• Non ci sono risultati.

Il digital divide di genere: le donne e internet

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il digital divide di genere: le donne e internet"

Copied!
160
0
0

Testo completo

(1)

INTRODUZIONE

Ci troviamo nell’era della società “informazionale”(Castells) nella quale la tecnologia è diventata fulcro di ogni attività. Telefonini iper-tecnologici, palmari, mini computer sempre più all’avanguardia ci permettono di collegarci al resto del mondo senza più limiti di tempo o di spazio. La rete ci circonda e detta le sue leggi lasciando indietro chi non riesce a mettersi al passo col suo continuo variare. Anche la più complessa delle attività di ricerca delle informazioni è possibile al battito di un clic del mouse che diventa il nostro dito virtuale sul mondo.

Si è passati al commercio on line, all’intrattenimento in community, forum, chat e social network il panorama sociale è in piena trasformazione ed è sicuramente in continuo mutamento.

Così c’è chi afferma che il cosiddetto cyberspazio renda le disuguaglianze sociali ancora più forti e che crei una platea di nuovi “Esclusi” che vittima di diverse variabili socio demografiche non possono o non riescono ad utilizzare la tecnologia. Tali variabili possono essere l’istruzione, il ceto sociale, l’età, il genere, la provenienza geografica, la razza e spesso la combinazione di più di una di queste, porta alla vera e propria alienazione dalla tecnologia. Ampio spazio è stato dedicato all’analisi dei dati e agli studi riguardanti le nuove tecnologie e gli esperti del settore affermano che tali lacune nell’utilizzo della tecnologia, spesso definito come il "digital divide", rende più difficile a diversi gruppi la partecipazione alla società moderna e all'economia globale. Un termine che come spiegherò in seguito all’interno del mio lavoro ha avuto diverse connotazioni a seconda di chi lo usasse. Oggi ha assunto un significato più ampio e sfaccettato aumentando le variabili che ne stanno alla base. Le componenti del Digital Divide non sono più soltanto riconducibili alla diffusione della tecnologia o all’uso che se ne fa ma divengono importanti anche le motivazione per le quali internet viene utilizzato e le competenze digitali.

Proprio dall’analisi di queste 4 dimensioni che si intrecciano ai dati socio demografici è possibile capire e mettere in rilievo chi è vittima del digital divide. Tra questi elementi molto interessante è il tema del digital divide di genere che affronta il gap esistente tra uomini e donne riguardante l’uso, la competenza e l’accesso alla rete. Proprio sulla figura femminile sono incentrate le maggiori preoccupazioni di e-esclusion sia in Italia

(2)

che all’estero . Il lavoro si dividerà in tre sezioni: nella prima parte si incentrerà in termini esaustivi il fenomeno del digital divide, che, nato sulla base di una rilevazione prevalentemente sociale ed economica delle conseguenze sull’uso delle nuove tecnologie nei contesti dei paesi in via di sviluppo, si allarga oggi ad una lettura problematica ed interdisciplinare effettuata secondo differenti matrici interpretative (diverse abilità, collocazione di genere, condizione anagrafica, confessionalità politiche e/o religiose…);nella seconda parte si entrerà nel vivo del fenomeno del digital divide di genere focalizzando l’attenzione sulle donne e internet, infatti la contrapposizione tra chi accede e chi no, tra chi matura un naturale accostamento alle NTI e chi invece lo subisce in maniera quasi coercitiva, si trasmette anche nella contrapposizione tra uomini e donne, le quali hanno registrato un ritardo nell’inserimento nella New Information Society rispetto ai primi, che al contrario hanno da sempre vantato una naturale propensione all’utilizzo della tecnologia, la quale sembra essere nata solo ed esclusivamente come prerogativa maschile, anche se il dato non sembra evidenziare una situazione particolarmente svantaggiata, occorre comunque portare avanti una riflessione (che diventa sempre più necessaria se consideriamo situazioni nello scenario internazionale) sugli aspetti culturali che condizionano generalmente le donne nel rispondere in modo più lento e difficoltoso rispetto agli uomini all'avanzare del progresso tecnologico.

L’analisi della letteratura scientifica convenzionale in argomento e della sitografia più recente saranno corredate dai dati statistici ISTAT aggiornati che aiuteranno a fotografare la situazione odierna.

In conclusione si parlerà di policy di genere atte a variare questa tendenza e improntate sull’alfabetizzazione informatica proprio per le donne, organizzati da enti statali e privati. Il divario digitale infatti può essere visto su due fronti: da una parte la disuguaglianza nella distribuzione delle nuove tecnologie è causa di una frattura profonda, dall’altra si prospetta come possibilità di sviluppo e progresso. Lo scenario che prevarrà dipende dalle decisioni delle istituzioni, delle organizzazioni internazionali, dai progetti promossi sia a livello locale che nazionale, e soprattutto dalla collaborazione di tutti, che è indispensabile per evitare che il divario diventi incolmabile. È necessario che la politica si occupi di queste problematiche proprio per trovare il modo di massimizzarne i benefici e di minimizzarne gli svantaggi: non solo i Paesi sviluppati possono trarre giovamento dal corretto uso e dominio delle ICT trasformando i loro sistemi economici e le loro amministrazioni, ma anche i Paesi in via di Sviluppo.

(3)

CAPITOLO 1

-IL DIGITAL DIVIDE

1.1 La definizione di Digital Divide

“Con l’espressione "digital divide" si intende la disparità tra coloro che hanno accesso alle nuove tecnologie, e coloro che non ne hanno” (US Department Of Commerce, 1999). Il digital divide (divario digitale) esprime quindi una discriminazione o comunque ogni forma di disuguaglianza, barriera, limitazione esistente nell'accesso alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Indicando un netto divario tra coloro che hanno piena possibilità di accedere e sfruttare a proprio vantaggio le tecnologie digitali e coloro che non hanno la medesima opportunità, il concetto sembra quasi dividere la stessa società in due gruppi distinti e separati.

Ecco che quindi, si viene a creare una sostanziale disparità all’interno della stessa società, le cui cause sono state oggetto di studio da parte di ricercatori, politici e organizzazioni a livello internazionale; tale disparità è stata da loro associata a vari fattori quali il reddito, la razza, l’età, il sesso, l’appartenenza ad una comunità o ad una nazione. Tale divario può e deve essere imputato a motivi diversi, come il reddito insufficiente, la mancanza di competenze individuali, la presenza di fattori di fondamentalismo confessionale o di modelli politico-istituzionali non democratici, l’assenza di infrastrutture (come ad esempio nel caso delle società ad economia non-occidentale). Il problema del digital divide, inoltre, non interessa soltanto le società delle nazioni del sud del mondo, ma è strutturalmente presente anche all’interno degli stati ad economia dominante (le cosiddette nazioni sviluppate). Inevitabilmente in ogni caso, la sua fenomenologia e le sue conseguenze sono molto più pesanti nelle realtà dei paesi ad economia povera: le limitazioni nell’accedere alle nuove tecnologie precludono infatti molte delle loro effettive possibilità di sviluppo economico.

(4)

Le società contemporanee, profondamente mutate, le cui evoluzioni sociali ed economiche hanno contribuito all’entrata nell’era della globalizzazione, nell’era di un nuovo e diffuso benessere nonché alla nascita di quelle che vengono definite “società dell’informazione, della conoscenza o network society” (Bentivegna, 2009), pretendono e necessitano di cittadini che siano in grado di conseguire e sviluppare informazioni: quest’ultimo sembra diventato un prerequisito fondamentale per il cittadino che voglia sopravvivere nella nuova comunità informatizzata; chi non fa parte delle strutture comunicative e informative, come afferma Lash, si trova infatti “escluso dalla cittadinanza politica e culturale” (Lash 1999).

Del resto, basta sottolineare come nel mondo odierno, le possibilità messe a disposizione dagli individui che hanno un regolare accesso al mondo informatizzato di internet, siano molteplici, e vanno dall’informazione generale, al lavoro, alla socializzazione in senso stretto; ma, la possibilità di avere accesso a tutte queste potenzialità, varia dalla disponibilità di risorse, distribuite in modo omogeneo tra la popolazione. Anche se inizialmente il termine venne usato in riferimento alla disparità riguardante un solo aspetto, ovvero il possedere o meno un PC, l’NTIA (1) ha

pubblicato diversi studi, nei quali ha tentato di misurare la disuguaglianza tecnologica in rapporto non solo al possesso o meno di un PC, ma differenziando gli utenti per razza, reddito, provenienza urbana o rurale.

