Università di Pisa
Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere Corso di Laurea in Filosofia e Forme del Sapere
Costruire la felicità.
Una lettura del pensiero politico di Spinoza
Relatore: Candidato: Prof. Giovanni Paoletti Giuseppe Piga
Correlatore:
Prof. Alfonso Maurizio Iacono
Anno Accademico 2013/2014
Introduzione 5
L’Etica 9
1.0 – Etica 10
1.1 – Una nuova concezione del reale 12
1.3 – L’essere umano come desiderio di potenza 19
1.4 – Affetti e Passioni: la reale complessità umana 32
1.5 – La forza degli affetti: schiavitù e libertà 53
Il Trattato teologico-‐politico 76
2.0 – Trattato Teologico-‐Politico 77
2.1 – Il momento hobbesiano: la Prefazione 80
2.2 – Il capitolo XVI 119
2.3 – Diritto e passioni 125
Il Trattato Politico 153
3.0 – Trattato politico 154
3.1 – Un’opera concreta: tra utopisti e politici 157
3.2 – Il ruolo predominante degli affetti 166
3.3 – “…In tutti gli uomini la paura della solitudine…” 174
3.4 – Le garanzie: assolutezza, leggi, minacce, desideri 193
Conclusione 202
Bibliografia 205
Introduzione
Il lavoro di ricerca che viene qui presentato sotto forma di tesi di laurea magistrale è il frutto di un’opera di riflessione e di studio che ha il suo inizio all’interno del corso di Storia della filosofia politica, tenuto dal relatore di questa stessa tesi, il Professor Giovanni Paoletti. È stato durante questo corso che l’interesse di chi scrive per il pensiero di Spinoza è maturato a tal punto da dover trovare uno sbocco naturale in un lavoro di ricerca, che ne comprendesse alcuni caratteri specifici.
Tenendo bene a mente il tema del corso suddetto, «la paura come problema politico», si è proposto come obiettivo di questa tesi l’analisi del tema degli affetti, in particolare dell’affetto/passione paura, in relazione alla costituzione del pensiero politico del filosofo olandese. Per questo si è reso necessario allargare il campo d’indagine, andando oltre il Trattato politico, e dunque mettere a fuoco anche altre due opere: l’Etica e il Trattato teologico-‐
politico. Grazie anche all’apporto di questi due testi, si è trovato sostegno per
indagare meglio il rapporto, tutto particolare, che Spinoza instaura tra la pratica della virtù (e dunque l’ottenimento di una condotta di vita basata sulla ragione, ossia mirata alla realizzazione della felicità e della libertà), il dominio sugli affetti e una corretta costituzione politica. Questa triarchia è il filo conduttore della tesi. Non si può costruire una vita felice se non ci si libera coscientemente dal giogo delle passioni tristi e negative; allo stesso tempo non si realizzano né la libertà né la felicità se non lo si fa politicamente. La prospettiva del singolo coincide con quella di tutta la comunità in cui esiste e vive. Tutto ciò avviene come in un circolo, dove ogni cosa muta e contribuisce a mutare le altre. Ed ecco, ad esempio, che quelle stesse cose che spaventano l’essere umano nell’ipotetico stato di natura, o più semplicemente in uno stato di isolamento anche solo mentale, non sono più temibili nello stato politico, ossia nello stato delle relazioni con gli altri,
perché si trasformano e il peso della loro paura viene distribuito su tutti, cosicché da risultare minimo per ciascuno. Allo stesso tempo può avvenire il contrario: quelle stesse paure si amplificano e si rafforzano proprio grazie alle relazioni tra gli uomini.
Inoltre, l’analisi delle opere, condotta attraverso un approccio diretto al testo che il lettore potrà avvertire sin dalle prime battute di questo lavoro, ha posto almeno altre due domande. Appurato che le passioni giocano un ruolo importante nel pensiero spinoziano, perché è proprio la riflessione sulla paura ad essere prioritaria e a legare le tre opere? Ed ancora, in che modo tale priorità della paura si rapporta con il problema di cosa sia l’essere umano e di come si possa realizzare la sua felicità?
L’elemento della paura è quindi fondamentale in Spinoza. Usandolo come chiave di lettura si può penetrare sempre più all’interno della sua filosofia. Come hanno già ampiamente dimostrato autori quali Bodei, Cristofolini, Sini, Giancotti Boscherini, Nadler, Balibar, Negri, ecc., il pensiero di Spinoza è direttamente rivolto verso l’uomo, e per questo è segnato da una doppia e profonda tensione: politica e morale. L’analisi della paura ci permette così di cogliere questa doppia tensione e di trovarvi delle risposte.
La ricerca bibliografica e lo studio delle opere si sono quindi sviluppati seguendo tre linee.
La prima è rivolta a fare emergere questa tensione direttamente dai testi spinoziani, mostrando come per il pensatore olandese il problema filosofico per eccellenza sia di costruire lo spazio politico per la felicità. Questo si avverte già nell’Etica, ma con maggior forza nei due trattati: Spinoza predilige la dimensione collettiva, senza però eliminare o tralasciare quella individuale. E l’analisi degli affetti che egli propone pare risentire di questa predilezione.
