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Strategie di crescita e gestione dei rischi nella banca locale: la bcc Senatore Grammatico

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Indice

Introduzione……….

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Capitolo 1

TRASFORMAZIONI DEL SISTEMA BANCARIO ITALIANO, FATTORI NORMATIVI, ECONOMICI E CULTURALI………5

1.1 Il rapporto con il sistema delle piccole imprese………5

1.2 Il contesto nazionale……….8

1.2.1 Il contesto meridionale………...9

1.3 La struttura dell’ offerta ………...11

1.4 Banche popolari nel contesto europeo………...13

1.5 L’attività di vigilanza nel meridione………...15

1.6 La banca e i distretti industriali………..16

1.7 I distretti tecnologici ………..18

1.8 Linee di intervento ……….21

Capitolo 2

IL LOCALISMO BANCARIO………

23

2.1 Che cos’è la banca locale………...23

2.2 Caratteri distintivi della banca locale………25

2.3 La banca locale tra passato e futuro, ieri e oggi………27

2.4 Efficienza delle banche locali dinanzi all’unificazione dei mercati finanziari………….32

2.5 Sviluppo locale delle banche……….35

2.6 Limiti e opportunità delle banche locali………37

2.7 Spazio economico della banca e comportamenti dei gruppi con cui interagiscono…...40

2.8 L’operatività delle banche locali………...42

2.9 Private equity e banche locali alla luce della crisi finanziaria………...45

2.9.1Intervento delle banche nelle attività di private equità………...47

2.9.2 Incentivazione e potenziamento del private equity a sostegno delle PMI…………....54

2.10 Il sostegno all’economia……….58

2.11 La governance della banca e il bisogno di cambiamento nei processi decisionali……59

2.11.1 Il modello di governance delle casse di risparmio………..60

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2.11.3 Il modello di governnce delle bcc………...63

2.12 Prospettiva di evoluzione della struttura delle banche locali………66

2.13 Profili tecnici……….68

Capitolo 3

GLOBALIZZAZIONE E LOCALISMO: IL RUOLO E LE STRATEGIE

DELLE BCC NELLO SVILUPPO DELL PMI………...71

3.1 Le Banche locali dopo l’introduzione del T.U. DEL 1993………71

3.2 Le BCC nel sistema bancario nazionale………...73

3.3 Territorio di radicamento delle bcc………....75

3.3.1 Vantaggi e svantaggi informativi………....77

3.4 Il ruolo delle BCC: Main Bnk………...79

3.5 Possibili interventi di miglioramento……….83

3.6 Il fondo di garanzia istituzionale del credito cooperativo………..85

3.7 La regolamentazione del comitato di Basilea………....86

3.7.1 Il credito cooperativo e le prospettive di Basilea3……….87

3.7.2 Capitale e leverage……….90

3.7.3 Il ratios della liquidità………....90

3.7.4 Le policy della liquidità negli istituti centrali………....91

3.7.5 Il capitale………...92 3.8 Le condizioni per lo sviluppo del credito cooperativo……….93

3.9 L’evoluzione delle BCC ………..94

3.10 L riorganizzazione delle BCC ………...97

3.11L’attività delle BCC nei sistemi economici locali………..98

Capitolo 4

STRATEGIE, INNOVAZIONE E GESTIONE DEI RISCHI……….101

4.1 Peculiarità degli aspetti finanziari utili all’innovazione delle imprese………....101 4.2 Il ruolo delle banche per l’innovazione e il cambiamento………...102 4.3 Il sistema di reti………...103

4.4 Prospettive di crescita delle BCC………...105

4.5 Attenzione i rischi per superare le criticità tecniche ed organizzative………....108

4.6 La banca e la gestione dei rischi………...110 4.6.1 Le diverse tipologie di rischio………....112

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3

4.6.3 Il rischio reputazionale………..118

4.6.4 Il rischio operativo……….120

4.7 Il CRS: customer risk self assessment………..123

4.8 Gestione dei conflitti di interesse all’interno del contesto bancario………123

4.9 La mappatura dei rischi………125

4.10 L’internal audit e la sua funzione nelle banche……….127

CAPITOLO 5: La BCC Senatore Grammatico di Trapani

………130

5.1 Cenni Storici……….130

5.1 L rete territoriale………...131

5.2 Sistema dei controlli interni e politiche di copertura………133

5.3 La gestione dei rischi della Senatore Grammatico………..135

5.3.1 Il rischio di credito………136

5.3.2 Il rischio di tasso di interesse………137

5.3.3 Il rischio di cambio………139

5.3.4 Il rischio di liquidità………..139

5.3.5 Il rischio operativo………140

5.4 Linee strategiche e piano di azione della bcc Sanatore Grammatico………..141

5.5 Il processo ICAAP………...142

5.6 La mappa dei rischi………..144

5.7 Le politiche di gestione dei rischi di credito………145

5.8 Quantificazione prospettica dei rischi………..146

Conclusioni……….147

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Introduzione

Nell’ultimo decennio il sistema bancario italiano è cambiato profondamente, nelle dimensioni, nel modo di operare, negli assetti organizzativi. Il rapido progresso nelle tecnologie della comunicazione e dell’informazione, l’innovazione finanziaria, la crescente apertura internazionale, i cambiamenti nella domanda di servizi bancari e finanziari hanno innalzato il livello della concorrenza e dato impulso a un vasto processo di concentrazione tra gli intermediari.

Le aggregazioni hanno determinato un aumento della dimensione media degli intermediari, una maggiore complessità ed articolazione delle strutture organizzative dei gruppi, una diversificazione delle strategie e dei canali di contatto con la clientela. Il numero di banche in attività si è sì ridotto, ma la notevole espansione della rete degli sportelli ha consentito di mantenere elevato il tenore concorrenziale nei mercati locali del credito.

Le spinte verso una crescente integrazione dei mercati, soprattutto finanziari, hanno favorito una progressiva uniformità delle caratteristiche e delle specificità dei diversi sistemi bancari, ormai dominati esclusivamente dal principio della ricerca della massima redditività delle operazioni finalizzate all’erogazione del credito. L’industria bancaria italiana ha condiviso questo percorso e all’inizio degli anni novanta un insieme di provvedimenti ridefiniva il quadro normativo della sua attività, le cui linee portanti erano rimaste sostanzialmente inalterate fin dalla legge bancaria del 1936. Nei primi anni del 1990 venivano rimossi i vincoli alla costituzione di nuove banche e all’apertura di sportelli, già il Testo Unico Bancario (TUB) raccoglieva le innovazioni legislative intervenute nella disciplina dell’attività bancaria e, nel contempo, rendeva il nostro ordinamento compatibile con la normativa comunitaria. Sono stati analizzati i riflessi organizzativi delle strategie di gestione dei rischi ed in particolar modo dei rischi operativi, dal punto di vista della Vigilanza (Basilea 2 ed i suoi tre pilastri), sono state analizzate le tecniche di misurazione e gestione dei rischi operativi della banca locale di Trapani BCC Senatore Grammatico. In ultimo si è analizzata l'importanza delle

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5

funzioni di controllo interne in Banca ai fini del contenimento dell'esposizione della banca al rischio operativo, sottolineando l'importante ruolo della funzione di Internal Audit e dimostrando come la carenza dei controlli e di organizzazione sia una causa determinante di rischio operativo.

Capitolo

1.

