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Guide e critica artistica nel XVII secolo: il caso delle "Bellezze della città di Firenze" di Giovanni Cinelli

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTÀ E FORME DEL SAPERE

DOTTORATO DI RICERCA IN STORIA, ORIENTALISTICA E

STORIA DELLE ARTI

PROGRAMMA: STORIA DELLE ARTI VISIVE E DELLO SPETTACOLO SETTORE SCIENTIFICO-DISCIPLINARE: STORIA DELLA CRITICA D’ARTE L-ART/04

XXV CICLO

ANNI ACCADEMICI: 2010-2011-2012

Guide e critica artistica nel XVII secolo:

il caso delle Bellezze della città di Firenze

di Giovanni Cinelli

Coordinatore: Prof.ssa Cinzia Maria Sicca Bursill-Hall Tutor: Prof. Alberto Ambrosini

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INDICE

Introduzione

...1

PARTE I – Giovanni Cinelli. La vita e le opere

1. Giovanni Cinelli: gli studi a Pisa, la carriera letteraria a Firenze e l’esilio ... 8

Da Firenze a Pisa. La frequentazione di Giovan Battista Ricciardi... 8

I rapporti con il collezionismo pisano... 11

Il ritorno a Firenze e la collaborazione con Antonio Magliabechi ... 17

Primi passi di un aspirante letterato nella Firenze accademica: l’ingresso nell’Accademia degli Apatisti... 20

L’impegno editoriale ... 24

Le prime opere di Giovanni Cinelli accademico apatista... 28

La pubblicazione del Malmantile racquistato (1676) e i primi contrasti con i letterati fiorentini... 31

La pubblicazione della quarta Scanzia della Biblioteca Volante e l’esilio... 34

PARTE II – Le

Bellezze della città di Firenze

1. Prima delle Bellezze cinelliane: guidistica fiorentina tra XVI e XVII secolo...40

Il Memoriale di molte statue e pitture che sono nell’inclyta ciptà di Florentia di Francesco Albertini (1510)...40

Francesco Bocchi e le Bellezze della città di Fiorenza (1591)...44

2. Giovanni Cinelli e la nuova edizione delle Bellezze di Firenze (1677)... 47

Genesi dell’opera e vicende storiche...49

La “Seconda Parte” ...53

(3)

3. Dopo le Bellezze: l’Itinerario Toscano ... 62

4. Contributi diretti...66

5. Metodo critico e orientamenti teorici ...70

“Giovanni Cinelli al cortese lettore”: una dichiarazione di metodo ...71

6. Lessico e teoria artistica ...87

Attitudine e costume ...89

Disegno, rilievo e invenzione ...98

Disposizione e membra ...103

Colori ...109

7. Considerazioni sul testo ...113

Cinelli e il problema dei ‘primitivi’ ...122

La scultura ...146

Il caso di Bernardino Poccetti ...170

Il caso di Salvator Rosa ...183

Il caso di Lorenzo Lippi ...190

Il caso di Cecco Bravo ...200

Conclusioni

...216

Tavole

Appendice

... I

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1

Introduzione

La precocità di sviluppo della guidistica fiorentina nell’ambito di quella che Schlosser definì come la ‘topografia artistica’ italiana1 permette di valutare

l’interesse delle guide storiche come fonte documentaria, ma consente allo stesso tempo di avanzare alcune considerazioni sul legame che unisce talvolta questo tipo di fonti con i dibattiti critici del loro tempo.

Particolarmente interessante in tal senso è il caso delle Bellezze di Firenze, guida tardo cinquecentesca di Francesco Bocchi che nel 1677 vide una nuova edizione ampliata e aggiornata a cura del medico e letterato fiorentino Giovanni Cinelli (tav. 1). L’obiettivo della ricerca è stato dunque stabilire quanto e in che modo e in quale misura i dibattiti critici locali abbiano finito per lasciare il loro segno sulle pagine di questa celebre guida.

A questo scopo si è reso necessario in primo luogo un attento esame delle vicende biografiche dell’autore nel periodo compreso tra gli studi dottorali a Pisa fino al ritorno a Firenze e al successivo allontanamento dalla città dopo la pubblicazione della quarta Scanzia dell’opera più fortunata di Cinelli, la Biblioteca Volante (1684). La necessità di circoscrivere quest’analisi è stata dettata sia dalla volontà di concentrare l’attenzione sul periodo in cui Cinelli lavorò alla stesura delle aggiunte per le Bellezze di Firenze, sia perchè, una volta abbandonata Firenze, iniziò a peregrinare di città in città portando avanti contemporaneamente la professione di medico e quella di letterato ma rendendo difficile per noi una ricostruzione quanto più dettagliata ed esauriente di questi anni caratterizzati da frequenti spostamenti di città in città che hanno infine determinato la distruzione e la dispersione di gran parte dei suoi carteggi.

La ricostruzione del profilo di Giovanni Cinelli è dunque oggetto della prima parte di questo studio, i cui capitoli analizzano le vicende biografiche di questo personaggio cercando di ricostruirne i rapporti con alcune delle personalità più celebri del suo tempo come Giovan Battista Ricciardi e Antonio Magliabechi, di indagarne l’attività come mediatore nella compravendita di opere d’arte e in seguito di libri, di ripercorrerne la carriera di letterato a Firenze, dall’ingresso nell’Accademia degli Apatisti fino alle polemiche che lo accompagnarono fino alla morte. La ricostruzione della biografia cinelliana mediante lo studio della

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documentazione autografa inedita ha rivelato l’esistenza di una fitta rete di contatti tra questo personaggio e i più celebri artisti, letterati e scienziati del suo tempo che può contribuire in alcuni casi a fare luce sui possibili orientamenti teorici dell’autore e sulle sue personali opzioni di gusto, elementi che emergono a una lettura attenta delle pagine delle Bellezze, alle quali è invece dedicata la seconda parte del presente studio.

Il primo capitolo della seconda parte propone una succinta storia della guidistica fiorentina precedente all’edizione cinelliana, esaminando in particolare i casi del

Memoriale di Francesco Albertini, tradizionalmente considerato la prima descrizione di città condotta con un’impostazione guidistica, e le Bellezze della città

di Fiorenza di Francesco Bocchi sulle quali si innesterà la successiva impresa cinelliana.

L’esame dei due testi sopra citati, oltre a porre in evidenza alcune peculiarità della guidistica fiorentina, ha dimostrato una certa continuità soprattutto nella struttura del testo, il quale segue la conformazione urbanistica della città descritta, e l’affermarsi di alcuni topoi cari in seguito a tutta la guidistica locale (la fretta come motivo che obbliga a una scelta tra quanto di meglio poteva offrire il patrimonio artistico locale, la consulenza dei pittori, degli intendenti e delle auctoritates in materia). La pubblicazione delle Vite vasariane appare però come un significativo punto di svolta tra la guida dell’Albertini e quella del Bocchi il quale, spinto dalla ricchezza informativa dell’opera vasariana, arriva a sostituire la tradizionale elencazione di opere tipica della guidistica con la loro dettagliata descrizione, trasformando così la discussione su un dipinto o su una statua in un’efficace strategia per veicolare i concetti fondamentali della teoria artistica vasariana alla quale peraltro aderisce egli stesso senza riserve.

A partire dal terzo capitolo di questo studio inizia l’analisi della nuova edizione delle Bellezze di Firenze. Del progetto cinelliano vengono dunque ricostruite le vicende storiche, partendo dal problema della committenza, ovvero della ricerca di un personaggio illustre che in cambio della dedica avesse potuto provvedere alle spese di pubblicazione, individuato infine nel Cardinale Francesco Nerli, anche se un appunto inedito dimostra come Cinelli avesse pensato in realtà a un membro della famiglia Martelli. L’opera riuscì dunque ad essere pubblicata, non senza aver prima conosciuto altre battute d’arresto causate dall’indole polemica e litigiosa di

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Giovanni Cinelli, più volte richiamato ad espungere da altri suoi scritti gli attacchi più feroci verso i suoi detrattori.

Un manoscritto autografo di Cinelli conservato nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e conosciuto come Bozze delle Bellezze di Firenze (Magl. XIII, 34), consente inoltre di ricostruire la struttura e i contenuti di una “Seconda Parte” e di una “Terza Parte” delle Bellezze, dedicate rispettivamente ai centri del potere politico e culturale dei Medici a Firenze (Palazzo Vecchio, Palazzo Pitti e la Galleria), e ai cosiddetti ‘dintorni’, con particolare riguardo alle ville medicee. Entrambe queste opere, mai portate a termine e a uno stadio diverso di elaborazione (più avviata la “Seconda Parte”, molto frammentaria la “Terza Parte”) vengono discusse nel presente studio e in parte riportate in Appendice. Il terzo capitolo della seconda parte è invece dedicato a un’altra guida inedita per la quale Cinelli riuscì a mettere insieme solo alcuni appunti peraltro disseminati in diversi manoscritti dell’autore: si tratta dell’Itinerario Toscano, ambizioso progetto di una guida del Granducato concepito, come le altre guide cinelliane (l’Origine della

città di Borgo San Sepolcro, la Descrizione di Roma, le Bellezze di Parma, le Bellezze di

Loreto), sulla scia del successo delle Bellezze di Firenze e che mirava probabilmente a riproporre un’idea che aveva suscitato l’interesse dei Medici già qualche decennio prima, ma che non aveva poi visto compimento.