La seconda è stata individuata come una sorta di divisione del pensiero spinoziano. Sebbene tale divisione non rispecchi la cronologia redazionale
delle opere, è convinzione di chi scrive che sia possibile pensare i due trattati come casi specifici di un’idea più generale contenuta nell’Etica, ossia l’idea che vi sia un rapporto tra la sfera della conoscenza, quella della politica e quella degli affetti e delle passioni.
Infine, si è provato a sostenere, nell’interezza della tesi, che tanto il Trattato teologico-‐politico quanto il Trattato politico possono essere letti
come momenti diversi dell’evoluzione del pensiero di Spinoza, ma che allo stesso tempo conservano alcuni elementi di continuità a partire dall’Etica. Sono entrambi prodotti storici, che esprimono dei caratteri sociali, economici e politici che vanno oltre il dato regionale olandese, per stagliarsi su un orizzonte se non globale, quantomeno europeo. Ma se nell’Etica la riflessione di Spinoza si dispiega come fredda e analitica, volta a dimostrare matematicamente il posto che ogni singola cosa occupa nell’universo, e dunque a spiegare quale sia il ruolo e la forza degli affetti e della paura, è solo coi trattati che essa trova nuova energia. Focalizzando l’attenzione sull’uomo quale realtà storica, Spinoza permette alla paura di reificarsi, ora come problema primo dell’arte politica (Trattato teologico-‐politico), ora come
condizione politica ed esistenziale universale (Trattato politico). In entrambi i
testi vi è però un minimo comune denominatore: la paura esprime un preciso rapporto politico, tra chi la incute e chi la patisce.
La divisione in tre capitoli di questa tesi rispecchia quindi, in maniera generale, queste linee guida, sorte a seguito del lavoro di lettura delle opere di Spinoza e della bibliografia riguardante il filosofo e questi temi. Ogni capitolo rappresenta l’analisi di un’opera attraverso cui è possibile rintracciare quelle problematicità del pensiero spinoziano che loro rendono particolarmente fecondo e affascinante.
Il primo capitolo, che riguarda appunto l’Etica, si propone di mostrare quei caratteri matematici della realtà pensata da Spinoza, così da poter porre una base solida per compiere le successive operazioni d’analisi. È
grazie alle definizioni che si ritrovano nell’Etica che è possibile superarne la staticità e ritrovare un pensiero incarnato e vivo. È da quest’opera che si presuppone derivino le altre due, attraverso un processo che più di filiazione è di specificazione. Già dall’Etica si tracceranno i contorni per problematizzare il rapporto tra la costruzione della felicità e quella della politica.
Il secondo capitolo, invece, si occupa di analizzare il Trattato teologico-‐
politico. Esaminando il testo, l’attenzione si è focalizzata principalmente su
due momenti: la Prefazione e il Capitolo XVI. Qui si mostreranno i cambiamenti nell’antropologia spinoziana e nelle risposte politiche che ad essa Spinoza offre, rimarcando la centralità della teoria delle passioni che Spinoza mette in campo.
Infine, il terzo capitolo prende in esame l’opera incompiuta, il Trattato
politico. Si considereranno vari elementi, mettendoli in relazione con le due
opere precedenti, cercando di mostrarne gli elementi di novità e quelli di continuità, al fine di far emergere quella paura della solitudine che investe universalmente e trasversalmente l’essere umano. E si vedrà che proprio in quanto hapax legomenon questo concetto esprime qualcosa di più: è lo sforzo di Spinoza volto a comprendere l’uomo e di dominare l’ancestrale paura di rimanere solo, senza più legami.
Questi tre capitoli sono legati da una prospettiva storica, che li rimanda a quei cambiamenti e a quei bisogni che le stesse opere esprimono e manifestano. Così, non si potranno non ritrovare gli echi dei drammi della vita di Spinoza nell’Etica, quelli della sua apologia rispetto alla scomunica ricevuta dalla comunità ebraica nel Trattato teologico-‐politico, e quelli del risentimento politico e dello sconforto nel vedere la causa repubblicana fallire nello scontro con quella monarchico-‐orangista nel Trattato politico.
L’Etica
Dopo che l'esperienza mi insegnò che tutto quello che si incontra comunemente nella vita è vano e futile, vedendo che tutto ciò da cui temevo e che temevo non aveva in sé nulla né di bene né di male se non in quanto il mio animo se ne commuovesse, stabilii finalmente di ricercare se ci fosse un vero bene che si comunicasse a chi l'ama e ne occupasse da solo l'animo respingendo tutte le altre cose: se ci fosse qualcosa, trovata e ottenuta la quale, io potessi in eterno godere continua e somma letizia.