In un rapporto del 1995, la stessa agenzia evidenziava ancora cinque livelli di disparità:

1) Soggetti on line e i cosiddetti soggetti “non users”;

2) Soggetti che traggono benefici nell’uso della rete e soggetti che non ne traggono alcun vantaggio;

3) Soggetti che possono usufruire dei servizi a pagamento e coloro che si accontentano dei “free service”;

4) Soggetti che svolgono e-commerce e soggetti che non effettuano nessuna transazione via internet;

5) Soggetti provvisti della banda larga e soggetti che ancora non la possiedono (NTIA, 1995.).

Nei confronti di questa definizione originaria, si mossero però, su vari livelli, delle critiche. In primo luogo si cominciò a considerare che i vari soggetti usano le tecnologie in modo diverso e soprattutto in luoghi e contesti diversi; ed è quanto Warschauer

(5)

afferma in un suo articolo del 2001:

“Una stratificazione sociale che indica il divario non è affatto una divisione binaria ma, piuttosto, un continuum basato su differenti gradi di accesso alle tecnologie dell’informazione”(Warschauer, 2001, p.1).

Inoltre, è sempre lo stesso Warschauer a sottolineare come l’accesso alle ICT sia bidirezionale, nel senso che più elevati sono i processi di sviluppo degli utenti, maggiore sarà l’accesso alle ICT e, viceversa, un maggiore accesso alle ICT migliorerà i processi di sviluppo. Così, la distinzione binaria tra chi aveva e chi non aveva accesso alle ICT cominciava a vacillare e si rinforzava la certezza che per utilizzare efficacemente le nuove tecnologie servivano pure le competenze, le conoscenze e il sostegno sociale; l’attenzione per il solo accesso fisico alla tecnologia è stata considerata troppo limitante, poiché esistono molti altri fattori, come il linguaggio e la capacità di alfabetizzazione, le competenze, l’idoneità dei contenuti on-line e la disponibilità di insegnamento o di sostegno sociale che rinforzano o limitano l’utilizzo delle ICT in modo significativo (Warschauer, 2003, Bentivegna 2009, Gunkel 2003).

Si giunge così ad attestare che il digital divide è un “problema” generato da una molteplicità di fattori, i quali devono essere attentamente analizzati e presi in considerazione, al fine di superare le disuguaglianze relative alla tecnologia; ed è quanto affermano diversi studiosi, tra i quali anche Di Maggio e Hargittai (2001).

Il digital divide, inoltre, produce disuguaglianze non solo sul piano economico, ma anche su quello dell’informazione. Il che ostacola la partecipazione politica e il potenziamento del confronto con gli altri anche sull’evoluzione dei modelli di comportamento individuali e sociali.

Oggi il significato di digital divide continua ad essere utilizzabile facendo riferimento alle disuguaglianze interne ai singoli contesti sociali, ma ci si riferisce più comunemente alla dimensione del problema su scala mondiale.

Di particolare interesse per la definizione del digital divide e delle sue conseguenze appare essere l’analisi che di tale problema fa Wikipedia nella sua versione inglese, di cui si fornisce, anche la traduzione in lingua italiana:

“The digital divide is the so called but in reality non-existant gap between those with regular, effective access to digital technologies and those without. In other words, those who are able to use technology to their own benefit and those who are not.”

(6)

Il digital divide è il cosiddetto ma in realtà solo virtuale divario tra coloro che dispongono di un accesso regolare ed effettivo alle tecnologie digitali e coloro che non possono farlo. In altre parole, tra coloro che sono in grado di usare la tecnologia a loro vantaggio e coloro che non lo sono.

“The digital divide is a clear single gap that divides a society into two groups. Researchers report that disadvantages can take such forms as lower-performance computers, lower-quality or highpriced connections (i.e. narrowband or dialup connections), difficulty in obtaining of the Internet and technological advances in developing economies. Many people can get low cost access in local Internet Cafes, but the evidence still suggest that people are much more likely to make regular use of an Internet connection at home than anywhere else.

Today the discussion is moving from the technologies themselves to skills and literacy. Training people in computer skills entails teaching them to read and write first and then how to search and use information effectively but regular practice and the access to practice will still be a limiting factor.“

Il digital divide è un netto e specifico divario che divide la società in due gruppi. Le ricerche riferiscono che gli svantaggi possono assumere diverse forme, come computers a più bassa performance, connessioni di qualità inferiore o a prezzi più alti (per esempio, connessioni a banda stretta o dialup) difficoltà nell’uso di internet e delle novità tecnologiche nelle economie in via di sviluppo.

Molta gente può ottenere accesso a basso costo nei locali Internet Caffè, ma l’evidenza suggerisce ancora che è più probabile che la gente faccia uso regolare di una connessione internet a casa piuttosto che in qualsiasi altro luogo.

Oggi la discussione si sta spostando dalle tecnologie stesse alle abilità e alla alfabetizzazione. Allenare la gente alle abilità informatiche comporta insegnare prima a leggere e a scrivere e poi come cercare e usare completamente le informazioni, ma la pratica regolare e l’accesso alla pratica resteranno ancora un fattore limitante.

“Another key dimension of the digital divide is the global digital divide, reflecting existing economic divisions in the world. This global digital divide widens the gap in economic divisions around the world. Countries with a wide availability of internet access can advance the economics of that country on a local and global scale.

In today's society, jobs and education are directly related to the internet. In countries where the internet and other technologies are not accessible, education is suffering, and uneducated people cannot compete in our global economy. This leads to poor

(7)

countries suffering greater economic downfall and richer countries advancing their education and economy. The digital divide is a term used to refer to the gap between people who have access to the internet (The information haves) and those that do not (The information have nots). It can also refer to the skills people have – the divide between people who are at ease using technology to access and analyse information and those who are not”.

Un’altra dimensione chiave del digital divide è il digital divide globale che riflette le divisioni economiche esistenti nel mondo. Il digital divide globale allarga il divario nelle divisioni economiche nel mondo. Nazioni con un’ampia disponibilità di accesso a internet possono far progredire l’economia di quel paese su scala locale e globale. Nella società attuale, il lavoro e l’istruzione sono direttamente correlati a internet. Nei paesi in cui internet e le altre tecnologie non sono accessibili, l’istruzione soffre e la popolazione analfabeta non può competere nella nostra economia globale. Questo porta a nazioni povere che soffrono di una più grande decadenza economica e nazioni più ricche che vedono progredire l’istruzione e l’economia.

Il digital divide è un termine usato per riferirsi al divario tra la popolazione che ha accesso a internet (gli aventi informazione) e la popolazione che non ha questo accesso (i non aventi informazione).

Può anche riferirsi alle abilità in possesso della gente: il divario tra chi è a proprio agio nell’uso delle tecnologie per accedere e analizzare le informazioni e chi non lo è.

“Other issues include the following: - gender issues;

- disability issues; - role of language;

- cultural inequality regarding the content available on the World Wide Web; - the role of educators in reducing the digital divide in the classroom.

The United Nations is aiming to raise awareness of the divide by way of the World Information Society Day which takes place yearly on May 17.”

Altri problemi includono i seguenti: - problemi di genere;

- problemi di disabilità; - ruolo del linguaggio;

- sperequazione culturale concernente il contenuto disponibile in rete; - il ruolo degli educatori nel ridurre il digital divide in classe;

(8)

Le Nazioni Unite stanno mirando ad aumentare la consapevolezza del divide tramite la Giornata mondiale della società di informazione che ha luogo ogni anno il 17 maggio. “There are a variety of arguments about why closing the digital divide is important. The major arguments are as follows:

1. Economic equality: Some think that access to the Internet is a basic component of civil life that some developed countries aim to guarantee for their citizens. Telephone service is often considered important for the reasons of security.

Health, criminal, and other types of emergencies may indeed be handled better if the person in trouble has access to a telephone. Also important seems to be the fact that much vital information for education career, civic life, safety, etc. is increasingly provided via the Internet, especially on the web. Even social welfare services are sometimes administered and offered electronically.

2. Social mobility: If computers and computer networks play an increasingly important role in continued learning and career advancement, then education should integrate technology in a meaningful way to better prepare students. Without such offerings, the existing digital divide disfavors children of lower socio-economic status, particularly in light of research showing that schools serving these students in the USA usually utilize technology for remediation and skills drilling due to poor performance on standardized tests rather than for more imaginative and educationally demanding applications.

