• Non ci sono risultati.

Bollettino Politiche strutturali per l'agricoltura. N. 6/7 (apr.-giu. 1999)

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Bollettino Politiche strutturali per l'agricoltura. N. 6/7 (apr.-giu. 1999)"

Copied!
24
0
0

Testo completo

(1)

on c’è dubbio che, anche sul terreno delle politiche di sviluppo rurale, Agenda 2000 abbia costituito un passo in avanti.

La semplificazione degli strumenti e l’ulteriore concentrazione degli interventi, il rafforzamento dei principi di sussidiarietà e decentramento decisionale e gestionale, nonché quello degli stessi stru-menti di controllo, monitoraggio e valutazione rappresentano un potenzia-mento del ruolo dello sviluppo rurale all’interno delle politiche comunita-rie, ancorché rimangono altrettanto irrisolte questioni che potranno mette-re a dura prova l’efficacia delle politiche di sviluppo rurale, come l’esigua dimensione finanziaria e alcuni aspetti non chiari nelle procedure di sem-plificazione.

Ciò richiede, a maggior ragione, un’efficienza programmatica e di spesa delle nostre istituzioni, superando equivoci e divaricazioni, attraverso un forte sforzo di coordinamento e concertazione tra Amministrazioni centrali e tra queste e quelle regionali: la politica di sviluppo rurale esalta le com-petenze delle Regioni, le quali hanno avviato, a loro volta, un processo di decentramento sub-regionale che richiede un maggiore coordinamento, pena la frammentazione ulteriore degli interventi.

Occorre, tuttavia, al di là del dato contingente, riequilibrare ulteriormente la Pac. Le ragioni fondanti il Trattato di Roma si sono certamente modifica-te: produttività, approvvigionamento e stabilità del mercato sono obiettivi largamente raggiunti e risolti, se non obsoleti e indifendibili agli occhi di larga parte dell’opinione pubblica.

L’obiettivo strategico è quello di costruire un nuovo contratto e un diverso processo che leghino gli agricoltori alla società sulla base di un loro contributo alla conservazione e al miglioramento ambientale, alla difesa della salute e della qualità dei pro-dotti alimentari, all’utilizzazione razionale del territorio, avendo come destinatari non solo i residenti delle aree rurali, ma i cittadini nel loro complesso, quali fruitori di servizi ambientali e beneficiari di vantaggi indiretti (si pensi, ad esempio, alla stabilità idrogeologica). Le tematiche territoriali, peraltro, acquistano valenza cre-scente per la necessità di governare i processi di con-centrazione produttiva nelle zone irrigue di pianura e per riequilibrarli rispetto ai fenomeni di marginalizza-zione di vaste aree collinari e montani, la cui rivitaliz-zazione passa non tanto dal recupero produttivo della sola agricoltura, quanto da una politica integrata e intersettoriale di sviluppo rurale.

Bollettino

n u m e r o

6/7

aprile/giugno - 1999

1

aprile/giugno - 1999 numero 6 a cura

I N E A

Istituto Nazionale di Economia Agraria

Direttore responsabile Francesco Mantino Responsabile di redazione Laura Viganò

Comitato di redazione Giuseppe Blasi, Carlo Caldarini, Gerardo Delfino, Emilio Gatto, Giovanni Lo Piparo,

Alessandro Monteleone, Alessandra Pesce, Andrea Povellato, Daniela Storti, Paolo Zaggia, Annalisa Zezza

Progetto grafico Benedetto Venuto Elaborazioni statistiche Stefano Tomassini Supporto informatico Massimo Perinotto Segreteria Laura Guidarelli

Registrazione Tribunale di Roma n.671/97 del 15/12/1997 Sped. abb. post. art.2 Comma 20/C Legge 662/96 filiale Roma

Stampa Litografia Principe, Via E. Scarfoglio, 28 - Roma Finito di stampare nel mese di aprile 2000

dell’

Osservatorio Politiche Strutturali

D.M. MIPA N. 9138/95

Sviluppo PAC

e territorio rurale

Prof. Francesco Adornato Presidente INEA

n

in questo numero

 1 Editoriale  2 Attualità Il concetto di buona pratica agricola nel nuovo regola-mento per lo sviluppo rurale  7 A che punto siamo Al via il negoziato per i nuovi pro-grammi 2000-2006  11 Inter-vista a Silvana Amadori  13 Regioni Lombardia: L’orga-nizzazione interna della Regione per la program-mazione 2000-2006  15 Dall’Unione Europea La stra-tegia europea in materia di occupazione  18 Strumenti della programmazione Il monitoraggio delle politiche di sviluppo rurale  23 Miscellanea, Pubblicazioni, Documenti e Siti Internet 

(2)

2

numero 6/7

aprile/settembre - 1999

Vi è di più. Il modello di sviluppo attuale, caratterizzato da fenomeni di crescente globalizzazione, competizione ser-rata, intensa urbanizzazione, rapidità e obsolescenza delle informazioni, indurrà, in modo del tutto naturale, una centralità del territorio rurale come luogo privilegiato e prezioso fino a connotarlo, nell’immaginario individuale e collettivo, come spazio di una nuova e diversa identità.

Non bisogna, inoltre, dimenticare che le problematiche territoriali si coniugano con il processo istituzionale federali-sta in atto nel Paese e che l’agricoltura italiana non può che esaltarsi in quefederali-sta direzione, poiché essa è struttural-mente aderente alle diversità regionali e territoriali, con cui ha realizzato nel tempo una stretta simbiosi, significati-vamente evidenziata dalla costruzione del paesaggio agrario.

Lo sviluppo rurale pone, in sostanza, al sistema agricolo nazionale una sfida impegnativa, se non decisiva, non solo sotto il profilo strettamente economico, ma anche per le prospettive future dello stesso Paese.

E

ditoriale

Attualità

Il concetto di buona pratica

agricola nel nuovo regolamento

per lo sviluppo rurale

di Andrea Povellato e

Camillo Zaccarini Bonelli INEA

Il Reg. (CE) 1257/99 prevede che, nell’ambito dei piani di sviluppo rurale, le misure agroambientali e le indennità compensative per le zone svantag-giate tengano conto delle “buone pratiche agrico-le” (BPA), definite come “l’insieme dei metodi coltu-rali che un agricoltore diligente impiegherebbe nella regione interessata.” (Reg. (CE) 1750/99, art. 28). Tutti gli agricoltori che aderiscono alle misure agroambientali e quelli che ricevono l’indennità per zona svantaggiata, infatti, devono, rispettiva-mente, oltrepassare le BPA “normali” (Reg. 1257/99, art. 23) e osservarne le “consuete” (Reg. 1257/99, art. 14; usual, in entrambi gli articoli, nella versione inglese del regolamento). In parti-colare, gli agricoltori che assumono impegni agroambientali in parte dell’azienda ricevono un premio calcolato a partire dalle normali BPA (Reg. 1750/99, art. 17), comunque da rispettare anche nel resto dell’azienda (Reg. 1750/99, art. 19). La definizione di BPA risulta generica, rispondendo all’intento della Commissione di lasciare la massi-ma autonomia agli Stati membri e, quindi, alle isti-tuzioni impegnate nella programmazione nel defi-nire in dettaglio cosa sia la BPA, i suoi contenuti operativi, gli aspetti specifici e il suo ruolo nel piano di sviluppo rurale.

Occorre sottolineare che una definizione universa-le non è né realistica, né auspicabiuniversa-le, in quanto la natura eterogenea delle condizioni agricole e ambientali e la variabilità degli orientamenti pro-duttivi e delle tecniche agronomiche non consen-tono di stilare un unico elenco di pratiche. Tuttavia, è opportuno avviare a livello nazionale

una riflessione comune che, senza predefinire i contenuti specifici della BPA, di prerogativa regio-nale, cerchi di chiarire gli aspetti critici comuni a tutte le Regioni, connessi all’individuazione delle linee guida da seguire nei piani di sviluppo rurale regionali.

Il ruolo della BPA nel regolamento di

sviluppo rurale

Nel regolamento sullo sviluppo rurale si parla non di codice di buona pratica agricola (CBPA) o di disciplinare di produzione, ma genericamente di BPA consueta o normale, che dovrebbe rappre-sentare l’insieme delle pratiche colturali di norma applicate in un certo areale, indipendentemente dall’uso di incentivi o di restrizioni legali. Nell’identificazione delle tecniche agricole normali (o usuali), non va confusa la prassi agricola cor-rente con la “buona” pratica agricola. Mentre le tecniche agricole più frequenti potrebbero portare a un uso non appropriato delle risorse naturali - si pensi, ad esempio, a quanto accade, a volte, nelle zone ad agricoltura intensiva - le buone pra-tiche agricole dovrebbero rifarsi a principi agrono-mici riconosciuti come validi ed efficaci, consen-tendo un uso razionale delle risorse naturali, umane e finanziarie da parte dell’impresa agrico-la.