Una volta delineato il quadro di riferimento storico e culturale dell’opera, il capitolo successivo è invece dedicato a coloro che offrirono a Giovanni Cinelli il loro supporto per la stesura delle aggiunte alle Bellezze. È l’autore stesso che cita i loro nomi nell’introduzione all’opera: l’antiquario Protasio Felice Salvetti e suo padre, lo scultore Lodovico Salvetti, i pittori Virginio Zaballi e Baldassarre Franceschini detto il Volterrano, il contributo dei quali è in alcuni casi riconoscibile a un attento esame del testo. Nei casi di Protasio Felice Salvetti e del Volterrano si è ritenuto opportuno porre in evidenza la comune appartenenza accademica con Cinelli (entrambi erano iscritti all’Accademia degli Apatisti) a dimostrazione del fatto che le Bellezze cinelliane erano strettamente legate per molti aspetti a questa importante quanto poco conosciuta istituzione.

Il quinto capitolo inaugura l’analisi del metodo critico e degli orientamenti teorici del Cinelli nell’ambito delle Bellezze partendo dalle dichiarazioni che l’autore ha inserito nell’introduzione al testo; pur non possedendo rigore teorico, esse infatti

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accolgono tutta una serie di stimoli e di suggestioni dalle fonti tradizionali della letteratura artistica (Vasari e Borghini), dai dibattiti critici del proprio secolo, dalla recente pubblicazione di testi fondamentali per la teoria artistica ma circolati prima di allora solo in forma manoscritta (è il caso del cosiddetto Trattato della

Pittura di Leonardo che vide la sua prima edizione solo nel 1651), dalle sollecitazioni imposte dal mercato artistico e, infine, dai gusti e dagli orientamenti teorici e critici dei personaggi con i quali Cinelli entrò in contatto lungo l’arco della vita. Alla luce di tutto ciò, l’analisi delle aggiunte cinelliane rivelano degli orientamenti teorici più o meno originali, ma che contribuiscono a ricostruire il profilo critico di un personaggio ‘minore’ della letteratura artistica, ambiguo, talvolta contraddittorio e dalla formazione eclettica, ma che lascia stupiti per la facilità con cui tende ad assemblare gli stimoli più interessanti del dibattito critico del suo tempo e per la rara libertà di giudizio che ne guida le riflessioni.

Il sesto capitolo tenta un’analisi del lessico artistico cinelliano a confronto con quello del Bocchi, con le fonti di riferimento (Vasari e Borghini) e con le fonti coeve (Baldinucci). I dati così raccolti permettono di affermare che anche la terminologia utilizzata nelle Bellezze può essere considerata un indicatore degli orientamenti teorici cinelliani.

Il settimo e ultimo capitolo è invece dedicato alle aggiunte alle Bellezze ; di esse viene esaminata la funzione all’interno del testo (distinguendo tra integrazione e completamento) e i contenuti che esse affrontano, allo scopo di introdurre alcune considerazioni sul metodo critico cinelliano che verranno sviluppate nella successiva discussione di alcuni casi particolari. In questo senso si è ritenuto opportuno partire dall’esame della posizione teorica del Cinelli relativamente al problema dei cosiddetti ‘primitivi’ che nelle Bellezze cinelliane occupano uno spazio molto più ampio di quello a suo tempo riservatogli dal Bocchi. È un tema che Cinelli approfondì peraltro anche negli scritti degli anni successivi che lo videro inserirsi nell’acceso dibattito sul primato delle varie scuole locali senza prendere posizione, ma cercando invece di riportare l’attenzione sul valore storico dell’arte del Due e Trecento e, in generale, di tutta l’arte dei ‘primitivi’.

L’inconsueta sicurezza con la quale Cinelli affronta invece la descrizione delle opere di scultura ha consentito di riconoscere in questo atteggiamento il contributo dello scultore Lodovico Salvetti. A lui, infatti, e al figlio Protasio Felice,

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possono essere ricondotte molte delle informazioni e delle osservazioni contenute nelle aggiunte cinelliane relative a Pietro Tacca (maestro del Salvetti) e a Giambologna (maestro del Tacca). La descrizione scultorea diventa essenzialmente una buona occasione per affrontare la discussione sulla correttezza della resa anatomica della figura umana, problema che stava particolarmente a cuore a Cinelli e sul quale egli sentiva di potersi esprimere con maggiore sicurezza, agevolato in tal senso dalla sua formazione medica.

Il caso di Bernardino Poccetti interessa invece in quanto esemplificativo dell’influsso che gli esperti consultati da Cinelli ebbero sul giudizio che questi mostra relativamente alle opere del pittore. Posto che le aggiunte dedicate al Poccetti si distinguono per la frequenza con cui compaiono nel testo, ciò può essere spiegato seguendo la trama dei rapporti tra Cinelli e alcuni personaggi dell’Ordine dei Servi di Maria che possono aver veicolato informazioni e giudizi in particolar modo sulle opere che Poccetti realizzò per la chiesa fiorentina della Santissima Annunziata.

I casi di Salvator Rosa e di Lorenzo Lippi vengono invece esaminati poichè riguardano personaggi che Cinelli aveva conosciuto non solo come artisti, ma anche nella loro veste di letterati. Egli infatti conobbe Salvator Rosa forse già prima degli studi a Pisa, tramite Evangelista Torricelli suo docente a Firenze e amico del pittore, membro dell’Accademia rosiana dei Percossi. Ebbe poi modo di ritrovarlo anche a Pisa frequentando la dimora di Giovan Battista Ricciardi, la cui collezione contemplava diverse opere del pittore napoletano e questa familiarità con le opere del Rosa non manca poi di emergere dalle aggiunte che Cinelli dedica, nelle Bellezze, alle opere fiorentine del celebre pittore-letterato. Simile è il caso di Lorenzo Lippi, che Cinelli poteva aver conosciuto in prima persona nell’ambito dell’Accademia degli Apatisti (della quale entrambi fecero parte) e del quale pubblicò il Malmantile racquistato (1676); contrariamente a quanto accade per il Rosa, per il quale Cinelli apprezza sia l’opera pittorica che quella letteraria, nel caso del Lippi l’analisi delle aggiunte rivela che la stima di Cinelli era invece limitata alla figura del Lippi letterato, piuttosto che del pittore.

Chiude quest’analisi il caso di un pittore contemporaneo del Cinelli, ossia Cecco Bravo. Le modalità con le quali Cinelli tratteggia, con le sue aggiunte, la figura del pittore Cecco Bravo lasciano spazio a varie considerazioni relative a quelle che

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dovevano essere le personali opzioni di gusto dell’autore, che si dimostra affascinato dalla “pittura di colpi” del Montelatici molto vicina infatti nella sua fase matura a quella rosiana della quale Cinelli aveva grande stima.

In Appendice vengono infine riportati alcuni dei documenti e dei testi citati, tra i quali si segnala in particolare la ricostruzione della complessa struttura della “Terza Parte” delle Bellezze di Firenze e alcuni brani tratti dall’Anonimo d’Utopia a

Filalete, manoscritto inedito composto da Cinelli in aperta polemica con Filippo Baldinucci, ma che interessa ai nostri fini in quanto in esso l’autore porta a maturazione alcune delle riflessioni in materia artistica inaugurate con le Bellezze.

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PARTE I

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1. Giovanni Cinelli: gli studi a Pisa, la carriera letteraria a

Firenze e l’esilio

“La povertà l’ha sempre tenuto, per dir così, affogato e non ha potuto tirare avanti, come avrebbe fatto, alcuni studi”2

Con queste parole Achille Neri traeva nel 1882 un amaro bilancio della vita e della carriera letteraria di Giovanni Cinelli, il cui temperamento pugnace e ambizioso aveva finito per circondarlo di una fama negativa che solo la morte riuscì in parte a placare, lasciando spazio a una sorta di compassione per i suoi continui affanni come letterato, ben evidente nelle pagine dei biografi settecenteschi.

Da Firenze a Pisa. La frequentazione di Giovan Battista Ricciardi

Giovanni Cinelli (tav. 2) nacque a Firenze il 26 febbraio 1625 da Domenico di Giovanni Cinelli e Francesca Lazzeri3 .

