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eBook per la Scuola | Fedeli P. - Sacco B. | Un ponte sul tempo Vol. 1 | Fratelli Ferraro editori

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Academic year: 2021

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(1)Ponte copertina. 11-09-2009. 15:59. Pagina 1. Paolo Fedeli · Bruno Sacco. un. ponte sul tempo corso onnicomprensivo di letteratura latina. L’età cesariana ISBN 978-88-7276-804-4. L’età augustea ISBN 978-88-7276-805-1. Dal I sec. d.C. agli Umanisti ISBN 978-88-7276-806-8. ponte sul tempo corso onnicomprensivo di letteratura latina dalle origini all’età di Silla. 1. Il corso è onnicomprensivo in quanto contiene, oltre al profilo storico, ai contributi critici aggiornati e alle rubriche sulla civiltà romana antica, un’ampia documentazione testuale, proposta in tre forme, identificabili mediante appositi loghi: a) testi latini corredati da note a pie’ di pagina per facilitare la traduzione da parte degli studenti; b) testi latini con traduzione italiana; c) testi in sola traduzione italiana.. un ponte sul tempo. Dalle origini all’età di Silla ISBN 978-88-7276-803-7. un. Paolo Fedeli · Bruno Sacco. risorse on line:. materiali di ampliamento dei contenuti del corso. In caso di adozione indicare il codice ISBN 978-88-7276-803-7. un. l. su. fra. co po ac oS m e un t Br 7 li · 3- i de e 1 -80 itor Fe te olo n lum 6 d Pa o vo 727 ro e p a 88 err 8- li f 97 tel. € 13,50 fratelli ferraro editori. 1.

(2) 2. A Grazia Maria per sempre.

(3) 3. P. FEDELI - B. SACCO. UN PONTE SUL TEMPO AUTORI, TESTI E CONTESTI DELLA CULTURA LATINA CORSO ONNICOMPRENSIVO. VOLUME 1. Dalle origini all’età di Silla.

(4) 4. P. Fedeli – B. Sacco UN PONTE SUL TEMPO VOLUME 1,. Dalle origini all’età di Silla. ISBN 978-88-7276-803-7. prima edizione: Gennaio 2009 Ristampa: 6. 5. 4. 3. 2. 1. 2009. 2010. 2011. 2012. progetto grafico e copertina: studio 22 videoimpaginazione grafica, fotocomposizione e ricerca iconografica: Contarini 81030 Succivo (Caserta) 081.8138138 stampa: Arti Grafiche Italo Cernia s.r.l. 80026 Casoria (Napoli) per conto della Fratelli Ferraro editori s.r.l.. In relazione ai passi antologici ed alle riproduzioni appartenenti alla proprietà di terzi inseriti in quest’opera, la Fratelli Ferraro editori – avendo provveduto al deposito della stessa presso l’ufficio della proprietà letteraria, in ossequio a quanto disposto dalla legge sul diritto d’autore – resta a disposizione degli aventi diritto, che non si sono potuti reperire, nonché per eventuali errori o/e omissioni.. I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione o di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati per tutti i Paesi. this book is copyright and may not be reproduced in whole or in part without the express permission of the publisher in writing.. © 2009 Fratelli Ferraro Editori s.r.l. © 2009 80078 Pozzuoli (Napoli) © 2009 Via Pisciarelli 73 © 2009 Tel. 081.6171021 – Fax 081.5701100 © 2009 e-mail: info@fratelliferraro.it © 2009 www.ferraronline.it. 2013. 2014.