3. Social equality: As education integrate technology, Societies such as in the developing world should also integrate technology to improve the girl-child life.

This will reduce the gender inequalities. Access to information through internet and other communication tools will improve her life chances and enable her to compete globally with her Contemporaries even in the comfort of her rural settings.

4. Democracy: Use of the Internet has implications for democracy. This varies from simple abilities to search and access government information to more ambitious visions of increased public participation in elections and decision making processes. Direct participation (Athenian democracy) is sometimes referred to in this context as a model.” C’è una grande varietà di ragioni sul perché è importante azzerare il digital divide. Le ragioni principali sono le seguenti:

1. Uguaglianza economica. Alcuni pensano che l’accesso a internet sia una componente fondamentale della vita civile che alcuni paesi sviluppati puntano a garantire ai cittadini. Il servizio telefonico è spesso considerato importante per ragioni di sicurezza. La salute, la criminalità e altri tipi di emergenze possono in realtà essere

(9)

affrontate meglio se la persona che si trova nel bisogno ha accesso ad un telefono. Sembra che sia importante anche il fatto che molte informazioni vitali per l’istruzione, la carriera, la vita amministrativa, la sicurezza ecc. sono sempre più fornite via internet, in particolare in rete. Anche i servizi sociali sono talvolta dispensati e offerti elettronicamente.

2. Mobilità sociale. Se i computer e le reti di computer giocano un ruolo sempre più importante nell’educazione permanente e nell’avanzamento di carriera, allora l’istruzione dovrebbe integrare la tecnologia in un modo significativo per preparare meglio gli studenti. Senza tali offerte, il digital divide esistente svantaggia i bambini delle classi socio-economiche inferiori, particolarmente alla luce di ricerche che mostrano che le scuole che in America hanno come utenti questi studenti che utilizzano di solito la tecnologia per le esercitazioni di recupero e di abilità a causa di prestazioni scadenti o test standardizzati piuttosto che per impieghi più creativi e pregnanti sul piano educativo.

3. Uguaglianza sociale. Siccome l’istruzione comprende la tecnologia, le società nel mondo in via di sviluppo dovrebbero anche incorporare la tecnologia per migliorare la vita delle bambine. Questo ridurrebbe le disuguaglianze di genere. L’accesso all’informazione attraverso internet e altri strumenti di comunicazione migliorerà le loro opportunità di vita e le renderà in grado di competere globalmente con i loro coetanei anche nel comfort dei loro ambienti rurali.

4. Democrazia. L’uso di internet comporta implicazioni connesse con la democrazia. Questo va da semplici abilità nel trovare e nell’accedere a informazioni pubbliche a visioni più ambiziose di partecipazione di un sempre maggior numero di persone alle elezioni e ai processi di presa delle decisioni. In questo contesto ci si riferisce talvolta alla partecipazione diretta (democrazia ateniese) come ad un modello.

“The development of information infrastructure and active use of it is inextricably linked to economic growth. Information technologies in general tend to be associated with productivity improvements even though this can be debatable in some circumstances. The exploitation of the latest technologies is widely believed to be a source of competitive advantage and the technology industries themselves provide economic benefits to the usually highly educated populations that support them.

The broad goal of developing the information economy involves some form of policies addressing the digital divide in many countries with an increasingly greater portion of the domestic labor force working in information industries”.

(10)

Lo sviluppo di infrastrutture informatiche e di un uso attivo di queste è indissolubilmente collegato alla crescita economica. Le tecnologie informatiche tendono in generale ad essere associate a miglioramenti nella produttività anche se ciò può essere contestabile in alcune circostanze.

E’ opinione ampiamente diffusa che lo sfruttamento delle più recenti tecnologie sia fonte di profitto concorrenziale e le industrie tecnologiche stesse forniscono benefici economici alle popolazioni con grado di istruzione di solito elevato che le appoggiano. Il fine generale di sviluppare l’economia informatica comporta qualche forma di politica che si rivolge al digital divide in molti paesi con una porzione sempre maggiore della forza lavoro domestica impiegata in industrie informatiche.

“The theoretical concepts of e-democracy are still in early development but in practice 'blogs (web logs), Wikis and mailing lists are having significant effects in broadening the way democracy operates. There is no consensus among scholars, about the possible outcomes of this revolution in the realm of state operations. One of the main problems associated with the digital divide and liberal democracy, is linked to the capacity to participate in egovernment. At the extreme, exclusively ICT based democratic participation (deliberation forums, e-voting etc) would mean that no access meant no vote. There is therefore a risk that some social groups will be under-represented or others over-under-represented in the policy formation processes and this would be incompatible with the equality principles of democracy.”

I concetti teorici di e-democrazia sono ancora in fase di sviluppo embrionale ma in pratica blogs, wikis e mailing lists hanno effetti significativi nell’ampliamento del modo in cui opera la democrazia. Non c’è unanimità tra gli studiosi, circa i possibili risultati di questa rivoluzione nel regno della gestione dello stato. Uno dei problemi principali associato al digital divide e alla democrazia liberale è collegato alla capacità di partecipare al e-governo.

Paradossalmente, la partecipazione democratica esclusivamente basata su ICT (forum deliberativi, voto elettronico, ecc...) significherebbe che il non accesso equivale al non voto. C’è perciò il rischio che alcuni gruppi sociali siano sottorappresentati o altri sovrarappresentati nei processi di costruzione della politica e questo sarebbe incompatibile con i principi di uguaglianza della democrazia.

Risulta quindi complesso definire in modo appropriato il digital divide; in prima approssimazione abbiamo detto che esso rappresenta la frattura tra il mondo che utilizza come strumenti le nuove tecnologie e quello che non ne ha accesso.

(11)

Esso quindi non sussiste solo tra nazioni e aree del mondo ma anche, all’interno dello stesso mondo occidentale e tecnologicamente sviluppato, tra persone che hanno e non hanno strumenti per accedere alle tecnologie o alle conoscenze per utilizzarle in maniera critica (knowledge divide).

1.2 L’evoluzione di un concetto

Il termine digital divide, introdotto negli anni novanta in America sporadicamente in alcuni rapporti e articoli con diversi significati, è stato assunto a partire dal 1996 da funzionari del governo americano e dalla Casa Bianca per indicare la posizione di svantaggio delle varie categorie di americani non connessi alla rete.

Si comincia a parlare di digital divide per la prima volta nel 1994 (Carbone S., Guandalini M., 2002). quando l’amministrazione Clinton individua nella costruzione di autostrade dell’informazione e nell’obiettivo di assicurare a tutti gli americani la partecipazione ai benefici dell’era digitale il progetto di fondo per una “nuova frontiera americana”.

Ma è nel luglio del 1995 che il termine viene utilizzato formalmente e specificamente per la prima volta, cioè quando la National Telecommunications and Information Administration (NTIA), organo consultivo degli Stati Uniti sulle politiche del settore delle telecomunicazioni, pubblica una relazione, la prima di una serie intitolata “Falling Through the Net”.

Questa, ed una serie di rapporti successivi, mette in luce una molteplicità di differenze che limitano la diffusione e l’accesso alla tecnologia da parte dei cittadini statunitensi. Successivamente, si sono moltiplicati studi, convegni, siti sull’argomento e contemporaneamente si è focalizzata l’attenzione sulla frattura digitale esistente tra i paesi industrializzati e i paesi in via di sviluppo.

In occasione del World Economic Forum (WEF) tenutosi a Davos nel 2000, si è affrontato per la prima volta il tema del digital divide sul piano internazionale. Dalla sua apparizione al WEF, il divario digitale ha cominciato a essere considerato come tema/problema su cui è opportuno intervenire con progetti specifici di natura dichiaratamente “rivoluzionaria”.

(12)

Nei dibattiti sull’argomento, infatti, ciò che è emerso maggiormente è il concetto di rivoluzione, anche se in un’accezione politicamente moderata: il termine infatti afferma l’urgenza di affrontare con radicalità il problema delle disuguaglianze e dell’esclusione. Una rivoluzione accolta favorevolmente, tanto che “annullare il digital divide” è diventata la parola d’ordine di molti governi e istituzioni internazionali.