La mancanza di un preciso riferimento a codici o disciplinari fa supporre che, nel definire la BPA, il principale intento del legislatore comunitario sia non risolvere una data emergenza ambientale (ovviamente, qualora i metodi di produzione si col-lochino al di sotto del livello minimo accettabile di BPA, anche la richiesta di rispettare i requisiti delle BPA può contribuire a migliorare lo stato dell’am-biente) o raggiungere un certo “livello guida”, come nel caso del CBPA sui nitrati o dei disciplinari agroambientali, ma piuttosto quello di garantire:

(3)

3

numero 6/7

aprile/settembre - 1999

a) la coerenza interna del regolamento di sviluppo rurale, evitando di concedere premi ad agricol-tori che non rispettano dei requisiti minimi ambientali;

b) l’efficacia degli interventi agroambientali pre-visti, che vada oltre il livello di riferimento delle buone pratiche agricole più comuni.

a) Coerenza interna al regolamento

L’esigenza di conferire maggiore coerenza fra le azioni messe in atto dal regolamento e gli obiettivi fissati deriva dall’esperienza passata, in cui spesso, a fronte di obiettivi dichiarati d’incentivazione degli usi estensivi e a basso impatto ambientale dei terre-ni agricoli, si sono sviluppati fenometerre-ni indesiderati di sfruttamento e intensificazione colturale. Si pensi, ad esempio, al problema dell’eccessivo carico di pascolamento in terreni che fruivano dell’indennità compensativa per zone svantaggiate, oppure all’a-dozione di tecniche produttive con un uso spinto di prodotti di sintesi, accanto a parcelle della medesi-ma azienda assoggettate al piano agroambientale per la riduzione degli input chimici.

In pratica, attraverso il vincolo del rispetto della BPA, il legislatore comunitario intende inserire una sorta di clausola di ecocondizionalità sia per l’a-groambiente, sia per le zone svantaggiate (anche nel caso di svantaggi ambientali), che assicuri un livello minimo di protezione dell’ambiente ed eviti situazioni di palese contraddizione con le politiche poste in essere.

b) Efficacia delle misure agroambientali

Dall’esperienza maturata nel primo quinquennio di applicazione del Reg. (CEE) 2078/92 è emersa la necessità di giustificare in modo più appropriato il sostegno alla conversione verso sistemi a basso impatto ambientale e al mantenimento di alcuni sistemi estensivi, migliorando l’efficacia delle misu-re agroambientali su scala sia aziendale, attraver-so un calcolo più preciattraver-so dei premi, che territoria-le, rendendo maggiormente incisivo l’impatto ambientale. Nel nuovo regolamento sul sostegno allo sviluppo rurale, alla normale BPA viene attri-buita la funzione di “livello di riferimento” per defi-nire le pratiche ecocompatibili in grado di produr-re effettivi benefici ambientali.

In realtà, questa impostazione è in via di adozione anche a livello internazionale al fine di classificare le tipologie di sostegno pubblico in agricoltura in funzione del grado di distorsione creato sui merca-ti e di priorità sociali e ambientali specifiche. In estrema sintesi, si sta affermando, come regola

generale, la definizione del livello al quale le atti-vità produttive possono considerarsi oltremodo dannose per l’ambiente e, quindi, si debba inter-venire con misure correttive obbligatorie. I livelli di riferimento, che distinguono le attività dannose da quelle positive, dovrebbero essere più o meno corrispondenti alle BPA. Le sole attività produttive che vanno oltre questi standard, quindi, sono in grado di generare effetti positivi sull’ambiente, consentendo di incentivare in termini finanziari gli sforzi di adattamento compiuti dagli agricoltori. Al contrario, le attività produttive che non raggiun-gono questi standard sono considerate dannose ed è compito delle politiche di regolamentazione correggere le situazioni anomale. Ciò consentireb-be di rispettare il principio ”chi inquina paga”, san-cito a livello comunitario e internazionale, in base al quale la riduzione dell’inquinamento dovrebbe essere a carico del responsabile dell’attività inqui-nante. Il seminario OECD di Helsinki del 1996 è stato interamente dedicato a questo argomento.

Diversamente dal livello di riferimento della nor-male BPA, che costituisce il metro di confronto per apprezzare l’efficacia dell’intervento su una ipote-tica scala che misura il “grado di ecocompatibi-lità” delle pratiche agricole adottate (fig. 1), il livel-lo guida, indicato nei disciplinari di produzione allegati ai programmi agroambientali, rappresen-ta un obiettivo della politica agroambienrappresen-tale. Questo viene perseguito tramite la corresponsione di premi, a fronte del rispetto di precisi impegni tecnici. Tanto maggiore è il divario fra il livello di riferimento (ovvero della normale BPA) e il livello guida (ovvero quello stabilito nei disciplinari agroambientali), tanto più incisiva ed efficace dovrebbe essere la misura agroambientale messa in atto. Da notare che i codici e i disciplinari appartengono alla sfera normativa, che può variare principalmente in funzione delle nuove conoscenze scientifiche e delle indicazioni politi-che, mentre, nella realtà operativa, l’adozione delle tecniche è frutto di un giudizio di convenien-za economica.

Da notare che, nel grafico, sono stati volutamente distinti gli aspetti relativi alla definizione di una buona pratica da quelli riguardanti le normali o consuete pratiche. Il primo aggettivo, che caratte-rizza la definizione dei vari codici e disciplinari, rappresenta un “aspetto normativo”, generalmen-te indicato da esperti che dettano norme in propo-sito. Esso può variare principalmente in funzione

(4)

delle nuove conoscenze scientifiche, che possono rendere applicabili tecniche maggiormente ecocompatibili, e delle indicazioni politiche, influenzate dalla sensibilità dell’opinione pubblica ai temi ambientali. Il secondo aggettivo, invece, ha una valenza statistica, in quanto indica la fre-quenza con cui determinate tecniche vengono applicate nella “realtà operativa”, essenzialmente in funzione di un giudizio di convenienza econo-mica. In altre parole, il “campo di variazione delle tecniche” disponibili è solitamente molto ampio, variando da tecniche a elevato impatto ambien-tale a tecniche che non modificano nella sostanza la dotazione delle risorse naturali. Viceversa, le “pratiche agricole normali” si concentrano, di soli-to, in un ambito più ristretsoli-to, in conseguenza dei segnali provenienti dal mercato e delle conoscen-ze acquisibili da parte dell’agricoltore. È presumi-bile che la buona pratica agricola coincida gros-somodo con le pratiche agricole più diffuse - e questo è il caso segnalato nella figura 1 - senza peraltro dimenticare che, nelle aree ad agricoltu-ra più intensiva, probabilmente vi sarà una sfasa-tura tra pratiche agricole più frequenti, ma con grado di ecocompatibilità ridotto, e buone prati-che agricole.

Ovviamente, come messo in risalto nella figura 1, il livello di riferimento, il livello guida e le pratiche agricole correnti variano di area in area, in consi-derazione della natura eterogenea delle condizio-ni agricole e ambientali. È altrettanto evidente che tale situazione possa mutare anche nel tempo.

La BPA normale, intesa come “livello di riferimen-to”, nell’ambito del regolamento di sviluppo rura-le, costituisce la base di calcolo per:

- la valutazione delle perdite di reddito e dei costi aggiuntivi sostenuti per adottare tecniche mag-giormente ecocompatibili;

- la misurazione dell’impatto ambientale;

Nel primo caso, il regolamento applicativo 1750/99 stabilisce che “il livello di riferimento per il calcolo dei mancati redditi e dei costi addizionali risultanti dagli impegni sottoscritti è dato dalle nor-mali BPA della zona in cui è applicata la misura” (art. 17). Questa disposizione discende dalla necessità di evitare l’erogazione di premi non giu-stificati da un’effettiva “conversione” dell’agricolto-re verso pratiche agricole che producano un dell’agricolto-reale effetto positivo sull’ambiente. Infatti, nel corso della passata programmazione, è accaduto che siano stati concessi premi ad agricoltori che già praticavano sistemi di coltivazione a basso impat-to ambientale, per cui l’erogazione dell’aiuimpat-to non era giustificata né da perdite di reddito, né da costi addizionali. Un caso a parte è costituito da particolari sistemi estensivi per i quali possono essere prese in considerazione le conseguenze economiche dell’abbandono dei terreni o della cessazione di determinate pratiche agricole, ove giustificata da condizioni agronomiche o ambien-tali (art. 17).

In altri termini, secondo l’esempio precedente-mente illustrato (fig. 1), si tratta di allontanare l’e-ventualità in cui la normale BPA condotta nella realtà operativa venga a collocarsi allo stesso

2

numero 6/7

aprile/settembre - 1999

Attualità

4

Figura 1 – Grado di ecocompatibilità delle pratiche agricole

aspetto

normativo

realtà

operativa

GRADO DI ECOCOMPATIBILITÀ

CAMPO DI VARIAZIONE DELLE TECNICHE AGRICOLE

LIVELLO DI RIFERIMENTO LIVELLO GUIDA

variabile per area

variabile per area

variabile per area

Norme legali (es. CBPA nitrati)

Pratica agricola normale

Disciplinari agroambientali

(5)

grado di ecocompatibilità fissato dal disciplinare agroambientale. Questa ipotesi si verifica più facil-mente in aree marginali dove l’usuale pratica agri-cola si avvicina facilmente agli indirizzi tecnici dei disciplinari agroambientali. In tal caso, coinciden-do il livello guida con quello di riferimento, l’inter-vento agroambientale non produrrebbe effetti par-ticolari, se non quello di mantenere lo status quo. Questa ipotesi è giustificata solo nel caso in cui l’o-biettivo della politica agroambientale sia priorita-riamente di ordine socioeconomico, ovvero volto a contrastare l’abbandono di aree marginali per pre-venire futuri problemi ambientali.

Riguardo al secondo punto, il regolamento appli-cativo 1750/99 stabilisce che “gli Stati membri defi-niscono norme verificabili nei loro piani di svilup-po rurale” (art. 28). Dalla normale BPA di una certa area, quindi, dovrebbero essere desunti i parametri di riferimento idonei per costruire gli indicatori di monitoraggio su cui fondare le suc-cessive valutazioni della politica agroambientale. La sorveglianza delle condizioni ambientali (biolo-giche, chimiche, fisiche, estetiche, ecc.), infatti, comporta la raccolta di dati, al fine di misurare i livelli e le variazioni di tutti gli aspetti ambientali significativi. E’ opportuno allora pervenire alla definizione di indicatori agroambientali che, per la valutazione delle politiche, dovrebbero essere riferiti agli obiettivi delle politiche stesse, ai criteri valutativi e ai livelli guida e di riferimento (ovvero quelli propri della BPA normale).