Spinoza, Tractatus de intellectus emendatione
1.0 – Etica
Si proverà qui a tracciare con ordine i punti del discorso spinoziano tenuto nella Parte III dell’Etica, al fine di esporre quella nuova concezione – sicuramente moderna – dell’essere umano, che sta alla base della filosofia di Spinoza, e di cui è una grande innovazione concettuale: la ripresa del tema degli affetti, attraverso uno sguardo razionale – la cui razionalità si colorerà di sfumature nuove e diverse –, mirato alla comprensione in quel quadro unitario e pulsante, che tiene in sé forze opposte, che è l’essere umano. Si indagherà poi su come si inseriscono, all’interno di questo nuovo orizzonte antropologico, quei due elementi – affettivi – che contengono il germe della politica di Spinoza: speranza e paura.
La grande novità della concezione dell’uomo propostaci dal filosofo olandese, consiste, per chi scrive, in almeno quattro punti: la concezione naturalistica, deterministica ed immanentistica (detta anche panteistica) dell’uomo e del reale; l’unità psico-‐fisica dell’uomo; la concezione dell’essenza umana come desiderio e potenza; la presa d’atto della complessità e della pluralità di spinte e di elementi a fondamento dell’essere umano.
In ultimo, e lo si vedrà nell’analisi della Parte IV e V dell’Etica, la risposta etica al rigido determinismo appare interessante perché, nonostante la messa in risalto della componente inesorabile del corso degli eventi, riconosce all’uomo una grande capacità di autodeterminarsi e di essere
felice, mediante il dominio su stesso e sulle passioni (mediante passioni più forti).
La scelta di iniziare con l’analisi di quest’opera ricade sul semplice fatto che il confronto con essa permette di cogliere in maniera pura la concezione degli affetti operata da Spinoza. Infatti è solo nell’Etica che il filosofo olandese definisce con precisione matematica e geometrica ogni singolo affetto e ogni sua sfumatura, astraendolo dal contesto sociale da cui si genera e in cui vive. Quindi, sebbene l’opera sia stata rimaneggiata più volte dallo stesso Spinoza, e non sia stata mai pubblicata durante la vita del suo autore e non sia possibile porla al principio di una cronologia redazionale, in questa sede è utile considerarla come facente capo a tutte le altre, anche solo per poter mostrare un’evoluzione del pensiero di Spinoza.
1.1 – Una nuova concezione del reale
Sebbene Spinoza abbia avuto una formazione e una vocazione cartesiane, è noto per essere stato antagonista di Cartesio e del suo dualismo, in quanto sostenitore di una posizione unitaria riguardante la sostanza: il monismo spinoziano si caratterizza anche per la forte vocazione all’immanenza, al continuo richiamo alla spiegazione mediante principi propri dell’oggetto d’indagine, al fine di evitare a tutti i costi spiegazioni che, piuttosto che essere tali, sono distorsioni o negazioni della realtà. Per il filosofo olandese tutta la realtà è riconducibile ad un’unica sostanza, coincidente con Dio, il quale è causa sui, “intendendo per causa di sé ciò la cui essenza implica l’esistenza; ossia ciò la cui natura non si può concepire se non esistente”1 e
“intendendo per sostanza ciò che è in sé e per sé si concepisce: vale a dire ciò il cui concetto non ha bisogno del concetto di un’altra cosa dal quale esso debba essere formato”.2 Tale definizione riprende ciò che Cartesio aveva
sostenuto qualche anno prima nella sua opera Principi di Filosofia (1644), di cui Spinoza fu successivamente commentatore ed interprete.3
La realtà si compone dunque di una sostanza che il nostro intelletto umano percepisce nella sua essenza attraverso due attributi, Pensiero ed
Estensione. Spinoza dunque intende per Dio “un essere assolutamente
infinito, cioè, una sostanza costituita da un’infinità d’attributi, ciascuno dei quali esprime un’essenza eterna ed infinita”4 e non solo: Dio è anche l’unico
essere sommamente libero, dato che
1B. Spinoza, Etica, a cura di G. Gentile, G. Durante e G. Radetti, Bompiani, Milano 2013. I, Def. I, p. 5. 2 Ivi, I, Def. III, p. 5.
3 Spinoza pubblica nel 1663 la sua prima opera, che gli diede fama di grande esegeta della filosofia
cartesiana: Principi della filosofia di Cartesio.
4 Spinoza, Etica, op. cit., I, Def. VI, pp. 5–7. 5 Ivi, I, Def, VII, p. 7.
6 Ivi, I, Prop. XVII, p. 45. 7 Ivi, I, Prop. XXVI, p. 63. 8 Ivi, I, Prop. XXVIII, p. 65.
9 “Nessuna cosa esiste dalla cui natura non segue qualche effetto”, Ivi, I, Prop. XXXVI, p. 85. 10 Ivi, I, Prop. XXXVI, Dim., p. 85.
11 Ivi, I, Prop. XXIX, p. 67. 2 Ivi, I, Def. III, p. 5.
3 Spinoza pubblica nel 1663 la sua prima opera, che gli diede fama di grande esegeta della filosofia
cartesiana: Principi della filosofia di Cartesio.