Dedicò i suoi primi studi alla retorica e alla logica presso gli Scolopi finchè fu introdotto allo studio della matematica da padre Clemente Settimi di San Carlo col quale ricordava di essersi recato, ancora ragazzo, da Galileo Galilei.

Dal 1642 al 1644 fu allievo di Evangelista Torricelli, a quel tempo lettore di "matematiche" nello Studio fiorentino, prima di lasciare la sua città natale nel 1645 per dedicarsi agli studi di medicina presso il collegio granducale della Sapienza di Pisa, dove nel 1650 ricevette la laurea: a questo periodo risalgono i contatti con il letterato Giovan Battista Ricciardi.

Poeta, commediografo e anima dei più importanti circoli culturali pisani, Giovan Battista Ricciardi (1623-1686)4 dovette forse costituire il primo importante

2 NERI 1882, p. 67.

3 La vita di Giovanni Cinelli si ricostruisce a partire dai cenni autobiografici che l’autore ha

disseminato in molti suoi scritti editi e inediti. Tra le fonti manoscritte vedi l’autobiografia nella

Storia degli Scrittori Fiorentini (ovvero il primo volume della Toscana letterata, BNCF, Magl. IX, 66, c. 384r-386v, qui riportata in APPENDICE, I); gli indizi biografici sparsi nelle varie “Scanzie” della sua Biblioteca Volante sono stati invece raccolti e ordinati da Dionigi Sancassani in occasione della riedizione di questa importante opera cinelliana (SANCASSANI 1734, pp. CXXXIX-CXLII); un lavoro analogo è quello di Paolo Gagliardi al quale si deve una dettagliata biografia (GAGLIARDI 1736); sulla vita e le opere di Giovanni Cinelli rimane comunque la fonte più completa BENZONI 1981 al quale si fa riferimento in questa sede per tutti i dati biografici. Vale inoltre la pena segnalare un recente articolo di Luca Tosin che, pur prendendo in esame il carteggio tra Cinelli e il bibliofilo Angelico Aprosio, finisce per ripercorrere alcune delle principali vicende biografiche del nostro autore (TOSIN 2012, pp. 161-182 ).

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appoggio del giovane Giovanni Cinelli una volta arrivato a Pisa; questi, nei suoi scritti successivi, non mancò infatti di ricordare frequentemente il Ricciardi descrivendolo come:

“filosofo, poeta ed oratore eccellentissimo lettor delle morali nell’almo Studio di Pisa di mostruoso ingegno, ed in varia letteratura dottissimo […].

Non avea egli, che graziosissime composizioni composte, che per l’universale si sappia, ma siccome egli era da ogni senso d’ambizione lontanissimo, e le opere sue malissimo volentieri dava fuori, così doppo sua vita trovar qualche … [?] opera da gli Intendenti fermatamente speravansi; [...] [dei suoi componimenti] pochi son quelli, che si sieno, con le stampe resi comuni a tutti, e questo, perchè egli anzi che ... [?], e pubblicargli, con iscusa di correggergli, se gli ripigliava senza volerli rendere, onde chi ha di suo alcuna cosa, la tenga cara, come merita un tanto uomo”5

La biografia cinelliana del Ricciardi, inserita nel secondo volume della Toscana

Letterata e composta tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta del Seicento6,

fa riferimento a episodi più tardi della vita di quel personaggio, come la carica che

4 Giovan Battista Ricciardi era rampollo illegittimo di una nobile famiglia originaria di San

Gimignano, membro delle Accademie dei Percossi e degli Apatisti a Firenze e degli Stravaganti a Pisa (FABBRI 2010, p. 166 nota 7); tra i rari contributi recenti sull’Accademia degli Stravaganti vedi PALIAGA 2010, pp. 77-90. Sulla figura di Giovan Battista Ricciardi non esiste ancora uno studio specifico che ne metta in risalto i rapporti con varie importanti personalità del suo tempo, pertanto per i riferimenti biografici e bibliografici si rimanda a FABRONI 1795, III, pp. 126-135 e LIMENTANI 1961, p. 125 nota 11. Un breve capitolo dedicato al Ricciardi si trova in STORIA

LETTERARIA D’ITALIA 1986, p. 498 e segg. Tra le rare opere edite del Ricciardi, soprattutto commedie, si ricorda Il Trespolo tutore, in Bologna, per Bartolomeo Lupardi 1669; Chi non sa fingere

non sa viuere, ouero le cautele politiche, opera del signor Gio. Battista Ricciardi, in Perugia, per gl’heredi di Sebastiano Zecchini, 1672 (ristampato nel 1679 a Bologna, per Gioseffo Longhi e ancora tra il 1695 e il 1731 a Bologna, per lo stesso editore); La ruota della fortuna opera del sig. Gio. Battista

Ricciardi pisano, in Perugia, per gl’heredi di Sebastiano Zecchini, 1673 (ristampata anche fra il 1684 e il 1688 a Bologna, per il Longhi); La forza del sospetto, ouero il Trespolo hoste. Comedia nuoua del sig. Gio.

Battista Ricciardi , in Ronciglione, si vendono in Roma, da Francesco Leone libraro in Piazza Madama, 1674 (ristampato nel 1687 a Bologna per i tipi di Giuseppe Longhi); Amore è cieco, ouero la

Barberia, comedia del dottor Gio. Battista Ricciardi Pisano, in Bologna, per Gioseffo Longhi, 1684; Il

trespolo tutore balordo opera drammatica per musica da recitarsi nel Teatro Fontanelli , in Modona, per gli eredi Soliani Stamp. Duc., 1686; Per la gloria non per l’amore contendono i riuali. Opera reggia del Ricciardi, in Bologna, per gl’eredi d’Antonio Pisarri, 1687; Lo sposalizio tra’ sepolcri opera del signor Gio. Battista

Ricciardi fiorentino, rappresentata nel teatro de’signori accademici Sorgenti in Firenze, in Bologna, per il Longhi, 1695; Rime burlesche edite ed inedite, con prefazione e note di Ettore Toci, in Livorno, coi tipi di Francesco Vigo, 1881.

5 BNCF, Magl. IX, 67, cc. 827-828.

6 Dal brano si comprende come Ricciardi fosse già morto, quindi il 1686 può essere considerato il

terminus post quem per la compilazione di questa biografia. Ulteriori notizie sul manoscritto dal quale è tratta a p. 35 nota 120.

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egli ottenne nel 1673 come lettore di Filosofia Morale nello Studio pisano7, tuttavia la frequentazione fra i due ebbe inizio molto prima, tra il 1645 e il 1650, ossia quando Cinelli si trovava a Pisa per terminare i suoi studi e Ricciardi animava il suo circolo intellettuale nel proprio palazzo di Lungarno Gambacorti8.

Fu proprio durante questo periodo che Giovanni Cinelli iniziò a costruirsi una fitta trama di contatti con importanti eruditi e artisti che gli fu poi utile al momento del ritorno a Firenze per tentare la carriera di letterato. Grazie al Ricciardi, infatti, il giovane medico ebbe modo di riprendere contatti con una delle personalità più rappresentative della sua epoca, accolto con tutti gli onori sia a Pisa che a Firenze, ossia il pittore e letterato Salvator Rosa (1615-1673)9, che egli

presumibilmente conosceva già da tempo grazie alla mediazione di Torricelli10:

“Del qual [del Ricciardi] Rosa fu sempre cordialissimo […] amico, e da esso ricevè in dono molte pitture di pregio fra le quali, è bellissima quella ov’è il Ricciardi in abito filosofico ritratto, in atto di contemplare un teschio umano, nel cui quadro son queste parole scritte: Salvator Rosa dipinse, nell’... [?], e donò a Giovan Battista Ricciardi suo amico, e di verità fu tale p.chè alla sua morte gli lasciò le sue celebratissime Satire acciò le ammendasse ed imprimere le facesse con espresso patto però, che dalle sottigliezze della nostra Crusca quanto più poteva le preservasse in ordine a che il Serenissimo Cardinale Leopoldo, dasse instanza d’averle furono dal Ricciardi con animo invitto negate, acciò la mente di Rosa con manomissione parte defraudata non restasse, avvegna che la bontà di Sua Altezza l’avrebbe senza fallo, a qualche scrupoloso a rivederle, consegnate, che con mille cavillazioni, e cabale guastate, e storpiate forse l’avrebbe”11

Emerge dalla biografia cinelliana la scelta di dare rilevanza non tanto alla levatura intellettuale del Ricciardi (del quale rimangono pochissime opere edite) quanto al

7 TOFANELLI 1981, p. 230.

8 Il palazzo di Giovan Battista Ricciardi a Pisa era situato sul Lungarno Gambacorti, in prossimità

dell’angolo prima di girare in via S.Antonio, vedi PALIAGA 2009, cartina a p. 71 e p. 152. Il palazzo divenne in seguito Papani e infine Dal Borgo (PALIAGA 2009, p. 172, nota 93; PANAIJA, I Palazzi di Pisa nel manoscritto di Girolamo Camici Roncioni , Pisa 2004 , pp. 240-241).

