa veniva, infatti, utilizzata come società commerciali «obbedienti ad impulsi economici e politici stranieri» e rafforzare così l’effettività delle «misure prese contro i sudditi delle potenze nemiche». Il criterio del controllo, sebbene

144 Diffusamente Ballarino, Problemi di diritto internazionale privato dopo la riforma, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, Utet, 2007, vol. I, pp. 149 ss.

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anch’esso ormai caduto in desuetudine come criterio di collegamento per il riconoscimento della personalità giuridica delle società commerciali, sembra, tuttavia, trovare ancora oggi sporadica applicazione come misura protezionistica per tutelare determinati interessi economici nazionali. Si pensi, per esempio, ai recenti avvenimenti che hanno interessato l’italiana ENEL e la francese Gaz de France, dove il Governo francese ha, di fatto, impedito l’acquisizione della compagnia energetica francese da parte di ENEL in virtù di una legge che riservava il controllo di imprese considerate di carattere strategico a società a maggioranza azionaria francese. Oggi tali tesi contaminano sotto alcuni aspetti, i criteri tradizionali della sede reale e della sede di incorporazione ma non li troviamo certo negli statuti di diritto internazionale privato dei singoli Stati membri, se non quali fattori di connessione sussidiari.

Con riferimento alle teorie tradizionali invece è necessario fare delle considerazioni ulteriori alla luce dello sviluppo giurisprudenziale della Corte in materia di diritto di stabilimento. Il criterio dell’incorporazione della società ne esce sicuramente rafforzato, tanto che a seguito della sentenza Uberseering in particolare145, gran parte della dottrina146 si è chiesta se la Corte

145 Causa c-208/00, finalmente il fatto alla base di tale decisione prendeva in considerazione il trasferimento di società da uno Stato che segue la teoria dell’incorporazione ad uno Stato che segue la teoria della sede reale (Germania).

146 Mechelli, Libertà di stabilimento per le società comunitarie e diritto societario dell’Unione europea, in Riv. dir. comm., 2000, II, p. 83; Mucciarelli, Libertà di stabilimento comunitaria e concorrenza tra ordinamenti societari, in Giur. comm., 2000, II, p. 571 ss.; Gestri, Mutuo riconoscimento delle società comunitarie, norme di conflitto nazionali e frode alla legge: il caso Centros, in Riv. dir. internaz., 2000, p. 71; Della Chà, Companies, right of establishment and the Centros judgment of the european Court of Justice, in Dir. comm. internaz., 2000, p. 4. Ed ancora Lombardo, La libertà comunitaria di stabilimento delle società dopo il caso Uberseering tra armonizzazione e

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non avesse delegittimato e quindi ritenuto il criterio della sede reale incompatibile con il diritto di stabilimento riconosciuto alle società incorporate nell’UE o che presentano i requisiti di connessione richiesti all’art. 54 TFUE. La dottrina dello Stato di incorporazione certo favorisce la mobilità aziendale intra-UE, non postula problemi di discontinuità aziendale e rappresenta il presupposto della concorrenza tra le norme di diritto commerciale degli Stati membri ritenuta virtuosa dalla Corte: insomma è il criterio rispondente alla politica economica e del diritto seguita in UE.

D’altronde la compatibilità della teoria della sede reale con il combinato disposto degli artt. 49 e 54 TFUE è stata sin dall'inizio oggetto di acceso dibattito in dottrina147. L'opinione prevalente

riteneva che il Trattato non disponesse l'adozione di una particolare regola internazional-privatistica per la determinazione dell'attribuzione dello statuto personale alle società148, ma lasciasse spazio libero agli Stati membri per

l'applicazione della regola ritenuta più appropriata. Si riteneva che l'art. 48 non comportasse l'obbligo per un determinato Stato membro A di riconoscere le società dello Stato membro B in base al criterio di collegamento di quest’ultimo ma piuttosto, ai fini del riconoscimento, il proprio criterio di collegamento fosse,

concorrenza fra ordinamenti, in Banca, borsa, tit. cred., 2003, p. 463 e Ballarino, e molti altri favorevoli ad una indiretta affermazione della teoria dell’incorporazione.

147 Sul dibattito più antico in tema di riconoscimento di società sulla base delle disposizioni nazionali e delle disposizioni derivanti dal Trattato, ossia gli artt. 52 e 58 (oggi 43 e 48 TCE), v. Capotorti, Art. 58, in Trattato istitutivo della Comunità economica europea.

148 È da ricordare che tutti e sei gli Stati che originariamente firmarono il Trattato di Roma applicavano la teoria della sede reale o effettiva. I Paesi Bassi introdussero la teoria dell'incorporazione nel 1959.

