Concorso Euclide – Giovani 2021
“La Pandemia come ci ha cambiati”
Normale?
Gaia Lo Piccolo, 3^D, Liceo Scientifico S. Cannizzaro,
Palermo
Le sette, sveglia, colazione, -Sbrigati sei in ritardo!-, scuola, poi casa, i compiti, la palestra, il corso d’inglese, alternanza, la cena con gli amici, con i parenti, -Non fare tardi!-, ma alla fine prima di mezzanotte il sonno non calava mai. Poi di nuovo, tutto si ripete, giorno dopo giorno.
Frenesia.
Era tutto organizzato secondo schemi che stavano in piedi come castelli di carte e il Coronavirus ha spalancatola finestra durante una tormenta di vento.
Le nostre giornate, così sature che la notte sembrava quasi un sonnellino, e se per caso un pomeriggio si liberava, avere un po’ di tempo per noi stessi, per pensare, faceva quasi più paura delle mille scadenze a cui siamo abituati.
Sbaglio?
Era la normalità. Un concetto strano, la normalità. Non ci si rende conto del grande disegno che ci sta dietro finché qualcosa non va a deturpare questo equilibrio cosmico in modo più o meno significativo.
Quest’anno abbiamo visto la nostra normalità cambiare bruscamente.
La sveglia non suonava più in largo anticipo rispetto all’inizio delle lezioni, per arrivare a scuola bastava raggiungere il PC. Per lo sport poi, ci siamo sbizzarriti: dal salto in lungo in corridoio alle lezioni di pilates in videoconferenza. Gli insegnanti privati d’inglese non sputacchiavano più in faccia ai loro allievi, nel disperato tentativo di correggere la loro pronuncia e le ore di alternanza che non siamo riusciti a recuperare … beh quella è un’altra storia.
Gli amici, i familiari, i compagni di classe si erano ridotti a piccoli quadratini sul display del cellulare.
Sembrava uno scherzo, all’inizio. Un nascondino tra i ministri e noi a casa aspettavamo il “battipanni, liberi tutti”.
Quei professori lungimiranti che hanno cominciato le video lezioni prima delle disposizioni del ministero venivano considerati esagerati, così come chi,prima
del lockdown preferiva evitare feste e luoghi affollati.
Eppure, come i bambini che scoprono che Babbo Natale non esiste, settimana dopo settimana ci siamo tutti resi conto che non si trattava affatto di uno scherzo, che gli 8400 chilometri che ci separano da Wuhan non sono poi così tanti per un virus come questo, che il covid-19 è una realtà concreta e la globalizzazione è un’arma a doppio taglio.
Sepolti in casa per quasi tre mesi.
C’è stato chi li ha trascorsi in simbiosi col divano, chi ha riscoperto passioni abbandonate, chi si è improvvisato panificatore e chi già dalla prima settimana ha dato chiari segni di squilibrio.
Ogni giorno era domenica, ma non la domenica prima del lunedì, quella che cerchi di assaporare fino all’ultimo minuto ma ti lascia sempre un po’ l’amaro in bocca, non era la domenica della corsetta al tramonto né quella dormigliona dopo una nottata con gli amici.
Erano giorni tutti uguali, sospesi tra un “Chissà” e un “Alza il volume che c’è il TG”.
Il mio spirito di sopravvivenza mi ha portata a vivere i giorni uno alla volta, senza pensare che il giorno successivo sarebbe stato pressoché uguale al precedente.
Ormai hanno aperto le gabbie da qualche mese e, guardando indietro, ora sembra sia stato tutto un brutto sogno, anche se la paura che ci possano nuovamente chiudere dentro fa spesso capolino.
E’ scientificamente provato che il cervello umano tende a prediligere i ricordi felici e a cancellare quelli più tristi.
Il comitato scientifico della mia cameretta ha confermato questo studio basandosi su ciò che mi è rimasto impresso a distanza di qualche mese da questo periodo di paura e diffidenza.
Stare rinchiusi è dura, ci si sente lesa la propria libertà, ma ognuno di noi, in un modo o in un altro ha imparato a vivere con se stesso, io sono riuscita a volermi finalmente bene.
Abbiamo avuto a disposizione il tempo, cosa che all’inizio mi mandava in tilt, ma con il tempo sono riuscita a vedere il tempo come possibilità, materia a cui dare una forma, e decidere la forma che volevo dare al mio tempo mi ha fatto scoprire lati di me che nemmeno io stessa conoscevo.
Mi hanno sempre detto di godermi le piccole cose, di non dare mai nulla per scontato e, sinceramente, non mi sono mai ritenuta una ragazza superficiale,
ma mai nella mia vita ho percepito la preziosità di un sorriso, di una carezza come quando ho rivisto le persone a cui voglio bene dopo tutto quel tempo. Ma in assoluto, la libertà. Il concetto di libertà è quello che ha viaggiato più a lungo tra i miei pensieri.
La libertà, insieme alla vita, è la cosa più preziosa che abbiamo, un lusso che non possiamo permetterci di perdere e che mai più dobbiamo dare per scontato.
L’abbiamo ereditata da chi ha lottato fino all’ultimo respiro per ottenerla e noi abbiamo il dovere di indossarla con consapevolezza e orgoglio.
Questa quarantena ci ha costretti a vivere una vita che altrimenti non avremmo mai vissuto, in cui i delfini giocavano tra le barche nei i porti e persino i conigli venivano costretti a passeggiate.
Un mondo surreale, le strade deserte, che sembravano più grandi, in cui anche il marciapiede sottocasa acquisiva un non so che di ignoto. Un mondo in cui non vivevamo più le nostre città ma le nostre camere, separati da spessi muri in cemento armato. Eppure, in quarantena, mi sono sentita parte di qualcosa di grande,in cui eravamo dentro tutti, e, in un modo o in un altro, in un mondo non proprio convenzionale, eravamo tutti vicini.