TRASFORMAZIONI

DEL

SISTEMA

BANCARIO

ITALIANO: FATTORI NORMATIVI ECONOMICI E CULTURALI

1.1 Il rapporto con il sistema delle piccole imprese

L' Italia ha ereditato dal passato un sistema bancario del tutto anomalo e peculiare, quello nato dalla riforma bancaria del 1936. Tale sistema nasceva per porre rimedio alle enormi difficoltà in cui versavano le banche e le imprese italiane, travolte dalla recessione e mirava a perseguire prevalentemente la stabilità, anziché l’efficienza dello stesso. Inoltre, le istituzioni erano coscienti dell'incapacità del mercato, lasciato libero a se stesso, di uscire da quella emergenza. Nell’ordinamento del 1936 la banca veniva definita come istituzione, incaricata di svolgere un compito con finalità pubbliche e cioè quello di erogare credito: essa, infatti, non era considerata come un’impresa finalizzata a soddisfare logiche di redditività, ma a compiere un servizio pubblico, concedere credito al sistema industriale, fornitura di servizi ai

cittadini, come l’approvvigionamento di acqua, gas, elettricità o trasporti. Nel nostro Paese si è realizzata, quindi, una situazione insolita; un sistema creditizio

prevalentemente pubblico ha stimolato la crescita di quella piccola imprenditoria diffusa, che sola era in grado di creare condizioni di effettiva competitività dei mercati, mentre le strutture creditizie, gestite secondo una logica rigidamente privatistica, hanno invece favorito il formarsi all’interno del sistema industriale di posizioni dominanti, degenerate spesso in forme monopolistiche e/o oligopolistiche, le quali hanno evidenziato come un sistema creditizio, impostato secondo la logica di erogazione di un servizio di pubblica utilità, abbia incentivato la crescita di una imprenditoria diffusa e concorrenziale.

Tale sistema, infatti, ha garantito all’Italia la rapida ricostruzione postbellica e un processo di sviluppo molto diffuso sul territorio, che non ha avuto eguali in nessun altro paese del mondo. Esistevano, tuttavia, anche in quel sistema dei notevoli limiti: la frammentazione funzionale e geografica dell’attività creditizia, oltre alla preponderante presenza pubblica, che finirono per neutralizzare i benefici effetti nei confronti del sistema produttivo, peggiorando la qualità del servizi accrescere i costi.

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Con il passare del tempo, i grandi mutamenti a livello internazionale che portarono a far prevalere, agli inizi degli anni Ottanta, i principi ispirati al monetarismo e al liberismo, finirono per spingere verso la distruzione di quel sistema creditizio con finalità pubbliche, ormai condizionato in misura negativa, sotto l'aspetto dell’efficienza, dalla presenza nella

gestione dei singoli istituti di quelle che sono state definite le "derive clientelari". La principale conseguenza si è avuta sul piano dell’assetto proprietario delle banche,

attraverso la loro privatizzazione e con il passaggio dalla banca istituzione, alla banca impresa, mirante esclusivamente a massimizzare il più possibile la redditività dell’investimento, dimenticando il ruolo di natura politica e sociale che aveva svolto per oltre cinquant’anni.

Le necessità imposte dall’adesione al progetto dell’Unione europea hanno reso necessaria una profonda revisione delle leggi riguardanti il sistema bancario e creditizio. Le norme succedutesi su questo tema hanno poi avuto una certa rilevanza nel Testo unico approvato nel 1993, che ha incentivato la trasformazione delle banche pubbliche in società per azioni, con il formale riconoscimento della natura imprenditoriale delle stesse. Il nuovo quadro regolamentare consentiva la liberalizzazione, ovvero l’apertura di nuovi sportelli e di nuove banche. Con questi provvedimenti il legislatore ha perseguito l’obiettivo di accrescere il grado

di concorrenza all’interno del sistema bancario, aumentandone di conseguenza l’efficienza. Tuttavia, simili cambiamenti hanno modificato l’ambiente all’interno del quale le banche

hanno operato per decenni, imponendo ad esse di sottoporsi a significativi processi evolutivi, quale unica condizione per garantire loro la sopravvivenza in un nuovo ambiente che, tra l’altro, ha visto crescere anche la competitività internazionale.

Il progressivo accrescersi della concorrenza e il venir meno di certe barriere che salvaguardavano la presenza di diversi operatori sul mercato hanno condotto, com’è già accaduto in altri settori economici ad esempio quello manifatturiero, alla drammatizzazione di tutta una serie di elementi: logistici, investimenti fissi, costo della manodopera , prima gestiti senza eccessive preoccupazioni.

Inoltre, il mercato del credito, essendo divenuto a seguito dei processi di liberalizzazione più

saturo, ha contribuito a far calare drasticamente i margini di profitto. In un simile contesto, si è posto inderogabile l’obiettivo per le banche di raggiungere una

massa critica, che permettesse loro una riduzione dei costi (attraverso il conseguimento di maggiore efficienza e di economie di scala e di scopo) e il raggiungimento di un’adeguata quota di mercato.

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Il conseguimento di questi obiettivi non rappresentava più, come in passato,una opportunità di

sviluppo, ma diveniva una vera e propria necessità per la sopravvivenza stessa della banca. Per questo gli istituti di credito sono stati indotti a ridurre la propria esposizione in quei

segmenti di mercato che si rivelavano meno redditizi: come l’erogazione del credito alle piccole imprese, che risultava essere un’attività a basso margine di profitto, se non addirittura in perdita.

La scarsa redditività di questo segmento di mercato è stata poi ulteriormente evidenziata dal processo di suddivisione e separazione delle aree di attività, seguito dai maggiori gruppi bancari nazionali. I rapporti creditizi tra grandi banche divisionalizzate e piccole e medie imprese, sono fortemente condizionati dalla stima congiunta dei margini di profitto derivanti dalle commissioni sull’insieme degli altri servizi prestati e dai costi affrontati dalle banche, costituiti in particolare dal rischio d’insolvenza e dalle spese sostenute.

Mentre i grandi istituti tendono sempre più ad indirizzare la propria attività verso quei segmenti di mercato che si rivelano più redditizi e a standardizzare le modalità di erogazione del credito, gli operatori a prevalente vocazione locale sembrano continuare a puntare sui vantaggi derivanti dalla contiguità territoriale con gli affidati.

Da ricordare che banche locali, data la limitatezza del proprio bacino di utenza, non possono permettersi di rinunciare a quel segmento di clienti costituito dagli imprenditori artigiani, che in molte regioni costituiscono uno degli assi portanti della struttura economica.

Considerate le rilevanti difficoltà per gli istituti di credito di accrescere le proprie quote di mercato ricorrendo spesso a "vie interne", la strada più facilmente percorribile divenne quella di fondersi con altre banche o di acquisirne partecipazioni, ma anche tale iniziativa ha evidenziato alcune difficoltà che nascono dalle operazioni di fusione e che sono rappresentate dalle cosiddette diseconomie di management, derivanti dalla necessità di rendere tra loro compatibili diverse culture aziendali costrette a confrontarsi, dalla divisione delle mansioni tra

i diversi manager all’interno del nuovo gruppo. Questo processo di consolidamento delle dimensioni conduce verso una progressiva riduzione

degli intermediari bancari in grado di stare sul mercato; la crescente importanza assunta dalle economie di scala portano verso una notevole diminuzione nel numero delle banche.

Tali dinamiche coinvolgono, soprattutto, gli operatori di dimensioni minori e con un campo di operatività principalmente locale, interessando particolarmente le banche localizzate

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nell’Italia meridionale. Tra il 1995 e il 2006 in Italia sono state realizzate operazioni di fusione o acquisizione che hanno interessato 476 banche1.

Per valutare i progressi compiuti e l’adeguatezza dell’attuale sistema finanziario alle esigenze di sviluppo del Mezzogiorno è utile richiamare le trasformazioni intervenute dall’inizio degli anni novanta, con riferimento sia al sistema nazionale sia a quello meridional

1.2 Il contesto nazionale

All’inizio degli anni novanta l’economia italiana registrava una crisi profonda, gli effetti della crisi erano più intensi nel Mezzogiorno, la cui economia era poco proiettata sui mercati internazionali. La prospettiva della partecipazione all’Unione economica e monetaria consentiva di ridurre in misura considerevole i tassi di interesse, con benefici rilevanti sia per le imprese, sia per il bilancio pubblico.

Dalla metà degli anni novanta il ritorno a condizioni di redditività adeguate a garantire stabilità al sistema veniva realizzato facendo leva su più fattori; innanzitutto le operazioni di fusione e acquisizione consentivano di accrescere i ricavi, sfruttando le opportunità di sviluppo e di diversificazione derivanti dalla disinflazione.