(5) Presentazione. Un ponte sul tempo. L’immagine metaforica rende con immediatezza un significato di fondo. Gli scritti dei classici antichi ci ricollegano direttamente alla civiltà che quei popoli espressero, ai costumi che li caratterizzarono, alle istituzioni che promossero, alle idee in cui credettero, alle passioni che li agitarono. Si tratta di un thesaurus che l’arca del tempo custodisce gelosamente e di cui sperimentiamo il valore incalcolabile ogni volta che, tra gli alti e bassi delle vicende umane, torniamo ad esplorarlo, a confrontarci con esso, a saggiarne la validità. La chiave di quell’arca corrisponde al nostro bisogno di trovare certezze, di riscoprire radici, di reinventarci punti di riferimento. Così percorriamo a ritroso quel ponte, riapriamo quel forziere, attingiamo a quel thesaurus, constatando ancora una volta che non è fatto di rottami arrugginiti, ma di “pezzi” pregiati che possono ancora arricchire la nostra vita, se solo riusciamo a liberarci della pseudo-illuministica presunzione di poter fare da soli, fieri di un’invadenza tecnologica che – se privata di ragioni culturali – rischia di disumanizzarci. Il nostro essere uomini del XXI secolo ha più che mai bisogno del confronto con la civiltà greco-latina (che ci ha prodotti), degli archetipi culturali ed etici che gli antichi hanno generato, affidandoli alle opere letterarie come monumentum aere perennius che nessuna violenza, morale o materiale, della storia è riuscita a distruggere. La presente opera non nasce pertanto solo per il fine pratico di mettere a disposizione di docenti e studenti un nuovo corso di letteratura e civiltà latina (il che è scontato ed è in linea con la politica editoriale della casa editrice F.lli Ferraro, sempre attenta alla didattica delle discipline classiche), ma anche e soprattutto dall’esigenza di ribadire una fede che gli autori condividono: quella nelle qualità formative della letteratura latina e della civiltà che vi si riflette. Verso il mondo latino il “ponte sul tempo” è particolarmente diretto e la sua percorrenza quasi obbligata per noi europei che da quel mondo siamo stati generati. Si tratta di una civiltà che forse si affacciò tardi (rispetto alla sua nascita) al proscenio delle arti letterarie, ma che poi in due secoli e mezzo seppe – se così si può dire – recuperare il tempo perduto, generando dal suo seno Plauto e Terenzio, Catone e Lucilio, Cesare e Cicerone, Sallustio e Livio, Catullo e Lucrezio, Orazio e Virgilio, per fare solo qualche nome; e si proiettò quindi nei secoli successivi, sopravvivendo al suo stesso epilogo storico, se è vero che il latino fu, almeno fino alle soglie dell’età moderna, la lingua ufficiale della cultura scientifica e filosofica, e non ha mai cessato di esserlo per la Chiesa cattolica. Qualche breve nota, ora, sulla strutturazione dell’opera. Si tratta di un corso onnicomprensivo o, come usa dire oggi, «integrato», di storia, testi e civiltà. Il profilo storico di epoche e autori – pur rispondendo alle esigenze di snellezza e di accessibilità che la scuola attuale richiede – è criticamente aggiornato ed ispirato a un equilibrio esegetico che lo preservi dai vizi uguali e contrari del culto acritico della romanità e dell’avversione preconcetta alla stessa. La materia è organizzata in Unità didattiche nelle quali, alla trattazione teorica, seguono o si accompagnano Schede o Integrazioni sul mondo romano nei suoi.

(6) 6. PRESENTAZIONE. più diversi aspetti (Civiltà romana) e quindi un’ampia campionatura di testi (La documentazione testuale), proposti in tre forme diverse, identificabili mediante appositi loghi: a) testi latini corredati da note a pie’ di pagina, per facilitare la traduzione da parte degli studenti; b) testi latini con traduzione italiana; c) testi in sola traduzione italiana. In ogni unità sono state inserite “finestre” con interessanti giudizi dei maggiori studiosi di lettere latine (Al vaglio della critica), nonché almeno un brano critico completo (Al vaglio della critica – la lettura). Oltre che da un’ampia bibliografia, ogni unità è chiusa da Le pagine dello studente, che propongono esercizi di verifica dell’apprendimento in tipologie varie, secondo la normativa vigente degli Esami di Stato. L’opera è altresì arricchita da un’ampia e significativa documentazione iconografica. Gli autori ringraziano fin d’ora docenti e discenti per l’attenzione che vorranno riservare a quest’opera e anche per i consigli e i suggerimenti che riterranno di voler fornire. Bari, gennaio 2009. PAOLO FEDELI – BRUNO SACCO. Ringraziamenti Come già la mia precedente opera Il sapere letterario, anche il presente lavoro si è avvalso del prezioso apporto di una serie di qualificati studiosi e docenti, ai quali rinnovo pertanto i miei più vivi ringraziamenti. Oltre al prof. Erasmo MAGLIOZZI per l’impostazione generale, ricordo con gratitudine i contributi di Palma CAMASTRA per la letteratura cristiana, Vito SIVO per la ricezione della cultura latina nel Medioevo e nell’Umanesimo, Giuliano VOLPE per la documentazione archeologica, Lucia CACCIAPAGLIA per il corredo didattico e infine, per la parte antologica, Irma D’AMBROSIO, Irma CICCARELLI, Maria MONDELLI, Costanza NOVIELLI, Miriam TOTARO. PAOLO FEDELI.