Nel corso del 2001 il dibattito viene ufficializzato dalla Digital Opportunity Task Force, istituita dal vertice di Okinawa per perseguire gli obiettivi della Carta di Okinawa sulla Società dell’Informazione Globale. Tale carta ha avuto il compito di raccogliere i punti di vista di otto stati industrializzati e di nove paesi in via di sviluppo, rappresentativi di tutti gli altri. Con la carta di Okinawa i leaders del G8 riconoscono che le ICT (Information and Communication Tecnologies) costituiscono uno dei più potenti fattori che caratterizzano il XXI secolo: il loro impatto incide sulla vita, sull’apprendimento, sul lavoro della gente e sui modi in cui i governi interagiscono con la società civile.

In questo dibattito, due sono le scuole di pensiero sul digital divide: riconducibili alle posizioni da un lato degli utopisti e dall’altro degli scettici.

I primi non cessano di cantare le magnifiche doti della società dell’informazione, che renderà gli individui più uguali tra di loro, annullando le distanze materiali in una democrazia globale della conoscenza.

I secondi ribadiscono invece che colmare il divario digitale non vuole dire colmare gli altri divari. Anzi, comparando il livello di sviluppo delle telecomunicazioni euro-americane con quello dei paesi in via di sviluppo, si configura lo scenario di una vera e propria invasione tecnologica, che inevitabilmente si fa veicolo di contenuti culturali e informativi prodotti esclusivamente per il Nord del mondo.

Inoltre, se, da un lato, l’obiettivo che oggi perseguono Stati ed organizzazioni internazionali è l’accesso a Internet ad un numero sempre crescente di cittadini, dall’altro lato occorre sostenere processi culturali e di alfabetizzazione affinché vengano garantite le capacità di utilizzo delle tecnologie.

A questo proposito si parla di Learning Digital Divide (2) intendendo il divario

nell’apprendimento come ulteriore elemento che tende ad acuire le distanze nell’utilizzo delle nuove tecnologie. L’apprendimento è un processo fondamentale di fronte ad apparecchiature che diventano inutili senza il possesso delle competenze necessarie per poterle sfruttare adeguatamente.

2 AA.VV, Digital Divide Network knowledge to help everyone happens in the digital age. In: http://digitaldividenetwork.org/content/sections

(13)

Partendo dalla constatazione che le disuguaglianze digitali costituiscono un reale ostacolo per un’armoniosa crescita della società contemporanea, negli anni, sono state diverse le misure adottate per colmare il digital divide.

A tale scopo il 23 luglio del 2000 ad Okinawa i paesi membri del G8 formano una Digital Opportunity Task Force, con il compito di diffondere i vantaggi della rivoluzione digitale nel maggior numero possibile di nazioni. Considerando la società dell’informazione, come ciò che consente ad ogni singolo individuo di realizzare le proprie potenzialità ed aspirazioni, essi giungono alla conclusione di come sia necessario porre “le tecnologie dell’informazione al servizio del comune obiettivo di creare uno sviluppo economico sostenibile, di rafforzare il benessere pubblico, di far aumentare la coesione sociale” (3).

In questa prospettiva si rispecchia anche il punto di vista di un altro studioso, DiMaggio, il quale non tarda ad evidenziare l’importanza del ruolo che la politica pubblica deve giocare, al fine di ridurre la disuguaglianza tecnologica (DiMaggio et al., 2004).

Diversa, da questo punto di vista, la linea adottata dai due paesi maggiormente impegnati per lo sviluppo di una società informatizzata, ovvero gli USA e l’Europa. Considerando internet come parte integrante ed indispensabile nella vita di ciascun americano, le Nazioni Unite, sotto l’amministrazione Clinton, lanciano un’interessante iniziativa organizzando programmi di sensibilizzazione, sviluppando reti, assistendo larghi strati di popolazione, sostenendo e ampliando la partecipazione internazionale allo sviluppo delle politiche con la promozione di iniziative locali e internazionali: tutto ciò basandosi sui rapporti offerti dall’US Department of Commerce, noti come NTIA Reports(4), nei quali la disuguaglianza tecnologica viene correlata alla possibilità o

meno di accesso alle infrastrutture e alle apparecchiature (Stewart et al., 2006).

Diversamente, invece, l’Europa ha prestato maggiore attenzione ai problemi relativi alle motivazioni e all’uso, evidenziando come la totale appartenenza e partecipazione alle nuove comunità informatizzate sia necessaria e indispensabile sia a livello sociale che economico.

L’iniziativa non ha avuto, purtroppo, eguale appoggio da parte di tutto il mondo politico. Inoltre, rilavante è il fatto che anche da parte degli studiosi i pareri in merito sono discordanti: non poco diffusa è infatti l’idea che in realtà la situazione denunciata non

3 Il documento è reperibile all’indirizzo: http://www.g8.utoronto.ca/summit/2000okinawa/gis.htm. 4 Riguardanti la diffusione delle tecnologie negli Stati Uniti dal 1995 al 2002.

(14)

esista, e per molti si tratta soltanto di un’invenzione politica (Thierer, 2000, cit. in Gunkel, 2003).

Al di là delle opinioni favorevoli o discordanti, i dati dimostrano come il gap ancora continui e come coloro che usufruiscono in toto della potenzialità di internet si trovano in una posizione di vantaggio rispetto agli altri, che sono discriminati a livello di assunzioni e avanzamento di carriera, esclusi dalla nuova realtà virtuale che comporta anche un’esclusione di tipo sociale.

Un problema questo, che rischia di creare una nuova forma di discriminazione su larga scala, come confermato anche dall’ultimo rapporto OCSE-OECD Information Tecnology Outlook 2009 nel quale si sottolinea come benché la diffusione della rete sia in costante aumento, i paesi già specializzati continuano a trovarsi sempre in vantaggio rispetto a quelli che stanno iniziando a specializzarsi: il cosiddetto effetto San Matteo applicato alle tecnologie digitali, per il quale “a chi più ha più verrà dato e a chi meno ha sarà tolto pure quello che ha” (Bentivegna, 2009, p. 137).

1.3 L’inquadramento storico-politico

Il fenomeno del “digital divide” non può essere affrontato prescindendo dalla considerazione sull’insorgere di contesti sociali sempre più complessi e multiculturali e, all’interno di questi, dalla rilevazione dell'evoluzione costante e inarrestabile delle tecnologie della comunicazione, che sempre più si inseriscono in ambiti socioculturali in cui frammentazione, disintegrazione e rapidità di cambiamento sembrano costituire ostacoli insormontabili.

Le reti telematiche, i nuovi linguaggi dell'elettronica stanno modificando i contesti sociali, economici, culturali, provocando un inevitabile adeguamento e un conseguente smarrimento nei confronti delle nuove forme di comunicazione e di scambio delle conoscenze. Appare subito evidente come il computer e la telematica possano fungere da “ponte” o da “muro”, a seconda delle situazioni in cui si trovano i soggetti, di genere, di età e di cultura, di abilità o di disabilità e, anche, a seconda del censo e del luogo geografico in cui vivono. Nel primo caso, come ponte, la tecnologia offre la possibilità di collegare persone, comunità, gruppi, nazioni, informazioni e merci, con una vocazione democratica ed egualitaria. Nel secondo caso, come muro, l’accesso alle

(15)

tecnologie diventa un altro mattone che si va ad aggiungere alle barriere che dividono gli “have” e gli “have not”, insieme ad altri fattori come l’accesso all’acqua e alle risorse alimentari, ai farmaci, alle cure mediche e all’istruzione, al rispetto delle libertà individuali, dei diritti umani e dell’infanzia, alla possibilità di lavorare, di avere un’abitazione e una famiglia e di vivere in pace. Globalizzazione e ICT (Information and Communications Technology) si impongono quindi alla nostra attenzione come due scenari da indagare, per poter comprendere la complessità degli aspetti legati al digital divide.

La globalizzazione si impone, da un lato, come un processo a “etica zero”, una sorta di mercato selvaggio che, con il pretesto della competitività, sta consentendo a chi ne ha il potere di proseguire e intensificare lo sfruttamento delle risorse umane e dell’ambiente.

La concentrazione del potere nelle mani di pochi, la tendenza all’omologazione culturale, l’affermarsi del pensiero unico, il monopolio dei sistemi di informazione e comunicazione, la diffusione dei “non-luoghi” del mondo virtuale, lo sradicamento culturale e la perdita dell’identità, l’insicurezza del mercato del lavoro, la riduzione degli spazi democratici, del pluralismo e della creatività sono alcuni dei più forti rischi che connotano i processi di globalizzazione.