L’economia italiana ha ristagnato e la produttività del lavoro è cresciuta meno che negli altri paesi industriali, scontando ritardi nell’adeguamento della capacità tecnologico-organizzativa delle imprese e nella modernizzazione dell’Amministrazione Pubblica. Dalla metà del 2005 l’economia italiana è in ripresa; la crescita del prodotto si è man mano consolidata, restando però inferiore a quella dei paesi dell’area euro.

Le banche, soprattutto quelle più grandi, finanziavano piani di incentivazione per facilitare l’interruzione anticipata del rapporto di lavoro per il personale in esubero.

In quella fase il recupero di produttività traeva sostegno anche dagli ingenti investimenti effettuati dalle banche nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Furono introdotte politiche rigorose di selezione e gestione dei finanziamenti che permettevano di migliorare notevolmente la qualità dei prestiti, riducendo gli oneri dovuti alle perdite su crediti.

Questi miglioramenti nella struttura dell’intermediazione creditizia, emersi con gradualità nel corso degli anni, hanno contribuito, in un contesto di stabilità monetaria nell’area dell’euro, a mantenere elevata la disponibilità di credito a basso costo durante la prolungata fase di stagnazione dell’economia italiana registrata tra il 2001 e il 2005.

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1.2.2 Il contesto meridionale

Per il sistema bancario del Mezzogiorno, i cambiamenti degli anni '90 si manifestano inizialmente attraverso un numero elevato di acquisizioni e con un aumento della concentrazione dovuto al fatto che le acquisizioni hanno avuto come target principale piccoli istituti di credito cooperativo spesso operanti su scala locale.

I cambiamenti strutturali molto ampi si avviavano subito dopo la recessione del 1992-1993.

In quella fase l’acquisizione di intermediari meridionali da parte di banche centro settentrionali consentiva di superare la crisi. Al superamento del dissesto bancario nel Mezzogiorno, che assumeva caratteristica di vera e propria crisi sistemica, contribuivano sia l’intervento pubblico sia il trasferimento della proprietà delle banche dagli enti di natura pubblica, a gruppi bancari efficienti spesso con sede nelle regioni centro settentrionali.

Tra il 1995 e il 1999 al Sud e nelle Isole si sono realizzate 125 fusioni, incorporazioni e acquisizioni del controllo, più del doppio rispetto al quinquennio precedente.

Alla fine degli anni '90 al Sud e nelle Isole erano localizzate 313 banche, di cui 213 casse rurali e artigiane (banche di credito cooperativo nella denominazione introdotta dal Testo Unico), mentre nel 2006 il numero di banche con sede nel Mezzogiorno era sceso a 148: alle 110 banche di credito cooperativo si affiancavano altre 38 banche, 19 delle quali facenti parte di gruppi con sede al Centro Nord .

Il calo del numero di intermediari meridionali è tanto più rilevante se considerato alla luce della apparente vitalità registrata nel Mezzogiorno sotto il profilo della demografia delle imprese bancarie nel periodo successivo alla recessione dei primi anni novanta.

Negli ultimi 15 anni al Sud e nelle Isole, sono state istituite 55 nuove banche, contro 77 al Centro Nord2. Il calo nel numero delle banche di credito cooperativo che ben rappresentano le caratteristiche del localismo bancario è stato proporzionalmente molto più ampio nel Mezzogiorno rispetto alle altre aree del Paese.

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La fragilità del sistema produttivo meridionale, le limitate possibilità di crescita e di diversificazione dell’attività di intermediazione che esso offre, rendevano e rendono tuttora difficile lo sviluppo di banche locali.

Numero di Banche con sede legale al Centro-Nord e nel Meridione

Fonte: Banca d’Italia

La patrimonializzazione delle banche del Mezzogiorno oggi, si registra sensibilmente più elevata rispetto a quella della metà degli anni novanta, soprattutto con riferimento agli intermediari locali autonomi; non si registrano deficienze patrimoniali di singoli istituti. Il coefficiente di solvibilità, ovvero il rapporto tra il patrimonio delle banche e le attività rischiose, relativo al complesso delle banche dell’area è pari, a fine 2006, al 14,1% a fronte del 18,1% per le banche locali non appartenenti a gruppi del Centro Nord; nel 1996 il coefficiente era pari a circa l’11,5 per cento in entrambi i casi. Il miglioramento si registra sia Localizzazione

Banche 1990 1995 2000

2005 2010

N.Banche Tot. Italia 1081 918 783 719 735

Centro Nord Di cui. Bcc Altre 748 500 248 641 425 216 599 366 233 571 326 245 578 331 247 Meridione Di cui Bcc Altre 313 213 100 277 194 83 184 133 51 148 110 38 163 118 45

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per le banche locali autonome sia, in misura più consistente, per gli intermediari appartenenti a gruppi del Centro Nord.

1.3 La struttura di offerta

La riduzione del numero di banche con sede nel Mezzogiorno è andata di pari passo con un forte incremento nei punti di offerta di servizi bancari.

Il numero di sportelli bancari al Sud e nelle Isole è aumentato da 3.900 nel 1990 a 6.300 nel 2000 e a 8.300 nel 2012; si è ridotto il numero di comuni non serviti da banche; è aumentato il numero di intermediari presenti, in media, nello stesso comune. Si vanno diffondendo i canali di distribuzione dei servizi bancari legati alle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione.

Nel Mezzogiorno vi sono 34 sportelli ogni 100 mila abitanti, rispetto ai 66 al Centro Nord. Una parte significativa di questi ritardi riflette la minore domanda di servizi finanziari.

Il divario territoriale nella capillarità della rete bancaria si attenua infatti rapportando gli sportelli, invece che alla popolazione, a variabili che meglio approssimano il volume della domanda potenziale: in rapporto al prodotto interno lordo, il numero di sportelli bancari al Sud e nelle Isole risulta pressoché in linea con quello delle altre regioni.

A contenere la domanda di servizi finanziari contribuisce il basso tasso di partecipazione ai mercati bancari delle famiglie del Mezzogiorno. In quest’area diverse sono le famiglie che ancora non dispongono di un conto di deposito bancario mentre minore è la percentuale delle famiglie delle regioni settentrionali.

L’attività di corporate finance risulta ancora poco sviluppata. Segnali positivi si ravvisano nel settore del private equity, nel quale a fronte di una quota di attività nel Mezzogiorno ancora residuale, si registra una crescita nel numero e nella dimensione degli investimenti.

Un maggiore dinamismo si riscontra nelle iniziative di project financing, in particolare in quelle che prevedono una partecipazione congiunta del pubblico e del privato nel finanziamento dei progetti

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SPORTELLI BANCARI: CENTRO-NORD E MEZZOGIORNO

Numero di Sportelli Bancari

Totale Banche Italia 1990 1995 2000 2006 2011 Di cui: bcc Altre 1558 14984 2378 20975 2944 25152 3748 28457 4406 29134 Centro Nord 12623 17891 21759 25595 25229 Mezzogiorno 3919 5462 6337 7010 8311

Nonostante si sia verificata una crescita degli sportelli, la diffusione territoriale del sistema creditizio nel Mezzogiorno risulta ancora più contenuta rispetto al resto del Paese: la quota di comuni serviti da banche dell’area è ancora significativamente inferiore rispetto al resto del Paese.

Andamento sofferenze BCC vs Sistema

105000 110000 115000 120000 125000 130000 135000 140000 2009 2010 2011 2012 BCC Sistema

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A fronte di un intensa attività di finanziamento, l’utilità del credito erogato dalle banche ha subito maggiormente gli effetti della crisi economica.

Le crescita dei crediti in sofferenza delle BCC è stata notevolmente più contenuta rispetto al totale delle banche.

1.4 Banche popolari nel contesto europeo

Le banche popolari costituiscono una componente fondamentale del movimento cooperativo nel settore bancario, le cui origini, in Europa, risalgono al XIX secolo quale risposta alle difficoltà di accesso al credito della piccola imprenditoria urbana e rurale.