9La corrispondenza del Ricciardi con il pittore Salvator Rosa è stata oggetto di approfonditi studi,

tra cui quelli di GERRA 1937, DE RINALDIS 1939 e, più di recente, MIARELLI MARIANI 2003, p. 281-313. Ancora su questo rapporto di amicizia, cfr. MERONI 1978, p. 68-70 e WASSYNG ROWORTH 1988, pp. 103-124.

10 L’analisi degli appunti cinelliani relativi al Rosa lascia ipotizzare infatti che il contatto tra i due

risalga agli anni in cui Cinelli era allievo del Torricelli, vedi in questo studio p. 183 e segg.

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privilegio di essere stato amico del Rosa tanto da divenire il depositario dei suoi scritti più ambiti, ossia le celebri Satire, pubblicate tutte postume ma circolate in forma manoscritta tra i letterati vivente l’autore12. L’accenno a una sorta di

resistenza del Ricciardi nel consegnare i manoscritti del Rosa al Cardinale Leopoldo allo scopo di preservarli dalle “cavillazioni” degli odiati Accademici della Crusca ai quali il Cardinale li avrebbe affidati è invece poco verosimile e intende piuttosto essere un attacco polemico verso un’istituzione con la quale Cinelli, a quella data, aveva ormai avuto numerose occasioni di contrasto13.

La dispersione dell’epistolario del Ricciardi non consente tuttavia di ricostruire con precisione la natura dei rapporti con Cinelli, così come è sostanzialmente poco conosciuta l’attività del celebre letterato prima dell’importante incarico presso lo Studio; tuttavia alcuni documenti di recente pubblicazione14 consentono innanzitutto di confermare la conoscenza tra i due già tra il 1648 e il 1649, in secondo luogo aprono a interessanti considerazioni sul ruolo del Ricciardi nella formazione del Cinelli mediatore nelle compravendite di opere d’arte, attività che, come avremo modo di chiarire nel capitolo seguente, lo impegnò negli ultimi anni di studio a Pisa.

I rapporti con il collezionismo pisano

La recente pubblicazione di una serie di lettere che Giovanni Cinelli inviò al collezionista pisano Francesco Lanfreducci tra il 1648 e il 1649 per caldeggiare l’acquisto di opere di Cecco Bravo e per informarlo sulla disponibilità in commercio di opere adatte per la sua “Galleria” costituiscono l’unica testimonianza documentata sull’attività del primo come mediatore nelle compravendite di opere d’arte, occupazione alla quale sembra dunque essersi

12 Sul problema della cronologia delle satire del Rosa vedi FESTA 1983, pp. 377-390.

13 Negli anni in cui Cinelli, come si vedrà in seguito, tentò l’ingresso nei principali circoli culturali e

accademici fiorentini, aspirò sicuramente ad essere annoverato anche tra i membri di questa prestigiosa istituzione, cosa che non avvenne mai lasciandogli comprensibilmente una certa amarezza. L’Accademia della Crusca, oltre ad essere infatti particolarmente selettiva nel regolamentare l’accesso ai nuovi membri (i quali dovevano aver già raggiunto una notevole celebrità nel campo degli studi letterari), contava inoltre tra i suoi membri molte delle personalità con cui Cinelli ebbe contrasti nella sua carriera di letterato (Francesco Redi, Filippo Baldinucci). Per una breve storia di questa istituzione vedi GRAZZINI 1968; PARODI 1983; BAROCCHI 1985, pp. 35-40.

14 Mi riferisco a cinque lettere di un carteggio tra Giovan Battista Ricciardi e Francesco

Lanfreducci conservate all’Archivio di Stato di Pisa (ASP, Upezzinghi, 47) e pubblicate in PALIAGA 2009, p. 221, XV, 3, nota 2.

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dedicato unicamente negli anni di studio a Pisa e prima di specializzarsi, una volta tornato a Firenze, sul commercio librario15.

Francesco Lanfreducci era un elemento di spicco della cerchia di letterati vicini a Giovan Battista Ricciardi e alcuni documenti resi noti di recente16 rendono testimonianza di quanto la sua figura di collezionista gli fosse debitrice: fu forse il Ricciardi, infatti, ad avergli introdotto Salvator Rosa, che in seguito fu gradito ospite nella villa del Lanfreducci a Crespignano intorno al 165017; ancora nel febbraio 1651 il Rosa gli fece recapitare, per il tramite del Ricciardi, un ritratto (una “testa”) per la sua collezione. Poste queste premesse, non si fa dunque fatica a riconoscere nel Ricciardi il trait d’union tra Cinelli in attesa di concludere i propri studi e il Lanfreducci che si dedicava in quegli anni all’allestimento della sua “Galleria”. In entrambi i casi il ruolo del Ricciardi fu dunque fondamentale da una parte per indirizzare il giovane Cinelli alla professione di mediatore d’arte, dall’altra per orientare i gusti dell’amico collezionista.

La collezione d’arte del Ricciardi, come testimonia l’inventario steso post mortem, comprendeva infatti un cospicuo numero di opere di Salvator Rosa18 e quei

“Signori studiosi dell’Arte e del Disegno”19 che ne frequentavano la dimora ebbero certamente modo di apprezzare in varie occasioni soprattutto i dipinti di paesaggio, i quali costituivano gran parte delle opere rosiane in possesso del Ricciardi; gli stessi, pertanto, dovevano servirsi di quest’ultimo per avere le opere del Rosa ma non dovevano tuttavia essere insensibili verso pittori stilisticamente vicini: Cecco Bravo, ad esempio, poteva costituire in questo senso un’alternativa

15 Il carteggio col Lanfreducci, conservato nell’Archivio di Stato di Pisa, è stato parzialmente

pubblicato da PALIAGA 2009, p. 220, n° XII. Si riporta in questa sede una trascrizione delle lettere in APPENDICE, II. Per quanto riguarda l’impegno editoriale di Giovanni Cinelli, vedi in questa sede il relativo capitolo alle pp. 24 e segg.

16 SICCA 2005, pp. 71-72. La studiosa segnala un altro carteggio tra Ricciardi e Lanfreducci (ASP,

Upezzinghi, 61, carte non numerate).

17 SICCA 2005, p. 72.

18 L’inventario si trova in ASF, Notarile Moderno, 21316, cc. 178v-180v e venne steso il 22 aprile

1687 a sei mesi di distanza dalla morte del Ricciardi. Gli eredi trasferirono subito la raccolta nella loro residenza fiorentina e a partire dal 1706 esposero alcuni dipinti alla mostra del chiostro della Santissima Annunziata (BORRONI SALVADORI 1978, pp. 366- 368). Sulla collezione del Ricciardi cfr. PALIAGA 2009, pp. 91-93 e, in relazione alle opere del Rosa in suo possesso, vedi nello specifico PALIAGA 2012, pp. 23-50; sul ruolo del Ricciardi come promotore delle opere del Rosa a Pisa vedi ancora PALIAGA 2009, p. 155.

19 Secondo la definizione dello stesso Salvator Rosa tratta da una lettera al Ricciardi e citata da

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13

apprezzabile da un occhio avvezzo alla pennellata rapida e profondamente evocativa del Rosa20.

Negli stessi anni in cui Rosa soggiornò in Toscana21, troviamo Cecco Bravo

cimentarsi in una pittura di paesaggio chiaramente debitrice alla lezione del pittore napoletano: se si confronta un Riposo durante la fuga in Egitto attribuito a Cecco Bravo e oggi in collezione privata (tav. 3) con la celebre Selva dei Filosofi del Rosa (Firenze, Galleria Palatina) (tav. 4) appaiono evidenti punti di contatto tra queste due opere eseguite entrambe intorno alla metà degli anni Quaranta. Vale inoltre la pena puntualizzare come Cecco Bravo, coinvolto in un processo per eresia che gli precluse molte commissioni pubbliche a Firenze22, avesse lavorato a Pisa proprio

negli stessi anni del Rosa, realizzando durante questo temporaneo esilio dalla patria l’Andata al Calvario per la chiesa di Santa Maria dei Galletti (1642), attirando sicuramente su di sè l’attenzione della committenza pisana23.