Proposta di contenuti della BPA

Come già detto, la BPA normale costituisce “l’insie-me dei “l’insie-metodi colturali che un agricoltore diligen-te impiegherebbe nella regione indiligen-teressata”. Le “norme verificabili” per la BPA normale “in ogni caso comprendono l’osservanza delle prescrizioni generali vincolanti in materia ambientale” (Reg. 1750/99, art. 28). In questo modo, il regolamento applicativo offre una prima chiave di lettura della BPA, delimitando i contenuti di base dai quali non si può prescindere. Questi dovrebbero riferirsi almeno alle norme minime in materia di ambien-te, ossia alle attuali norme legali comunitarie e disposizioni o alle raccomandazioni nazionali o regionali.

L’uso del termine “comprendere” fa pensare che la BPA non si esaurisca nel solo rispetto delle norme minime legali e che sia auspicabile andare oltre questa interpretazione restrittiva; si prefigurano, quindi, due diverse ipotesi da applicare in modo differenziato nel territorio:

a) la BPA normale, coincidente con le norme mi-nime in materia di ambiente stabilite da provvedimenti legislativi;

b) la BPA facente parte della normale prassi agri-cola di una certa zona.

a) La BPA normale coincidente con le

norme minime in materia di ambiente

Secondo questa ipotesi interpretativa, il livello di BPA normale sul quale dovrebbe attestarsi la realtà operativa sarebbe dettato da norme mini-me che attengono solo alla sfera normativa (vedi figura 1).

Le norme che a livello nazionale regolano e mira-no a incidere sulle pratiche agricole per ricondurle o mantenerle a un livello minimo di sostenibilità ambientale afferiscono, in generale, alle due seguenti categorie:

- raccomandazioni generali svincolate da codici o disciplinari di produzione e che attengono a singoli aspetti o fasi della pratica agricola; - norme fra loro coordinate e contenute in Codici

di BPA.

Nel primo caso, la BPA consiste innanzitutto nel rispettare specifiche e puntuali raccomandazioni, valide indipendentemente dai sistemi di produzio-ne o da codici o disciplinari. Questo tipo di racco-mandazioni, ad esempio, regolano a livello nazio-nale gli impieghi sicuri autorizzati nel caso della distribuzione dei fitofarmaci. Gli impieghi sicuri autorizzati (di solito enunciati in etichetta) com-prendono gli usi registrati o raccomandati e ten-gono conto delle considerazioni di salute pubbli-ca, igiene del lavoro e sicurezza ambientale. Sarebbe necessaria una ricognizione più appro-fondita in questa materia a livello comunitario, nazionale e regionale per verificare se, oltre all’e-sempio dei prodotti fitoiatrici, ci siano raccoman-dazioni specifiche per altri usi che possono provo-care un impatto ambientale.

Nel secondo caso, invece, si tratta di norme, for-malizzate in codici o disciplinari, che cercano di regolare in maniera organica tutti i processi che caratterizzano la pratica di produzione agricola, al fine di risolvere delle emergenze ambientali su base territoriale e/o tutelare singole risorse ambientali. A questo proposito, come punto di partenza, si riporta il quadro normativo di riferi-mento a livello nazionale che prende in conside-razione la BPA. Fra le norme in vigore, si citano: - Codice di buona pratica agricola per la

pro-3

numero 6/7

aprile/settembre - 1999

5

(6)

tezione delle acque dei nitrati in base alla diretti-va 91/676/CEE (D.M. MiPA del 19 aprile 1999); - Disciplina nazionale dei metodi rispettosi per

l’ambiente in base al Reg.(CE) 2200/96 ortofrutta (nota MiPA n. 9990879 del 21/05/1999).

Fra le norme in via di definizione e da integrare nella BPA usuale non appena in vigore, si citano: - Codice di buona pratica agricola per la

pro-tezione delle acque da residui di prodotti fitosan-itari ai sensi della direttiva 91/271/CEE (D.lgs. 152 dell’11 maggio 1999);

- Codice di buona pratica agricola sulle tecniche di lavorazione del terreno e razionalizzazione delle attività irrigue nel quadro dell’Azione Nazionale di lotta alla desertificazione (in via di elaborazione a cura del Comitato nazionale per la lotta alla desertificazione, ai sensi della delib-era CIPE 154 del 22/12/1998);

- Codice di buona pratica agricola per la tutela della biodiversità vegetale e animale nel quadro del Programma nazionale della Biodiversità (L. n. 124 del 14 febbraio 1994). Questa lista conferma quanto osservato in prece-denza: esistono non un unico codice di buona pra-tica agricola, ma tanti codici settoriali, che varia-no a seconda dell’area regionale presa in conside-razione. Accanto a queste norme, va menzionato anche quanto previsto dal regolamento orizzonta-le (Reg. (CE) 1259/99), che demanda agli Stati membri la possibilità di condizionare i pagamenti diretti previsti dalle OCM al rispetto di vincoli ambientali e produttivi specifici (art. 3). Le disposi-zioni possono essere attuate attraverso l’erogazio-ne di aiuti ad hoc, in cambio di specifici impegni agroambientali assunti dall’agricoltore, o con la fissazione di requisiti ambientali obbligatori, di carattere generale o specifici, per poter accedere agli aiuti. Inoltre, nei regolamenti riguardanti le singole OCM, sono inseriti alcuni vincoli di compa-tibilità ambientale (ad esempio, il limite massimo per il carico di bestiame) che, di fatto, possono essere considerati come norme di buona pratica agricola.

b) la BPA facente parte della normale

prassi agricola di una certa zona

In questo caso, oltre alle norme minime legali cita-te in precedenza, il livello di riferimento della BPA normale dovrebbe tenere conto anche delle prati-che agricole usualmente adottate nella realtà operativa, purchè possano essere considerate “buone”.

A questo proposito, si tratta di individuare lo stan-dard di pratica agricola che seguirebbe un agri-coltore responsabile, in aggiunta, come detto, alle norme fissate per legge.

Tuttavia, in questo caso, si devono risolvere alcuni problemi riguardanti i seguenti aspetti:

1) la definizione a priori di uno standard di BPA “normale” e adottabile da un agricoltore “dili-gente”;

2) il necessario adeguamento di tale standard alle differenti condizioni ambientali, agricole e socioeconomiche della regione in questione, che comporta il ricorso a una zonizzazione e la definizione delle aree omogenee in cui fissare lo standard di BPA normale;

3) la necessità di conciliare la flessibilità dello stru-mento della BPA con la libertà imprenditoriale di modificare comportamenti e indirizzi produt-tivi;

4) le modalità per individuare indicatori affidabili che permettano di fissare il livello di riferimento. Riguardo al primo punto, l’aspetto della “ragione-volezza” della pratica agricola, per quanto sfuma-to e non circoscritsfuma-to, può essere riferisfuma-to alla prassi agricola normale in cui gli agricoltori rispettano, per il loro stesso interesse economico e non per imposizione di legge, ad esempio, i quantitativi di pesticidi raccomandati dalla manualistica, per evitare fenomeni di fitotossicità ed eccessivo dispendio del trattamento; oppure, dal punto di vista delle tecniche agronomiche, evitano di effet-tuare alcune operazioni colturali in epoche in cui è forte il rischio di degradazione della fertilità del suolo. In effetti, la definizione di tecnica “normale” è piuttosto complessa e, più che rappresentare una “fotografia fedele” delle tecniche agricole adottate da ogni singolo imprenditore, sembra essere interpretabile come il concetto estimativo di “ordinarietà”.

Il secondo punto riguarda il problema della zoniz-zazione, che dovrebbe essere affrontato non sol-tanto in termini di sensibilità ambientale - criterio

6

numero 6/7

aprile/settembre - 1999

(7)

7

numero 6/7

aprile/settembre - 1999

guida per selezionare in modo coerente l’applica-zione delle misure - ma anche sotto il profilo della diffusione di determinate pratiche agricole usuali. Quest’ultima zonizzazione, quindi, andrebbe ad aggiungersi a quella definita da norme che indivi-duano ex-lege le aree sensibili. In altre parole, il concetto della BPA impone di prendere in consi-derazione anche altri criteri, quali l’indirizzo pro-duttivo prevalente in una certa zona, le caratteri-stiche tipologiche aziendali, ecc..

Circa il terzo punto, il problema non si pone finché si tratta di obblighi di legge, quali quelli sul

rispet-to del CBPA per i nitrati. Più difficile, invece, è imporre una certa BPA, perché considerata usuale in una certa zona, senza limitare le scelte impren-ditoriali. Pertanto, la BPA dovrebbe essere quanto più possibile flessibile, non solo nello spazio ma anche nel tempo, per poterla aggiornare come avviene per gli attuali disciplinari di produzione. Infine, con riferimento al quarto punto, si pone lo stesso problema rilevato con il Reg. 2078/92, ovve-ro quello della difficoltà di individuare indicatori affidabili e soprattutto di effettuare i controlli, che dovrebbero spaziare su un areale molto più vasto.

Attualità

A che punto siamo?