Fin dalle prime associazioni di credito promosse da Schulze-Delitzsch e Raiffeisen fu adottato un modello organizzativo incentrato sulla finalità mutualistica. Nel corso del tempo questo modello si è evoluto e differenziato in una pluralità di istituzioni con caratteristiche rispondenti alle esigenze dei cooperatori da un lato e alle specificità dei contesti normativi nazionali dall’altro.

Oggi nei diversi paesi europei il settore della cooperazione di credito abbraccia realtà non del tutto omogenee sotto il profilo giuridico, dimensionale e organizzativo. Accanto a sistemi caratterizzati da una forte integrazione, come quello tedesco, in cui Volks e Raiffeisenbanken sono riunite nella stessa associazione di categoria e hanno comuni strutture centrali (DZ Bank) ve ne sono altri che mostrano una maggiore articolazione interna, come quello francese, con tre gruppi cooperativi (Crédit Agricole, Caisse d’Épargne e Crédit Mutuel) che si collocano tra i primi cinque intermediari nazionali, ai quali si aggiunge l’insieme delle Banques

Populaires, organizzate in un gruppo costituito da una banca federale e 20 banche regionali,

con oltre 3.000 filiali.

La capacità di adattarsi e di crescere in realtà economiche e istituzionali anche molto diverse tra loro fa delle banche cooperative un segmento dell’industria bancaria di grande rilievo in molti paesi europei. Nel complesso il settore bancario cooperativo nell’Unione Europea conta oltre 4.000 banche locali e regionali, oltre 62.000 succursali e più di 49 milioni di soci, con un peso significativo nei rispettivi mercati nazionali.

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Il modello di sviluppo delle banche cooperative italiane si caratterizza per una maggiore differenziazione tra banche di credito cooperativo e banche popolari, per un minore grado di integrazione, essendo stati privilegiati percorsi di sviluppo autonomi. Entrambi i modelli presentano punti di forza e di debolezza. Da un lato, forme di stretto coordinamento a livello centrale possono consentire il superamento di vincoli e inefficienze imposti dalle ridotte dimensioni delle singole banche cooperative, dall’altro, anche nell’industria bancaria, l’autonomia imprenditoriale favorisce la concorrenza, la ricerca di soluzioni innovative, la capacità di adattamento alle esigenze delle economie locali.

Il ruolo delle banche locali è stato spesso affrontato nell’ambito della funzione degli intermediari nel sostegno alla piccola e media impresa. Si parla di “vantaggio competitivo" della dimensione locale della banca, di cui è ben riconosciuta la capacità di aderire al tessuto economico della rispettiva zona di insediamento, sottolineando altresì la necessità di preservare l’identità delle banche locali sul territorio.

Nel complesso, le popolari hanno reagito alle maggiori pressioni competitive, rimodulando le proprie strategie: si sono formati intermediari di grandi dimensioni, caratterizzati da diversificazione produttiva, anche all’estero; accanto a essi coesistono enti di modeste dimensioni e limitata complessità operativa.

La maggiore integrazione finanziaria in Europa ha favorito, soprattutto negli anni più recenti, l’apertura del mercato agli intermediari comunitari e la proiezione internazionale di quelli italiani. Le banche popolari hanno mostrato, a loro volta, un notevole dinamismo, pur seguendo una pluralità di percorsi, in ragione delle diverse condizioni di partenza e delle opportunità offerte dalle economie dei territori di insediamento.

Da un lato, un segmento del credito cooperativo ha consolidato le proprie posizioni nei mercati di elezione, privilegiando la crescita interna, interpretando con successo il ruolo della banca locale caratterizzata da stretti rapporti con il tessuto delle piccole e medie imprese. Dall’altro, le banche popolari più grandi hanno privilegiato la crescita esterna, intraprendendo estesi programmi di aggregazione, sia all’interno della categoria, sia all’esterno, mediante l’acquisizione di ex casse di risparmio, banche in forma di società per azioni a vocazione locale, banche di credito cooperativo, intermediari specializzati. Si sono così formati gruppi di media e grande dimensione, con un raggio di attività che supera i confini regionali.

In alcuni casi lo sviluppo dimensionale ha comportato mutamenti negli assetti proprietari determinando una maggiore apertura al mercato e l’ingresso in nuove aree di business.

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Entrambi i percorsi di crescita hanno portato a un forte rafforzamento del comparto delle banche popolari nel suo insieme.

Nell’ultimo decennio, pur in presenza di una riduzione del numero di gruppi con a capo una banca popolare e delle banche popolari indipendenti, sceso da 56 a 38 unità, la quota di mercato di questi intermediari è salita dal 16,8 al 21,1 sul totale delle attività bancarie in Italia, dal 21,1% al 27,3 % per gli sportelli. Nei primi anni del 2000 i primi cinque gruppi facenti capo a banche popolari operavano mediamente con 526 sportelli, oggi tali valori si attestano, a 1.340.

1.5 L'attività di vigilanza nel Meridione

Dalla metà degli anni novanta la Banca d’Italia ha compiuto nel Mezzogiorno 1.541 interventi e 495 ispezioni. Le ispezioni con esito sfavorevole sono diminuite dal 35% nel 1998 a 3% nel 20113.

L’attenzione della vigilanza verso il sistema bancario meridionale rimane elevata; nel 2011 sono stati effettuati 138 interventi, pari al 35% di quelli relativi all’intero territorio nazionale. Le “casse di mutualità” cooperative che svolgevano operazioni di raccolta del risparmio ed erogazione del credito nei confronti dei soci, con modalità operative non compatibili con la riserva di attività bancaria, sono state sollecitate ad adeguarsi alle disposizioni in materia di raccolta di risparmio, anche attraverso la trasformazione in banche o società finanziarie. Il fenomeno irregolare, abbastanza diffuso agli inizi dello scorso decennio, è con il passar del tempo scomparso. L’opera di sensibilizzazione condotta nei confronti del sistema finanziario sul tema della prevenzione del riciclaggio ha accresciuto l’impegno degli intermediari.

Nell’ultimo decennio sono pervenute prevalentemente da parte delle banche, segnalazioni di operazioni sospette. Tali segnalazioni individuano alcuni settori economici in cui il più elevato utilizzo del contante può comportare un maggior rischio di operazioni di riciclaggio: si tratta in particolare dei comparti dell’edilizia e della lavorazione dei materiali di ferro Negli ultimi anni, nell’ambito dell’ordinaria attività di supervisione della Banca d'Italia, sono state rilevate anomalie nell’assolvimento degli obblighi di identificazione e registrazione della clientela.

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1.6 La banca e i distretti industriali

La condivisione locale di esperienze, capacità pratiche, conoscenze e valori ha costituito anche la base per un’efficiente divisione del lavoro tra piccole imprese. Anche da questo punto di vista, quindi, la “civiltà dei borghi” è stata “culla di cooperazione”, in virtù di quei tanti meccanismi che gli economisti rubricano sotto l' etichetta della riduzione dei costi di transazione.

La divisione del lavoro ha consentito di recuperare a livello d’intera filiera le economie di scala e i vantaggi competitivi cui altrimenti sarebbe stato impossibile attingere se non con la grande dimensione, preservando al contempo un ampio margine di flessibilità produttiva. L’andamento insoddisfacente dell’economia italiana nell’ultimo ventennio riflette la sua difficoltà di adattarsi a importanti fattori di cambiamento del contesto economico internazionale: il mutamento del paradigma tecnologico, portato dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione; la crescente integrazione mondiale dei mercati reali e finanziari.

L’economia italiana è caratterizzata da una pluralità di sistemi locali di piccole e medie imprese, la maggior parte delle quali ha le caratteristiche di distretto industriale.

La creazione dei distretti, industriali e non, si deve infatti al sorgere di piccole e medie imprese che hanno saputo specializzarsi e creare economie di scala e di scopo in rete, mettendo insieme competenze, capacità e professionalità.

