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La vita e le opere 91

Nel documento 1.1. La storiografia medievale. (pagine 42-58)

Capitolo 2 Paolo Diacono

2.2. La vita e le opere 91

Paolo Varnefrido, conosciuto con il nome di Paolo Diacono, nome adottato in seguito al suo ingresso nel monastero di Montecassino, è nato in Friuli, da una nobile famiglia longobarda, probabilmente nell’odierna Cividale all’incirca nel 725.

“ Paolo era friulano, come racconta lui stesso, quando – nel libro IV della sua Storia – ci parla dei suoi antenati, che discendevano dal suo trisavolo Leupchis, arrivato dalla Pannonia ( più o meno le moderne Ungheria e Slovenia) in Italia insieme ad Alboino e stanziatosi a Cividale. Leupchis faceva parte delle illustri famiglie che in quell’occasione il re assegnò a suo nipote Gisulfo perché presidiasse la regione, che era di vitale interesse strategico. L’occasione per inserire la sua personale biografia all’interno della storia generale del suo popolo è fornita a Paolo dalla narrazione della disastrosa incursione effettuata dal popolo nomade degli Avari nel Friuli all’inizio del VII secolo. Fu allora che il suo bisnonno Lopichis fu deportato ancora bambino nella terra degli Avari (ossia in Pannonia), insieme ai suoi quattro fratelli, come lui in età ancora infantile. Dopo parecchi anni di prigionia, divenuto adulto Lopichis fuggì e riuscì a rientrare in Italia con un viaggio avventuroso, che rappresenta uno dei brani più famosi dell’intera cronaca. Quando infine Lopichis arrivò a Cividale, trovò la sua casa natia semidistrutta: con un gesto simbolico di riappropriazione di ciò che era suo per diritto, appese allora la sua faretra ad un grande frassino che era cresciuto all’interno delle pareti dell’edificio in rovina. Riedificata la casa con l’aiuto di parenti e amici, la vita della famiglia di Paolo riprese il suo normale corso, e il nostro autore ci ricorda brevemente il nome del nonno Arechi, del padre Warnefrit e della madre Teodolinda. Un’ onomastica che, in due casi su tre (a parte Warnefrit), presenta nomi che appaiono fra quelli portati dai sovrani longobardi, a riprova ulteriore del fatto che Paolo ci vuole dire, con il suo racconto che mette in evidenza la discendenza dal gruppo entrato in Italia con Alboino, che la sua famiglia aveva un’illustre origine longobarda.”92

Non possiamo ricostruire con esattezza il periodo della formazione culturale di Paolo Diacono, ma grazie ad un epitaffio composto dal suo allievo e monaco cassinese Ilderico, deduciamo che sia entrato molto presto in contatto con la corte di Pavia. Trascorse poi alcuni anni alla corte pavese di re Ratchis (friulano come lui) che regnò dal 744 al 749. Paolo faceva parte di un gruppo di giovani aristocratici friulani che seguirono il nuovo re a Pavia.

“ L’usanza di allevare alla reggia ragazzi nobili, per quanto poco testimoniata nel mondo longobardo, era certamente antica, connessa con la concezione stessa della «corte» dei popoli germanici; la novità, databile forse dal regno di Cuniperto (688-700), è la preparazione scolastica data ai nobili longobardi.”93

91 Per quanto riguarda le notizie relative al profilo biografico e alle opere di Paolo Diacono, si faccia riferimento a: S.

Gasparri, Voci dai secoli oscuri, Roma, 2017, Carocci editore. Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, a cura di L.

Capo, Milano, 1992, Fondazione Lorenzo Valla / Mondadori. Paolo Diacono e il Friuli Altomedievale (secc.VI-X), Atti del XIV Congresso internazionale di studi sull’ Alto Medioevo, Cividale del Friuli – Bottenicco di Moimacco 24-29 settembre 1999, tomo primo, Spoleto, 2001, centro di studi sull’alto medioevo. C. Leonardi, Letteratura latina medievale un manuale a cura di C. Leonardi, 2018, Firenze, Sismel, Edizioni del Galluzzo, R.G. Witt, L’eccezione italiana, Roma, 2017, Viella. Paolo Diacono, Uno scrittore fra tradizione longobarda e rinnovamento carolingio, Convegno internazionale di studi, a cura di P. Chiesa, Udine, 2000, Forum. E. D’Angelo, La letteratura latina medievale, Roma, 2009, Viella.