Al via il negoziato per

i nuovi programmi

2000-2006

di Emilio Gatto - INEA

La recente riforma della PAC ha introdotto importanti novità sotto il profilo dei meccanismi di inter-vento nel settore agricolo e delle modalità di finanziamento dei programmi a finalità strutturale destinati alle aree rurali.

In primo luogo, la politica di svi-luppo rurale è stata estesa a tutto il territorio dell’Unione, anche per quanto riguarda l’at-tuazione di quelle misure – gli interventi di diversificazione eco-nomica nelle aree rurali, in parti-colare - in precedenza riservati esclusivamente alle zone rica-denti in uno degli obiettivi priori-tari individuati dai Fondi Strutturali.

Una seconda rilevante novità è costituita dal ricorso al FEOGA-Garanzia per il finanziamento delle politiche strutturali. Infatti, mentre per le regioni dell’obietti-vo 1 gli interventi continuano a essere sostenuti, sotto il profilo finanziario, dalla sezione Orien-tamento del FEOGA e integrati nei Programmi Operativi Regio-nali (POR), nelle regioni fuori

obiettivo 1 essi sono inseriti nel Piano di Sviluppo Rurale (PSR), il nuovo strumento di programma-zione che, cofinanziato appunto dal FEOGA-Garanzia, racchiu-derà al suo interno tutti gli inter-venti di sostegno alle aree rurali attuati sul territorio regionale. Nelle regioni obiettivo 1, invece, il PSR conterrà esclusivamente le ex misure di accompagnamento (prepensionamento, misure agroambientali e forestazione) – già cofinanziate dalla sezione Garanzia del FEOGA - e le misu-re a favomisu-re delle amisu-ree svantag-giate.

Con l’approvazione, nel maggio ‘99, del regolamento generale sui Fondi strutturali - Reg. (CE) 1260/99 - e del regolamento ri-guardante il sostegno allo svilup-po rurale - Reg. (CE) 1257/99 - la fase di predisposizione dei pro-grammi è entrata nel vivo. Il ter-mine previsto per la presentazio-ne dei piani alla Commissiopresentazio-ne, infatti, è stato fissato entro sei mesi dalla pubblicazione dei regola-menti sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta nel giugno ‘99.

In considerazione dell’esperienza della precedente fase di pro-grammazione e grazie anche a una decisa azione di coordina-mento a livello centrale, i piani

sono stati completati da tutte le amministrazioni. Sono stati così evitati, almeno in questa primis-sima fase, i problemi connessi ai ritardi registrati già in fase di pre-disposizione, che avevano carat-terizzato i programmi 94/99, comportando un differimento dell’avvio della fase di negoziato con la Commissione.

La programmazione nelle

Regioni dell’obiettivo 1

Per le regioni obiettivo 1, come accennato in precedenza, gli interventi cofinanziati dal Fondo agricolo sono parte integrante della programmazione dei Fondi Strutturali e saranno inseriti nei programmi operativi previsti dal futuro Quadro Comunitario di Sostegno 2000-2006.

Gli orientamenti per la definizio-ne del Piano di Sviluppo del Mezzogiorno (PSM) - il documen-to sulla base del quale la Commissione approverà il QCS per l’Italia – e dei Programmi Operativi Regionali (POR) sono stati fissati con Delibera Cipe del dicembre ‘98. Quest’ultima ha istituito anche il Comitato Nazionale per i Fondi Strutturali e individuato due livelli di pro-grammazione, uno nazionale e

(8)

uno regionale, con il compito di redigere Rapporti, rispettivamen-te, settoriali e regionali, come base per la definizione del PSM. Il 29 aprile è stata presentata la prima bozza del PSM, successi-vamente approvato con Delibera Cipe del 6 agosto. Il Piano di Sviluppo si prefigge, come obiettivo globale, il conse-guimento di un tasso di crescita del Prodotto interno lordo signifi-cativamente superiore a quello medio dell’UE a partire dal 2004, con un aumento dell’occupazio-ne e una sostanziale attenuazio-ne dei fenomeni di marginalità

sociale.

Per l’Italia, le risorse messe a disposizione dai Fondi Strutturali per il periodo 2000-2006 ammon-tano a circa 22 miliardi di euro, pari al 16% delle risorse comuni-tarie destinate all’Obiettivo 1. Tale somma include la quota di riserva - da destinare, nel medio periodo, ai programmi più effi-cienti - prevista dal regolamento generale sui fondi strutturali in misura del 4% delle risorse, a cui il nostro paese ha aggiunto un ulteriore 6%.

Al netto della riserva, le risorse

finanziarie comunitarie disponi-bili per la programmazione a partire dal 2000 sono di 21.291 milioni di euro, a cui si va a som-mare il cofinanziamento nazio-nale, pari pressappoco alla quota comunitaria.

Il PSM si articola in sei assi priori-tari di intervento (risorse naturali e ambientali; risorse culturali e storiche; risorse umane; sistemi locali di sviluppo; città; reti e nodi di servizio) e prevede sette programmi operativi regionali (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna, Sicilia e Molise), sei programmi operativi

A che punto siamo?

8

numero 6/7

aprile/settembre - 1999

Tabella 1 - Risorse finanziarie per l’Obiettivo 1 e ripartizione annua (milioni di euro)

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 Totale Importi a prezzi 99 3.13,5 3.133,5 3.133,5 3.133,5 2.402,4 2.402,4 2.402,4 19.741,5 Indicizzazione 62,6 126,5 191,8 258,3 250,0 303,0 357,2 1.549,7 riserva 6% - - - - 438,7 438,7 438,7 1.316,1 Indicizzazione - - - - 45,6 55,3 65,2 166,2 riserva 4% - - - - 292,4 292,4 292,4 877,4 Indicizzazione - - - - 30,4 36,8 43,4 110,8 Totale 3.196,2 3.260,2 3.325,4 3.391,9 3.459,7 3.528,9 3.599,5 23.761,7 Fonte: Piano di Sviluppo del Mezzogiorno

Tabella 2 - Risorse FEOGA previste nei Programmi Operativi Regionali e ripartizione tra gli assi prioritari di sviluppo

Assi/regioni Basilicata Calabria Campania Puglia Sardegna Sicilia Totale milioni di euro I - risorse naturali 40 84,78 250,0 166,4 24,6 143,0 708,8 II - risorse culturali - - 41,7 30 - - 71,7 II - risorse umane - - 8,3 - - - 8,3 IV - sistemi locali 130,6 325,609 350,1 326,7 379,9 640,9 2.153,9 V - città’ - - -

-VI - reti e nodi di servizi - - - -Assistenza tecnica 0,5 - - - 1,4 2,4 4,3 Totale 171,1 410,267 650,238 523,1 405,9 786,2 2.946,9 valori % I - risorse naturali 23,4 20,6 38,5 31,8 6,1 18,2 24,1 II - risorse culturali - - 6,4 5,7 - - 2,4 II - risorse umane - 1,3 - - - 0,3 IV - sistemi locali 76,3 79,4 53,8 62,5 93,6 81,5 73,1 V - città’ - - -

-VI - reti e nodi di servizi - - - -Assistenza tecnica 0,3 - - - 0,3 0,3 0,1 Totale 100 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: Programmi Operativi Regionali

(9)

9

numero 6/7

aprile/settembre - 1999

A che punto siamo?

nazionali (ricerca scientifica, Scuola, Sicurezza per lo sviluppo, Industria, Trasporti e Pesca) e un programma di assistenza tecni-ca.

La ripartizione delle risorse fra le Regioni è stata stabilita in seno alla Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e Regioni del 7 maggio ‘99, sulla base degli ambiti prioritari di intervento individuati nei singoli Programmi Operativi e di criteri oggettivi. Le risorse FEOGA sono pari a circa 15% del totale disponibile, una quota pressappoco uguale a quella del ciclo di programma-zione ‘94/99. La gestione finan-ziaria degli interventi a favore dell’agricoltura è interamente demandata alle Regioni, mentre il Ministero del-le Politiche agri-cole e Forestali svolge funzioni di orientamento e coordinamento. Nell’ambito di tali funzioni, il MiPAF ha predisposto il Rapporto Interinale di settore,

individuando i principali fabbi-sogni di intervento, gli obiettivi generali e le strategie di svilup-po per l’agricoltura e le aree rurali per il periodo 2000-2006 (si veda il BPSA n. 5).

Gli obiettivi sono stati inseriti nel PSM e, con le necessarie specifi-che, nei programmi regionali. Essi si identificano con il miglio-ramento della competitività dei sistemi agricoli e agroindustriali in un contesto di filiera (obiettivo specifico n. 52 del PSM), il soste-gno allo sviluppo dei territori rurali e alla valorizzazione delle risorse ambientali e storico-cultu-rali, nel quadro di progetti inte-grati (obiettivo specifico n. 53) e l’accrescimento della dotazione di servizi e della propensione all’innovazione (obiettivo specifi-co n. 54).

A livello regionale, le dotazioni più elevate di risorse sono state assegnate alla Sicilia (circa 790

Meuro di quota FEOGA) e alla Campania (circa 650). Alla Basilicata, invece, è stata desti-nata la quota più contenuta, pari a 171 Meuro di risorse FEOGA.

Nei Programmi regionali, gli interventi sono inseriti prevalen-temente nell’asse 4, sviluppo locale, che prevede una specifi-ca linea di intervento per l’agri-coltura e lo sviluppo rurale. Se si considerano i POR nel loro insie-me, in questo asse è concentrato oltre il 70% delle risorse FEOGA. Nell’asse risorse naturali sono allocate risorse pari al 24% delle disponibilità complessive, men-tre decisamente più esigue sono le risorse destinate agli assi risor-se culturali (per il quale solo i POR della Campania e della Puglia prevedono interventi per un ammontare di risorse pari al 2,5% del totale FEOGA) e risorse umane.