Dall’altro lato, una lettura meno “demonizzante” della globalizzazione, ci porta a riscontrarne e a sottolinearne aspetti più positivi legati all’apertura di nuovi orizzonti, alla sprovincializzazione e al policentrismo, alla mobilità umana, allo scambio planetario delle informazioni e all’incontro tra culture.

Per quanto riguarda lo sviluppo e la diffusione delle ICT, possiamo davvero parlare di un’autentica rivoluzione tecnologica che ha investito l’intero pianeta: l’accesso ad un’infinita quantità di risorse ed informazioni presenti in Internet, la diminuzione dei costi delle comunicazioni, la diffusione della telefonia mobile e satellitare in contesti sia urbani sia rurali caratterizzano una situazione che accomuna molti abitanti del pianeta e che è definita frequentemente con l’espressione “globalizzazione dei media e delle comunicazioni”(Morelli M.,1999).

La comunicazione elettronica apre una dimensione universale, un nuovo scenario, un nuovo approccio e modo di essere della cultura, ma occorre analizzare, da un punto di vista pedagogico, se tale dimensione va in direzione interculturale, cioè verso una cittadinanza elettronica democratica e pluralista, o va verso una nuova forma di colonizzazione ed omologazione, accelerata dal progresso tecnologico e

(16)

strumentalizzata da un monopolio elettronico basato solo sulla produzione e sul consumo. Bisogna valutare se gli individui che utilizzano gli strumenti telematici hanno il potere di costruire la propria identità, di scegliere secondo i propri interessi e di controllare il medium secondo i propri scopi, oppure se essi sono, anche implicitamente, costretti ad adattarsi a degli standard che risultano troppo distanti dai propri modelli sociali, talvolta in contrasto ed oppressivi.

Diventa sempre più necessario, in contesti sempre più globalizzati, evidenziare le potenzialità degli strumenti della comunicazione digitale nella prospettiva di un futuro in cui le possibilità di comunicare, informarsi e conoscere aumentano continuamente, ma dove, nello stesso tempo, si ha sempre più bisogno di orientamenti educativi per poter interpretare e rendere significativa la complessità della società.

Le modalità di fruizione dell'informazione con i sistemi multimediali interattivi offrono spunti interessanti e di rilevanza pedagogica per condurre ricerche su come servirsi della tecnologia per creare situazioni non omologanti, creative e dialogiche. Tali strumenti sembrano favorire, infatti, lo sviluppo della cultura dell'interattività, permettendo una crescita multi-direzionale dell'informazione e, di conseguenza, una più elevata possibilità di collaborazione e dialogo fra gli individui.

Se il teorico delle comunicazioni Marshall McLuhan affermava che la Terra sarebbe diventata un "villaggio globale" all'interno del quale idee, tecnologie, prodotti e persone si spostano da un luogo all'altro, dove le culture, sempre più dinamiche, entrano in contatto e si influenzano a vicenda, occorre allora che, al tempo stesso, le società moderne valorizzino le identità, le differenze degli individui, dei piccoli gruppi. Tale occasione è potenzialmente fornita dal ciberspazio, luogo virtuale definito dalla rete dei computer di tutto il mondo, in cui il contatto tra gli individui e i gruppi contribuisce all'espansione di una comunicazione e di una cultura eterogenea e diversificata.

La dimensione della società globale pone l’uomo davanti ad un duplice fenomeno: da un lato, il fermento delle innovazioni, dall'altro le conseguenze sconosciute che queste hanno sul suo futuro. E' necessario quindi non opporsi, bensì accompagnare ed orientare l'offerta tecnologica con una domanda formativa sempre più consapevole, con un'educazione all'uso che abbia come fine l'emancipazione e non la dipendenza, l'interazione dialogica e non la passività, per costruire una connessione con gli altri in una dimensione egualitaria, democratica e cooperativa.

(17)

La Rete è in continua espansione e sta cambiando radicalmente i media, l’economia, la vita stessa delle persone. Ma alcuni interrogativi sorgono spontanei: la vita di quali persone e in quali parti del mondo?

Mentre un quinto della popolazione mondiale viaggia verso il ciberspazio, il resto dell’umanità vive nella scarsità dei beni materiali e il loro mondo non può che essere lontano dalle fibre ottiche, dalle reti telematiche, dai telefoni cellulari, dai computer… Si parla dei nuovi paria quando ci si riferisce agli esclusi dalla Rete.

“Sono loro gli appestati del nuovo millennio. Sono gli handicappati di Internet, i paria del mondo virtuale, gli analfabeti del computer. Disconnessi dalla rete delle reti, sono esclusi dal Grande Gioco della Comunicazione. Il che significherà sempre più essere tagliati fuori dal progresso, emarginati dalle innovazioni. In sintesi, emarginati dallo sviluppo” (Burba E., 2000). Queste affermazioni ci portano a riflettere su di un nuovo fenomeno che, insieme ad altre miserie come la fame e le epidemie, affligge il sud del mondo.

L’impossibilità dei Pesi in via di sviluppo di accedere alle nuove tecnologie dell’informazione è infatti ormai una “povertà” riconosciuta a livello internazionale, per la quale si sono coniate anche nuove espressioni.

“Infopoverty” e “Digital Divide” indicano appunto il divario tecnologico tra Nord e Sud del mondo, tra le nazioni che possono fruire del progresso delle telecomunicazioni per lo sviluppo della loro economia e della loro cultura e quelle che ne sono escluse.

Si può considerare una nuova forma di segregazione? Se, nel modello interpretativo socio-educativo della multi-culturalità, segregazione significava negare qualsiasi forma di interazione e di scambio tra le diversità presenti sullo stesso territorio, in questa nuova accezione si ha a che fare con l’impossibilità da parte delle nazioni più povere di accedere a quello che è il mondo del ciberspazio. Non è solo il mondo del vacuo e del virtuale, ma è lo spazio delle possibilità e dell’emancipazione.

Da più parti è stato lanciato un vero e proprio “allarme-Internet”: è sempre più forte il pensiero secondo il quale il mondo rischia di spaccarsi in due, da una parte l’iperclasse, altamente tecnologizzata, dall’altra il proletariato, a-tecnologico o sub-tecnologico.

Secondo molti studiosi, Internet non creerebbe una società più aperta e più equa, al contrario accentuerebbe le disuguaglianze. Si parla in proposito di “Internetcrazia”, di una nuova apartheid non solo fra Nord e Sud del mondo, ma anche all’interno degli stessi paesi industrializzati.

(18)

Lo stesso Bill Gates afferma:

“Io non credo che i poveri nelle zone rurali del Sud del mondo siano un’opportunità in termini di Business. Se vogliamo crederci, benissimo, andiamo avanti, ma siamo seri: il tasso di crescita che un’azienda come Hewlett & Packard può ottenere da persone che hanno un reddito inferiore a un dollaro al giorno non sarà molto significativo. […] Ammetto che nelle nostre analisi di mercato non consideriamo neanche le persone che vivono con meno di tre dollari al giorno. Ci rendiamo conto di cosa vuol dire vivere con meno di un dollaro al giorno? Non c’è elettricità in casa. Qualcuno sta creando un computer che non ha bisogno di elettricità? Mi dispiace, se questo era un test politico non l’ho passato. Credo che a quel livello le persone hanno bisogno di cose ben

diverse della tecnologia” (5).

L’opinione più diffusa è che tutte le tecnologie tendano a sfavorire le persone che non hanno la possibilità di accedervi; la rivoluzione digitale tende quindi ad ampliare le disparità già esistenti nella società.

Il divario tra chi ha e chi non ha è ampio ma, come sostiene Rifkin, sarà ancora più grande quello fra chi è connesso e chi non lo è.

E’ proprio quest’ultima categoria che rimane fuori dal ciberspazio, da questo nuovo spazio sociale, in cui sembra poter accedere all’universo delle possibilità, delle opportunità, del progresso e della soddisfazione personale.