Il legame banca - impresa nei distretti appare consolidato e facilmente identificabile per due motivi. Innanzitutto, perché, trattandosi di imprese di dimensioni minori la cui struttura finanziaria è molto semplice, il credito bancario rappresenta l’unica fonte di finanziamento esterno; di conseguenza, le banche hanno un ruolo di principale interlocutore delle piccole imprese sia nei rapporti di credito ordinario sia nella selezione dei progetti per lo di sviluppo e in secondo luogo, perché le caratteristiche distintive dei distretti, basate su uno stretto intreccio di rapporti tra imprese e società locale, richiedono un' accurata conoscenza del contesto in cui si agisce.

Le dimensioni medie delle banche sono aumentate per l’effetto congiunto di due tendenze: l’aumento del numero di sportelli e riduzione del numero di banche operanti, che ha a sua volta ha determinato una maggiore presenza di banche operanti nei sistemi locali; e le numerose operazioni di fusione e acquisizione che ha invece determinato il progressivo accentramento delle banche in un minor numero di sedi direzionali e la conseguente delocalizzazione rispetto ad un maggior numero di sistemi locali periferici.

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Diversamente dal passato questi compiti non possono più essere assolti esclusivamente dalle banche locali di piccole dimensioni, cresciute nello stesso territorio in cui opera l’impresa. Solo alcune di queste banche, selezionate dalla concorrenza delle banche esterne possono mantenere un ruolo significativo per lo sviluppo locale a condizione che sappiano investire in capitale umano, organizzazione strategica per valorizzare ancor di più il patrimonio informativo. I rapporti duraturi tra banca-impresa, facilitano l’acquisizione di innovazioni tecnologiche ma non va sottovalutato il rischio di crisi sistemica che può coinvolgere a catena le imprese di un distretto in ritardo competitivo. A questi rischi sono più esposte le banche locali, che hanno una maggiore concentrazione territoriale e settoriale.

Una maggiore operatività è associata ad un maggior accesso al credito e ad una ridotta probabilità di ricorrere al relationship lending, forma di intermediazione bancaria nella quale la banca eroga credito ad un individuo sulla base di un precedente rapporto di prestito o deposito di lunga durata.

La relazione di clientela qui è contraddistinta da interazioni frequenti e multiple con il cliente, la banca in questo modo acquisisce il maggior numero di informazioni riservate, chiamate anche soft information, che potrà così utilizzare in modo esclusivo. Questo vantaggio informativo esclusivo va a ripagare, in termini di maggior rendimento, l'investimento informativo che la banca fa per valutare il merito di credito (costi di monitoring e screening).

In tale relazione tra banca e cliente si superano le classiche asimmetrie informative tipiche dei mercati finanziari "market oriented" permettendo un'allocazione efficiente delle risorse del sistema finanziario, cioè affidando il credito ai progetti imprenditoriali migliori.

Questo fenomeno presenta il vantaggio dell' interest rate smoothing, cioè la protezione del debitore da variazioni dei tassi, ma dall'altra parte produce due effetti sconvenienti: l' hold

up, (cattura del debitore ) e del soft budget costraint (cattura del creditore).

Il primo consiste nell'erosione dei profitti dell'impresa da parte della banca finanziatrice in un regime di mono-affidamento, l'impresa si affida ad una sola banca. Il secondo fenomeno dipende dai comportamenti opportunistici che l'impresa finanziata intraprende in conseguenza al maggior interesse che la banca ha nel valutare il merito di credito verso un cliente con cui vi è una relazione di lungo periodo. Viceversa una maggiore distanza funzionale è correlata ad una maggiore probabilità di razionamento e una minore probabilità di relationship lending. Questi effetti sono generalmente accentuati per le imprese distrettuali, il cui accesso al credito è favorito da un sistema bancario che sia non solo diffuso sul territorio, ma anche vicino a

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livello funzionale, ossia che abbia la sensibilità strategica di adattare l’offerta di credito alle specifiche esigenze.

A parità di dimensioni e performance, le imprese localizzate al Sud hanno un costo del credito e vincoli finanziari più elevati che quelle del Centro-Nord, all’interno dei distretti è possibile osservare una stretta integrazione tra il sistema produttivo e quello creditizio: si parla in questi casi di “effetto distretto” che riduce il costo dei prestiti bancari e migliora l’accesso ai finanziamenti per le PMI4.

Le banche locali ridotte nel numero, possono rinnovare il loro ruolo di presenza attiva nei sistemi locali a condizione che sappiano anche valorizzare le economie di competenza sulla realtà locale.

I grandi gruppi bancari non possono limitarsi a sfruttare i vantaggi delle economie di scala e di diversificazione territoriale dei rischi di mercato; debbono nello stesso tempo acquisire sensibilità strategica nell’adattare e rendere flessibile la propria organizzazione per gestire le diversità territoriali. Su queste linee le diverse banche debbono essere orientate a confrontarsi e competere per svolgere il fondamentale ruolo di agente locale di sviluppo e contribuire ad attenuare i divari territoriali.

1.7 I distretti tecnologici

I sistemi regionali di innovazione e distretti tecnologici non possono essere considerati come sinonimi, nonostante entrambi i concetti riguardano un’area geografica di dimensione regionale, contribuendo a delineare la disomogeneità geografica dell’innovazione.

L’enfasi sulla visione sistemica dell’innovazione ha origini antiche, come è testimoniato ad esempio dai contributi di Schumpeter (1912),o da altri autori come Cooke Ririfrig5(1997, 1998), che agli inizi degli anni Novanta, effettuando un confronto tra la sua regione d’origine il Galles e la Silicon Valley, sosteneva che per rendere più efficaci le politiche alla base della creazione di poli high-tech anche nel territorio francese fosse necessario abbandonare il modello prevalente di innovazione di tipo lineare, centralizzato e gerarchizzato e andare verso un modello non lineare, decentralizzato e non gerarchico.

4 Rif. G.Becattini : I distretti industriali 5 Rif. Cooke e i distretti high-tech

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Per questo autore un sistema regionale di innovazione è un sistema in cui le imprese assieme ad altre organizzazioni sono sistematicamente coinvolte in un processo di apprendimento interattivo, nell’ambito di uno specifico sistema territoriale-istituzionale che le racchiude. Pertanto da questa definizione appaiono tre elementi chiave:

l’apprendimento interattivo in cui la conoscenza viene concepita come patrimonio collettivo appartenente a diversi attori del sistema produttivo;

il sistema territoriale visto come sistema aperto e complesso che implica regole, valori e

risorse umane e materiali condivise;

i processi economici e conoscitivi che si svolgono tra e nelle imprese, ma che hanno anche

una rilevante dimensione sociale.

Un altro aspetto che emerge dai lavori di Cooke (1998) è la presenza di diverse tipologie di sistemi di innovazione. È possibile distinguere tra sistemi regionali di innovazione ad alto potenziale e a basso potenziale, sulla base della presenza di una serie di elementi classificabili in due gruppi: condizioni finanziarie e infrastrutturali da un lato, e sovrastrutture di tipo culturale dall'altro.

Nel primo gruppo rientrano la capacità autonoma di spesa di una regione, la presenza di una finanza privata sviluppata, il controllo di infrastrutture strategiche, la presenza di università, centri di ricerca e laboratori e di una strategia di ricerca a livello regionale.

Nell’ambito del secondo gruppo troviamo elementi di cultura istituzionale di tipo cooperativo, associativo e di propensione all'apprendimento e al cambiamento sia di tipo organizzativo sia a livello di aziende che di amministrazioni pubbliche. La presenza di tutte queste caratteristiche permette di individuare un sistema regionale di innovazione con un forte potenziale. Un’ altra classificazione dei sistemi regionali di innovazione, proposta da Cooke e Heidenreich (1998), punta l’accento sulla presenza di specifici modelli di governance dei processi di trasferimento tecnologico all’interno di un sistema regionale di innovazione. Tra sistemi regionali di innovazione si possono distinguere quelli di tipo grassroots, quelli di tipo network e infine quelli di tipo dirigiste.

I sistemi regionali del primo tipo sono contraddistinti da un processo di trasferimento tecnologico organizzato a livello locale mediante procedure piuttosto semplificate.