Francesco Lanfreducci costituiva dunque uno di questi “Signori”, amici del Ricciardi, che si servì del supporto del Cinelli per l’acquisto di opere destinate alla propria raccolta, quella che a partire dalle lettere del 1649 prenderà il nome di “Galleria” e che comprendeva non solo opere d’arte, se si considera che Cinelli riuscì a far avere al Lanfreducci anche un raro spartito24 e gli segnalò la vendita di

un “istrumento [...] opera di Stefanino da Prato”25.

Negli anni di questo carteggio Cinelli aveva la possibilità di tornare regolarmente a Firenze e questo gli consentì di raccogliere tempestivamente utili informazioni su quanto era disponibile per l’acquisto sul mercato artistico fiorentino; in una lettera del 4 luglio 1648 Cinelli anticipava infatti l’intenzione di fare un

20 Per una discussione più approfondita sui rapporti tra Cinelli e Cecco Bravo vedi, in questa sede,

p. 200 e segg.

21 Il primo soggiorno pisano documentato del Rosa è del febbraio 1641 quando venne coinvolto

nella preparazione della scenografia di una commedia per il Carnevale (SICCA 2005, p. 71-72), il che potrebbe costituire la prima occasione di incontro con il Ricciardi che pure aveva interessi teatrali.

22 Per un riferimento a queste vicende biografiche di Cecco Bravo vedi DA GAI 2012.

23 PAGLIARULO 1991, pp. 35-37.Sulla genesi e le peculiarità del collezionismo pisano nel

Seicento rimane il fondamentale contributo di CIARDI 19922, pp. 90-103; tra i contributi recenti

vedi invece PALIAGA 2009, pp. 43-96.

24Si tratta con buona probabilità del Lamento di Marinetta per la morte di Masaniello suo marito; anche in

questo caso vale la pena evidenziare come anche gli interessi musicali del Lanfreducci dovettero essere stati profondamente segnati dal contatto col pittore napoletano; sul genere del “lamento” cfr. STORIA DELLA MUSICA 1991, p. 226.

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14

sopralluogo nella bottega di Cecco Bravo, ormai da anni rientrato nella sua città natale:

“Se Vostra Signoria Illustrissima fosse qua vedrebbe qualche quadro forse conforme al suo genio, ma l’esser lontano non permette ch’io possa incontrare il suo genio in queste materie conforme sarebbe il mio desiderio. Hoggi o domenica sarò con Cecco Bravo per vedere alcune opere che ha di fatte.”26

Pur dispiacendosi della lontananza che impediva al Lanfreducci di prendere personalmente visione delle opere disponibili per l’acquisto, egli si propone tuttavia di trovare qualcosa che potesse essere in linea col gusto (col “genio”) del suo committente e la scelta cade, non a caso, su Cecco Bravo. La visita alla bottega del pittore ebbe effettivamente luogo qualche giorno dopo, come testimonia la lettera del 10 luglio, che aggiorna il Lanfreducci su quanto di meritevole aveva potuto trovare:

“Sono stato hoggi da Francesco Montelatici detto Cecco Bravo quale mi ha mostrato due historie bellissime e bizzarre che l’una è la Carità e l’altra la Fortezza, che perciò ne manderò o con questa o con la prossima il disegno con la misura che tutto il filo è la lunghezza, e dal lato verso la parte più lunga è l’altezza; il prezzo è scudi quindici almeno però vedrò se posso tirarlo a meno, ma so che uno de i Falcinelli che compra pitture per rivendere li dava scudi dodici al quale esso non le ha volute dare; ve ne sarebbono due altre dell’istessa lunghezza, ma più basse un 3° delle quali ancora per la prossima manderò il disegno”27

Giovanni Cinelli mostra dunque una certa sicurezza nel gestire la trattativa di un’opera d’arte, promettendo al suo corrispondente di fargli recapitare un disegno dell’opera corredato di misure, fondamentali per l’allestimento di una qualsiasi quadreria, informandolo della poca probabilità di stabilire una trattativa sul prezzo con un espediente (il riferimento a un altro commerciante interessato) che cerca allo stesso tempo di stimolare il desiderio di possesso. La stessa lettera segue fornendo alcuni interessanti particolari:

26 APPENDICE, II, 1. 27 APPENDICE, II, 2.

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15 “Ci sarebbono due quadri bellissimi stati impegnati per scudi 40 l’uno è d’Andrea del Sarto, l’altro non so di che pittore. Ma venerdi ci menerò il Montelatici, e le darò relatione”28

In questo passo Cinelli mostra innanzitutto di ricorrere alla pratica, comune ai dilettanti, della consulenza di un pittore che in questo caso sembra servire sia per stabilire l’autenticità di un quadro riconosciuto come opera di Andrea del Sarto, sia soprattutto per individuare la paternità di un’opera di autore ignoto29.

Che Cinelli avesse interpellato proprio Cecco Bravo per una consulenza su un dipinto attribuito ad Andrea del Sarto è una scelta perfettamente coerente, se si tiene presente la profonda conoscenza dei modi sarteschi propria del Montelatici nella sua fase giovanile30 e nelle opere pubbliche della maturità (è il caso, ad

esempio, della Madonna del Carmelo, Santa Maria Maddalena e Santa Caterina

d’Alessandria eseguita nel 1655 per il santuario di San Romano31 (tav. 5) che avrebbe reso pertanto la perizia di questo pittore ancor più affidabile.

Un appunto manoscritto, redatto da Cinelli pochi anni prima della morte, potrebbe infine lasciar intravedere un altro tipo di collaborazione con questo pittore. Nelle Bellezze della felicissima casa di Loreto, altra guida incompiuta al quale si dedicò negli ultimi anni della sua vita mentre lavorava come medico della Santa Casa di Loreto32, Cinelli, passando in rassegna le opere del santuario, finisce per

prendere in esame una Madonna col Bambino tradizionalmente ascritta ad Andrea del Sarto ma per la quale indica per la prima volta un’altra attribuzione:

28 APPENDICE, II, 2.

29 Sul ruolo del pittore come consulente per l’acquisto di opere e sulla discussione intorno alla

validità o meno delle sue doti di connoisseur nel Seicento vedi PERINI 1991, pp. 169-208.

30 Basti pensare a quella che viene tradizionalmente considerata la prima opera autonoma del

pittore, ossia la Vergine e il San Giovanni che egli aggiunse nel 1628 ai lati del San Domenico in

adorazione del Crocifisso, affresco dal Beato Angelico nel convento di San Marco, chiostro di Sant’Antonino. Questa adesione alla pittura sartesca è stata peraltro già messa in evidenza dalla critica, cfr. MASETTI 1962, p. 50. L’appunto cinelliano è altresì interessante poichè costituisce a suo modo una testimonianza della fortuna artistica e collezionistica seicentesca delle opere di Andrea del Sarto a Pisa, in seguito al trasferimento nel 1617 del Polittico di Sant’Agnese nel duomo cittadino su iniziativa dell’Operaio Curzio Ceuli (sulla vicenda vedi CIARDI 19921, p. 45).

31 CECCO BRAVO 1999, p. 92.

32 Questo manoscritto viene segnalato da NESI 2003, p. 184. Non mi è stato però possibile

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16 “sonvi però degl’intendenti che sospettano sia opera di Francesco Montelatici, pur fiorentino, detto per soprannome Cecco Bravo, il quale, negli ultimi anni di sua vita ad imitar la maniera di Andrea si era messo, ed ingannò più d’uno de’professori, anche più esperti”33

Il fatto che Cinelli avesse conosciuto Cecco Bravo e che sia stato di fatto il primo e l’unico storico a proporre questa attribuzione (seppur non esponendosi in prima persona, ma facendo riferimento al giudizio di non meglio precisati intendenti), peraltro confermata da recenti studi34, potrebbe gettare luce sull’attività, molto

meno nota, di Cecco Bravo come imitatore di Andrea del Sarto, alla quale il pittore potrebbe essersi effettivamente dedicato per far fronte alla grande richiesta di opere di quell’antico maestro, attività della quale lo scaltro Cinelli era evidentemente informato e dalla quale potè forse trarne anche profitto.

Altre opere delle quali Cinelli si preoccupa di dare notizia al Lanfreducci per la sua Galleria e che pertanto a suo avviso rispondono al “genio” di quel collezionista, sono “un quadro d’una madonna con il Christo, e quattro Puttini [...] di mano del Poppi assai vago”35 ma anche “una figurina di cera fatta da Gio. Bologna”36, “una

figura di basso rilievo in terracotta”37, “una sgraffiatura d’alcune figurine in zolfo [...], quale ho fatta adornare con doratura”38, “una quantità di figure di bronzo”, tutte opere che testimoniano di un gusto estremamente vario, con una particolare predilezione per oggetti di piccole dimensioni.

L’ultima occasione nella quale Cinelli potè prestare servizio per il Lanfreducci risale al 1650 e riguarda la stesura di una storia genealogica della famiglia Lanfreducci mai portata a termine e della quale Cinelli, consapevole degli scarsi risultati raggiunti, non diede mai notizia39.