Kofi Annan ha ripetuto in questi anni ad ogni incontro pubblico che la diffusione delle tecnologie della comunicazione nel Sud del mondo è importante quanto la lotta alla fame e alla povertà:

“Oggi la new economy è soprattutto un fenomeno da paesi ricchi. In questi paesi massicce ristrutturazioni, attraverso fusioni, acquisizioni portano a occupare fette sempre più grosse del mercato globale. In questo processo di concentrazione del “potere della conoscenza”, il vantaggio della prima mossa sarà irreversibile o i paesi in via di sviluppo riusciranno ad inserirsi? La risposta a questa domanda è fondamentale non solo per le prospettive di questi paesi, ma per la stessa stabilità dell’economia mondiale del XXI secolo. […] A meno che non si intraprenda un’azione radicale e decisiva, il divario nell’accesso alle informazioni e alla conoscenza diventerà più acuto. Chiaramente questa azione non può essere lasciata solo alle forze di mercato” (6). 5 Digital Dividends Conference, Seattle, 18.10.2000 riportata in “I signori della rete”, I Quaderni speciali di Limes, Supplemento al n. 1/2001.

6 Rapporto al Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, 16.05.2000 riportato in “I signori della rete”, I Quaderni speciali di Limes, Supplemento al n. 1/2001.

(19)

Ciò non significa promuovere quella che potremmo definire un’operazione di e-colonialismo, secondo i principi di una globalizzazione incontrollata, ancora una volta a favore dei paesi più ricchi.

Internet non deve essere una “enclave globale”, riservata ad una cerchia di eletti privilegiati, anche se i fatti parlano chiaro: nel Sud del mondo mancano infrastrutture, non ci sono linee telefoniche adeguate, i sistemi economici sono fragilissimi. In più si consideri che la new economy è in mano a quel 2% di persone che già accede alla Rete, con il rischio di relegare fuori dai circuiti della nuova economia intere popolazioni per generazioni.

Il divario tecnologico, più esattamente il divario informatico e comunicativo, si aggiunge a tutti gli altri “divide”, sociali, economici, culturali dei paesi meno industrializzati. Anche se effettivamente le nuove tecnologie offrono grandi opportunità, dall’insegnamento al governo elettronico, le contraddizioni in cui ci si imbatte sono molteplici. Si può avere un governo elettronico dove non c’è un governo? Si può avere qualcosa di elettronico dove non c’è elettricità? Parlamento Europeo, UNDP (l’agenzia dell’Onu per lo sviluppo), OCCAM (l’osservatorio sulle nuove tecnologie della comunicazione dell’Unesco), politici africani e responsabili di progetti di sviluppo sostengono ormai che la lotta alla fame e alla povertà passa anche e soprattutto attraverso la Rete.

Le nuove tecnologie sono state usate in maniera errata, per incrementare il profitto di potenti società e multinazionali, non quello pubblico. La soluzione per superare il modello segregazionista del digital divide non è quella di portare i computer nei Paesi meno industrializzati, ma di creare le basi per far sì che possano essere assorbite le nuove tecnologie, evitando di indurre dei bisogni ma individuando i bisogni effettivi della popolazione.

Importando tecnologie evolute si crea nuove dipendenza, favorendo talvolta ulteriori profitti ai paesi più ricchi. Occorre promuovere e sostenere quindi un’ottica non di digital invasion, forzando l’introduzione delle nuove tecnologie in modo non adeguato ai bisogni della popolazione, ma di digital inclusion, che significa integrare le popolazioni di qualsiasi paese attraverso le nuove tecnologie, in modo che queste portino effettivi benefici alla maggioranza delle persone, ai popoli che sono emarginati dal sistema economico e politico, ai movimenti degli indigeni, alle donne, a chi non ha voce. Quello che è chiaro è che non siamo tutti uguali davanti al web. Si è parlato di digital divide per indicare le disparità di infrastrutture, investimenti, capacità di acquisto

(20)

e abilità che limitano la possibilità di accedere alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in particolare la telefonia fissa e mobile, la posta elettronica e Internet. Il divario tra le persone che sanno e possono muoversi nelle nuove società digitalizzate e coloro che non possono e non sanno farlo, non separa solo il Nord e il Sud del mondo, ma attraversa le generazioni e gli strati sociali delle popolazioni.

In linea generale, è possibile affermare che tutti i paesi, anche quelli poveri, hanno incrementato l’uso delle tecnologie della comunicazione ma, se nei paesi ricchi questo incremento è stato esponenziale, l’aumento appare decisamente esiguo (tranne rare eccezioni) in quelli poveri e questo ha contribuito alla creazione e all’inasprimento del gap digitale. Allo stesso modo tutti i gruppi sociali, anche quelli poveri, hanno incrementato l’uso delle tecnologie della comunicazione ma se per i gruppi elitari questo aumento è stato macroscopico, per i gruppi non privilegiati si è trattato di uno sporadico e, molto spesso, sterile impiego di tecnologie, comunque, non pervasive del tessuto sociale.

Questo trend si è verificato e si perpetra a molteplici livelli: dal semplice utilizzo, alla conoscenza, alla partecipazione, alla produzione e tutti quegli aspetti che possono interessare la creazione e la diffusione delle ICT all’interno di una società complessa. Gli ormai famigerati 600 milioni di persone che accedono alla rete non sono un dato allarmante unicamente per l’esiguità di questo numero in rapporto alla totalità della popolazione terrestre ma anche (e soprattutto) perché tale dato riflette in modo speculare l’élite economica del nostro pianeta sia come numero sia come distribuzione geografica: la quasi totalità di questi 600 milioni di persone vivono e svolgono le proprie attività all’interno delle cosiddette potenze economiche occidentali (tra le quali includiamo anche il Giappone).

Se, invece, volgessimo il nostro sguardo ai 600 milioni di individui più poveri del pianeta (l’altro 10%) osserveremmo una moltitudine di persone che non hanno mai fatto una telefonata, che non ha accesso all’informazione e che non sa minimamente che cosa accade nel mondo, forse perché troppo occupata a cercare di sopravvivere. La totalità (non uso di proposito il termine quasi) di questi individui nascono nei cosiddetti paesi in via di sviluppo e, molto probabilmente, la loro vita avrà termine molto prima di poter accedere ad una qualsiasi forma di conoscenza o informazione.

Fra questi due poli vi sono 5 miliardi di persone che a vari livelli e per diverse ragioni, non riescono ad accedere alle tecnologie dell’informazione o non riescono a sfruttare a pieno il loro potenziale di sviluppo e di crescita. Ciò significa che il digital divide è una

(21)

processo di esclusione che, secondo modalità e generando conseguenze differenti, colpisce il 90% della popolazione terrestre. Anche se questi dati non devono essere considerati come dei veri e propri confini, appare molto chiaro come la frattura digitale si vada ad inserire all’interno delle consolidate divisioni fra Nord e Sud del mondo. Essa riproduce e consolida queste divisioni contribuendo, in maniera fondamentale ad acuirle: il grado di penetrazione delle ICT all’interno di una nazione, infatti, è diventato uno dei parametri di crescita economica più importanti e la presenza o la mancanza di tali tecnologie può, di fatto, segnare la differenza fra l’avere prospettive di crescita o il rimanere inesorabilmente sottosviluppati. Caratteristica peculiare del gap digitale, però, è che questo, a differenza di altri tipi di divisioni, riesce a rendere in maniera molto chiara e cristallina il livello, o per meglio dire, la profondità delle sperequazioni che dividono il Nord ed il Sud del pianeta: esso crea una divisione, ossia l’utilizzo delle ICT ma, al contempo, è il sintomo più evidente delle divisioni, spesso più gravi (per esempio, la mancanza dell’acqua o la mancanza di prospettive di vita) che ad esso preesistevano. Ci è di aiuto per capire questo concetto la lucida analisi condotta da Gian Marco Schiesaro (2003, p. 91) che nel suo libro “La sindrome del computer arrugginito” afferma:

“Possiamo pensare al digital divide come ad un problema vecchio che ha assunto una veste nuova […] L’accesso all’informazione è sempre stato una misura del potere all’interno di una società: sappiamo che gli scribi dell’età antica, quasi tutti usurai, detenevano il potere economico. Il divario digitale non fa che riflettere in forma di simbolo il modo in cui il potere è distribuito all’interno della società dell’informazione. Pensare al digital divide come ad una metafora anziché come ad un problema reale è già un passo avanti […]

Il divario digitale può essere compreso nella sua pienezza solo se lo affrontiamo come un paradigma” che “riassume i limiti cui i paesi in via di sviluppo sono ancora sottoposti e li osserva nella prospettiva della società dell’informazione […]

Necessari per il Sud del mondo non sono né i computer né Internet mentre il paradigma interpretativo del digital divide è fondamentale”.