(7) Parte prima Le origini Unità 1 L’età delle origini e la sua cultura.

(8) 8. Unità 1. L’età delle origini e la sua cultura 1.1 Le origini di Roma 1.2 Influssi etruschi e greci Tavola sinottica. 1.3 Cultura orale e tradizioni gentilizie 1.4 Forme di letteratura popolare 1.5 Testimonianze archeologiche ed epigrafiche Civiltà romana Schede. Duenos med feced. Il vaso di un uomo buono – La cista Ficoroni. 1.6 I più antichi testi scritti 1.7 Appio Claudio Civiltà romana Integrazioni. Roma protostorica La nascita della città di Roma (C. AMPOLO). La documentazione testuale Al vaglio della critica – La lettura: Appio Claudio Cieco nella storia politica del suo tempo (A. GARZETTI). Bibliografia LE PAGINE DELLO STUDENTE. 1.1 Le origini di Roma Rapporti con Latini ed Etruschi. La società romana arcaica. Roma sorse in un ambiente costituito da popolazioni indoeuropee del ceppo latino-sabino. La tradizione ci parla della monarchia come della forma statale delle origini e ci tramanda nomi latini per i primi quattro re. Fin dall’inizio i rapporti fra Roma e le città limitrofe furono regolati sulla base di un’alleanza: le città del Lazio, infatti, costituivano la lega latina e si riunivano annualmente presso un santuario per la celebrazione di riti religiosi comuni. Data la sua posizione di confine, Roma conobbe anche l’egemonia etrusca: ce lo attesta la tradizione, che narra di tre re di origine etrusca, e ce lo confermano i reperti archeologici. Sia il mondo latino che quello etrusco influirono profondamente sulla composizione sociale e sulle strutture politiche della Roma delle origini. Nella società romana arcaica si contrapponevano due classi: da una parte il patriziato (organizzato per gentes, cioè per gruppi che si richiamavano a un antenato comune), al quale spettava la proprietà della terra; esso era affiancato dai clienti, vincolati a una serie di obblighi.