Si dice libera quella cosa che esiste per sola necessità della sua natura e che è determinata da sé sola ad agire: si dice invece necessaria, o meglio coatta, la cosa che è determinata da altro ad esistere e ad agire in una certa e determinata maniera.5
Ed ancora,
Dio agisce per le sole leggi della sua natura, e senz’essere costretto.6
Uno degli aspetti più affascinanti di Spinoza è che su questa concezione della libertà, espressa da un punto di vista ontologico, si sosterrà poi la possibilità per l’uomo dell’autodeterminazione e dell’autonomia, dunque della libertà politica, ma questo aspetto verrà affrontato più avanti.
Il determinismo radicale sostenuto da Spinoza risulta evidente se associato al fatto che esso discende dalla necessità della natura divina. Dio, che è la sostanza che costituisce il reale, è ed agisce secondo necessità, secondo la libera necessità, ossia in accordo con la sua essenza. Ed infatti,
Una cosa che è determinata ad operare alcunché è stata così determinata necessariamente da Dio; e quella che non è determinata da Dio, non può determinare se stessa ad operare.7
È dunque Dio in accordo con la sua natura che, secondo Spinoza, determina il corso degli eventi della catena causale per ogni cosa particolare. Niente è realmente capace di determinarsi, se non per opera di Dio. Questo determinismo è importante in Spinoza, perché rende l’uomo capace di
conoscere e comprendere l’intero universo. Infatti, se tutto ciò che esiste,
esiste per una ragione, per una causa, determinata e determinabile, e tale causa è dentro le cose, e non fuori, all’essere umano è riservata la possibilità
5 Ivi, I, Def, VII, p. 7.
6 Ivi, I, Prop. XVII, p. 45. 7 Ivi, I, Prop. XXVI, p. 63.
di comprendere il mondo. La concezione deterministica del reale è ancora meglio spiegata nelle proposizioni seguenti:
Una cosa singolare qualsiasi, ossia qualunque cosa che è finita ed ha un’esistenza determinata, non può esistere né essere determinata ad operare, se non è determinata ad esistere e ad operare da un’altra causa che anch’essa è finita e ha un’esistenza determinata: ed alla sua volta questa causa non può esistere né essere determinata ad operare se non è determinata ad esistere e operare da un’altra che anch’essa è finita ed ha un’esistenza determinata, e così via all’infinito.8
Tutto il mondo è ordinato secondo una rigida logica causa-‐effetto9, e
secondo una struttura di concatenazione di ogni evento con un altro, in un’infinita catena causale (“tutto ciò che esiste esprime in un modo certo e determinato la potenza di Dio, la quale è causa di tutte le cose e quindi, da tutto deve seguire qualche effetto”10), che trova la sua origine nella libera
necessità di Dio, poiché “nella natura non si dà nulla di contingente, ma tutto
è determinato dalla necessità della natura divina ad esistere e ad operare in una certa maniera”.11 E continua poco dopo Spinoza,
Le cose non hanno potuto essere prodotte da Dio in nessun’altra maniera, né in nessun altro ordine se non nella maniera e nell’ordine in cui sono state prodotte. Tutte le cose, infatti, sono seguite necessariamente dalla natura data di Dio (per la Prop. 16), e sono state determinate dalla necessità della natura di Dio ad esistere e ad operare in una certa maniera (per la Prop. 29)12.
Così come tutto l’universo, tutta la natura e la vita di cui si compone, seguono leggi immutabili e regolari, senza salti, e sono determinati ad operare mediante prescrizioni divine, così anche l’uomo è determinato ad operare secondo leggi immodificabili e sempre vere: anche l’essere umano, a
8 Ivi, I, Prop. XXVIII, p. 65.
9 “Nessuna cosa esiste dalla cui natura non segue qualche effetto”, Ivi, I, Prop. XXXVI, p. 85. 10 Ivi, I, Prop. XXXVI, Dim., p. 85.
11 Ivi, I, Prop. XXIX, p. 67. 12 Ivi, I, Prop. XXXIII, Dim., p. 75.
cui le religioni riserverebbero un posto speciale nella creazione e a cui spetterebbe un diritto di essere libero di scegliere (libero arbitrio), è in realtà, per Spinoza, essenzialmente e necessariamente determinato. All’interno delle opere e del pensiero spinoziano, assistiamo alla riproposizione, in chiave filosofica, del ribaltamento avvenuto il secolo prima con Copernico. Così come la Terra non è più il centro dell’universo verso cui tutto tende, e non è più il luogo naturale dell’uomo, anche l’uomo smette di essere il centro focale e il fulcro della creazione, per il quale tutto è stato creato e determinato.
Scrive, riguardo a questo processo di decentramento, Bodei:
Finisce con Spinoza il modello rinascimentale di “uomo” in quanto “microcosmo”, essere armonicamente incastonato nel tutto e capace, malgrado la propria piccolezza, di abbracciarlo. Questi sarebbe stato in grado di riflettere in sé, per “simpatia”, alcune fondamentali alterazioni della compagine del mondo, […]. Spinoza considera invece il genere umano e ogni singolo individuo soltanto una parte dell’universo, inseparabile dai suoi processi, ma priva della facoltà di rispecchiarlo per intero.13
Uomo come pars, e non più come un tutto, armonicamente regolato: l’essere umano è parte della natura, di quel tutto determinato ad essere e ad operare secondo le leggi immutabili scritte da Dio, che seguono dalla sua
libera necessità. L’uomo, secondo il pensiero tracciato da Spinoza, non è
capace di determinarsi, come del resto non lo è l’intero universo: tutto è soggetto alle stesse leggi, uguali ovunque; tutto è soggetto alla determinazione per opera divina.