33 Trascrizione ripresa da NESI 2003, p. 184. L’opera in questione, attualmente collocata nella

galleria di raccordo tra la basilica di Loreto e la sacrestia del Tesoro, pervenne alla Santa Casa nel 1694 come dono da parte del canonico Pier Paolo Raffaelli.

34 L’opera infatti è stata recentemente riportata alla mano del Montelatici da Alessandro Nesi che

l’ha messa correttamente in relazione con la cosiddetta Madonna di San Romano di Cecco Bravo proprio grazie al suggerimento cinelliano cfr. NESI, 2003, pp. 183-187.

35 APPENDICE, II, 1. 36 APPENDICE, II, 5. 37 APPENDICE, II, 6. 38 APPENDICE, II, 8.

39 Bizzocchi che per primo ha reso nota l’esistenza di una minuta di questa storia genealogica in

ASP, Donazione Rasponi dalle Teste, busta 1, fasc. 4 (BIZZOCCHI 2005, p. 12 nota 12) la definisce “vero e proprio sfoggio di citazioni dotte e bellurie retoriche” (BIZZOCCHI 2005, pp. 10-11).

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Il ritorno a Firenze e la collaborazione con Antonio Magliabechi

Terminati gli studi a Pisa e di conseguenza la frequentazione della dimora del Ricciardi, Cinelli si avviò verso la professione medica, inizialmente prestando servizio nella città di Fossombrone (Pesaro). Al 1651 risale il matrimonio con Giulia Gucci in seguito al quale ebbe modo di fare ritorno a Firenze “dove però fermossi per poco tempo, conciosia cosa che parendogli nojoso lo stare in ozio, e sdegnando l’accompagnare, come suol farsi da’ Medici giovani, li più avanzati nell’età e stabiliti nel buon concetto presso l’Universale, diè orecchio a certuno che gli propose la Condotta di Portolongone”40. Dopo la morte della moglie, si

trasferì con i figli, sempre come medico, a Borgo San Sepolcro dove non mancò di procurarsi i primi guai: dopo aver saputo che un collega, il dottor Bottazzi, aveva osato prescrivere una cura a una sua paziente, tentò di malmenarlo e ne uscirono feriti entrambi. Si trattò forse del primo celebre scontro (in questo caso fisico) del Cinelli41, la cui indole litigiosa, acuita da alterni periodi di ristrettezze economiche, non mancò di essere la causa principale dei suoi problemi e forse anche di buona parte dei suoi improvvisi spostamenti da una città all’altra.

Sposatosi in seconde nozze con Eufrasia Carsughi, Cinelli decise di tornare a Firenze; secondo il biografo Dionigi Sancassani, la causa ufficiale di questo trasferimento, che egli fissa intorno al 1663, sarebbe stata la volontà di far studiare i propri figli in quella città e aggiunge che la buona fama procuratasi come medico gli favorì l’inserimento in quella realtà dalla quale era rimasto per molti anni lontano.

Uno dei punti meno chiari delle vicende biografiche del Cinelli riguarda le modalità con cui egli riuscì in questi anni a entrare in contatto con Antonio Magliabechi.

Considerando che una prima lettera al Magliabechi reca la data del 12 settembre 165942 pur non recando indicazioni di luogo (pertanto non chiarisce se Cinelli si trovasse già a Firenze in quell’anno) è comunque utile indizio dell’avvenuto

40 SANCASSANI 1734, p. CV.

41 La vicenda è stata riassunta da TOSIN 2012.

42 BNCF, Magl. VIII, 634, c. 1rv. Segnalata anche in LETTERE E CARTE MAGLIABECHI

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18

contatto tra i due. Dopo questa data egli tornò a scrivere al Magliabechi solo a partire dal 1664 quando la sua presenza a Firenze poteva dirsi ormai certa43 .

Si potrebbe ipotizzare che Cinelli abbia fatto il suo ingresso nella cerchia del Magliabechi forse beneficiando già di contatti importanti, come lo stesso Giovan Battista Ricciardi, oppure il padre agostiniano e celebre bibliofilo Angelico Aprosio detto il Ventimiglia (1607-1681)44 con il quale Cinelli aveva intrattenuto

rapporti epistolari sin dal 1655, quindi prima di conoscere il Magliabechi e prima che quest’ultimo conoscesse l’Aprosio45.

“Subito ch’io fui tornato dalla Condotta della Città di S.Sepolcro, me n’andai a reverir prima d’ogn’altro l’eruditissimo Sig. Antonio Magliabechi gloria della Toscana, sapendo benissimo, che da esso si ragunano continovamente non solo la maggior parte de’letterati della nostra Città, ma eziandio tutti i Dotti Forestieri, che son quà di passaggio.”46

In ogni caso Cinelli capì immediatamente l’importanza di quella frequentazione che ebbe sicuramente un peso considerevole nel favorirgli l’ingresso nell’ambiente accademico fiorentino.

“Intanto CINELLI attese a farsi acquisto di buoni amici, non già di quelli, il conversar co’ quali pone in allegria lo spirito, ma nulla vantaggia il capitale d’un massiccio sapere,

43BNCF, Magl. VIII, 634, cc. 2r-5v. Vedi anche LETTERE E CARTE MAGLIABECHI 1988, p.

29 n°92.

44 Su Angelico Aprosio vedi la relativa voce, a cura di ASOR ROSA 1961, pp. 650-653. Parte dei

volumi da lui raccolti costituiscono oggi la Biblioteca Civica Aprosiana di Ventimiglia; un’altra parte di questi volumi, compresi i manoscritti, furono trasferiti con la soppressione dell’ordine agostiniano nel 1798 nella Biblioteca Nazionale di Genova dove sono tuttora conservati. Di questo bizzarro personaggio viene in genere ricordata la sua opera più ‘accademica’, la celebre Biblioteca

Aprosiana, passatempo autunnale di Cornelio Aspasio Antivigilmi tra’Vagabondi di Tabbia detto l’Aggirato, Bologna 1673, repertorio di autori che gli avevano donato i loro libri, accompagnati ciascuno da una breve biografia. Fu in contatto col Magliabechi, con il quale scambiava indicazioni sull’ordinamento delle rispettive biblioteche ed ebbe tra i suoi corrispondenti, oltre al Cinelli, anche Carlo Dati, Francesco Redi, Gronovio.

45 Al 12 luglio 1667 risale infatti la prima lettera dell’Aprosio al Magliabechi (BNCF, Magl. VIII,

141, c. 1r-2v, segnalata anche in LETTERE E CARTE MAGLIABECHI 1988, p. 47 n°104. L’epistolario dell’Aprosio per la ricchezza e il tenore dei contatti è paragonabile quasi a quello del Magliabechi: a tale scopo si segnala FONTANA 1974, pp. 339-370, e in particolare pp. 340 e 353 per le lettere del Magliabechi e p. 352 per le sopra citate lettere del Cinelli. Inoltre l’Aprosio aveva avuto modo di fare tappa a Firenze a Pisa verso il 1637 e nella stessa occasione poteva aver conosciuto il Ricciardi.

46 Poesie liriche diverse di Gabbriello Chiabrera, in Firenze, nella stamperia di Francesco Livi, All’Insegna

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19 che distingue dal volgo degli uomini inetti. Egli andò in traccia di soggetti chiari per sapere, per bontà di costumi, e per un espressa professione di vita inappuntabile”47

Tra questi probi letterati il più importante era ovviamente il Magliabechi, ma appare interessante considerare anche le altre figure con cui il Cinelli riuscì ad entrare in contatto:

“Mentr’io era in patria scrisse il CINELLI, ho durato venti e più anni a frequentare ogni giorno il suo ricchissimo Museo, trovandovisi quasi sempre il Sig. Carlo Dati, il Sig. Canonico Panciatichi48, il Sig. Co. Ferdinando del Maestro49, il Sig. Michele Ermini50, il

Sig. Marchese Cesarmaria Malaspina, il Signor Abate Jacopo Giacomini [...]. Fra quelli avendo il CINELLI avuta la sorte di esser ammesso, ne trasse in breve vantaggio d’entrar in confidenza col Magliabecchi, ed in questa così bene gli riuscì d’insinuarsi, che potè cavargli di mano una chiave della Libreria Palatina, di cui era Custode, e con ciò avere a suo piacimento ad essa l’accesso [...]. Ed ecco il Cinelli in quel grande arsenale continuamente attendere a legger buoni libri, ed armarsi di buoni documenti”51

Cinelli, in questo passo tratto dalla biografia del Sancassani, ricorda dunque di aver conosciuto quegli stessi personaggi che avevano svolto un ruolo fondamentale nella formazione del Magliabechi: Michele Ermini (m. 1682) bibliotecario del cardinale Leopoldo de Medici e ‘protettore’ del Magliabechi52, grazie al quale

conobbe poi anche Lorenzo Panciatichi (1635-1676) e Carlo Roberto Dati

47 SANCASSANI 1734, p. CV.

48 Lorenzo Panciatichi, succede con gli stessi compiti a Ferdinando del Maestro, per il quale si

rimanda alla nota seguente.