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unicamente, quello rilevante. Perciò, era opinione diffusa che il Trattato non contenesse una norma di conflitto "originaria" europea ma che la delegasse agli Stati membri e che, quindi, sia la teoria della sede reale che la teoria dell'incorporazione trovassero piena legittimazione nel Trattato149. La Corte ha

definitivamente superato questa interpretazione ed ha posto limiti sostanziali alle norme nazionali (internazional-privatistiche o di diritto materiale) volte a scoraggiare le libertà garantite dagli artt. 49 e 54 TFUE che acquistano, perciò, il carattere di norme europee di conflitto originarie150.

L’applicazione del criterio della sede reale presenta tra l’altro numerosi problemi pratici: esso postula un collegamento effettivo con la vita economica e sociale di un dato territorio che può concretizzarsi in modo diverso, alcuni Stati intendono per sede reale il luogo centrale dell’amministrazione della società, altri il luogo in cui è collocato l’oggetto principale dell’impresa. Tale criterio è stato reso ancora più liquido dalla diffusione dei moderni mezzi di telecomunicazione e dalla globalizzazione delle imprese che rendono alle volte quanto meno discutibile la concreta individuazione della «sede dell’amministrazione»

149Santa Maria, EC Commercial Law, The Hague, 1996, 25,"Article 58 contains no rule of private international law, since it presumes that any conflict regarding the existence and functioning of companies is already determined and resolved by the competent rule of private international law as enacted under the legal system of each Member State in the Community. Therefore, Article 58, per se, does not serve to eliminate conflicts arising between legal systems which follow differing criteria in specifying the law regulating companies". Così, del resto, la stessa Corte di Giustizia nella sentenza Daily Mail (punti 20, 21 e 23 e i conclusivi 24 e 25). Nel caso Centros, la questione non viene affrontata direttamente dalla Corte ma le conclusioni a cui giunge lasciano percepire, almeno indirettamente, un atteggiamento di potenziale perplessità da parte della Corte degli effetti concreti della teoria della sede reale.

150 Con riguardo allo sviluppo giurisprudenziale della corte in materia, v. sopra, cap.1.

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(specialmente nel caso di decentramento delle strutture amministrative) o di qualsiasi altro criterio di collegamento effettivo, rischiando quindi di mettere in crisi la corretta applicazione del principio della sede151. Si pensi, per esempio,

all’impresa italiana che delocalizza in Cina l’intera produzione che vende in tutto il mondo, lasciando in Italia soltanto la sede sociale e pochi uffici. O si pensi ancora ad una multinazionale a capitale diffuso il cui «nocciolo duro» della proprietà sia costituito da accordi tra fondi di private equity la cui nazionalità non sempre è di facile individuazione. Nei casi citati, ed in tanti altri casi, l’applicazione del criterio della sede effettiva risulta di difficile applicazione. Ciò significa che qualora si voglia conservare il criterio della sede reale esso dovrebbe essere rivisto in modo tale da fornire dei parametri che consentano di determinare con certezza il suo ambito di applicazione (per esempio, valore delle proprietà possedute in un determinato territorio, calcolo dei ricavi derivanti dalle vendite in un determinato Stato, residenza dei possessori dei diritti di voto etc.).

La teoria della sede reale, d’altro canto, si erige a tutela degli interessi dei soggetti che intrattengono rapporti di diverso tipo con la società, essa è infatti una Schutztheorie (teoria di protezione, letteralmente). La scelta libera dei soci di costituire la società secondo l'ordinamento preferito e poi di agire nello Stato ospitante sulla base delle regole dello Stato di costituzione, che è espressione della libertà contrattuale, peraltro riconosciuta nel

151 Sul punto v., anche, Portale-Tombari, OPA transnazionale e decentramento delle strutture di governance, in Banca, borsa, tit. cred., 2002, pp. 308 ss., i quali riportanto il caso della Daimler- Chrysler AG, avente la sede legale a Stoccarda in Germania e le strutture amministrative operative situate in parte a Stoccarda e in parte nel Michigan.