(9) L’ETÀ DELLE ORIGINI E LA SUA CULTURA. La monarchia. La cacciata dei re. Lotte fra patrizi e plebei. 9. nei confronti dei patrizi, da cui ricevevano in cambio protezione; dall’altra i plebei, che non avevano organizzazione gentilizia e non potevano accedere alla proprietà terriera. Una struttura sociale analoga era già presente nel mondo etrusco. Politicamente Roma era retta da una monarchia elettiva, alla quale si affiancavano il consiglio degli anziani (senato), formato dai soli capi patrizi, e l’assemblea delle curie in cui il popolo era diviso; tali organi, però, erano puramente consultivi. Nella Roma arcaica la monarchia ebbe una funzione mediatrice fra le classi. Proprio sotto un re si ha un primo sentore della contrapposizione fra patrizi e plebei: sotto Servio Tullio, infatti, fu aperto ai plebei l’accesso all’esercito mentre alla città vennero dati un nuovo ordinamento basato sul censo (la cosiddetta riforma ser viana) e una nuova organizzazione territoriale basata sulle unità militari (centurie); anche se i comizi centuriati erano saldamente nelle mani dei patrizi, i plebei vi erano rappresentati. I re furono cacciati dall’etrusco Porsenna: l’episodio, peraltro, va inserito nel quadro delle lotte fra le varie città etrusche. Porsenna, come ci attesta Livio, occupò militarmente Roma e la sua successiva cacciata è da mettere in relazione con la vittoria dei Greci sugli Etruschi ad Ariccia, vittoria che segnò la fine della potenza etrusca. Allora alla struttura monarchica si sostituì un tipo di stato fondato su magistrature collegiali, limitate nel tempo e inizialmente accessibili ai soli patrizi. Con la repubblica il problema sociale si pone in modo drastico: la storia del V-IV sec. a.C. è la storia delle conquiste di Roma nel Lazio, a spese delle città etrusche limitrofe, e poi nel Sannio e nella Magna Grecia; ma è anche la storia della lotta tra le due classi dei patrizi e dei plebei. Le rivolte dei plebei avevano tre obiettivi: l’uguaglianza dei diritti politici, la legislazione sui debiti e l’accesso al demanio (il problema, cioè, della distribuzione delle terre conquistate in occasione delle guerre). L’arma di cui i plebei si servirono fu la secessione, cioè il ritiro dei loro contingenti dall’esercito. Alla fine di tali lotte la plebe ottenne l’accesso alle magistrature e al senato, una legislazione scritta, la parità dei diritti politici, parte delle terre conquistate in Italia e una legislazione sui debiti. In questo stesso periodo ebbe inizio un processo di differenziazione sociale, interno alla plebe, che portò alla creazione di un’aristocrazia ricca, di origine plebea.. al vaglio della critica La posizione geografica di Roma fu, fin dagli inizi, un elemento caratterizzante della sua storia. Posta lungo il Tevere, in prossimità di un guado, il centro latino assunse rapidamente un ruolo marcatamente mercantile e un carattere “dinamico”, come dimostra peraltro la preminenza subito assunta dal Foro Boario, zona del mercato del bestiame. Al tempo stesso la sua posizione periferica, nell’ambito del Latium, alla frontiera con l’Etruria, favorì l’apertura agli apporti esterni, che costituì sempre uno dei caratteri peculiari di Roma. (P. FEDELI ). «La posizione geografica... elemento caratterizzante».

(10) 10. PARTE PRIMA: LE ORIGINI. Pianta di Roma arcaica con l’indicazione delle principali strade.. 1.2 Influssi etruschi e greci L’economia di Roma arcaica. Rapporti con gli Etruschi e la Magna Grecia. L’economia di Roma arcaica, analogamente a quanto avvenne presso tutti i popoli antichi, era fondata sull’agricoltura: per questa ragione il problema della terra fu e restò fondamentale nella storia della città. Tuttavia, data la sua posizione sulle rive di un fiume e per di più in un punto di transito, Roma fu anche fin dalle origini un centro commerciale, che sfruttava il passaggio del fiume e la via che portava alle saline situate alla foce del Tevere. L’importanza del commercio è attestata dal carattere sacro che esso assunse: pontifex, infatti, deriva da pons, ed era appunto un sacerdote a occuparsi del ponte sul Tevere (il pons Sublicius, il più antico ponte sul fiume, che divideva il territorio romano da quello etrusco, era costruito in legno, perché il ferro era bandito dalle sacre cerimonie); analogamente erano i pontefici a stabilire i giorni di mercato. Proprio la posizione favorevole mise Roma a contatto con molteplici ambienti: soprattutto con gli Etruschi, che erano allora il popolo più progredito del territorio italico, e con gli abitanti della Magna Grecia, con i quali sono attestate relazioni fin dall’epoca più antica, anche senza la mediazione etrusca. Sono proprio questi contatti che spiegano come il sorgere della civiltà romana sia stato un fenomeno complesso, a cui concorsero diverse componenti. L’arte e la religione sono esempi efficaci di questo processo: la religione romana era di tipo animistico, attribuiva cioè ad ogni fenomeno una divinità e venerava della divinità la forza d’intervento sulla realtà, che i Romani chiamavano numen. Già il cosiddetto «calendario di Numa» (in cui i sacerdoti indicavano le Calende, i gior-.