Questo è un tema caro a Spinoza, che deve lottare contro i pregiudizi dei filosofi e dei teologi, che vorrebbero elevare l’uomo ad un grado di superiorità rispetto alla natura, rendendolo esente dalla regolarità delle
13 Bodei R., Geometria delle passioni. Paura, speranza, felicità: filosofia e uso politico, Feltrinelli,
leggi che muovono l’universo. Contro di essi si scaglia nella Prefazione alla Parte III:
Sembra anzi che concepiscano l’uomo nella natura come un impero in un impero (imperium in imperio).14
Ed ancora,
Credono infatti, che l’uomo turbi l’ordine della natura più di quel che lo segua, che abbia un potere assoluto sulle proprie azioni e che non sia determinato da altro se non da se stesso.15
Il grande pregiudizio che ha animato la filosofia dei pensatori passati, quello di un essere umano possessore di sé, nel senso di capace di determinare le proprie azioni, e dunque di poter modificare l’ordine naturale, racchiude in sé un’esigenza differente, quella di dover fondare e giustificare la morale.
Questa componente del pensiero di Spinoza non è sfuggita a chi ne ha poi raccolto l’eredità. Si può notare, ad esempio, come il filosofo italiano Labriola in un saggio del 1867, quindi quasi due secoli dopo la morte di Spinoza, si richiami ancora ai problemi dell’autore olandese e della sua filosofia. Scrive infatti,
Noi siamo in pieno determinismo e minacciati quindi di vedere recisa la possibilità della morale, se è vero che questa non possa fondarsi che nel principio del libero arbitrio, e della finalità, principii che Spinoza non nega accidentalmente, ma esclude dalla sfera della considerazione filosofica, come prodotti della conoscenza inadeguata ed immaginaria.
Dov’è dunque la possibilità di elevarsi alla completa libertà, alla beatitudine che dev’essere la meta della vita? E non deve forse dirsi che Spinoza si contraddica tutte le volte che parla della libertà dello spirito dopo averla decisamente negata?
14 Spinoza, Etica, cit., III, Prefazione, p. 233. 15 Ivi, III, Prefazione, p. 237.
Questi dubbi, secondo me, non possono sorgere se non nel caso che taluno, preoccupato dai criteri estranei all’oggetto che prende in considerazione non cerchi di mettere nello spirito di Spinoza per intendere nella sua verità il concetto ch’egli avea della libertà umana. Perché infatti questo concetto tutt’altro che contraddittorio è di una perfetta conseguenza ed evidenza. […] l’arbitrio fa supporre una interruzione della legge naturale della causalità, ed è ammettere un imperium in imperio, la più grande violazione che l’orgoglio umano possa arrecare alla regolarità e alla necessità della natura.16
Una volta che dalla natura vengono rimossi quei pregiudizi che l’essere umano vi ha sovrapposto (come la credenza che il mondo e la vita siano indirizzati verso un qualche tipo di fine, oppure che nell’ordine ci sia spazio per i miracoli e dunque per salti nella regolarità della natura, ed ancora, che il mondo sia ordinato per l’uomo e che su di esso possa e debba esercitare dominio e potere, o che l’uomo sia un essere speciale e privilegiato, che Dio avrebbe creato come libero e non soggetto alla legge della necessità), essa si mostrerà per quella che è, e potrà essere indagata, conosciuta e compresa nella sua interezza. Questo significa, in definitiva, voler eliminare quei pregiudizi morali che limitano la comprensione che l’essere umano può avere di se stesso, comprensione che si traduce nella pratica con una maggiore possibilità di raggiungere la felicità.
Ecco come Spinoza, alla fine della Parte I, ragiona riguardo i pregiudizi e la conoscenza umana:
Noi vediamo dunque che tutte le nozioni con le quali il volgo suole spiegare la natura sono soltanto modi d’immaginare e non indicano la natura d’alcuna cosa, ma solo la costituzione dell’immaginazione; e, poiché hanno nomi che suonano come se significassero enti esistenti fuori dell’immaginazione, io li chiamo enti, non di ragione, ma d’immaginazione; e così tutti gli argomenti, che contro di noi si traggono da simili nozioni, si possono facilmente respingere. Molti, infatti, sono soliti argomentare così: Se tutte le cose son seguite necessariamente dalla perfettissima natura di Dio, donde
16 Labriola A., Origine e natura delle passioni secondo l’Etica di Spinoza, Ghibli, Milano 2004, pp. 102
derivano, dunque, tante imperfezioni nella natura?[…] Ma come ho detto, tali argomenti si possono facilmente confutare. Giacché la perfezione delle cose si deve stimare soltanto dalla loro natura e dalla loro potenza, né le cose sono più o meno perfette perché dilettano o offendono i sensi degli uomini, perché convengono alla natura umana o perché le ripugnano.17
Si evince dal brano come l’uomo cessi di essere il metro di paragone della perfezione delle cose del mondo, e divenga partecipe, in più sensi, di quella perfezione. L’immaginazione, prima e più bassa forma di conoscenza, primo momento della ricerca della felicità, ci riporta un mondo rappresentato secondo schemi e categorie, che proiettano questo desiderio di felicità all’interno del tessuto dell’universo, mistificando e corrompendo la conoscenza che l’uomo ha di esso. È dunque questa forma mistificata di conoscenza del mondo, ma allo stesso tempo salvifica per l’uomo, che fa sì che l’uomo riporti a sé il mondo, per poi ritenersi metro di giudizio e di paragone.