Il digital divide, quindi, non deve e non può essere affrontato come una problematica relativa al livello di penetrazione e di sfruttamento delle tecnologie della comunicazione all’interno dei paesi in via di sviluppo anche se è in questi aspetti che si concretizza.

(22)

La sua risoluzione sottende l’impegno alla risoluzione delle problematiche di sviluppo di questi paesi e come tale deve essere affrontato: gli sforzi devono essere portati in questa direzione e non nel semplice paracadutaggio tecnologico della rete e del digitale.

Possiamo, quindi, definire, a questo punto, il digital divide come una mancanza nelle opportunità di accesso alle nuove tecnologie che riesce, metaforicamente, a fornire un’immagine molto chiara del livello di sperequazione fra Nord e Sud del pianeta. Il digital divide, in qualche modo, riformula la dialettica delle antiche divisioni tra Nord e Sud: il mondo non è più diviso fra ricchi e poveri, fra coloro che non hanno fame e coloro che ne hanno, fra chi consuma e chi sopravvive, la nuova frontiera è fra coloro che posseggono l’informazione e fra coloro che non vi hanno accesso, fra gli information haves e haves-not.

1.4 L’inquadramento economico-geografico

Per cominciare a misurare la grandezza digital divide non possiamo che fare subito riferimento ai dati relativi al numero di individui connessi alla rete e al numero di host e alla loro distribuzione sul globo.

La geografia della rete coincide con quella che è la geografia economica globale. In questo modo, la distribuzione e la densità degli utenti Internet sarà decisamente più alta nei paesi sviluppati mentre si manterrà con valori molto bassi all’interno dei paesi in via di sviluppo.

La geografia della rete ripercorre le divisioni economiche fra Nord e Sud del mondo con una diretta proporzionalità fra utenti in rete e livello di importanza economica e commerciale di quel paese. Questo tipo di sperequazione si ripropone all’interno degli stessi paesi in via di sviluppo dove notevole è la differenza, per esempio, fra l’America latina che lentamente sta riuscendo a costruire uno sviluppo economico durevole e l’Africa sub-sahariana praticamente estromessa dalla diffusione delle ICT.

Il reddito costituisce uno degli elementi principali su cui si costituisce il digital divide anche se, esso non è sicuramente l’unico; in ogni caso i paesi ad alto reddito (che sono sostanzialmente i paesi OECD ad alto reddito) e i paesi ad alto sviluppo (che sono sostanzialmente i paesi OECD) possiedono il maggior numero di utenze a livello

(23)

mondiale.

L’Africa è sicuramente il paese che presenta le maggiori difficoltà in termini di sviluppo e, conseguentemente, in diffusione delle ICT.

Dei 42 paesi a basso sviluppo, infatti, ben 39 fanno parte del continente africano: in questi paesi, mediamente, l’aspettativa di vita si aggira intorno ai 49 anni, la popolazione è prostrata dalla fame, dalle malattie e dalla mancanza assoluta di prospettive ed è facile intuire come il numero di utenti internet, in queste regioni, sia estremamente basso tanto da raggiungere picchi negativi dello 0,7 ogni 1000 abitanti come nel caso dell’Etiopia.

Quasi l’intero continente africano ha una percentuale di utenti minore del 2% rispetto alla popolazione globale e, in linea generale, le zone appartenenti al blocco dei paesi in via di sviluppo presentano un livello di utenza comunque inferiore al 13% della popolazione totale. Inoltre, la popolazione dei paesi sviluppati, pur rappresentando il 19% della popolazione totale genera quasi il 70% del traffico della rete e possiede oltre il 70% dei computer connessi.

In linea generale, il continente sudamericano sta compiendo notevoli sforzi nel tentativo di superare il gap digitale e, più in generale, nel tentativo di avviare uno sviluppo durevole.

A guidare questo sforzo rimane comunque il Brasile che si sta ponendo all’avanguardia nell’uso delle ICT in particolare per quel che riguarda il concetto di democrazia digitale. Notevoli sforzi stanno compiendo le istituzioni e le ONG nel tentativo di sviluppare una solida infrastruttura per la rete e ridurre il divario digitale. Vari progetti sono stati avviati e particolare successo hanno registrato i telecentri e tutte quelle iniziative (come “VivaFavela” promossa dalle ONG) che hanno come obbiettivo quello di utilizzare le nuove tecnologie per integrare e migliorare la condizione delle fasce più svantaggiate della popolazione civile: la società brasiliana (e, più in generale, tutte le società dei paesi sudamericani) è caratterizzata da uno squilibrio portato agli estremi livelli in cui si possono osservare individui estremamente ricchi e a pochi chilometri di distanza livelli di povertà estrema dove la gente muore ancora di fame, nonostante quella del Brasile sia la decima economia del pianeta. Quasi tutti i paesi, fra mille difficoltà organizzative e strutturali, stanno cercando di superare il gap digitale con l’obbiettivo di far scaturire, quindi, un circolo virtuoso che possa garantire un minimo livello di benessere all’intera società sudamericana.

(24)

Per quello che riguarda il continente asiatico, escluso il Giappone, nella si possono riconoscere due grandi zone di influenza: quella indiana e quella cinese.

L’India, come il Brasile, è caratterizzata da una società fortemente polarizzata. Vi abitano circa 5 milioni di miliardari (vecchie lire), ma la stragrande maggioranza della popolazione (che si avvicina la miliardo di persone) vive priva dei più elementari servizi per l’igiene, privi di elettricità in capanne fatiscenti, spesso senza acqua corrente e molti hanno la possibilità di fare un solo pasto al giorno.

Solo una persona su cinque ha mai usato il telefono e solo una su trecento ha mai provato a connettersi ad Internet. È facile capire come in questo contesto facciano molta fatica a penetrare le nuove tecnologie e, soprattutto, a fare in modo che il loro utilizzo abbia un fine costruttivo e degli effetti positivi diffusi.

Tuttavia, gli ingegneri informatici indiani sono tra i migliori al mondo e lo stesso successo dell’area di San Francisco lo si deve, in gran parte, alle ondate migratorie di questi ingegneri. La città di Bangalore, situata a Sud del paese, costituisce uno dei gioielli della new economy a livello mondiale: centinaia di piccole e grandi aziende di software hanno creato uno dei più grandi distretti legati alle nuove tecnologie e offrono una serie di lavori e servizi a distanza, di cui hanno approfittato (grazie ai bassi costi) le aziende occidentali. In questa città è nata, inoltre, una fiorente industria di call center (non considerato un lavoro di serie B come in occidente) con migliaia di individui, spesso laureati, che rispondono alle telefonate provenienti dai clienti delle multinazionali americane (dai cinema, alle carte di credito, alla telefonia, al traffico ecc.), addestrati a rispondere con accento americano, informati sui fatti del giorno e istruiti rispetto alla cultura statunitense (i clienti, in questo modo, non sanno che a rispondere alle loro domande sono individui situati dall’altra parte del pianeta).

È la città di Bangalore stessa, però, ad essere una città tipicamente indiana dove da quartieri ricchi di verde e tranquilli ci si trova improvvisamente immersi in sacche di miseria desolanti.

A 50 chilometri dalla città non c’è più elettricità e solo lo 0,4% della popolazione ha accesso alle tecnologie dell’informazione. È proprio intorno a queste sacche di povertà che varie organizzazioni (ed in particolare UNDP) stanno lavorando per cercare di fornire un aiuto concreto alle popolazioni locali nello svolgimento delle loro attività lavorative che, solitamente, corrispondono con le attività che contribuiscono alla loro sussistenza.

(25)

In linea generale in India sono attivi programmi di alfabetizzazione informatica con l’avviamento di numerosi centri ICT sparsi per il paese ma ancora oggi gli indicatori sono tutt’altro che incoraggianti con una percentuale del 2 per mille di computer disponibili per abitante e un livello di penetrazione della Rete analogo a quello africano (nonostante possieda più del doppio degli abitanti). A questa situazione contribuisce sicuramente la poca iniziativa delle istituzioni locali che non forniscono un approccio omogeneo di informatizzazione del paese preferendo, invece, diversi interventi indipendenti che, però, non stanno dando i loro frutti.

Nella zona di influenza cinese, Singapore costituisce sicuramente uno dei casi più interessanti essendo uno dei luoghi più informatizzati al mondo grazie agli ingenti investimenti dello Stato che ha speso oltre un miliardo di dollari per realizzare imponenti programmi di formazione per studenti e docenti di tutte le scuole del paese istituendo prolifiche collaborazioni con il MIT e la J. Hopkins University.