92 S. Gasparri, Voci dai secoli oscuri, Roma, 2017, Carocci editore, p.18.

93 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, a cura di L. Capo, Milano, 1992, Fondazione Lorenzo Valla / Mondadori, pp.

XVIII – XIX.

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Un’ulteriore prova della presenza alla corte longobarda, ci viene fornita dallo stesso Paolo, quando narra di aver visto il re Ratchis mostrare ai suoi ospiti gli oggetti del tesoro reale, tra i quali il cranio del re gepido Cunimondo utilizzato come tazza per bere.

Nella corte pavese Paolo ha completato la sua formazione intellettuale, studiando la grammatica, i testi storici e i padri della Chiesa. Probabilmente ha avuto anche una preparazione giuridica: lo dimostra il fatto che egli cita l’Editto di Rotari e conosce bene la suddivisione del Corpus Iuris di Giustiniano.

Non sappiamo invece con certezza dove Paolo abbia studiato il greco. In un carme indirizzato a Carlo Magno, riferisce di avere una conoscenza scarsa di tale lingua, che aveva appreso in una scuola da puerulus.

Sia Cividale, città vicina al confine bizantino, sia Pavia entrambe in rapporti culturali con l’impero, non potevano ospitare una scuola di greco di alto livello, dovevano limitarsi ad una conoscenza basilare di tali lingue, utile per fini pratici.

Al termine dei suoi studi Paolo padroneggiava il latino scritto, tanto da poterlo insegnare.

Aveva anche una conoscenza approfondita dei testi scientifici e storiografici d’età imperiale e cristiana.

“ Il latino di Paolo è colto, ma accoglie un gran numero di vocaboli e anche di costrutti post-classici, già entrati nell’uso letterario grazie agli autori cristiani, e quindi non «volgari», specchio però di una lunga e ancora aperta evoluzione della lingua, e non di un modello statico. I suoi versi conoscono le regole della metrica classica, ma anche quelle della ritmica moderna, cui danno anzi nuova misura, e come generi, contenuti ed espressioni, sono legati soprattutto alla produzione a lui più vicina nel tempo. La cultura antica gli permise insomma di meglio capire il presente e misurarne la distanza con il passato, ma senza rimpianti e nostalgie, perché il presente, nel suo giudizio, è portatore di valori autonomi.”94

A Pavia, guidato da Ratchis, Paolo si è dedicato anche agli studi sacri e, attraverso le sue opere, riconosciamo testi di carattere storico, documentario e omiletico. Nei suoi scritti egli non mostra troppo interesse per la dottrina cristiana, sebbene la accetti, e non gli riempie con citazioni scritturali e disquisizioni teologiche. Paolo ritiene l’azione della morale cristiana come elemento costitutivo della storia.

Morti il re Ratchis e il fratello Astolfo, suo successore, che regnò fino al 757, Paolo restò in buoni rapporti con i successivi re Longobardi e divenne precettore di Adelperga, figlia dell’ultimo re Desiderio e sposa di Arechi II duca di Benevento.

Dal 763 al 769 Paolo si trovava a Benevento, presso la corte di Arechi II, lì ha curato l’istruzione della moglie Adelperga, figlia di Desiderio, anche se probabilmente, era già stato il suo precettore alla corte di Pavia.

“ Il ruolo svolto da Paolo a Benevento fu certo un ruolo politico, perché politica era la sua cultura – e tutta la cultura longobarda di cui abbiamo testimonianza -, legata cioè al bisogno di definire

94 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, a cura di L. Capo, Milano, 1992, Fondazione Lorenzo Valla / Mondadori, p.XX.