1.3 – L’essere umano come desiderio di potenza
Si sono dunque viste le condizioni di base che permettono una comprensione adeguata degli strumenti concettuali, costruiti da Spinoza nelle prime parti dell’opera, atti ad indagare l’uomo.
Spinoza parte da una considerazione empirica che riguarda i comportamenti dell’essere umano: ad un aumento del grado di razionalità raggiunto dalla scienza (intendendo per scienza l’insieme del sapere umano) non corrisponde necessariamente e visibilmente né un aumento del grado di razionalità delle azioni umane (che spesso sono mosse da motivi apparentemente imperscrutabili o non trovano ragioni chiare che le giustifichino), né un aumento del grado di felicità (intendendo per questa
anche il raggiungimento di un certo livello di libertà, auto-‐dominio, capacità
di autodeterminazione e di condivisione di questi). Gli avvenimenti personali, come l’estrema vicinanza alla malattia e alla morte, e le vicende politiche, sociali, belliche ed economiche del suo tempo, quelle di un’Olanda, di un’Europa e di un Mondo in completa e rapida trasformazione, pongono nel filosofo degli interrogativi cui tenterà di dare una risposta – più o meno organica – attraverso le sue opere. Le sue tre opere maggiori possono essere pensate come un tentativo di delineare un sistema etico (Etica) e prescrivere le indicazioni politiche atte a raggiungerlo e costruirlo (Trattato Politico), tentando di eliminare i pregiudizi dal pensiero umano per muoverlo verso maggiore certezza (Trattato Teologico-‐politico). Nell’orizzonte in cui si muove l’Etica, l’importanza che, secondo chi scrive, riveste la nuova connotazione dell’essere umano non deve meravigliare: essa esprime la volontà di andare a fondo, di capire e comprendere, ma anche di trasformare l’uomo. Nella convinzione che comprendere il mondo significhi in qualche modo trasformarlo, ad una più piena ed adeguata spiegazione dei fenomeni che lo compongono dovranno corrispondere possibilità e capacità operative e di trasformazione altrettanto adeguate. In sostanza, Spinoza, offre al
lettore (al filosofo, allo scienziato, al politico) gli strumenti per indagare il mondo e per trasformarlo, secondo un progetto etico, volto all’ottenimento (da parte del singolo calato in una collettività) di un sempre maggior grado di liberazione (dai condizionamenti interni e da quelle esterni). Questi strumenti partono anzitutto dalla considerazione dell’uomo come un’unità di Mente e di Corpo, e come un modo finito, dunque come un ente calato nella natura, sottoposto alle sue leggi con regolarità. Spinoza intende cogliere e comprendere la natura e le peculiarità dell’essere umano, nella sua complessità e problematicità, pensandolo come pars di un tutto unitario. Tutto ciò significa che si deve compiere nella concezione antropologica una rivoluzione: bisogna che gli affetti e le passioni non siano più considerati come un vizio, come un errore, come un salto o un’interruzione di un ordine naturale che coinciderebbe con la ragione, dunque secondo un pregiudizio morale o metafisico, bensì analiticamente, come componenti di una plurale natura umana, dotati non solo di un’intelligenza – pratica in special modo –, ma anche di una politicità intrinseche, dato che ci mettono in relazione col mondo e con gli altri.
Il mondo degli affetti può e deve essere oggetto dell’indagine filosofica, secondo Spinoza, proprio perché è quell’ambito umano che più di tutti ha subito una connotazione distorta da pregiudizi e condanne. Difatti è ponendo una distanza tra sé e coloro che hanno riflettuto sugli affetti prima di lui18 che Spinoza comincia la Prefazione della Parte III (Origine e Natura
degli Affetti):
La maggior parte di quelli che hanno scritto sugli affetti e sulla maniera di vivere degli uomini sembra che trattino non di cose naturali che seguono le leggi comuni della natura, ma di cose che sono fuori dalla natura. Sembra anzi che concepiscano
18 Spinoza pone qui le prime distanze in particolar modo con due autori a lui più vicini, sia nel
tempo sia nel pensiero. In primo luogo, si separa dalla filosofia di Cartesio e dalla scuola cartesiana che aveva ormai un largo seguito in Europa. In secondo luogo, la sua riflessione circa gli affetti chiama in causa quella sostenuta da Hobbes, di cui non è escluso che Spinoza conoscesse più o meno direttamente la direzione.
l’uomo nella natura come un impero in un impero (imperium in imperio) Credono infatti, che l’uomo turbi l’ordine della natura più di quel che lo segua, che abbia un potere assoluto sulle proprie azioni e che non sia determinato da altro se non da se stesso.19
Spinoza abbandona sostanzialmente due pregiudizi o rappresentazioni. Il primo riguarda che l’uomo sia libero, cioè capace di determinare se stesso, dunque di non dipendere da null’altro se non da sé, e capace con la sua libera azione di modificare l’ordine dell’universo, dal quale egli sarebbe esente.