Tabella 3 - Risorse destinate ai Piani di Sviluppo Rurale. Ripartizione indicativa per regione

Regione stanziamento dotazione medio annuo indicativa2000-2006 totale Italia % sul

milioni di euro % Piemonte 47,87 335,09 8,1% Valle d’Aosta 5,79 40,53 1,0% Lombardia 44,43 311,01 7,5% Bolzano 15,67 109,69 2,6% Trento 11,89 83,23 2,0% Veneto 39,18 274,26 6,6%

Friuli Venezia Giulia 13,17 92,19 2,2%

Liguria 11,47 80,29 1,9% Emilia Romagna 50,98 356,86 8,6% Toscana 43,40 303,80 7,3% Umbria 23,69 165,83 4,0% Marche 24,46 171,22 4,1% Lazio 33,67 235,69 5,7% Abruzzo 17,51 122,57 2,9% Molise 4,40 30,80 0,7% Campania 19,91 139,37 3,3% Puglia 38,48 269,36 6,5% Basilicata 24,18 169,26 4,1% Calabria 29,50 206,50 4,9% Sicilia 55,42 387,94 9,3% Sardegna 39,93 279,51 6,7% Totale Italia 595,00 4.165,00 100,00%

(10)

Dopo la presentazione informale alla Commissione nell’agosto ‘99, Il PSM e i POR sono stati inviati ufficialmente a Bruxelles a fine settembre. L’11 gennaio ha avuto formalmente inizio il negoziato per la definizione del QCS 2000-2006, la cui conclusione è previ-sta per l’aprile del ‘99.

I Piani di Sviluppo Rurale

Come accennato, i Piani di Sviluppo Rurale nelle regioni del Centro-nord includono tutti gli interventi a finalità strutturale, mentre nelle regioni obiettivo 1 comprendono soltanto la misure cofinanziate dal FEOGA-Garanzia, vale a dire le ex-misu-re di accompagnamento e le indennità compensative per le aree svantaggiate.

In entrambi i casi, il livello terri-toriale a cui fanno riferimento gli interventi è costituito dall’intera superficie regionale. Infatti, seb-bene per le aree settentrionali dell’Obiettivo 2 sia stata prevista la possibilità di inserire gli inter-venti di sviluppo rurale nel DocUP, le amministrazioni com-petenti hanno optato per una programmazione unica degli interventi di sviluppo rurale unica, integrata nel PSR.

Le risorse finanziarie attribuite all’Italia per il periodo 2000-2006 ammontano a 595 Meuro annui. Il cofinanziamento nazionale graverà interamente sul Fondo di Rotazione. Tuttavia, le ammi-nistrazioni regionali partecipe-ranno con risorse proprie al finanziamento delle misure strut-turali propriamente dette per una quota del 30%.

Le risorse nazionali transiteranno attraverso l’Organismo Pagatore (attualmente l’AIMA), che prov-vederà a erogarle secondo le modalità di funzionamento pro-prie del FEOGA-Garanzia. E’ prevista anche l’istituzione di un Comitato Nazionale per la sorveglianza dei PSR, a cui par-teciperanno i Ministeri delle Politiche Agricole e del Tesoro, le Regioni e le Provincie Autonome e l’Organismo pagatore.

Il MiPAF, entro il 30 settembre di ogni anno, trasmetterà alla Commissione le previsioni finan-ziarie aggiornate per ciascun PSR. Poiché le risorse comunitarie sono assegnate a livello di Stato membro, i piani finanziari, qua-lora necessario, potranno essere rimodulati, in modo da assicura-re la completa utilizzazione dei fondi e evitare le penalizzazioni previste dalla normativa

comu-nitaria, nel caso in cui le spese rendicontate risultino inferiori a quelle previste annualmente nel piano finanziario di ciascun pro-gramma.

La ripartizione delle risorse dispo-nibili tra le Regioni, approvata in sede di Conferenza Stato-Regioni, è avvenuta sulla base di criteri oggettivi e ha dovuto tenere conto dell’ingente mole di impegni assunti nel corso del precedente periodo di program-mazione per le ex misure di accompagnamento - per quelle agroambientali, in particolare -che graverà, sotto il profilo finan-ziario, sui nuovi piani.

I programmi sono stati redatti e trasmessi al MiPAF, che ha prov-veduto a inviarli alla Commis-sione. Quest’ultima procederà a un controllo di conformità ai cri-teri di presentazione stabiliti dall’Allegato al Reg. 1750/99 e, una volta appurato il rispetto dei requisiti formali richiesti, darà avvio al negoziato.

I piani, per essere dichiarati rice-vibili dalla Commissione, do-vranno contenere: un’analisi della situazione socio-economica e ambientale di partenza, con l’indicazione dei fabbisogni di intervento nelle singole regioni; una descrizione della strategia di sviluppo che si intende adot-tare, con una definizione precisa degli obiettivi perseguiti; la valu-tazione degli impatti attesi sotto il profilo socio-economico e ambientale; una valutazione della coerenza del programma con le politiche comunitarie; un’indicazione delle modalità di attuazione del partenariato; una descrizione dei meccanismi di attuazione, sorveglianza e valu-tazione.

La dichiarazione di “ricevibilità” costituisce la data a partire dalla quale l’UE ammetterà a cofinan-zimento le spese sostenute dai beneficiari finali.

10

numero 6/7

aprile/giugno 1999

(11)

Silvana Amadori

Ispettore Generale Capo

I.G.R.U.E., Dipartimento

Ragioneria Generale

dello Stato, Ministero del

Tesoro, Bilancio e

Programmazione

Economica

Quali obiettivi sono stati rag-giunti dalla Ragioneria Gene-rale dello Stato con la costruzio-ne di un Sistema Centrale per la raccolta e l’archiviazione dei dati di monitoraggio?

In sintesi, ritengo che, da un lato, la gestione degli interventi sia diventata più efficiente e, dall’altro, sia stata favorita la dif-fusione di informazioni sullo stato di attuazione. Il sistema unico di monitoraggio ha colmato un’evi-dente lacuna in questo ambito. Nonostante le innovazioni intro-dotte già dalla riforma dei Fondi strutturali del 1988, che aveva attribuito un ruolo primario alla sorveglianza e alla valutazione, la fase di programmazione 1989/93 aveva rappresentato, in questo senso, un periodo di “trai-ning”. All’avvio del nuovo ciclo 1994/99, che si apriva all’inse-gna di un ulteriore rafforzamento di quei principi, il nostro Paese non era preparato per supporta-re un efficace monitoraggio delle azioni, mentre la situazione politica, economica e di bilancio

esigeva una gestione finanziaria trasparente ed efficiente.

Era perciò necessario e urgente superare questo deficit, trovan-do un accortrovan-do su un modello di raccolta ed organizzazione dei dati di monitoraggio e indivi-duando un unico referente, a livello centrale, quale punto di riferimento per tutti gli interlocu-tori del processo.

Il Sistema Centrale della Ragioneria Generale dello Stato (R.G.S.), che già gestiva i dati sui flussi finanziari tra l’Italia e l’Unione Europea e quelli relativi ai pagamenti alle Amministra-zioni titolari dei programmi, fu dotato di nuove funzionalità, in modo da consentire l’archivia-zione dei dati di attual’archivia-zione degli interventi socio-strutturali. Nacque così il sistema di moni-toraggio centrale unico che, col tempo, si è arricchito di sempre nuovi elementi, per tenere conto delle esigenze emerse.

Quali sono i risultati conseguiti e i problemi incontrati nella realiz-zazione di tale Sistema e quale è stata la risposta delle ammini-strazioni periferiche e le azioni intraprese in accordo con que-ste al fine di garantirne il funzio-namento?

Per ciò che riguarda i problemi, un primo aspetto si riferisce ai tempi di risposta molto lunghi da parte di alcune Ammini-strazioni, nelle prime fasi di avvio del progetto, dovuti per lo più all’insufficiente disponibilità di risorse umane e di strumenti per la gestione di una nuova attività. Un esempio: i sistemi informativi esistenti non consen-tivano una tempestiva rilevazio-ne dei dati degli enti attuatori. Ogni cambiamento nelle proce-dure in uso incontra poi com-prensibili ostacoli; basti ricorda-re l’iniziale difficoltà di interpricorda-re-

interpre-tazione della nozione di “benefi-ciario finale” delle azioni e quel-le, più recenti, derivanti dall’in-troduzione di “SEM 2000”.

Inoltre, una difficoltà di ordine generale deriva dalla necessità di rendere omogeneo, standard un contesto per sua natura arti-colato e complesso: si pensi, ad esempio, alle problematiche sulla spesa dei privati, ma anche alla molteplicità di indi-catori fisici previsti nei program-mi operativi per tipologie di azioni simili.

Per quanto riguarda i risultati conseguiti, oltre alla quantità di dati di attuazione finanziaria e fisica già raccolti, che rappre-sentano senza dubbio un patri-monio informativo di grande valore, il sistema di monitorag-gio centrale unico ha incorag-giato la nascita di una nuova mentalità all’interno delle Amministrazioni. Per queste ulti-me raccogliere e divulgare siste-maticamente dati sullo stato di avanzamento degli interventi costituiscono ormai i presupposti operativi della sorveglianza e della valutazione, che permetto-no di orientare più efficiente-mente il futuro corso della azioni. Monitoraggio non più come “dovere” istituzionale, dunque, ma come strumento di gestione efficiente. In più, i risultati sono evidenti sul piano della traspa-renza e della divulgazione: la disponibilità di dati di monito-raggio consente di diffondere periodicamente informazioni di sintesi alla Commissione Europea e a tutti gli interlocutori istituzionali.