(11) L’ETÀ DELLE ORIGINI E LA SUA CULTURA. La Magna Grecia. 11. ni di luna nuova, le None, i giorni di mercato, i giorni fasti e nefasti, quelli di amministrazione della giustizia, nonché tutti i riti connessi), presenta un panorama religioso più complesso, con divinità chiaramente derivate dagli Etruschi, come la triade capitolina (Giove, Giunone, Minerva), e divinità greche, come Libero e Cerere. Dagli Etruschi i Romani presero l’arte divinatoria, grazie alla quale s’interpretava il volere degli dèi dal volo degli uccelli o dalle viscere degli animali sacrificati. Anche il culto degli antenati praticato all’interno della casa è comune tanto all’area etrusca quanto a quella latina e greca; l’estrema minuziosità del cerimoniale nei riti sacri costituisce anch’essa una peculiarità della religione etrusca. Con la fine dell’egemonia etrusca e l’entrata di Roma nell’ambito dell’area commerciale greca, si fece più consistente la presenza di divinità e riti greci. La tecnica etrusca fu utilizzata non solo per l’architettura civile e militare, ma anche per quella religiosa, come attestano il tempio dedicato alla triade capitolina e i resti delle terrecotte che dovevano adornarlo. I contatti commerciali con la Grecia fecero affluire a Roma manufatti e artigiani, soprattutto per quel che riguarda gli oggetti di lusso, come i vasi e le cistae. Tanto l’Etruria quanto la Magna Grecia erano portatrici della cultura dominante nell’epoca di cui ci si occupa: la cultura ellenistica che, nata nei regni che si formarono alla morte di Alessandro Magno, si diffuse in tutto il Mediterraneo e, quindi, anche in ambiente italico, dove, venuta a contatto con le civiltà indigene, creò forme peculiari. In effetti la struttura di base delle forme artistiche italiane, pur nell’estrema frantumazione delle popolazioni, è dovuta all’ellenismo.. al vaglio della critica Anche per quel che concerne la vita teatrale fortissime sono le tracce della civiltà etrusca in quella romana. In primo luogo, l’esclusivo amore dello spirito latino per rappresentazioni a carattere comico o agonistico sembra legato a consuetudini trasmesse dall’influenza della Etruria, da cui p. es. Roma ereditò l’uso di mascherare come un dio dell’Averno e di armare di martello l’inserviente incaricato di trasportare via dall’arena i cadaveri dei gladiatori; tale aspetto era proprio quello del demone etrusco Charun, identificato con Caronte e forse parzialmente derivato dalla figurazione ellenica del portitor di Acheronte. E il termine lanista, indicante l’istruttore dei gladiatori, è dagli stessi antichi considerato d’origine etrusca. Ma a noi interessa di più sottolineare che lo stesso uso della maschera per gli spettacoli teatrali ha in Roma un’origine non greca, ma etrusca. Lo rivela il termine persona, corrispondente all’etrusco phersu. [...]. «L’origine della maschera». (da E. PARATORE, Storia del teatro latino, Venosa 20052, p. 11).