Il secondo, invece, è il pregiudizio del mondo come sistema di fini, nel quale l’uomo sarebbe inserito e di cui sarebbe l’apice.
L’approccio effettivamente radicale di Spinoza al problema “che cosa sia l’essere umano?” si risolve in un’affermazione dei principii di necessità, immanenza, totalità e continuità della natura:
Nulla avviene nella natura che si possa attribuire ad un suo vizio; giacché la natura è sempre la medesima, e la sua virtù e potenza d’agire dappertutto una sola e medesima; cioè le leggi e le regole della natura, secondo le quali tutto avviene e si muta da una forma nell’altra, sono dovunque e sempre le medesime e quindi una sola e medesima deve pure essere la maniera di conoscere la natura delle cose, quali che esse siano, e cioè mediante le leggi e le regole universali della natura.20
L’uomo non sfugge all’ordine dell’universo, ma anzi ne è parte e, come tale, la sua natura segue le leggi universali determinate da Dio: i cambiamenti che l’uomo subisce, da quello più evidente a quello più intimo, ed ogni cosa, patita o fatta, risponde alla necessità imposta da Dio.
Al pari della natura, l’uomo può essere spiegato geometricamente, o matematicamente, riconoscendo che si possono considerare le “azioni e gli
19 Spinoza, Etica,. cit., III, Prefazione, p. 233. 20 Ivi, III, Prefazione, p. 235.
appetiti umani come se si trattasse di linee, di superfici e di corpi”.21 L’Etica
come opera ne è una dimostrazione: prova che si può indagare l’uomo e la natura allo stesso modo, anche in quel regno che solo apparentemente sfugge all’umana comprensione, quello degli affetti e delle passioni. Quella di Spinoza, già in quest’opera è una manovra squisitamente politica, sebbene si nasconda sotto il titolo di “Etica”: egli rivendica sia la conoscibilità di una parte del mondo e del sapere, nei confronti di quei poteri che invece miravano ad un sapere controllato e controllabile, e che dunque negavano che vi potessero essere delle forze – anche positive – capaci di costruire politicamente qualcosa di altro rispetto a loro, sia la rivalutazione in chiave positiva di questa componente umana, contro coloro che ne sostenevano la peccaminosità o l’inciviltà.
Ma perché l’uomo avrebbe misconosciuto il ruolo fondante delle passioni nel suo agire, o si sarebbe considerato come un’eccezione rispetto all’ordine cosmico? Se di motivazioni se ne possono addurre tante, Spinoza ne circoscrive due:
Attribuiscono poi, la causa dell’impotenza (impotentiae) e dell’incostanza (inconstantiae) umane, non alla comune potenza della natura, ma a non so qual vizio della natura umana, che essi, per questa ragione, compiangono, deridono, disprezzano o come accade per lo più, detestano […].22
L’intermittenza con cui l’uomo si coglie, in un divenire disequilibrato e saltuario, mai continuo, e l’incapacità di poter disporre di un totale controllo su se stesso, che si manifesta nell’oscillazione improvvisa tra vari stati d’animo, dipingono una vita umana incerta, incline ad un mutamento disarmante, a cui è difficile opporsi in maniera concretamente razionale ed efficace, nei cui confronti non ci si percepisce come causa adeguata. Con l’espressione causa adeguata Spinoza intende “quella il cui effetto può
21 Ivi, III, Prefazione, p. 237. 22 Ivi, III, Prefazione, p. 233.
essere percepito chiaramente e distintamente per mezzo di essa”, mentre con causa inadeguata egli intende “quella il cui effetto non può essere inteso per mezzo di essa soltanto”23. Dunque l’uomo è attivo quando ciò che accade
in e fuori di lui segue dalla sua natura; al contrario è passivo quando dalla sua natura segue qualche cosa rispetto alla quale egli non è niente se non una causa parziale.