Quale ruolo ha avuto l’IGRUE e, quindi, il sistema di monitorag-gio nel superare i problemi lega-ti ai ritardi accumulalega-ti nell’attua-zione degli interventi a finalità strutturale?

11

numero 6

aprile/giugno 1999

(12)

12

numero 6/7

aprile/settembre - 1999

Intervista a

Silvana Amadori

L’IGRUE ha fornito i dati di attua-zione per obiettivo, intervento, fondo e anno a tutti i tavoli di lavoro (Comitati di QCS, riunioni tecniche, etc.), consentendo così di rilevare potenziali ritardi nel-l’avanzamento dei programmi. Con la Cabina di Regia Nazionale, nel 1996 fu elaborato un modello per individuare dei “sentieri di rientro”, vale a dire target di spesa da raggiungere nelle annualità a venire per intervento, su cui si basò l’indi-cazione politica di obiettivi di spesa annuali (il 55% per il 1998 e il 70% per il 1999) che hanno contribuito ad accelerare l’at-tuazione dei programmi.

In vista della nuova fase di pro-grammazione, come si pensa di valorizzare l’esperienza già acquisita in tema di monitorag-gio? Cosa si sta facendo e come si sta impostando il sistema di monitoraggio per il 2000-2006? La nuova fase di programmazio-ne si apre all’insegna di molte novità, che anzitutto le procedu-re dovranno accoglieprocedu-re. A que-sto stiamo lavorando.

Valorizzare l’esperienza del pas-sato significa soprattutto tenere conto di uno scenario complesso e dinamico. La futura architettu-ra e le soluzioni tecniche

consi-derano questi aspetti; funzioni e procedure saranno più flessibili, modulari, per adattarsi alla varietà del contesto. Inoltre, il sistema 2000/2006 includerà, tra l’altro, il monitoraggio a livello di progetto e il monitoraggio procedurale delle azioni.

In un ottica di partenariato, come viene favorita la parteci-pazione delle amministrazioni periferiche al miglioramento del sistema di monitoraggio nazio-nale?

Regioni “campione” sono già state intervistate sulla problema-tica della rilevazione dei dati a livello di progetto e altre intervi-ste seguiranno, come peraltro avvenuto per la predisposizione del modello attualmente in uso, anche attraverso molteplici tavoli di lavoro tenuti in questi anni.

Sul nuovo sistema di monitorag-gio, che includerà i progetti, si sta lavorando di concerto con il Dipartimento delle Politiche di Sviluppo e Coesione.

A suo parere, quali sono i requi-siti perché, in un prossimo futu-ro, il monitoraggio possa diven-tare un reale strumento di gestione?

Perché il monitoraggio evolva verso un reale strumento di gestione, occorre rendere anco-ra più evidente agli utilizzatori l’utilità del sistema, cioè fornire nuove funzionalità che consen-tano di interrogare e stampare dati secondo diverse aggrega-zioni, di simulare gli effetti – sullo stato di avanzamento – di una riprogrammazione tra fondi o di una rimodulazione tra misure, di correlare il monitoraggio alla rendicontazione; tutte queste istanze saranno recepite dal nuovo sistema.

Uno sviluppo ulteriore in termini gestionali dovrà essere il colle-gamento tra il monitoraggio e il controllo finanziario.

Uno spunto di riflessione per la gestione futura, ora che tutti concordano sull’utilità del moni-toraggio, sarà quello di porre l’accento sull’accelerazione della spesa, che deve tradursi anche in una migliore qualità degli interventi realizzati. Una volta conseguita l’efficienza, occorrerà puntare a una mag-giore efficacia delle azioni, rispetto agli obiettivi generali e specifici.

(13)

Lombardia: l’organizzazione

interna della Regione per la

programmazione 2000-2006

di Paolo Zaggia - Direzione Generale della Presidenza, Servizio Programmazione e Sviluppo, Regione Lombardia

Premessa

L’approfondimento delle problematiche emerse durante il periodo di programmazione 1994-1999 e la partecipazione al processo di redifinizione della normativa comunitaria sui fondi strutturali hanno permesso alla Regione Lombardia una revisione complessiva di tutto ciò che concerne l’attuazione delle politiche strutturali cofinanziate dall’UE, la programmazione regionale e quella negoziata. Un primo risultato è stata la presa di coscienza, da parte della Giunta regionale, delle potenzialità di integrazione tra i tre livelli di programmazione in funzione di un’unica politica di sviluppo sociale ed economico del territorio.

Il Documento di Programmazione Economica e Finanziaria Regionale 2000-2002 adotta questa impostazione, includendo, al suo interno, i nuovi indirizzi dell’UE in tema di fondi strutturali. Nell’ambito delle proposte di programma riferite agli obiettivi 2 e 3 e allo sviluppo rurale, infatti, esiste la possibilità di sviluppare assi prioritari che abbiano gli stessi obiettivi di alcuni progetti strate-gici regionali, riguardanti, in particolare, le nuove politiche per le imprese, il raggiungimento della piena occupazione in Lombardia e l’utilizzazione degli strumenti di gestione integrata del territorio e dell’ambiente (Il D.P.E.F.R della Lombardia è com-posto da 16 progetti strategici (BUR n. 46/99, 3° Supplemento straordinario).

Il sistema della cabina di regia regionale:

un modello organizzativo flessibile

Per sostenere questa impostazione in tutto il perio-do di programmazione 2000-2006 e consideranperio-do la crescente complessità della materia comunita-ria, è necessario rifarsi a un modello organizzativo interno alla struttura amministrativa diretto innan-zitutto a:

- verificare lo stato di avanzamento dei lavori sulle varie tematiche a livello nazionale, interre-gionale ed europeo;

- individuare i principali “step” e le novità perse-guibili dalla Giunta;

- costituire, nel caso se ne individuasse la neces-sità, gruppi di lavoro ad hoc, finalizzati alla riso-luzione di specifici problemi, che possono essere formalizzati, qualora ritenuti strategici per la pro-grammazione.

Il Sistema della cabina di regia regionale adottato dalla Regione Lombardia, che riunisce, rendendo-li complementari, i protagonisti della programma-zione comunitaria e rispetta, al tempo stesso, le diverse competenze delle Direzioni Generali e degli Assessorati interessati, rappresenta un’appli-cazione del modello appena descritto.

La Cabina di Regia nasce in Lombardia alla fine del ’95 con lo scopo di migliorare l’utilizzo e la capacità di spesa dei Fondi comunitari, oltre a quello di svolgere una funzione interistituzionale con il Governo e le altre Regioni.

Essa prevede un organo di Coordinamento politi-co-istituzionale (Comitato Interassessorile), uno di Coordinamento tecnico-amministrativo (Comitato Ristretto) e uno di coordinamento

tecnico-operati-13

numero 6/7

aprile/settembre - 1999

Regioni

Schema del “sistema della Cabina di Regia” in Regione Lombardia

IL COMITATO INTERASSESSORILE PER LE POLITICHE ECONOMICHE E COMUNITARIE

Coordinamento politico istituzionale composto da: - il Presidente della Giunta

- il Vicepresidente

- gli assessori coinvolti nella gestione dei programmi comunitari

LA SEGRETERIA OPERATIVA Struttura di supporto al Comitato Ristretto composta da:

- dirigenti o funzionari designati dalle Direzioni della Presidenza, della Vice-Presidenza, degli Affari Generali e delle direzioni coinvolte nella gestione dei programmi comunitari

IL COMITATO RISTRETTO

Coordinamento tecnico amministrativo composto dai Direttori Generali della:

- DG Presidenza

- DG Vicepresidenza e Bilancio - DG Affari Generali

- DG coinvolte nella gestione dei programmi comunitari - Eventuali esperti scelti tra i comitati scientifici

e consultivi della Giunta regionale

STRUTTURA DI SUPPORTO ALLA SEGRETERIA OPERATIVA Ufficio tecnico-operativo della Direzione Generale della Presidenza

(14)

vo (Segreteria operativa della Cabina di regia e Struttura di supporto alla Cabina di Regia). In seguito alla sua istituzione, inoltre, è stata introdot-ta una Sessione di Giunintrodot-ta dedicaintrodot-ta interamente alle politiche comunitarie

Nel luglio 1998, in vista anche della nuova pro-grammazione comunitaria 2000-2006, con delibe-ra regionale n. 37364, vengono adottati nuovi cri-teri di funzionamento e nuove modalità organizza-tive e procedurali tra le Direzioni Generali. In que-sto modo, il Sistema della cabina di regia viene maggiormente integrato con le funzioni di coordi-namento della Struttura organizzativa istituita presso il Servizio di programmazione e sviluppo della Direzione Generale della Presidenza.

Prime verifiche

da un punto di vista organizzativo,

procedurale e finanziario

L’impostazione data alla programmazione degli interventi strutturali cofinanziati dall’UE nel D.P.E.F.R. 2000-2002 e la volontà di integrarla alla programmazione regionale e agli strumenti della programmazione negoziata costituiscono il primo vero banco di prova del Sistema della cabina di regia regionale che, se, da un lato, come del resto era prevedibile, vede allargarsi i propri ambiti d’intervento, dall’altro, si trova nella condizione ottimale per applicare quella flessibilità di cui si era fatto precursore.

E’ il caso delle decisioni relative alla costituzione di nuovi gruppi di lavoro tematici “informali” su parti-colari problematiche relative alla programmazio-ne, all’impostazione di un metodo di concertazio-ne più vicino alle esigenze del territorio o all’affi-damento all’esterno di alcune funzioni per facilita-re il proseguimento dei lavori.