(12) 12. PARTE PRIMA: LE ORIGINI. tavola sinottica cronologia. storia. 753 a.C.. Fondazione di Roma, il 21 aprile, secondo Varrone.. 753-510. Periodo monarchico. A Servio Tullio (578-535) la tradizione fa risalire l’ordinamento centuriato basato sul censo.. 509. Inizio della repubblica col consolato di Bruto e Collatino. Trattato commerciale con Cartagine (secondo Polibio).. 451-450 445 387 (o 390) 367-366. letteratura. I decemviri redigono le Leggi delle XII Tavole. La Lex Canuleia rende possibili i matrimoni fra patrizi e plebei. Incendio di Roma ad opera dei Galli. Le Leges Liciniae-Sextiae limitano il possesso di ager publicus e consentono che uno dei due consoli sia plebeo. Introduzione dei ludi scaenici (secondo Livio).. 364 348. Trattato commerciale fra Roma e Cartagine.. 343. Prima guerra sannitica.. 338. Vittoria di Roma sulla Lega Latina.. 327. Inizio della seconda guerra sannitica.. 321. Sconfitta dei Romani e umiliazione delle Forche Caudine.. 316. Riprende la guerra con i Sanniti.. 312. Censura di Appio Claudio Cieco.. 307. Consolato di Appio Claudio Cieco.. 298. Ha inizio la terza guerra sannitica.. 296. Secondo consolato di Appio Claudio Cieco.. 295. Vittoria dei Romani sui Sanniti al Sentino.. 290. Pace fra Romani e Sanniti.. 282. Guerra contro Taranto.. 280. Pirro, re dell’Epiro, alleato di Taranto, sconfigge i Romani ad Eraclea.. 279. Battaglia di Ascoli Satriano e vittoria di Pirro.. Appio Claudio Cieco pronuncia in senato un discorso contro la pace con Pirro..

(13) 13. L’ETÀ DELLE ORIGINI E LA SUA CULTURA. cronologia. storia. 278. Sbarco di Pirro in Sicilia. Trattato di alleanza di Roma e Cartagine contro di lui.. 275. Vittoria romana a Benevento su Pirro, che ritira le sue truppe.. 273. Pirro muore ad Argo.. letteratura. 1.3 Cultura orale e tradizioni gentilizie La cultura delle origini fu essenzialmente orale e strettamente legata alle occasioni, sociali o religiose, in cui essa veniva prodotta. Si tratta di una produzione anonima (nella Roma arcaica non esisteva il letterato come figura sociale autonoma) e legata alle diverse realtà sociali (aristocrazia, caste sacerdotali, popolo ecc.) che producevano le forme letterarie di rispettiva pertinenza. C’era, in primo luogo, una letteratura gentilizia, legata alla classe dominante e alle occasioni sociali che la riguardavano. Già nell’Etruria esisteva il costume di recitare durante i banchetti poemi storico-leggendari accompagnati dalla tibia (il flauI carmi conviviali to). Tale tradizione fu ereditata dai Romani nei carmina convivalia, che costituivano un genere di epopea primitiva. Si trattava di una poesia che esaltava le gesta valorose degli eroi, fossero essi antenati o personaggi leggendari, connazionali o stranieri entrati a far parte del patrimonio tradizionale. Di tali carmina sono rimasti solo due titoli (Carmen Priami, in saturni; Carmen Nelei, in senari giambici) e pochi frammenti. Il primo carme doveva incentrarsi sul racconto del mito troiano, noto a Roma sin da età molto antica e per di più visto dalla parte di quanti, come i Romani, rivendicavano origini troiane; il secondo tratta, invece, un argomento prettamente greco: il mito di due gemelli, Neleo e Pelia, figli di Poseidone e di una donna mortale (Tiro), che, esposti dopo la nascita in una cesta su una barca in balia delle acque, furono allevati presso una famiglia di pastori; divenuti adulti essi scoprivano la loro vera origine e liberavano la madre dalle angherie cui era soggetta. Che da questa leggenda greca derivi il mito di Romolo e Remo appare evidente; ciò ci porta a supporre che conoscenze di cultura ellenica fossero presenti anche in epoca molto antica. L’importanza dei carmina convivalia risiede nel fatto che il patrimonio leggendario e storico in essi racchiuso confluirà non solo nelle cronache degli annalisti, ma anche nella futura produzione epica. Nenie e laudationes funebri Un’altra espressione della primitiva cultura orale è costituita dalle nenie e dalle laudationes funebri. Le prime erano lamentazioni che in origine le donne di casa e in seguito donne prezzolate (praeficae) cantavano nei funerali, con l’accompagnamento della tibia, per esprimere il dolore comune ed esaltare le virtù dell’estinto; le praeficae accentuavano a tal punto le manifestazioni esteriori di cordoglio, che la legge delle XII Tavole dovette intervenire per vietare che le donne si graffiassero le guance o gridassero con disperazione in segno di lutto: nell’arte figurativa etrusca e italica compaiono numerose rappresentazioni di scene del genere. Le laudationes, invece, erano veri e propri discorsi, atti a rendere il funerale non solo un momento di compianto, ma anche di esaltazione solenne della gens e delle sue glorie. Le maschere degli antenati facevano parte del corteo funebre, durante il quale un congiunto del defunto pronunciava nel foro la laudatio (un discorso cioè in onore del Cultura orale.