Il secondo tipo si basa su un trasferimento di tipo multi-livello dunque locale, regionale, nazionale e globale simultaneamente; mentre il terzo tipo è definito come prodotto di politiche di trasferimento centralizzate e top-down.

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Porter (1998) per quanto riguarda la definizione di distretti tecnologici, pone l’accento sul concetto di "input sharing" da considerarsi come l’opportunità di condivisone di input specializzati (componentistica, macchinari e servizi) grazie alla vicinanza con fornitori localizzati nella stessa area di operatività del distretto. In tal modo la presenza di una consistente prossimità geografica renderà conveniente l’approvvigionamento dei fattori produttivi (minori costi di transazione) e al contempo una rilevante prossimità di tipo relazionale, renderà il processo produttivo molto più veloce grazie alla presenza di rapporti face-to-face fondati sul concetto di fiducia relazionale.

Pertanto la definizione di cluster utilizzata da Porter comprende sia l’estensione verticale delle attività ovvero quella rivolta verso i canali di distribuzione e i clienti, che l’estensione orizzontale cioè quella rivolta verso le imprese legate al cluster da conoscenze, tecnologie e input comuni. Una definizione che racchiude un pò tutte quelle esposte sino a questo momento, viene fornita da un Gruppo di Ricerca di UNIONCAMER (2006). Questi ultimi, infatti, utilizzano il termine "bacini di competenze" ovvero sistemi territoriali caratterizzati dalla compresenza sia di capitale umano dotato di conoscenze tecnologiche altamente specializzate, spendibili nel processo produttivo, sia di figure professionali con valide competenze di general management.

Questa combinazione di conoscenze e competenze può realizzarsi tramite due differenti tipi di organizzazione che il distretto tecnologico può assumere: distretti tecnologici senza centro o

senza impresa guida e distretti tecnologici con struttura piramidale. Nel primo caso si utilizza il termine senza centro per indicare un tipo di distretto tecnologico

in cui manca una struttura di governance che coordini tutte le dinamiche sia cognitive che produttive locali che si manifestano all’interno del distretto, ogni soggetto aziendale coinvolto al suo interno ha le competenze e le capacità necessarie per organizzare efficientemente i principali aspetti connessi alla gestione di una qualsiasi attività innovativa ad alto contenuto tecnologico, ad esempio l’innovazione organizzativa. L’assetto organizzativo di tipo piramidale invece si fonda sulla presenza di rapporti di sub-fornitura che la grande impresa hi-tech presente all’interno del distretto, stipula con le altre piccole imprese locali

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21 1.8 Linee di intervento

La presenza di uno sviluppo inferiore dell’economia e di più deboli segnali di ristrutturazione del sistema produttivo, rispetto al resto del Paese, fa si che sia accurata l’attenzione della vigilanza all’evoluzione del mercato del credito meridionale.

Nonostante i progressi raggiunti, nel Mezzogiorno la struttura dell’offerta bancaria resta più arretrata e le condizioni di accesso al credito più svantaggiose. Queste carenze sono dovute alla fragilità dell’ambiente economico locale e alla minore efficienza delle istituzioni.

Per cui il sistema finanziario cioè "le banche" possono migliorare offrendo il proprio contributo per il rafforzamento del tessuto produttivo del Mezzogiorno, per lo sviluppo e la modernizzazione dell’economia meridionale.

Ulteriori progressi sono fondamentali per fornire alle imprese, oltre al sostegno creditizio, conoscenze e servizi volti a stimolare efficienza ed aumenti della dimensione operativa, valutando le aziende sulla base delle prospettive di sviluppo, delle sinergie che possono derivare da operazioni di fusione e acquisizione, piuttosto che sulla base della disponibilità di garanzie reali. I maggiori gruppi bancari stanno potenziando l’offerta di servizi relativi al

private equity e di project financing.

Inoltre, le aggregazioni tra consorzi, possono contribuire a migliorare la qualità e la quantità dei servizi offerti agli associati. Con la riforma del 2003, l’ampliamento delle dimensioni operative e il rafforzamento delle strutture organizzativo-patrimoniali, possono essere effettuati dai confidi assumendo la veste di banche cooperative o di intermediari finanziari vigilati dalla Banca d’Italia.

L’utilizzo delle nuove tecnologie, ma anche la possibilità di entrare in contatto con fasce di clientela in passato più difficilmente raggiungibili, grazie alla maggiore capillarità della rete di sportelli, possono svolgere un ruolo importante.

Trasparenza delle condizioni di offerta di prodotti e servizi, correttezza nei rapporti con la clientela, tutela del consumatore sono fattori importanti per lo sviluppo del sistema creditizio. È anche importante ricordare che la trasparenza e la tutela del cliente non sono efficaci se gli stessi risparmiatori non hanno gli strumenti per effettuare scelte informate.

La Banca d’Italia sta infatti intensificando il proprio impegno sul fronte dell’educazione finanziaria; collabora con altre istituzioni per diffondere la cultura finanziaria.

Lo sviluppo dei canali telematici e di strumenti elettronici nel Mezzogiorno, potrebbe apportare benefici alla clientela e agli intermediari, al sistema economico nel suo complesso,

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poichè consentono un' accurata tracciabilità delle operazioni, favorendo così la riduzione dei rischi di utilizzo illecito degli strumenti di pagamento e alle cosiddette transazioni in nero. Nel 2008, l'introduzione di un’area unica per i pagamenti al dettaglio ( Single Euro Payments Area, "SEPA"), che consente ai cittadini europei, alle imprese e alle Amministrazioni pubbliche di effettuare incassi o pagamenti in euro con modalità analoghe a prescindere dal paese di appartenenza, ha rappresentato nei circuiti di pagamento nazionali, un impulso al miglioramento dell’efficienza, alla riduzione dei costi e alla crescita della concorrenza.

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Capitolo 2 IL LOCALISMO BANCARIO

2.1 Che cos'è la banca locale

Il concetto di banca locale, è spesso sovrapposto con quello di banca di "piccole dimensioni"o di banca dalla limitata estensione territoriale. E' invece importante mantenere tali concetti tra di loro ben distinti, ponendo attenzione non tanto agli aspetti dimensionali come l'ambito territoriale, quanto agli aspetti qualitativi dell’operatività bancaria. Il nodo centrale è rappresentato dall'approccio che l’azienda di credito sviluppa nella relazione con il proprio territorio di riferimento.

La banca locale secondo Alessandrini, si distingue dalla banca nazionale in quanto caratterizzata da una marcata interdipendenza con la comunità sociale ed economica della zona in cui opera; dunque, si tratta di una banca medio-piccola operante prevalentemente in un ambito territoriale regionale o sub-regionale.

La banca nazionale è invece una banca di grande dimensione che opera su tutto il territorio nazionale, che raccolgono e prestano uniformemente in tutto il paese, con eventuali dipendenze all’estero

Le banche locali possono essere definite anche come quelle banche che garantiscono la maggior parte dei loro prestiti e raccolgono la maggior parte dei loro depositi in un’area geografica ristretta; mentre quelle

La stabile relazione con il territorio, le modalità di erogazione dei prodotti e servizi e il radicamento territoriale sono fondamentali per attribuire la connotazione di locale.

Ampliando la definizione anche agli altri intermediari possiamo definire il “sistema finanziario locale” come l’insieme delle istituzioni finanziarie (banche locali, filiali di banche estere, intermediari non bancari, mercati organizzati) operanti in un dato territorio, che può essere un’area amministrativa ad esempio regione, provincia, comune; o un’area economica come distretto industriale e sistema locale del lavoro.

Per banche locali, s'intendono anche quelle aziende di credito che vogliono esaurire la loro attività economica in spazi ristretti nei quali hanno poca dipendenza operativa. Sotto il profilo giuridico, vi sono ancora alcune banche locali individuali, mentre altre hanno forma di società in nome collettivo o di società cooperative. L' importanza che assume la componente cooperativistica, nel contribuire al rilancio delle economie locali suggerisce un accurata pianificazione e programmazione di sviluppo regionale.