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e adeguare sé stessi e le proprie possibilità storiche a una situazione nuova e complessa, come quella trovata in Italia”95

In onore della duchessa Paolo compose l’Historia Romana, opera che ha avuto molta fortuna nel Medioevo. La corte di Benevento, dopo il 774, anno della caduta del regno longobardo, è stato un luogo di rifugio per gli esuli provenienti da nord, un esempio di conservazione politica e di raccolta di tutta la tradizione di tale popolo.

Dopo la sua esperienza in Italia meridionale, Paolo torna a Pavia da re Desiderio, in qualità di consigliere e vi resta fino alla conquista del regno Longobardo da parte di Carlo Magno nel 774. Tale data è decisiva sia per la vita di Paolo, sia per la storia dei Longobardi.

“ Si è definito l’anno 1274 come un anno-cerniera: la morte in quell’anno, a pochi giorni di distanza, di Tommaso d’Aquino e di Bonaventura da Bagnoregio, ha fatto pensare che un tempo storico fosse finito ed un altro cominciasse; finito un grande tentativo, andato a buon risultato, di una sintesi tra il grande pensiero greco e un cristianesimo maturo, non si poteva che ritenere chiusa una grande vicenda intellettuale, una grande epoca. Si può forse definire anche il 774 un anno cerniera, che cade precisamente, mezzo millennio prima. È l’anno della vittoria di Carlo Magno sui Longobardi. Con questa data si chiude la storia stessa dei Longobardi, come popolo autonomo e sovrano, e il regno longobardo passa ai Carolingi. Ma così cambia tutto il mondo occidentale; è questo il passo dai regni germanici al sacro romano impero, e la grande personalità di Carlo Magno assume un ruolo storico prima non previsto.”96

Dopo la fine del regno longobardo, Paolo, all’incirca nel 779, decise di ritirarsi nell’abbazia di Montecassino.

“ In seguito – prosegue - Paolo, nonostante la fama e gli onori, abbandonò ogni gloria mondana e si fece monaco a Montecassino. Gli studiosi hanno per lo più messo questa scelta in relazione con eventi gravi della storia longobarda: l’abdicazione di Ratchis (749) o la caduta stessa del regno, ma l’epitaffio la presenta come dovuta a motivi spirituali e individuali, non all’influsso di particolari avvenimenti, e comunque la pone prima del 774, non solo perché tutta l’ottica del carme è longobarda, ma perché sappiamo con certezza che Paolo era già monaco quando venne in contatto con Carlo Magno, e quindi Ilderico non può riferirsi agli onori da lui ricevuti in Francia. Anche l’appartenenza di Paolo allo stato monastico è stata sentita come il segno di una sua difficoltà nei confronti del mondo longobardo: una fedeltà diversa che gli rende drammatico il rapporto con la storia, o un vero e proprio abbandono della cultura della sua gente. Ma Paolo non identifica la condizione monastica con una causa politica – che condanna in modo chiarissimo -, perché la perfezione e l’utilità del monaco per gli uomini non derivano dal suo impegno nelle questioni del mondo, ma al contrario dall’assenza di questo: è perché sono più vicini a Dio, più santi, che i monaci

«servono» ai laici, assistendoli nel loro rapporto con Dio ( nell’ HL sono i monaci e gli eremiti quelli che fanno i miracoli, miracoli principalmente di natura spirituale). La scelta monastica di Paolo non comporta dunque passaggi di campo politico, perché non si muove affatto su questo piano. E non significa un rifiuto del mondo longobardo in quanto tale. Sebbene mantenesse sempre un rapporto

«lento» tra chiese e istituzioni civili, il mondo longobardo partecipò infatti in misura via via crescente alla vita religiosa, soprattutto attraverso monacazioni e fondazioni di monasteri. Si tratta di fenomeni

95 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, a cura di L. Capo, Milano, 1992, Fondazione Lorenzo Valla / Mondadori, p.XXV.

96 C. Leonardi, La figura di Paolo Diacono, in Paolo Diacono e il Friuli Altomedievale (secc.VI-X), Atti del XIV Congresso internazionale di studi sull’ Alto Medioevo, Cividale del Friuli – Bottenicco di Moimacco 24-29 settembre 1999, tomo primo, Spoleto, 2001, centro di studi sull’alto medioevo, p.13.