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diritto delle obbligazioni contrattuali, viene negata per le società allo scopo di proteggere gli interessi (dei soci, dei terzi contrattuali e non contrattuali, dello Stato ecc.), che la società ed, in particolare, la personalità giuridica in essa ancorata, potrebbe pregiudicare. Indipendentemente dalla buona fede con cui la teoria della sede reale, come teoria protettiva di interessi legittimi, viene difesa, non sfugge che essa sia il risultato di un atteggiamento di chiusura preventiva verso i valori giuridici esterni e, secondo alcuni152, probabilmente il frutto di una

political economy legislativa che nulla aveva (ed ha) a che fare con la protezione di interessi di parti deboli, ma semplicemente come rent-seeking regulation da parte dei soggetti interessati ai servizi legali associati alla costituzione e gestione di una società. Anche la teoria dell'incorporazione non sfugge ad una critica in termini di political economy, si parla di natura imperialistica della teoria dell'incorporazione, in quanto estensione forzata del diritto inglese nei territori d'oltremare. Essa è, tuttavia, una teoria aperta che non impedisce l'uscita o l'entrata, comunque, in forma di trasferimento della sola sede effettiva dal territorio o nel territorio (il trasferimento della sede legale non è possibile né in Gran Bretagna, né negli Stati Uniti, dove la tipica re-incorporation avviene per fusione della società madre con la società figlia incorporata nel Delaware e la riqualificazione della nuova società in tutti gli Stati dell'Unione dove la nuova società intende operare). La Sitztheorie si presenta intimamente integrationsfeindlich (letteralmente “nemico dell’integrazione) perché parte dal presupposto, assunto ma non dimostrato, che la

152 Lombardo, La liberta` comunitaria di stabilimento delle societa` dopo il ‘‘caso Uberseering’’: tra armonizzazione e concorrenza fra gli ordinamenti, in Banca, Borsa, 2003, 456 e segg., nt 42.

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regolamentazione interna sia comunque superiore e migliore di quelle esterne che vengono così declassate: un tale atteggiamento non risulta certo compatibile con la costruzione di un mercato interno, dove i soggetti interessati possano godere delle libertà garantite dal Trattato.

Proprio perché il criterio della sede reale si erige a tutela dei soggetti terzi coinvolti, negli ordinamenti che seguono questa teoria, l’atteggiamento nei confronti delle società pseudo- straniere è assai duro. Tali ordinamenti negano l’accesso alle società in questione o attraverso un procedimento di disqualification o assoggettandole (in maniera più o meno pregnante) alla propria giurisdizione nel caso in cui siano di fatto amministrate nel proprio territorio o perseguano lì l’oggetto principale della loro impresa: la teoria della sede può dunque essere simmetrica o asimmetrica.

La prima (e più grave) ipotesi di sede reale simmetrica, trovava il suo esempio più eclatante nella Sitztheorie tedesca o nella teoria della sede real spagnola, si poneva addirittura un problema di riconoscimento153. Infatti, sotto tale più rigido approccio, di fronte

al tentativo di fuggire dall’applicazione delle regole dello Stato della sede mediante la creazione in via originaria o in via successiva di una società pseudo-straniera la reazione di quest’ultimo era: 1) il non riconoscimento dell’esistenza dell’ente straniero, che sarà trattato come una partnership di diritto interno con conseguente responsabilità illimitata dei soci; 2) il

153 Un analogo atteggiamento di ostilità nei confronti delle società pseudo- straniere si riscontrava anche in Austria. Tuttavia, a partire dal 1999 la Corte Suprema austriaca ha cambiato rotta e ha abbandonato il principio del non riconoscimento in vigore fino ad allora. V., HIRTE, L’evoluzione del diritto delle imprese e delle società in Germania negli anni 1998 e 1999, in Riv. Soc., 2003, p. 595.

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divieto, conseguente al non riconoscimento, di accedere alla giustizia nello Stato della sede reale e di registrare lì una sede secondaria ove ciò fosse necessario. In sostanza, ai soci non resterà altra strada se non la ricostituzione della società nel Paese della sede. Nella seconda ipotesi, invece, un problema di riconoscimento vero e proprio delle società non si pone neppure ma viene semplicemente imposta l’applicazione (integrale o parziale) della legge del Paese della sede che andrà a sovrapporsi o ad integrare quella del Paese di costituzione154. Un interessante

riferimento può essere fatto alla situazione del Giappone che ha recentemente cambiato il proprio atteggiamento nei confronti delle società pseudo-straniere. Infatti, il primo comma dell’art. 821 del nuovo Corporations Code ha addirittura stabilito che, a partire dall’entrata in vigore della legge di riforma del diritto societario155 non sono più riconosciute in modo assoluto le

società pseudo-straniere. Questa norma ha ricevuto molte critiche al livello diplomatico e delle istituzioni finanziare. Soprattutto perché, se si considera che la prassi degli investitori stranieri operanti in Giappone è stata, già a partire dai primi del Novecento, quella di operare tramite lo stabilimento di una sede secondaria di una società costituita all’estero e non tramite la costituzione di società di diritto locale, l’effetto della riforma potrebbe creare gravissimi problemi di legal compliance con conseguente fuga degli investitori dal Paese. Inoltre, storicamente

154 Anche se, per vero, l’imposizione della legge dello Stato della sede può, nel caso in cui questa legge risulti radicalmente incompatibile con quella del Paese di costituzione, portare di fatto alla necessità di ricostituzione dell’ente. 155 Le società pseudostraniere (giji gaioku-gaisha) «cannot do business in Japan», mentre il secondo comma prevede che “if a pseudo-foreign company should damage a client as a result of a transaction, the individuals of the pseudo-foreign company must compensate the damages”.