Per quanto riguarda l’impostazione di un metodo concertativo, si è deciso di valorizzare i già collau-dati Tavoli del partenariato sociale, economico e istituzionale presenti sul territorio lombardo, quali il Patto per lo Sviluppo, il Tavolo Agricolo e il Tavolo delle Autonomie Locali, allargati, in caso di neces-sità, alle rappresentanze ambientali, delle pari opportunità e del terzo settore.

Sono stati organizzati, inoltre, diversi incontri per verificare sul territorio le scelte riguardanti la nuova programmazione da un punto di vista sia metodologico che di contenuto. Ad esempio, per quanto riguarda l’obiettivo 2, si è cercato il con-senso su una metodologia di individuazione delle aree obiettivo 2 che non entrasse in conflitto con

altre politiche territoriali, come quella dei Distretti industriali. Perché la concertazione diventi un con-creto strumento di programmazione, sulla base di una scheda tipo, sono stati raccolti contributi e idee che riportassero il fabbisogno del territorio a livello di comune, aggregazioni di comuni, provin-cie e comunità montane. Sulla base dei risultati di questa indagine verranno operate delle scelte strategiche per l’intero programma obiettivo 2, quali la ripartizione delle risorse per misura o la valorizzazione di alcuni progetti promossi da aggregazioni di comuni dotati di una certa capa-cità progettuale.

Accanto all’impostazione del partenariato, con l’intento, da parte della Giunta, di rendere la nuova programmazione più rispondente alle esi-genze del territorio, sono state verificate anche le implicazioni derivanti dall’attuazione delle nuove regole di gestione finanziaria e dei meccanismi di competitività (riserva di efficacia) nella distribuzio-ne delle risorse.

A questo proposito, sarà molto interessante verifi-care la rispondenza dei Programmi di Iniziativa Comunitaria, sostenuti da un cofinanziamento comunitario plurisettoriale (il FEOGA-Orientamento per Leader+, il FESR per Interreg III, il FSE per Equal), al compito richiesto alla Regione di garan-tire, sul proprio territorio, l’attuazione di una politi-ca di sviluppo e coesione attraverso la promozio-ne di azioni diverse, integrate tra loro e al contesto nel quale si realizzano.

In generale, si è ritenuto vitale operare nella dire-zione di un’assoluta semplificadire-zione delle procedu-re, di una specifica attenzione, in sede di valuta-zione, del requisito di cantierabilità delle azioni finanziabili, di una corresponsabilizzazione dei beneficiari su tali vincoli e di un tempestivo e costante monitoraggio e controllo degli interventi. Per questo si prevede di riservare, negli assi relati-vi all’assistenza tecnica, adeguate risorse di sup-porto da destinare all’amministrazione regionale e ai suoi enti.

Il prossimo Documento di Programmazione Economico e Finanziaria integrerà al proprio inter-no i programmi approvati dalla Commissione relativamente all’utilizzo dei Fondi Comunitari, facendone propri anche i risvolti metodologici.

14

numero 6/7

aprile/settembre - 1999

(15)

15

numero 6 aprile/giugno - 1999

Dall’Unione Europea

La strategia europea

in materia di

occupazione

di Carlo Caldarini - INEA e Beatrice Vaccari - EUROPS: Ufficio di Assistenza Tecnica per la realizzazione delle Iniziative Comunitarie ADAPT e

Occupazione

Il principale problema economi-co e sociale che tutti gli Stati membri dovranno affrontare nel prossimo periodo di program-mazione riguarda il persistere di un alto livello di disoccupazione in quasi tutte le regioni d’Euro-pa. Al di là del contributo speci-fico che ciascun fondo struttura-le potrà apportare alla crescita sostenibile e alla competitività complessiva dell’Unione, la lotta alla disoccupazione va dunque considerata come un obiettivo orizzontale a tutti gli strumenti di programmazione. La disoccupa-zione, infatti, non colpisce sol-tanto i settori economici, gli indi-vidui e i territori interessati, ma comporta anche una perdita di ricchezza potenziale per tutta l’Unione nel suo complesso. Si tratta, sottolinea l’ultima rela-zione della Commissione sulla situazione delle regioni, di un problema annoso. Tra il 1973 e il 1985, infatti, la disoccupazione, nei quindici Stati membri, è aumentata ogni anno, passan-do da una media del solo 2% a una superiore al 10,5%. La ripre-sa economica della metà degli anni ’80 ha determinato una inversione di tendenza tempora-nea, in quanto, dopo una ridu-zione del tasso al di sotto del 7,5%, con la recessione dei primi anni ’90, la disoccupazione ha subìto un nuovo incremento, toccando, nel 1994, l’11,2%. Complessivamente, in quel periodo, circa 18,5 milioni di persone sono state colpite dal fenomeno, ossia un’unità di

lavoro su nove. Successivamen-te, la ripresa economica ha nuo-vamente ridotto la disoccupazio-ne che, disoccupazio-negli ultimi mesi del 1998, si attestava sul 10% circa. Tuttavia, il problema riguarda ancora 16,5 milioni di cittadini europei.

L’andamento del mercato pre-senta una serie di fattori costanti sui quali, in questa fase, è richie-sta particolare attenzione: • la disoccupazione è sempre

cresciuta rapidamente duran-te le flessioni cicliche e dimi-nuita con lentezza nelle fasi di espansione;

• l’aumento della disoccupazio-ne si è verificato in un contesto di crescita assoluta dell’occu-pazione, che non ha tuttavia tenuto il passo con i nuovi ingressi nel mercato del lavoro (5 milioni di nuovi occupati nel periodo 1987-1997, a fron-te di 7,5 milioni di nuovi ingressi nel mercato del lavo-ro);

• l’aumento della disoccupazio-ne è stato accompagnato da un ampliamento delle dispa-rità interregionali. Mentre la disoccupazione nelle 10 regio-ni meno colpite dell’Uregio-nione è solo lievemente aumentata rispetto ai primi anni ’70 (attualmente 3,6% in media), oggi, nelle regioni più colpite, essa si assesta al di sopra del 28%, un livello considerevol-mente più elevato rispetto a venticinque anni fa;

• le differenze interregionali nelle opportunità di occupa-zione riguardano, in particola-re, le donne e i giovani. Nelle regioni con i più alti livelli di disoccupazione il tasso di disoccupazione femminile e quello giovanile sono, in media, più che doppi rispetto a quelli delle regioni più favo-rite.

Risulta interessante osservare, però, come l’aumento della disoccupazione sia associato a un aumento delle disparità, da un lato, tra aree urbane e aree rurali e, dall’altro, tra i diversi settori di attività economica. La disoccupazione è ugualmen-te elevata nelle aree rurali (11,3%) e urbane (11,5%) – ma, in queste ultime, il PIL pro-capite è mediamente molto più eleva-to che nelle prime - mentre è minore nelle aree intermedie (9,1%). La disoccupazione fem-minile, invece, è più elevata nelle aree rurali, così come maggiore è la disoccupazione di lunga durata (un anno e più) in quelle urbane.

Per quanto riguarda i settori, è noto che l’occupazione è dimi-nuita fortemente sia nell’agricol-tura che nell’industria, mentre è aumentata nei servizi. Questo mutamento d’importanza setto-riale si riflette in maniera diversa nelle regioni a seconda del grado di concentrazione degli impieghi nei vari settori.

Nelle 25 regioni con la più alta percentuale di occupati in agri-coltura (in Italia, Molise, Basilicata, Calabria e Sarde-gna), il tasso medio di disoccu-pazione è, infatti, considerevol-mente più elevato (14,7%) che nelle regioni dove la più alta percentuale d’occupazione è nell’industria (9,5% di disoccupa-ti) o nei servizi (9%).

Ancora, il PIL pro-capite è pari al 65% della media europea nelle regioni con la più alta per-centuale di occupati in agricol-tura, mentre sale al 108% e al 127%, rispettivamente, nelle regioni dove la più alta percen-tuale d’occupazione è nell’indu-stria e nei servizi.

Nelle zone dell’Obiettivo 1, dove il PIL raggiunge i livelli più bassi, nel periodo 1993/’97, il tasso di

(16)

16

numero 6

aprile/giugno - 1999

Dall’Unione Europea

disoccupazione è cresciuto di 1,4 punti percentuali per attestarsi, nell’ultimo anno, al 16,2% (10,7% nel resto dell’Unione). In queste regioni, le difficili condizioni del mercato del lavoro si traducono non solo in una elevata disoccu-pazione delle forze di lavoro, ma anche in una bassa percentuale di popolazione attiva. In altre parole, secondo l’analisi della Commissione, la mancanza di posti di lavoro scoraggia molti, tra coloro che sono privi di un impiego, dal ricercare attiva-mente un lavoro. Alcuni impor-tanti progressi si sono registrati in termini di crescita della produtti-vità, che nel periodo 1989/’96 è stata più intensa nelle regioni dell’Obiettivo 1 che nel resto dell’Unione, pur non comportan-do una crescita dell’occupazio-ne.

Nelle aree dell’Obiettivo 2, inve-ce, nel mercato del lavoro, i pro-blemi tendono a manifestarsi prevalentemente con elevati tassi di disoccupazione (11,9% nel 1997). Le aree rurali dell’Obiettivo 5b, infine, presen-tano un tasso medio di disoccu-pazione nettamente inferiore rispetto a quello delle altre regio-ni dell’Uregio-nione (7,8%); tuttavia, a differenza di quanto osservato in queste ultime, nelle prime, il pro-blema della disoccupazione sembra avviato ad assumere connotati strutturali anziché con-giunturali, essendo aumentato stabilmente nel corso del

perio-do, anche durante gli anni della ripresa economica.