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complessi, che rifiutano spiegazioni univoche: disagi esistenziali, dovuti alla lacerazione politica tra regno e papato, possono sommarsi a ragioni di difesa personale ed economica nei momenti di grave crisi (come negli anni di Astolfo e all’avvento dei Carolingi, che sono periodi in cui si intensificano le monacazioni). Ma non valgono, almeno da soli, a spiegare altri casi, come quelli di potenti personaggi del secolo che divengono, monacandosi, potenti capi spirituali, al centro di una vasta organizzazione sociale e culturale del territorio, in rapporto anche stretto con i re. E non eliminano la componente spirituale, di vera vocazione, che può correre sotto tutte le altre motivazioni e che può essere l’unica testimoniata, come è proprio nel caso di Paolo.”97

Nel 776, i friulani guidati dal duca Rotgaudo, decisero di ribellarsi ai franchi. I rivoltosi subirono una pesante sconfitta sul fiume Livenza, che segnava il confine tra Veneto e Friuli. È stata durissima la repressione, a cui hanno fatto seguito numerose uccisioni ed espropri. In seguito a questa ribellione la famiglia di Paolo ha perso tutti i suoi averi e Arechi, fratello di Paolo, fatto prigioniero fu portato in Francia.

Nel 781 Paolo decise di andare a Roma, dall’imperatore, per chiedere la liberazione del fratello dopo aver scritto, prima del 783 un solenne componimento in distici elegiaci: Verba tui famuli, rex summe, adtente serenus ( Le parole del tuo servo, sommo re, ascolta sereno). In modo umile e dignitoso, supplica l’imperatore di liberale il fratello prigioniero ormai da sette anni.

“ La poesia esprime puro pathos nel descrivere l’estrema povertà del fratello, che costringe la moglie di quest’ultimo a mendicare con labbra tremanti cibo sulle piazze della città natale:

Captivus vestris extunc germanus in oris est meus afflicto pectore, nudus, egens. Illius in patria coniunx miseranda per omnes mendicat plateas ore tremente cibos.”98

L’imperatore accettò la sua richiesta, e lo convinse a seguirlo nella sua corte di Francia, dove Paolo ha trascorso un periodo che va dal 782 al 786, dando il suo contributo alla realizzazione del progetto di rinnovamento culturale voluto da Carlo Magno.

“ A suo agio nelle corti regie, Paolo sapeva giocare il ruolo del cortigiano, partecipando al gioco di moda di inventare e risolvere enigmi in latino. Questi enigmi costituiscono una parte del suo corpus poetico, che comprende un’ampia gamma di generi, dalla poesia didattica di Adsunt quattuor in prima iunctione species (Sono quattro le forme della prima coniugazione), una serie di rime mnemoniche che citano regole grammaticali, all’elogio lirico del Lago di Como, Ordiar unde tuas laudes, o maxime Lari? ( Da dove cominciare le tue lodi, vastissimo Como ?). Il suo talento per la satira è illustrato meglio dalla sua arguta risposta alla lettera, composta da Pietro di Pisa per conto di Carlo Magno, in cui si adulavano i suoi talenti e si insisteva perché rimanesse a corte. Nonostante il successo ottenuto alla corte di Carlo Magno, Paolo non aveva dimenticato il conforto spirituale conosciuto a Montecassino. In una delle più belle lettere del rinascimento carolingio, scritta dalla corte al suo abate, Paolo esprime la sua nostalgia per i fratelli monaci e ricorda affettuosamente l’organizzazione giornaliera del loro comune culto: «In confronto al vostro chiostro, il palazzo per me è una prigione; in contrasto con l’immensa pace in cui vivete, qui sopporto la tempesta».”99

97 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, a cura di L. Capo, Milano, 1992, Fondazione Lorenzo Valla / Mondadori pp.

XX– XXI – XXII.

98 C. Leonardi, Letteratura latina medievale un manuale a cura di C. Leonardi, 2018, Firenze, Sismel, Edizioni del Galluzzo, p. 62.