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La banca locale è tale per la relazione di stretta interdipendenza che instaura con la comunità sociale ed economica dell’area di insediamento, le banche locali, quali “banche del territorio”, assumono più il ruolo di banche dello sviluppo, instaurano rapporti con gli operatori locali e proponendosi, come promotori di crescita e sviluppo del tessuto economico e sociale di insediamento; ma non essendo la dimensione la variabile principale che determina la natura locale dell’intermediario, ma piuttosto il grado di profondità delle relazioni instaurate con gli operatori del territorio, i concetti di “banca locale” e “banca minore” non necessariamente coincidono; possono definirsi banche minori, con attivo inferiore a 1,3 miliardi di euro; banche piccole, con attivo compreso tra 1,3 e 9 miliardi di euro; banche medie.

La funzione locale dell’intermediario si realizza nel sostegno finanziario offerto agli operatori locali, per lo più imprese di dimensioni medio piccole che incontrano difficoltà nell’accesso al credito offerto, su scala nazionale, dagli intermediari di maggiore dimensione. Tale funzione è strettamente ancorata alle esigenze specifiche del contesto ambientale di riferimento, da cui la banca trae la propria operatività nel medio-lungo termine e si propone così come volano di crescita e sviluppo locale.

La specificità del rapporto banca-impresa all’interno dei distretti industriali dipende sia dalle caratteristiche stesse delle imprese distrettuali che dal tipo di mercato locale del credito cui si fa riferimento.

Altri autori, definiscono il “localismo bancario” un fenomeno associato alle piccole dimensioni e agli enti creditizi aventi sede legale e gran parte della rete distributiva in un determinato contesto amministrativo come, ad esempio, la provincia o la regione6.

Si individua un'altra particolare categoria di banche: le banche regionali, che svolgono la propria attività in un ambito territorialmente definito, anche se non delimitato dal punto di vista geografico all’interno dei confini di una regione, il che colloca l’istituto di credito in una posizione di prossimità alla clientela.

Banche di credito cooperativo (BCC), piccole banche appartenenti a gruppi e piccole banche indipendenti, con l’obiettivo di identificare l’importanza del relatiosnhip lending per ciascuna categoria di banche.

Una banca è definita di piccole dimensioni se prevalgono almeno tre ipotesi:

1) relazione di lunga durata;

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25 2) peer monitoring;

3) prossimità funzionale.

Le banche di piccole dimensioni consolidano relazioni di credito di lungo periodo in quanto esse generalmente operano a livello locale e sono amministrate e in parte possedute dagli operatori della comunità locale.

Per la stessa ragione le stesse banche prendono parte attiva alla vita economica e sociale della comunità agevolando l’instaurarsi di un contratto implicito di controllo tra pari peer monitoring.

Un simile sistema crea gli incentivi necessari affinché i membri della comunità, gli agenti, si comportino nell’interesse della banca finanziatrice. Questa analisi preliminare, basata sugli elementi di tipo qualitativo, ci permette di definire banca locale una qualsiasi istituzione finanziaria che: sia strettamente imperniata nel tessuto economico-sociale di una determinata area geografica (regione, provincia, comune); offra servizi più personalizzati agevolando la costruzione di relazioni di lungo periodo con la clientela; conosca la realtà economica ed imprenditoriale locale facilitando la valutazione delle imprese soprattutto di piccole e medie dimensioni.

2.2 Caratteri distintivi della banca locale

Il peso della contiguità territoriale, insieme alle conoscenze personali, conferma come le banche locali, soprattutto quelle radicate su un particolare territorio, tendono ad essere preferite dagli operatori economici minori i quali vi fanno ricorso, nonostante il costo del credito da queste praticato non risulti essere molto più basso di quello applicato dagli istituti creditizi a diffusione nazionale.

La funzione delle banche locali si presenta molto diversa: poiché, in virtù del loro radicamento territoriale, godono di una serie di benefici (esternalità informative) che, al contrario, la grande dimensione tende a perdere. La contiguità territoriale tra creditore e debitore consente ai primi di disporre, a costo zero, di una notevole quantità di informazioni, il cosiddetto information spillover, che mette le banche locali in condizione di svolgere una più competente e sicura attività di erogazione del credito, depotenziando le asimmetrie

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informative e della selezione avversa e riducendo il fenomeno del razionamento del credito, che colpisce soprattutto le piccole imprese).

Durante il rapporto creditizio, le banche a vocazione locale, attraverso il continuo flusso d ’informazioni di cui dispongono, riescono ad esercitare una più attenta attività di controllo o monitoring sull’operato del debitore; in questo modo gli istituti bancari locali, quasi senza doversi accollare ulteriori costi, riescono a ridurre la probabilità che l’affidato modifichi, una volta ottenuto il prestito, le proprie decisioni d’investimento ad esempio, assumendo maggiori rischi).

Le banche locali sono in grado di reperire risorse presso i risparmiatori del loro territorio di riferimento e di indirizzarle presso gli investimenti produttivi destinati a creare reddito ed occupazione in loco. Tale facilitazione è consentita dal possesso di un certo vantaggio informativo, di localizzazione e transitivo sul territorio di riferimento.

La banca locale svolge la sua funzione di intermediazione in sede locale con una propria specificità e caratteristica, sia nei confronti delle famiglie risparmiatrici, sia nei confronti delle imprese che fanno investimenti, e h sviluppato un orientamento di tipi retail.

Le Banche locali si ritrovano ad agire in uno stato di isolamento che produce conseguenze negative sulle loro possibilità operative. Tale stato dipende dalle caratteristiche geografiche della zona, che possono essere modificate con adeguati interventi infrastrutturali e dal tipo di economia. L'isolamento della banca locale è più accentuato in presenza di economie chiuse, che si evolvono lentamente, comportando cosi andamenti sfavorevoli della gestione.

In tali circostanze, si valutano anche i rapporti di corrispondenza tra la banca locale e le altre banche, presupposto che deve essere identificato in un economia aperta e dinamica, dove gli operatori locali lavorano attivamente con operatori di altri spazi, per cui l'appoggio alle banche maggiori è giustificato se si generano rapporti bilaterali e di integrazione e non di semplice deposito di denaro raccolto presso la propria area.

Gli impieghi devono essere eseguiti nello spazio fisico in cui la banca è autorizzata ad operare ed il ricorso ad altri istituti deve soltanto compensare situazioni particolari.

Altro aspetto fondamentale per le banche locali, è la qualificazione del personale che non ha mai raggiunto un livello accettabile, ciò comporta un limite per la loro stessa affermazione. I particolari rapporti con la clientela richiedono elevata capacità direzionale ed un accurata preparazione.

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Molte banche, lamentano di strutture organizzative non adeguate che creano difficoltà e vincoli con gli operatori economici, ciò non permette di offrire un' ampia gamma di servizi che invece offrono le banche di grandi dimensioni.

Tutto ciò dipende anche da vincoli legislativi secondo cui, le banche non hanno la facoltà di esercitare tutte le forme di credito regolate dalla normativa vigente.

Tale circostanza ha ripercussioni sfavorevoli sull'economia e sulla gestione delle piccole imprese, in quanto limita la possibilità di utilizzare una gamma di servizi ampia nell'ambito dei mercati locali.

La banca locale è in grado di agire con caratteristiche particolari a vantaggio dei piccoli operatori economici, ma dovrebbe essere sostenuta da un adeguata struttura organizzativa. Essa gode di indipendenza operativa, condizione che dovrebbe consentirle di presentare alcune caratteristiche distintive che ne distinguono la sua attività:

- notevole elasticità

- erogazione di credito attraverso la valorizzazione delle iniziative delle categorie più umili di operatori economici

- assistenza diretta alle attività locali

Visto che le banche locali hanno notevoli deficienze strutturali, vincoli di natura legislativa è necessario che ci si impegni affinchè si possano superare tali ostacoli-barriere, cosi che la banca locale possa svolgere un attività complementare a quella delle grandi banche, funzione fondamentale per il sostegno alle economie locali.

2.3 La banca locale tra passato e futuro, ieri e oggi

Un banca locale di successo è fondata sull’attenzione ai costi, sull’integrità dei comportamenti e su un’autentica prossimità al territorio di insediamento.