Se noi dunque possiamo essere causa adeguata di alcuna di queste affezioni, allora per Affetto intendo un’azione; altrimenti intendo una passione.24
Corpo e Mente subiscono continuamente delle modificazioni, rispetto alle quali sono attivi (causa adeguata) o passivi (causa inadeguata): tanto più sono in balia di affetti rispetto ai quali sono causa inadeguata o passivi, tanto più saranno in balia delle passioni. Volendo tracciare un parallelo con la
fisica, potremmo sostenere che al pari di un corpo in stato d’inerzia (“Tutti i
corpi sono o in moto o in quiete25”), che cambia il suo stato quando subisce
l’influenza di un altro corpo, anche Mente e Corpo modificano il loro stato passivamente, subendo una modificazione del loro stato inerziale. Per spiegare questo concetto Spinoza, fa riferimento a quello di potenza: tenendo a mente la nozione elaborata da Galileo, o più propriamente da Cartesio, egli sostiene che ogni uomo si sforza di perseverare nel proprio
essere. Rispetto a questo concetto, possiamo comprendere meglio le
implicazioni dell’attività o della passività: tanto più siamo attivi, cioè quanto più siamo causa adeguata di ciò che ci capita dentro, fuori e attorno, tanto più abbiamo la possibilità di determinare un incremento della nostra
potenza, ossia della nostra perseveranza nell’essere, o ancora meglio, di
vivere secondo la nostra natura (si vedrà più avanti come questo significhi realizzare una propria felicità).
23 Ivi, III, Def, I, p. 237.
24 Ivi, III, Def. III, p. 237. 25 Ivi, II, Assioma I, p. 135.
Al contrario, quando siamo soggetti a passioni, che indistintamente ci colpiscono, siamo come in balia di una nave in una tempesta e di cui abbiamo perso il controllo: siamo dunque sempre meno capaci di aumentare la nostra potenza.
Se l’obiettivo di Spinoza, come già sostenuto in precedenza, è quello di condurre l’essere umano lungo un percorso volto all’ottenimento della felicità (condizione mai stabile, ma sempre processuale), deve necessariamente passare sia dall’esame dei modi in cui questi affetti e queste passioni condizionano e inficiano la nostra potenza d’agire, sia dall’affermazione della possibilità di non veder diminuita la propria potenza. Questa potenza non è altro che “lo sforzo, col quale ciascuna cosa si sforza di perseverare nel suo essere”, ossia “l’essenza attuale della cosa stessa”.26
La vita è per l’essere umano uno sforzo (conatus) continuo, mirato alla prosecuzione della propria natura. Ma questo sforzo non è solo una naturale tendenza che soggiace ad ogni azione umana, bensì è uno sforzo di cui la Mente è consapevole:
Questo sforzo, quando è riferito soltanto alla Mente, si chiama Volontà (Voluntas); ma quando è riferito insieme alla Mente e al Corpo, si chiama Appetito (Appetitus); questo, quindi, non è altro se non la stessa essenza dell’uomo, dalla cui natura segue necessariamente ciò che serve alla sua conservazione; e quindi l’uomo è determinato a farlo. Non c’è, poi, nessuna differenza tra l’appetito e la cupidità, tranne che la cupidità si riferisce per lo più agli uomini in quanto sono consapevoli del loro appetito, e perciò si può definire così: la Cupidità è l’appetito con coscienza di se stesso (Cupiditas est appetitus cum ejusdem conscientia).27
Si può notare come Spinoza ripensi la natura umana: la ascrive a due categorie conseguenti e complementari, quella della possibilità di agire e fare (potenza) e quella di far seguire questo agire dalla propria natura
26 Ivi, III, Prop. VII, p. 255.
secondo un naturale sforzo interno (conatus). L’uomo, prima di essere un ente dotato di ragione, prima di essere sociale, politico, religioso, ecc., è un ente desiderante: egli desidera ciò di cui ha bisogno necessariamente per far fronte alla sua vita, senza che questo abbia alcuna connotazione morale. Non c’è giusto o sbagliato nel desiderare ciò che discende e segue necessariamente dalla nostra natura:
Risulta dunque da tutto ciò che verso nessuna cosa noi ci sforziamo, nessuna cosa vogliamo, appetiamo o desideriamo perché la giudichiamo buona; ma, al contrario, che noi giudichiamo buona qualche cosa perché ci sforziamo verso di essa, la vogliamo l’appetiamo e la desideriamo.28
Non deve sorprendere che dopo tali affermazioni Spinoza sia stato tacciato di eresia, empietà e ateismo: egli, di fatto, elimina dalla sfera valutativa e morale ogni qualsivoglia rappresentazione di Dio come un giudice o come legislatore. Tutto ciò che l’uomo desidera e compie, è determinato dalla sua natura, che a sua volta è determinata da Dio: non c’è problema di giusto o sbagliato, dal punto di vista di Dio; giusto e sbagliato sono categorie che cominciano e finiscono con l’uomo, o meglio con ogni singolo uomo. Per Spinoza non esiste alcun ordine fisso e irrelato, nessuna gerarchia sacra o naturale che sarebbe inficiata dagli appetiti e desideri umani. Tutto è relativo: relativo al punto di vista assunto, che nel caso di Spinoza è costituito dall’uomo e dal suo conatus.
Scrive Bodei,
Ordine e disordine, bene e male, giustizia e ingiustizia, sono concetti privi di valore, se non si considerano dalla prospettiva di chi li giudica e dal momento in cui questo avviene. Ciò che è bene per il lupo, è male per l’agnello; quel che è ordine per
28 Ivi, III, Prop. IX, Sch., p. 259.