49 Ferdinando del Maestro (1629-1665) bibliotecario e gentiluomo di camera del Cardinale

Leopoldo; membro dell’Accademia Fiorentina e cruscante (GOLDBERG 1983, p. 14; MIRTO 2012, p. 186, nota 414).

50 Michele Ermini, morto nel 1677 secondo quanto scrive il Magliabechi. Bibliofilo e grecista,

accademico della Crusca, dal 1658 partecipò alla terza impressione del vocabolario per quanto riguarda il latino. Sulla sua figura vedi LETI 1676, III, p. 383. Mirto segnala alcune sue opere inedite in BRF, cod. Car. 2568, 2478, 2712; cod. Ch. 1188 ( MIRTO 2012, p. 171, nota 367).

51 SANCASSANI 1734, p. CVI.

52 Cinelli fornisce importanti elementi biografici su questo personaggio nella sua Toscana Letterata:

“umanista e poeta d’innocenti costumi ed alle lettere totalmente applicato, ancorchè le domestiche faccende non poco alla sua carriera togliessero. [...] Studiò insieme col dottissimo Magliabechi la lingua ebraica sotto la disciplina del [… ] Finzio ebreo intendentissimo, e nelle Scuole d’Umanità fu mio condiscepolo sotto il Sig. Carlo Conti romano buono umanista, e poeta” (BNCF, Magl. IX, 67, cc. 1278-1279); fu proprio grazie all’Ermini che il Magliabechi entrò in contatto con personalità di spicco del panorama letterario fiorentino, cfr. la biografia di Antonio Magliabechi a cura di ALBANESE 2007, pp. 422-427.

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20

1676)53, figure queste ultime che animavano le accademie fiorentine in anni in cui queste vedevano una partecipazione sempre più significativa anche di scienziati-letterati54.

Primi passi di un aspirante letterato nella Firenze accademica: l’ingresso

nell’Accademia degli Apatisti

La prima attività letteraria di Giovanni Cinelli a Firenze coincise con un periodo particolare: da una parte lo studio di Dante e dei padri della lingua volgare aveva beneficiato di un nuovo slancio55 (basti pensare alla rifondazione da parte di Leopoldo de’Medici dell’antica Accademia Platonica con lo scopo “di commentare Dante e il Petrarca secondo le idee di Platone”56), al quale si univa

l’ammirazione per i poeti ‘moderni’ della poesia come Gabriello Chiabrera e, parallelamente, uno spiccato interesse per la satira e per la poesia giocosa e burlesca sull’esempio dei componimenti di Francesco Berni57. All’Accademia della

Crusca riscuotevano grande successo le “cicalate” e le “burle”58, i componimenti di Antonio Malatesti e Francesco Redi divennero veri e propri modelli di un genere, come appunto quello della poesia burlesca, che Nicola Villani aveva portato all’attenzione dei letterati già qualche anno prima pubblicando un

Ragionamento sopra la poesia giocosa de’Greci, de’Latini e de’Toscani (1634)59. L’esercizio

di uno di questi filoni letterari non scoraggiava l’interesse per l’altro e personaggi

53 Raffinato cultore delle lettere, Carlo Dati fu in gioventù allievo di Galileo Galilei e di Evangelista

Torricelli pur non proseguendo in seguito gli studi scientifici. Iscritto con lo pseudonimo anagrammatico di Currado Bartoletti a quel circolo di intellettuali che di lì a poco si costituì come Accademia degli Apatisti, ne fu prima segretario(1640) poi apatista reggente (1649). Membro anche dell’Accademia fiorentina di cui divenne console e dell’Accademia Platonica, Carlo Dati risulta membro dell’Accademia dei Percossi (alla quale diede grande impulso Salvator Rosa nel suo soggiorno fiorentino) e dal 1640 accademico della Crusca con lo pseudonimo di Smarrito. Dalla formazione, dunque, fino agli incarichi accademici il percorso biografico di Carlo Dati presenta vari punti di contatto con quello di Giovanni Cinelli. Per le notizie biografiche e la bibliografiche sul Dati, vedi la relativa voce a cura di VIGILANTE 1987, pp. 24-28

54 Basti pensare al già citato Torricelli, di cui Cinelli era stato allievo e che fece il suo ingresso

nell’Accademia della Crusca nel 1642; le sue Lezioni accademiche (Lezioni accademiche d’Evangelista

Torricelli mattematico, e filosofo del sereniss. Ferdinando II Gran Duca di Toscana, In Firenze, nella stamp. di S.A.R. per Jacopo Guiducci, e Santi Franchi 1715, pubblicate postume) divennero in seguito un vero e proprio saggio di prosa scientifica. Per un breve esame della vita e dell’opera del Torricelli vedi TOSCANO 2008, in particolare le pp. 96-99. Come riferimento per lo studio delle accademie toscane e fiorentine, vedi COCHRANE 1973.

55 LIMENTANI 1964, pp. 3-36. 56 IMBERT 1906, p. 163.

57 Per una ricostruzione della vita intellettuale fiorentina di questo periodo vedi BENVENUTI

1910, pp. 141-154.

58 BENVENUTI 1910, p. 141.

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21

come Agostino Coltellini (1613-1693)60, fondatore dell’Accademia degli Apatisti61 e importante figura con cui Cinelli venne in contatto, si cimentarono sia negli studi danteschi così come nella poesia burlesca, facendosi allo stesso tempo apprezzare anche in delicati componimenti di tema religioso62.

Altro genere particolarmente amato nella Firenze di questo periodo era quello della satira63: in una città in cui l’attività di alcune accademie andava sempre più

legandosi agli spettacoli teatrali (come nei casi dell’Accademia degli Immobili e di quella degli Infocati64), la satira dovette apparire come il genere che meglio di ogni

altro consentiva di cimentarsi sia nella letteratura che nel teatro. Fondamentale in questo senso era stata l’esperienza dell’Accademia dei Percossi costituitasi su impulso del pittore Salvator Rosa il quale durante il suo soggiorno fiorentino aveva iniziato a riunire nella sua casa della Croce al Trebbio appassionati di satire e poesia giocosa (il poeta Antonio Malatesti e il pittore Lorenzo Lippi) con l’appoggio di Giovan Carlo de’Medici, davanti al quale i Percossi, ebbero il privilegio di recitare nel Casino di San Marco65.

Se la diffusione di accademie teatrali trova nella Firenze di questo secolo un terreno fertile grazie al favore mediceo, lo stesso importante mecenatismo creò i presupposti per lo sviluppo e la diffusione delle teorie galileiane, tenute in vita dopo la morte di Galileo dai discepoli a lui più vicini: la scienza divenne oggetto di interesse diffuso, con letterati che si dedicarono appassionatamente agli esperimenti scientifici (Carlo Dati) e scienziati appassionati di letteratura (Evangelista Torricelli).

Se già in seno all’antica Accademia degli Alterati (1568-1634) si discuteva di letteratura ma anche di argomenti scientifici, dopo la rivoluzionaria e allo stesso tempo brevissima esperienza dell’Accademia del Cimento (1657-1667)66 figure di formazione scientifica compaiono praticamente in tutte le accademie fiorentine,

60 Vedi la biografia in CAPUCCI 1982.

61 Sulla storia e le vicende dell’Accademia degli Apatisti si rimanda a BENVENUTI 1910,

MAYLENDER 1926, I, pp. 219-226 e LAZZERI 1983.

62 BENVENUTI 1910, pp. 147-148.

63 Sulle caratteristiche della satira seicentesca vedi CIAN 1939; LIMENTANI 1961.

64 Gli Immobili ottennero grazie al cardinale Giovan Carlo de’Medici un teatro in via della Pergola,

gli Infocati quello in via del Cocomero, cfr. IMBERT 1906, pp.165-166.

65 IMBERT 1906, p.167.

66 Pur considerando ancora attuale lo studio del Middleton sull’Accademia del Cimento

(MIDDLETON 1971), si segnalano tuttavia tra i contributi recenti: ACCADEMIA DEL

(25)

22

dall’Accademia della Crusca a quella dei Percossi e infine a quella degli Apatisti, talvolta anche simultaneamente: è il caso di Evangelista Torricelli, di Francesco Redi e di Vincenzo Viviani, accademici della Crusca e apatisti (il Torricelli anche

percosso); di Lorenzo Magalotti (1637-1712), il quale nonostante gli studi giuridici (mai portati a termine) frequentò a Pisa le lezioni dei discepoli di Galileo e divenne segretario dell’Accademia del Cimento67, accademico della Crusca e

apatista.