Un tale obiettivo appare possibile, ma non facilmente raggiungibile; per il suo perseguimento sono chiamate a concorrere sia scelte strategiche e gestionali di competenza dei responsabili delle singole banche, sia qualche modifica negli orientamenti della regolamentazione e nelle prassi delle autorità di vigilanza.

Può rispondere alle caratteristiche di “banca locale” un organismo finanziario contrassegnato da autonomia gestionale, da un’area operativa limitata, volto a privilegiare, come obiettivi

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primari il radicamento operativo e il conseguimento di tassi di crescita sostenibili nel medio/lungo periodo.

Tale nozione di “banca locale” può trovare corrispondenza in tre gruppi di banche, tra di loro non omogenee dal punto di vista dimensionale, istituzionale e tecnico-operativo:

1. banche di credito cooperativo,

2. banche “piccole” secondo la definizione della Banca d’Italia

3. banche di nuova costituzione, che potrebbero considerarsi "piccole" e "locali"

Rientrano tra le banche locali le banche di credito cooperativo. Nel decennio 2000-2010, pur riducendosi in numero da 531 a 432 a seguito di molte aggregazioni ma anche di 55 nuove costituzioni, esse hanno aumentato la loro quota del mercato degli impieghi e quella della raccolta.

Nel periodo 2008 -2012 i loro aggregati sono poi cresciuti ad un ritmo all’incirca doppio di quello del sistema, portando la quota di mercato a 7,9 % per gli impieghi e a 8,4 % per la raccolta.

Infatti, come è noto, le banche di credito cooperativo si caratterizzano soprattutto per una governance radicata nel territorio, per la dimensione “piccola” e per una operatività strutturalmente ancorata alle aree di loro insediamento.

E’ bene altresì ricordare che esse sono collegate tra di loro in modo abbastanza stretto, ma non di carattere propriamente gerarchico, da strutture associative, funzionali e istituzionali e da organismi comuni che hanno costituito e possono ancora costituire un utile strumento per superare, gli inconvenienti legati alla piccola dimensione nonché per prevenire e risolvere situazioni di crisi.

Un secondo gruppo di banche locali è rappresentato da quelle di “piccola” dimensione, secondo la definizione statistica della Banca d’Italia, che operano in condizioni di autonomia gestionale. Si tratta di un gruppo eterogeneo, sia per localizzazione sia per fisionomia operativa formato da 60 banche7di cui 20 identificate come banche popolari, 7 riconducibili a ex casse di risparmio mentre le rimanenti 33 sono accomunate anche dall’avere una struttura proprietaria privatistica e per lo più concentrata. Non si può sicuramente attribuire carattere locale alle filiali di banche estere, anche se “piccole” o mono sportello, dal momento che operano con un modello di business all’ingrosso. Tale caratteristica non può essere

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riconosciuto neppure alle banche a raggio territoriale circoscritto che facciano parte di un gruppo.

Infatti l’autonomia della loro operatività a servizio delle aree in cui sono inserite potrebbe trovare un limite nelle decisioni e negli orientamenti della capogruppo, che ha anche il potere di deciderne unilateralmente l’incorporazione.

Dall’analisi della demografia delle banche al fine di valutare periodo e causa di nascita ed estinzione, predisposta dal Servizio Studi della Banca d’Italia, si può cogliere in primo luogo che il saldo tra banche “nate” e “morte” nell’intero periodo 1994-2012 è negativo per circa 300 unità, a testimonianza del drastico consolidamento che ha interessato il sistema bancario nazionale.

In secondo luogo, se ci si riferisce alla costituzione effettiva, cioè se si escludono le iscrizioni all’albo dovute a cambiamenti dell’oggetto sociale e a riorganizzazioni interne ai gruppi bancari si può osservare che nell’intero periodo il numero di banche “nuove” è risultato tutt’altro che trascurabile (133 unità di cui 70 banche di credito cooperativo) e che il saldo demografico, riferibile alle sole banche indipendenti diverse dalle banche di credito cooperativo risulta positivo, seppure di pochissime unità, negli ultimi quindici anni.

Le ragioni che fanno propendere per un maggior ruolo delle banche locali, nonostante le difficoltà legate alla piccola dimensione, sono sia di tipo sistemico sia di carattere microeconomico/gestionale.

In altri termini, la banca locale risponde alla pluralità e alla separazione dei mercati e concorre ad assicurare la capillarità dell’offerta dei servizi bancari, soprattutto di quelli elementari. Infine, le difficoltà incontrate nell’ultima fase della crisi soprattutto dai gruppi bancari maggiori, sotto il profilo della liquidità, del peggioramento della qualità dell’attivo, li hanno indotti ad effettuare una politica di razionamento del credito che ha colpito soprattutto le aree periferiche della loro organizzazione e le fasce di clientela di minor taglia: quelle, appunto, che essi erano meno in grado di conoscere in maniera approfondita anche per la modalità specifica della loro presenza operativa; si pensi alla frequente rotazione dei direttori di filiale. Nella misura in cui a un minor grado di concentrazione del sistema creditizio corrisponda effettivamente un miglioramento delle condizioni di concorrenzialità del mercato si può sostenere che un’attiva presenza di banche locali contribuisca, da un lato, a migliorare l’efficienza del sistema creditizio e, dall’altra, a determinare una nuova “divisione del lavoro” al suo interno.

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Si sta da qualche tempo delineando, una tripartizione di compiti che potrebbero essere elettivamente assegnati come segue:

a) Ad un ristrettissimo gruppo di grandi gruppi, oltre che alle filiali di banche estere:

i rapporti con i mercati internazionali, il principale supporto finanziario e la consulenza alle grandi imprese; le iniziative wholesale e di finanza specializzata; gli interventi sul mercato primario dei titoli.

b) Alle banche a raggio di azione multi-regionale e regionale: la principale responsabilità negli affidamenti alla clientela di medio-grande dimensione nel proprio territorio; un supporto complementare a quello delle banche grandi, l’esercizio diffuso di ogni attività di intermediazione nei confronti della clientela retail.

c) Alle banche locali: lo svolgimento in via diretta di tutte le forme di intermediazione creditizia retail, solo attraverso la collaborazione con altre tipologie di banche o mediante forme di outsourcing, la prestazione degli altri servizi finanziari richiesti dalla clientela più sofisticata ed esigente.

Se tale modulazione di attività fosse condivisa sul piano pratico dalle banche e, per quanto di loro competenza, dai policy maker, si verrebbe a realizzare una sorta di specializzazione verticale, il rafforzamento del numero e della quota di mercato delle banche locali contribuirebbe alla stabilità del sistema creditizio italiano; la banca locale si trova nella posizione più adatta per conoscere e valutare, grazie alle cosiddette soft information, le esigenze del proprio territorio e per canalizzare su di esso il risparmio che vi si forma, rendendo così più diretto il circuito dei finanziamenti e riducendo i fenomeni e i costi della intermediazione multipla.

E’ invece importante sottolineare che, se ben gestita, una banca locale finisce con il rispettare le regole classiche volte a mantenere l’equilibrio della gestione: un rapporto tra impieghi e depositi largamente inferiore all’unità, una politica della liquidità imperniata su un adeguato volume di asset prontamente realizzabili, ben più efficace di quella che faccia prevalente affidamento sulla capacità di indebitamento sul mercato, senza quindi rischio di incorrere nei problemi dell’ormai ben noto funding gap, che si è manifestato, quasi esclusivamente presso i maggiori gruppi, in particolare a seguito della crisi del debito pubblico e del correlato inaridimento dei flussi finanziari dall’estero. Nonostante ciò, non possono essere sottovalutate tutte le difficoltà che le banche locali minori possono incontrare nel diversificare il portafoglio prestiti e nel dotarsi di governance e management adeguati e, d’altro lato, che nella gestione

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La Società può emettere le azioni previste dall’articolo 150-ter del D. 385, nei casi e nei modi previsti dal presente articolo. Ai sensi dell'art. 2443 c.c., con delibera