Ciò ha condotto il piccolo paese ad essere la nazione più cablata del pianeta (più di Australia e Scandinavia) anche se rimane tuttora aperto il problema democratico, infatti, il governo del paese incentivando l’utilizzo della rete ne ha mantenuto il controllo politico e, quindi, di censura.

In linea generale il resto dell’area non vede una grossa penetrazione delle nuove tecnologie a causa anche e soprattutto dei forti impedimenti posti dai governi centrali che vedono in Internet un elemento destabilizzante.

Rimane, invece, un caso a sé la Cina che sta conoscendo, negli ultimi anni (anche se ciò è il risultato degli sforzi compiuti sin dal dopoguerra), livelli di crescita inauditi, che stanno avendo effetti positivi su tutta l’area, cui si accompagna anche un alto livello di crescita nell’utilizzo della Rete. Nonostante i numeri, ampia parte della popolazione rimane ancora isolata dai flussi comunicativi, ma la situazione cinese cambia letteralmente di mese in mese e i margini di crescita sono ampissimi.

Il quadro che si presenta è molto contraddittorio, infatti, se da una parte le istituzioni stanno compiendo notevoli sforzi nel tentativo di superare il digital divide attraverso l’attuazione di politiche di forte agevolazione dal punto di vista tariffario, con un’incessante opera di realizzazione infrastrutturale, con una forte ed intenzionale apertura ai mercati e alle tecnologie estere (in particolare americane).

Dall’altra parte, il governo non rinuncia al forte controllo delle comunicazioni attraverso la rete attuando in modo sistematico la censura e attuando manovre che disincentivano l’utilizzo libero e democratico di Internet (bisogna ricordare, però, che tali manovre non

(26)

sono solamente frutto di calcoli politici ma in larga parte il risultato di una cultura millenaria che ha sviluppato il concetto di comunicazione e, più in generale, di diritti della persona in maniera totalmente diversa da quella occidentale).

Vediamo ora la situazione più preoccupante legata all’utilizzo delle nuove tecnologie che, tenendo conto dell’approccio con cui affrontiamo il tema del digital divide, diventa il sintomo di una situazione desolante dal punto di vista dello sviluppo economico, ma soprattutto umano.

La situazione del continente africano, fatta eccezione per il Sudafrica, che rappresenta il 70% del traffico Internet africano, la percentuale di popolazione a fare uso della rete appare molto bassa. Solo quattro paesi, oltre al Sudafrica, (Namibia, Botswana, Egitto e Tunisia) hanno percentuali di utenza che superano il 2% della popolazione ma, in ogni caso, la quasi totalità dei 680 milioni di persone che vivono in Africa non ha mai fatto uso della rete e molti vivono in situazioni di isolamento comunicativo e geografico molto gravi.

Giancarlo Livraghi sul suo sito Gandalf.it scrive:

“In dieci anni di ragionamenti e verifiche sullo sviluppo delle rete non avevo mai pubblicato un’analisi della situazione nei paesi africani. Avevo tentato varie volte di ricavare qualche segnale dai dati disponibili. ma poi avevo rinunciato perché (all’infuori del Sudafrica) i numeri sono così piccoli che la significatività è molto scarsa.

Solo oggi è possibile registrare qualche segnale di crescita che, pur trattato con la dovuta prudenza, ci permette di cominciare a ragionare in modo più approfondito sulla situazione del digital divide africano”(Livraghi, 2004).

Come detto più volte, i sette decimi dell’Internet africano è rappresentato dal Sudafrica e gli indici del Sudafrica sono molto più simili a quelli europei che a quelli del resto del continente africano, anche per ciò che riguarda lo sviluppo delle nuove tecnologie dell’ informazione. Molteplici e di grande valore sono le iniziative messe in atto per superare il digital divide che qui si pone come una barriera che divide internamente il paese e non come una divisione rispetto al resto del mondo sviluppato.

L’unico paese per il quale è possibile parlare di un serio sviluppo legato alle ICT è l’Egitto ove si sta svolgendo grazie a politiche accorte uno sviluppo della Network Society allargato a tutte le fasce della popolazione.

In effetti, l’Africa, a differenza degli altri paesi dove vi è quanto meno una élite culturale ed economica che fa uso della rete, è l’unico continente (oltre ad alcune aree asiatiche) dove il gap digitale si struttura come una vera e propria separazione del continente

(27)

stesso rispetto al resto del mondo: non esiste un vero e proprio digital divide in quanto il processo di informatizzazione non è, nella maggior parte dei casi, ancora avviato, si tratta di una vera e propria mancanza del digitale, potremmo definirla Digital Lack più che divide.

Le mancanze dell’Africa, rispetto a questo tema, sono di tipo infrastrutturale e culturale e il superamento del digital divide appare un processo lungo e laborioso i cui presupposti esulano dal semplice investimento nell’industria locale o nell’educazione scolastica: “statisticamente la società dell’informazione in Africa non esiste”(Zocchi, 2003).

E’ profondo il solco che divide il mondo sviluppato dal cosiddetto mondo in via di sviluppo sul tema dell’utilizzo delle tecnologie che come ormai ben sappiamo, altri non è che una metafora dell’insieme delle sperequazioni fra Nord e Sud del pianeta.

La Nigeria, solo per fare un esempio indicativo della situazione generale africana, occupa il 151° posto nella graduatoria dello sviluppo dei paesi rientrando, suo malgrado, a pieno titolo nel gruppo dei paesi a basso sviluppo. Si trova al di sotto della soglia di povertà più di un terzo della popolazione e di questa parte ben il 90% vive con meno di 2 dollari al giorno. Ora, è facile intuire come in questo contesto vi sia poco spazio per le nuove tecnologie, infatti, gli internauti sono per lo più concentrati fra stranieri, funzionari governativi e i tele-centri dei complessi urbani principali.

Nonostante ciò, notevoli sono gli sforzi che si stanno mettendo in atto per il superamento del gap digitale, grazie soprattutto agli aiuti internazionali: alle tecnologie della rete è riconosciuto un ruolo importantissimo per l’organizzazione complessiva della società, per la crescita economica e per il processo democratico. Tuttavia, il più popoloso degli stati africani non sembra rappresentare un terreno fertile per lo sviluppo della Network Society, probabilmente a causa della sterilità delle politiche delle istituzioni nazionali incapaci di direzionare in maniera efficiente i capitali messi a disposizione dagli enti e dalle aziende internazionali.

Figura

Fig. 3 - Modello cumulativo delle disuguaglianze digitali.
Fig. 4 - Cinque abilità internet con una natura condizionale. (Van Deursen A.J.A.M.; Van Dijk, J.A.G.M
Fig. 6 - Famiglie per beni e servizi tecnologici disponibili e ripartizione geografica anni 2011 e 2012,  valori per 100 famiglie della stessa zona
Fig. 8 – Persone di 6 anni e più che hanno utilizzato internet negli ultimi 3 mesi per attività svolta – Anni 2011 e  2012, valori per 100 persone.
+7

Riferimenti

Documenti correlati

Le caratteristiche del vettore e la trasmissione dell’infezione La trasmissione del Virus della Febbre del Nilo avviene tramite la puntura della zanzara della specie Culex, della

Questo secondo ruolo può essere svolto con succes- so dalle Università, che possono innescare un circuito virtuoso fra sviluppo di conoscen- ze e generazione di nuove

Caching: per inviare copie degli stessi dati (esempio, pagine HTML, immagini o video) a più destinatari si può sfruttare la capacità della rete di immagazzinarli in una

• Se guardiamo al differenziale salariale di genere per classi d'età, scopriamo che è massimo tra i 35 e i 45 anni: le donne non riescono a fare il salto che invece più uomini

Valori %. Lavori e opere pubbliche, Riqualificazione aree verdi, Riqualificazione urbana, Edilizia scolastica, Strumenti di pianificazione urbanistica) Ambiente e paesaggio

l Vita Natural Gel (AQ) Partecipano le

Tra le criticità messe in luce, che contestualmente potrebbero facilitare la vivibilità del borgo, vi sono: la necessità implementare le aree di sosta (es. un parcheggio alla

I Master Page contengono tutto il contorno del sito, come il menù, il logo della fiera, i vari contatti, collaboratori e partner e altre informazioni che dovevano essere