99 R.G. Witt, L’eccezione italiana, Roma, 2017, Viella, pp 38-39.

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Dopo il 786, Paolo ha lasciato la corte dell’imperatore per ritornare in Italia, nel Monastero di Montecassino, dove morirà all’incirca nel 799.

Paolo Diacono può essere considerato poeta, scrittore erudito e agiografo; si è distinto in vari campi, ma viene ricordato principalmente per le sue opere di natura storiografica.

“ La distribuzione cronologica delle opere di Paolo è stata ricostruita sulla base di un certo numero di assunzioni: la sua religiosità, la quiete e la solitudine necessarie per scrivere, il rapporto con Adalperga, il soggiorno a Montecassino, e il fatto che sappiamo con certezza che mentre scriveva certe opere si trovava in certi luoghi.”100

Paolo, durante il suo soggiorno a Benevento alla corte di Arechi II, ha scritto un carme composto dopo il 774 in esaltazione delle fondazioni salernitane del sovrano ispirate a modelli e concernenti le costruzioni e l’Historia romana, composta prima del 774 e dedicata ad Adalperga, moglie di Arechi II di cui Paolo è stato il precettore.

Nel Medioevo l’Historia Romana si è dimostrata il testo storiografico più usato come manuale e come ci racconta lo stesso autore, nella lettera dedicatoria ad Adalperga doveva essere un ampliamento del Breviarium di Eutropio.

“ Due sono le opere storiche importanti in questione: la Historia Romana e la Historia Langobardorum. La prima (composta intorno al 770, prima che Paolo si recasse in Francia) è un’opera cospicua in sedici libri basata ampiamente sul Breviarium di Eutropio, a sua volta una sinossi di storia romana in dieci libri dalla fondazione della città fino al tardo IV secolo. Alla sinossi di Eutropio Paolo aggiunse altri sei libri (XI- XVI), in cui prosegue la narrazione fino al tempo di Giustiniano (565), servendosi come fonti di Giordane, della Cronaca di Girolamo, di Prospero, Orosio, Isidoro, della Historia ecclesiastica di Beda e del Liber pontificalis. Nel registrare la cronaca degli eventi del VI secolo, Paolo ampliò l’ambito dell’analisi di Eutropio così da comprendere non soltanto Roma ma l’Italia intera; le sue descrizioni degli Unni, dei Vandali e degli Ostrogoti rendono l’Historia Romana un vero e proprio trattato sul «declino e la caduta dell’impero Romano», o piuttosto sulla trasformazione dell’impero romano nell’Italia dei tempi di Paolo.”101

È interessante notare come Paolo, nello scrivere l’Historia Romana, sia riuscito a comporre un quadro oggettivo della storia, senza passione e senza avversione, nonostante le fonti di cui disponeva offrissero un’immagine di grande esaltazione o di grande condanna.

Durante il suo soggiorno alla corte di Carlo Magno Paolo ha avuto modo di conoscere persone, di ascoltare storie e di stringere nuove amicizie, e su richiesta delle quali ha composto degli scritti. A corte ha insegnato inoltre grammatica e composto un’Ars grammatica, scritto molte omelie per il servizio liturgico, epitaffi per la morte di vari membri della famiglia reale, una storia dei vescovi di Metz, inni religiosi, una collezioni di sermoni di Gregorio Magno, e una vita dello stesso papa.

“ Un’altra opera che Paolo compose su richiesta di Carlo Magno è l’Omiliario, un’ampia raccolta di duecentoquarantaquattro omelie ordinate secondo l’anno liturgico (in due volumi: inverno ed estate), e desunta principalmente dalle omelie più antiche di Agostino, Leone, Gregorio Magno, Massimo di Torino e Beda. Con l’approvazione di Carlo Magno l’Omiliario di Paolo fu ampiamente

100 R. McKitterick, Paolo Diacono e i Franchi: il contesto storico e culturale, in Paolo Diacono, Uno scrittore fra tradizione longobarda e rinnovamento carolingio, Convegno internazionale di studi, a cura di P. Chiesa, Udine, 2000, Forum, pp. 9-28 (in partic. p.15)

101 C. Leonardi, Letteratura latina medievale un manuale a cura di C. Leonardi, 2018, Firenze, Sismel, Edizioni del Galluzzo, pp.62-63.