Nel XVII secolo due furono dunque le novità di rilievo nel panorama accademico fiorentino: l’Accademia del Cimento e quella degli Apatisti68; questi ultimi accolsero tra le proprie file molti esponenti della prima nel momento in cui essa si spense e diedero loro la possibilità di continuare a coltivare proficui contatti con personalità di spicco in campo letterario e scientifico a livello internazionale69. Quando gli studiosi oltramontani chiedevano al principe Leopoldo di conoscere lo stato degli studi in Toscana, questi interpellava il Magliabechi che così rispondeva:

“L’Accademie che qua sono se non erro si ristringono a tre, cioè, la grande, quella della Crusca, e quella degli Apatisti, che si raguna in casa il Sig. Avvocato Agostino Coltellini”70

Non è chiaro se fosse stato il Magliabechi a introdurre Cinelli tra le file degli Apatisti o se, anche in questo caso, fosse stato Ricciardi a raccomandarlo: il celebre letterato risultava essere infatti tra i primi ‘soci’ dell’Accademia degli Apatisti, come attesta un “Gio Battista Ricciardi Pisano” registrato nell’elenco degli accademici tra il 1637 e il 163871 e nel 163972. In ogni caso, qualche decennio

dopo, fece il suo ingresso nella stessa Accademia anche il giovane Cinelli al quale

67Al Magalotti si deve la pubblicazione dei celebri Saggi di naturali esperienze che riassumono le

esperienze scientifiche di questa accademia (Saggi di naturali esperienze fatte nell'Accademia del Cimento

sotto la protezione del serenissimo principe Leopoldo di Toscana e descritte dal segretario di essa Accademia, In Firenze, per Giuseppe Cocchini all'Insegna della Stella, 1666). Per un profilo biografico si rimanda a PRETI-MATT 2007.

68 PREZZINER 1810, p. 80.

69 L’aggiornamento in ambito scientifico era di fatto fondamentale e considerando che questo

poteva avvenire solo attraverso lo scambio di libri e informazioni si capisce quanto si cercasse di favorire l’incontro tra scienziati italiani e stranieri. Dall’esame della corrispondenza di un celebre discepolo di Galileo, Vincenzo Viviani, è stato notato che “It is astonishing how much of all this deals with books (...). The appetite for books seems to have had no limits, and it appears that in Tuscany the only way to acquire foreign books was to have someone buy them abroad” (MIDDLETON 1971, p. 297).

70 BNCF, Fondo Nazionale II.IV 539, c. 97r-v, pubblicata in MIRTO 2012, p.44 e nota 184. 71 BMF, Ms. A 36, c. 52v.

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23

si prospettò dunque l’opportunità di prendere contatti con figure a lui affini per formazione, interessi e ambizioni.

Stando agli spogli manoscritti redatti da Anton Francesco Gori (1691-1757)73 su

quanto rimaneva della documentazione prodotta dall’Accademia degli Apatisti in vista della pubblicazione di una storia di quella prestigiosa istituzione, tra gli iscritti dell’anno 1666 compare anche un “dr. Giovanni del Dom. Cinelli”74. L’arrivo del

Cinelli coincise con un momento in cui l’Accademia degli Apatisti era ormai diventata una realtà riconosciuta, stimata e frequentata tanto dai letterati quanto dagli scienziati, se si considera che figure del calibro di Vincenzo Viviani, Francesco Redi e Paolo Minucci ne facevano parte da quasi trent’anni. Nello stesso anno che vide l’ammissione del Cinelli si contano tra i nuovi iscritti anche Lorenzo Magalotti (1637-1712) e l’incisore Stefano della Bella (1610-1664). Dell’Accademia degli Apatisti (ossia degli “spassionati”, “liberi da passioni”)75 si

conosce in realtà molto poco a causa della distruzione e della dispersione di parte della documentazione da essa prodotta76. I nomi citati negli spogli del Gori testimoniano di un gruppo di affiliati alquanto composito (oltre ai letterati si contano scienziati, artisti, ecclesiastici) che testimonia della straordinaria funzione aggregativa di questa istituzione la quale, sin dal 1637, aveva aperto le proprie porte anche agli studiosi stranieri77.

73 Anton Francesco Gori, futuro fondatore della Società Colombaria (cfr. VANNINI 2001,

pp.25-28), studiò quanto rimaneva dei documenti e dei registri originali dell’Accademia trascrivendone stralci particolarmente significativi, tra cui l’elenco dei partecipanti dalla fondazione fino al 1686. Il manoscritto che contiene questi spogli si trova nella Biblioteca Marucelliana (Ms. A 36) e una parziale trascrizione è stata pubblicata da LAZZERI 1983, pp. 57-121

74 BMF, Ms. A. 36, c. 62r; vedi anche LAZZERI, 1983, p. 89.

75 Fondata da Agostino Coltellini, aveva sede nella sua residenza in via dell’Oriuolo, nella casa

cosiddetta degli Sporti. Per tre anni ebbe forma di conversazione virtuosa, dopo di chè venne organizzandosi prima in Comunità, poi in Università, infine in Accademia. Nel 1670 l’Accademia si trasferì nella nuova residenza del Coltellini in via de’Pescioni. Con la morte del Coltellini la sua attività subì un periodo di stallo, ma riprese in seguito initerrottamente fino al 1783 quando essa, insieme alla Crusca, venne aggregata all’Accademia Fiorentina (motuproprio del 7 luglio 1783). Il Coltellini, nell’Orazione in morte di Zanobi Girolami, scrive che vi si discuteva di Filologia, Filosofia, Medicina, Giurisprudenza e Teologia (vedi MAYLENDER 1926, I, p. 219).

76 Unici riferimenti bibliografici validi per la storia dell’accademia rimangono gli studi di Edoardo

Benvenuti (1910) e di Alessandro Lazzeri (1983) che si basano, oltre che sui citati spogli del Gori, anche su informazioni derivate da un prezioso codice riccardiano contenente i regolamenti e i compiti delle varie cariche (BRF, Cod. 1949).

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Scopo dell’Accademia era quello di “formare una gioventù adatta a ricoprire cariche nell’amministrazione”78 e forse anche per questo motivo il suo fondatore

Agostino Coltellini vi incluse sin dall’inizio, oltre ai giovani, anche esponenti delle famiglie aristocratiche fiorentine bramosi di mantenere cariche pubbliche e contatti con le corti. Questo incontro tra giovani e potenziali ‘mecenati’ dovette solleticare anche l’ambizione del Cinelli, tuttavia il suo apporto all’interno dell’Accademia non è valutabile in mancanza di qualsiasi documento che ne citi l’operato, seppure non sarebbe fuori luogo pensare che la sua adesione agli Apatisti fosse dettata soprattutto dall’esigenza di creare contatti, stringere legami più che dare sfoggio di un’erudizione che di fatto egli non ebbe mai, farsi accettare ed essere presente nei più importanti circoli intellettuali, piuttosto che esporsi nelle dispute accademiche.

L’ingresso tra gli Apatisti dovette dunque servire al Cinelli per studiare e osservare gusti, aspettative, dibattiti, invidie, desideri e progetti di quella ‘repubblica delle lettere’ fiorentina della seconda metà del secolo alla quale scelse di rivolgersi, almeno in un primo tempo non come un erudito (non aveva in quel momento esperienza e pubblicazioni sufficienti per farlo) ma nelle vesti di un esperto ‘libraio’, come avremo modo di chiarire nel capitolo seguente.

L’impegno editoriale

I libri, dunque, accompagnarono Giovanni Cinelli per buona parte della vita: udì le Satire di Salvator Rosa prima ancora della loro pubblicazione, ebbe il raro privilegio di divenire uno dei corrispondenti del bibliofilo Angelico Aprosio e di accedere alla biblioteca granducale tramite il Magliabechi. Fu la passione per libri rari e manoscritti inediti che gli permise di costruirsi una conoscenza bibliografica vasta ed estremamente varia, non comune per un uomo di tutt’altra formazione, paragonabile (se non in certi casi superiore) a quella dei più celebri bibliofili del suo tempo. Ben consapevole di ciò, Cinelli scelse di dedicarsi alla sua carriera di letterato, mettendo questo bagaglio di conoscenze a disposizione dell’editoria. Le vicende biografiche del Cinelli durante il periodo fiorentino risultano indissolubilmente intrecciate con la realtà editoriale cittadina della seconda metà

78LAZZERI 1983, p. 7. Le intenzioni del fondatore Agostino Coltellini si trovano in BRF, Cod.

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