Per fare fronte a questi problemi e in seguito agli accordi conclu-si per l’immediata entrata in vigore delle disposizioni sull’oc-cupazione previste nel nuovo Trattato di Amsterdam, il 15 dicembre del 1997 il Consiglio europeo straordinario per l’occu-pazione di Lussemburgo ha adottato le prime Linee Direttrici per l’occupazione e ha lanciato, per la prima volta, una Strategia Europea per l’Occupazione.

Questa Strategia riposa su un processo analogo a quello stabi-lito per la convergenza econo-mica, basato sul principio della sorveglianza multilaterale: ogni anno gli Stati membri informe-ranno la Commissione europea e il Consiglio dell’UE sulle azioni intraprese a livello nazionale per sostenere l’occupazione. Concretamente, ogni anno, la Commissione europea lancia delle Linee Direttrici per l’occu-pazione fondate sull’analisi comune della situazione e sulle azioni principali da intraprende-re per ridurintraprende-re la disoccupazione. Gli Stati membri, quindi, sulla base di tali Linee Direttrici, pre-sentano alla Commissione i loro Piani Nazionali d’Azione (PAN) per l’occupazione, dove indica-no le priorità fissate e lo stato d’avanzamento delle misure adottate l’anno precedente.

Da un’analisi dei PAN, la Commissione europea e il Consiglio esaminano le azioni intraprese dagli Stati membri per realizzare gli orientamenti conte-nuti nelle Linee Direttrici e adot-tare le Linee Direttrici per l’anno seguente.

La Strategia Europea per l’Occu-pazione ha identificato quattro grandi pilastri per inquadrare le azioni a favore dell’occupazione a livello sia europeo, sia nazio-nale:

I° Migliorare la capacità d’inse-rimento professionale;

II° Sviluppare uno spirito imprenditoriale;

III° Incoraggiare l’adattabilità; IV°Rafforzare le pari opportunità. Le Linee Direttrici per l’Occupa-zione per l’anno 1998 (Comuni-cazione della Commissione COM(98)316 def.) hanno posto l’accento sulla necessità di intro-durre e sostenere le misure pre-ventive per favorire l’inserimento professionale, offrendo nuove possibilità ai giovani prima del raggiungimento del sesto mese di disoccupazione, e di realizzare investimenti nei percorsi formati-vi e nell’orientamento professio-nale, da estendere a un numero sempre più ampio di beneficiari. Per sviluppare lo spirito impren-ditoriale, sembra necessario esplorare i settori meno tradizio-nali, traendo vantaggi dallo

svi-Prospetto 1 -Raffronto tra indicatori economici delle regioni (NUTS-2) con i più alti tassi d’occupazione in agricoltura, nell’industria e nei servizi

Prime 25 regioni con un’alta

Popolazione Occupati nel Tasso di PIL pro-capite percentuale d’occupazione in :

settore specifico disoccupazione (EUR 15=100) 1996 1997 1997 1996 .000 % % % Agricoltura 21.910 22,7 14,7 65 Industria 62.636 39,0 9,0 108 Servizi 57.809 77,8 9,5 127 EUR 15 373.243 — 10,7 100 Fonte: Eurostat

(17)

Dall’Unione Europea

17

numero 6

aprile-giugno 1999

luppo locale, dall’economia sociale, dall’ambiente e da tutte le nuove attività legate ai biso-gni non ancora soddisfatti dal mercato. Il principio è che le atti-vità indipendenti rappresentano una fonte di occupazione non indifferente. Per questo, uno degli aspetti più importanti per facilitare la creazione d’impresa è legato alla messa a punto di sistemi fiscali più adatti a favori-re la libera iniziativa.

Il miglioramento dell’organizza-zione del lavoro e delle capacità d’adattamento delle imprese alle modificazioni del mercato costituisce l’azione su cui investi-re per garantiinvesti-re un mercato del lavoro flessibile e sempre aperto alle variazioni dell’offerta. Le azioni proposte si concentrano sulle nuove forme d’organizzazio-ne del lavoro, quali la flessibilità dei contratti, la riduzione dell’o-rario di lavoro, il lavoro interina-le, ma soprattutto sulla necessità d’investire sulla formazione con-tinua degli occupati.

Viene poi posto l’accento sulla necessità di ridurre le disparità (in particolare, tra donne e uomini, ma anche relative ad altre categorie svantaggiate) nell’accessibilità al mercato del lavoro, introducendo delle misu-re per conciliamisu-re la vita familiamisu-re e quella lavorativa.

Il Consiglio dell’UE, dopo aver valutato congiuntamente con la Commissione i Piani nazionali per l’occupazione presentati dagli Stati membri per il 1998, ha adottato le Linee Direttrici per il 1999 (Risoluzione del Consiglio dell’UE del 22 febbraio 1999). Queste ultime non si discostano molto dalle priorità indicate per il 1998; tuttavia, sono state intro-dotte alcune modificazioni e, soprattutto, è stato posto un accento particolare sulla neces-sità di riformare i sistemi fiscali nazionali.

La Commissione ha insistito sulla necessità di aumentare gli sforzi per garantire l’apprendimento durante tutto l’arco della vita, per favorire l’inserimento profes-sionale delle persone senza lavo-ro, ma soprattutto per abbando-nare le azioni a carattere curati-vo, molto diffuse nella maggior parte dei sistemi nazionali, e introdurre misure preventive e di politica attiva del lavoro.

Un mercato del lavoro aperto a tutti e non discriminante resta una delle principali priorità della Strategia Europea per l’Occupazione; per questo moti-vo si invitano gli Stati membri ad adottare delle misure che favori-scano l’inserimento dei soggetti a rischio d’esclusione sociale (portatori di handicap, immigra-ti, ex-detenuimmigra-ti, ecc.).

Ritenendo la dimensione locale la più adeguata per facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, la Commissione evi-denzia la necessità di rafforzare il ruolo degli organismi pubblici nella determinazione di strategie locali per l’occupazione. In sinte-si, il terzo settore, l’economia sociale e la dimensione locale costituiscono dei laboratori per la creazione di nuova occupa-zione, dove è possibile esplorare più agevolmente nuovi bisogni e settori non ancora saturi e spe-rimentare modelli di inserimento alternativi.

La Strategia europea per il 1999 si è prefissata come obiettivo anche la lotta al lavoro sommer-so. Per questo si insiste molto sul-l’adozione di incentivi fiscali e finanziari necessari per far emer-gere le attività economiche non ancora dichiarate.

Per il 2000 - le Linee Direttrici per il 2000 sono state presentate, per la loro adozione, dalla Commis-sione europea al Consiglio dell’UE l’8 settembre 1999 - le misure preventive sono al centro

della Strategia europea per l’oc-cupazione. A tale proposito, la Commissione individua otto prio-rità:

1. affrontare il problema della disoccupazione giovanile; 2. prevenire la disoccupazione

di lunga durata;

3. riformare i sistemi fiscali e pre-videnziali, con un’attenzione particolare ai lavoratori più anziani e alle donne;

4. creare opportunità di lavoro nel settore dei servizi;

5. ridurre la pressione fiscale sul lavoro;

6. modernizzare l’organizzazione del lavoro;

7. affrontare le questioni relative alla parità tra uomini e donne sul mercato del lavoro; 8. migliorare indicatori e dati

statistici.

Anche lo sviluppo dell’apprendi-mento lungo tutto l’arco della vita resta una delle questioni fondamentali per mantenere l’occupabilità dei lavoratori e la capacità di cambiamento dei mercati del lavoro. Poiché que-st’ultimo orientamento è stato introdotto soltanto nel 1999, al momento manca una valutazio-ne delle misure intraprese. Tuttavia, sostiene la Commissio-ne, qualche progresso è stato compiuto, anche se mancano ancora “politiche globali e obiet-tivi specifici”. La questione del-l’apprendimento lungo tutto l’ar-co della vita, quindi, l’ar-costituirà uno dei punti chiave per la valu-tazione delle politiche degli Stati membri in materia di occupazio-ne occupazio-nel 2000.

Figura

Figura 1 – Grado di ecocompatibilità delle pratiche agricole
Tabella 2 - Risorse FEOGA previste nei Programmi Operativi Regionali e ripartizione tra gli assi prioritari di sviluppo
Tabella 3 - Risorse destinate ai Piani di Sviluppo Rurale. Ripartizione indicativa per regione

Riferimenti

Documenti correlati

Nel paragrafo successivo, tratteremo le modalità di rappresentazione in bilancio della fusioni societarie in cui la società incorporante detiene una partecipazione non di

Il tema si è fatto vieppiù interessante nel momento in cui alcune realtà di imprese agricole hanno accolto nel loro operare soggetti (disabili, ex detenuti, persone a

entre si lavora verso una serie comune di standard contabili, Cina e India divergono in termini di strategia (per esempio approccio incrementali contro approcci repentini, tipo

When estimating the firm value it is essential to: (i) understand the environment in which the company operate thru a complete analysis of the main characteristic

430 Preziose sono al riguardo le considerazioni svolte da V.CARIDI, La responsabilità degli analisti finanziari tra contratto e fatto illecito dopo il recepimento delle direttive

According to the cooperation mode described in column b of Table A.1, you have to select the input elements that have to be linked by a cooperation mode (complementarity,

It has been conceived to support the formal definition of a BP, having in mind the modelling notation proposed by OMG, mainly directed to business people: Business Process