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usato nel regno franco ed esercitò una grande influenza sui successivi omilisti in volgare come l’inglese Ælfrico di Eynsham.”102

I Gesta episcoporum Mettensium del 784 è l’opera più importante e l’unica di natura storiografica scritta da Paolo Diacono durante il suo soggiorno alla corte di Carlo, per Angelramno l’arcivescovo di Metz.

“Composti seguendo la formula del Liber pontificalis della Chiesa di Roma, che Paolo conosceva bene, e primo esempio a noi rimasto del genere dopo il prototipo, i Gesta furono scritti in lode alla sede di Metz, e articolati in una serie di brevi biografie dei suoi vescovi, dal fondatore Clemente, inviato da Pietro, fino a Crodegango immediato predecessore di Angelramno. Opera in bilico tra agiografia e pubblicistica, i Gesta – come il Liber pontificalis - sono storia solo nel senso che la loro motivazione è tutta nella realtà concreta e politica, che si vuole guidare e influenzare attraverso i dati storici già interpretati. Essi sono quindi in strettissima relazione con l’ambiente per cui sono prodotti e non con il suo estensore materiale, il quale è presente con la sua personalità e si crea uno suo spazio, ma in controcanto rispetto al tema dominante, che è quello dell’esaltazione dell’origine apostolica, della dignità spirituale, del particolarissimo rapporto della Chiesa di Metz con la casa regnante.”103

L’opera più importante di Paolo Diacono è stata composta al suo ritorno in Italia: si tratta dell’Historia Langobardorum di cui parlerò nel prossimo capitolo.

Merita un discorso a parte la produzione poetica di Paolo Diacono in quanto poco studiata.

“ A differenza dell’opera storiografica la poesia di Paolo Diacono ha ricevuto pochissime attenzioni da quando Karl Neff pubblicò, su consiglio e dietro la guida di Ludwig Traube, l’edizione che ancora oggi ne costituisce il testo critico più accreditato. I più recenti studi sull’argomento ricordano infatti, oltre alle poche pagine sulla mia antologia, solo il breve studio di Ermini e le osservazioni, come al solito penetranti, di Gustavo Vinay in Alto medioevo latino, cui possiamo aggiungere le annotazioni cursorie di Bezzola, von den Steinen, Bernt, Brunhölzl e poco altro. […] Come è noto, l’edizione di Neff sostituiva quella curata da Ernst Dümmler nel primo volume dei Poetae Latini Aevi Carolini dei Monumenta Germaniae Historica, successiva a quella estremamente difettosa di Felix Dahn.

Dümmler si fondava sugli esiti delle ricerche comprese nel suo monumentale studio del 1879 su Die handschriftliche Überlieferung der lateinischen Dichtungen aus der Zeit der Karolinger, col quale portava avanti la recensio tentata da Bethmann arricchendola di segnalazioni di ulteriori manoscritti.

Nell’edizione non utilizzò tutti i codici menzionati nel «Neues Archiv», ma poté comunque usufruire di un quadro esauriente della tradizione e di collazioni dirette, personali o altrui, dei manoscritti principali. Non ridusse la tradizione ad un disegno organico, ossia – nei termini con cui si suole semplificare la tradizione – non propose uno stemma. Ma chi lavora sulla poesia latina altomedievale sa bene che l’albero genealogico dei testimoni è nella maggior parte dei casi un problema insolubile e spesso inutile: anche quando la tradizione è ricca e ramificata, come in Paolo Diacono o in Gotescalco, quasi mai ci troviamo di fronte a trascrizioni in blocco delle opere di un autore, dunque di copie confrontabili su una base omogenea. Quasi sempre si tratta di raccolte tematiche o antologie di genere nelle quali alcuni testi di un autore compaiono accanto a quelli di altri autori, con o senza

102 C. Leonardi, Letteratura latina medievale un manuale a cura di C. Leonardi, 2018, Firenze, Sismel, Edizioni del Galluzzo, p.62.