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il Giappone ha sempre aderito alla teoria della costituzione, ragion per cui un certo numero di imprese multinazionali operavano in quel Paese per mezzo di società pseudo-straniere costituite in ordinamenti ritenuti più favorevoli (per esempio, le Isole Cayman).

Anche gli ordinamenti che adottano la teoria dell'incorporazione pur non istituendo delle barriere al perseguimento di interessi economici legittimi (i quali trovano chiara tutela in essa), non restano completamente indifferenti alla tutela delle terze parti e in particolare, al fenomeno delle società pseudo-straniere. Anche in essi spesso sono dettate regole specifiche (c.d. pseudo-foreign corporations statutes) al fine di evitare il potenziale danno reputazionale che potrebbe conseguire dalla diffusione di mere mail box companies costituite in ordinamenti con una legislazione meno severa che non tutelino in maniera adeguata le varie categorie di soggetti che instaurano relazioni contrattuali con la società (soprattutto creditori, lavoratori e fisco, ma anche i soci nei confronti degli amministratori e i soci di minoranza nei rapporti con i soci di maggioranza). Per esempio, come si avrà modo di vedere in seguito, norme contro le società pseudo- straniere sono previste in gran parte degli ordinamenti comunitari che adottano la teoria della costituzione (tra i quali l’Italia, il Regno Unito, la Danimarca, l’Olanda) e in alcuni ordinamenti degli Stati Uniti (in particolare nello Stato di New York e in quello della California156). Gli Stati che prevedono questi

156 E’ interessare richiamare l’esistenza di un certo numero di precedenti nei quali le corti statunitensi hanno abbandonato il principio della «law of incorporation» ed hanno applicato in via equitativa la legge del luogo in cui è situato il centro amministrativo dell’ente. In California, addirittura, è previsto espressamente l’applicazione di molti aspetti del proprio diritto societario alle società pseudo-straniere. Il fatto che il Delaware e la California applichino un

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pseudo-foreign corporations statutes, dunque, da un lato consentono l’esportazione della propria legge societaria mentre dall’altro limitano l’importazione della legge societaria straniera. Si può parlare al riguardo di teoria della costituzione in senso «asimmetrico» per distinguerla dalla versione «pura» nella quale queste regole contro le società pseudo-straniere non sono presenti. La scelta: teoria della sede reale versus teoria della costituzione presenta anche divergenze sotto il profilo dei costi di informazione almeno con riguardo alle società pseudo- straniere157. La teoria della sede reale, imponendo la

ricostituzione secondo la propria legge di tutte le società che operano in via principale nel proprio ordinamento tutela i propri cittadini contro i costi che dovrebbero affrontare entrando in contatto con una società regolata da una legge ad essi non familiare, e si presta quindi anche sotto questo profilo per Paesi ad economie più chiuse.

Passando ad un’analisi comparatistica limitata ai soli Paesi membri dell’Unione Europea, aderiscono alla teoria della costituzione:

il Regno Unito158, la Bulgaria159, l’Irlanda160, la Lettonia, Cipro,

approccio diametralmente opposto in questa materia potrebbe dar luogo in futuro a gravi incertezze se si considera che gli Stati in questione sono tra quelli che attraggono più incorporazioni negli Stati Uniti.

157 Basti Pensare che la teoria della costituzione riduce i costi, anche relativi alle parcelle degli avvocati, che un soggetto familiare con il diritto inglese dovrebbe affrontare per costituire una società di diritto locale quando opera in Italia, e quindi anche sotto questo profilo si presta di più per ordinamenti esportatori di capitali.

158 In Inghilterra il principio della «law of incorporation» non è espressamente previsto dalla legge ma costituisce espressione dell’orientamento giurisprudenziale e dottrinale. Dicey-Morris, giustificano la validità della teoria della lex incorporationis in base alla convinzione dell’esistenza di un necessario parallelismo tra la posizione delle persone fisiche e quella delle persone giuridiche, nel senso che tanto alle prime quanto alle seconde deve

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l’Irlanda, la Danimarca, l’Estonia161, Finlandia162, la Lituania163,

Malta, l’Olanda, la Svezia164 e l’Ungheria165 Applicano, invece, il

criterio della sede reale: la Germania166, la Francia167, la