103 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi, a cura di L. Capo, Milano, 1992, Fondazione Lorenzo Valla / Mondadori p.XXVII.

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indicazione del nome, e dunque ogni testimone lo è di gruppi diversi di poesie, raramente sovrapponibili.”104

L’opera poetica di Paolo è conservata in sei codici anche se non in maniera omogenea.

- “ il parigino 528 (P), del IX secolo, proveniente da Saint-Martial di Limoges, che conserva alcune epistole metriche, i ritmi di attribuzione incerta, alcuni epitafi (compreso quello a Costanzo prima attribuito a PD, poi riconosciuto più antico, e quello a Toctrone estratto dall’ Historia Langobardorum III 19 e poi non più isolato come testo a sé stante): da questo ricavò la sua editio princeps l’abate Leboeuf nel 1730.

- Il codice di Lipsia Rep. I 74, del X secolo (L), un’antologia poetica da Ovidio e Marziale ai carolingi, che conserva poesie del primo periodo di Paolo Diacono, più epigrafi per alcune chiese e per il tribunale di Salerno.

- Il codice di San Gallo n.899, del X secolo (G), una parte del quale è diventato Vaticano Reg. 421, che tramanda sia poesie della fase longobarda sia le favole di paternità dubbia sia epigrafi sia lettere del circolo carolingio. Una copia, fatta quando il manoscritto era ancora integro, si trova nel Fuldense C 11 del sec. XV, utile a supplire una lacuna fra i due tronconi residui.

- Il codice harleiano 3685 (H), del XV secolo, appartenuto a Peutinger, contiene invece poesie scritte in Italia, epitafi, la lettera a Carlo Magno per il fratello, accanto a testi incerti (Ad Abbatem «Sit tibi sancta phalanx»).

- Il famoso berlinese Diez B 66 (B) della fine dell’VIII secolo, su cui tanto si è scritto anche di recente e che, com’è noto, ha contenuto grammaticale e catalogico, conserva anche uno scambio epistolare con Pietro di Pisa e i versi di ‘Fiducia’ ad Angelramno che Neff ha pubblicato nella sua edizione, ma per i quali ancora non si è riusciti a proporre un’attribuzione convincente.

- Ultimo il San Gallo 573 (I), fra IX e X secolo, che riporta i due ritmi De sacerdotibus e due epigrafi nella stessa sequenza di L, più una coniuratio convivarum, inno simposiale alla bevuta.

- La serie di epigrafi funerarie di S. Arnolfo a Metz, trascritte da Gaspar Brusch nel 1549 (Chronologia monasteriorum Germaniae, Ingolstadt 1551; ed. II, pp. 99 – 101) e poi da Cesare Baronio nel 1552 ( Annales ecclesiastici, Roma 1591, a. 786 n. 7; a 811 n. 48; ed.

Colonia 1605-1609, vol. IX, pp. 415 e 628) prima della loro distruzione, è conservata da copie umanistiche in due codici di Bruxelles (6842) e di Metz (ms. 64, olim G. 76, secc.

XIV – XV). André Du Chesne le pubblicò da un altro testimone a noi ignoto, Pertz dal Parigino 5294 dell’XI secolo, Martin Meurisse (Histoire des évesques de Metz, Metz 1634, p.28) da un altro codice mettense ora perduto. Anche l’edizione del Migne si basa su un manoscritto, la cui identificazione con testimoni a noi noti non è affatto sicura. Dunque

104 F. Stella, La poesia di Paolo Diacono: nuovi manoscritti e attribuzioni incerte, in Paolo Diacono, Uno scrittore fra tradizione longobarda e rinnovamento carolingio, Convegno internazionale di studi, a cura di P. Chiesa, Udine, 2000, Forum, pp. 551 – 574, (in partic. pp.551- 552- 553.)

Nel documento 1.1. La storiografia medievale. (pagine 42-58)

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