(14) 14. Gli elogia. Il saturnio. PARTE PRIMA: LE ORIGINI. defunto e a celebrazione delle sue gesta). Tali discorsi venivano poi trascritti e conser vati negli archivi delle famiglie della nobilitas. Non sfugge come tali forme di cultura siano legate all’aristocrazia e alla sua sfera peculiare di pensiero e di vita. In esse sono presenti l’elogio delle glorie della gens, che costituiva la principale struttura sociale del patriziato, e l’esaltazione di un tipo particolare di Romano, valoroso in battaglia, coraggioso, ligio alle tradizioni. Un tale tipo di uomo si adattava ad una casta di guerrieri (per molto tempo, infatti, i patrizi mantennero il monopolio dell’esercito) e di proprietari terrieri. È evidente, d’altronde, il limite di tali primitive manifestazioni culturali: è ovvio che le laudationes, destinate com’erano a confluire negli archivi delle grandi famiglie e a contribuire alla creazione della loro storia, non dovevano brillare per obiettività. Poiché gli annalisti attinsero ampiamente ad esse, ben si comprende come Cicerone abbia potuto incolpare le laudationes funebres di aver contribuito a offuscare la verità storica. Accanto alle laudationes furono gli elogia a contribuire in modo notevole all’esaltazione della gloria, vera o presunta, delle gentes: con tale termine, che deriva probabilmente dal greco elegheion (“lamento”), si indicano le iscrizioni poste sui sepolcri di defunti appartenenti all’aristocrazia, a celebrazione delle loro virtù: il carattere tipicamente romano degli elogia non si manifesta solo nel contenuto (esaltazione della virtus e della nobilitas), ma anche nella forma metrica impiegata (il saturnio). Del saturnio non è stata definitivamente chiarita l’origine: potrebbe trattarsi di un verso “indigeno”, oppure del risultato dell’unione di cola (membri) di versi greci. C’è, poi, chi lo considera un verso di natura quantitativa, formato su moduli greci, e chi lo ritiene un verso a base accentuativa, fondato cioè sulla successione di sillabe toniche e sillabe atone, e quindi tipicamente italico. Benché ci siano giunti scarsi esempi di saturni, ci sembra tuttavia improbabile che l’originaria natura quantitativa, attestata dai grammatici antichi, possa venire negata. Più difficile, di fronte alla grande difformità delle attestazioni letterarie ed epigrafiche, è determinare con precisione la funzione della quantità nel verso. Il saturnio era un verso ritmico, accompagnato spesso dalla musica e dalla danza, che assurse a dignità letteraria con Livio Andronico e Nevio, per scomparire subito dopo: segno, questo, che si trattava del punto d’arrivo di una lunga tradizione.. al vaglio della critica. «...La Campania... terreno d’incrocio delle correnti etniche e culturali». La Campania, il grande terreno d’incrocio delle correnti etniche e culturali greche, etrusche e italiche sin dal secolo VII a.C., costituiva l’ambiente ideale per una compenetrazione fra modi greci e modi italici nella concezione e realizzazione del comico. È del resto vieto e antico luogo comune della nostra cultura che lo spirito comico sia la manifestazione più spontanea e genuina dell’anima italica, al punto che persino allo sviluppo della poesia comica greca si crede non sia stato estraneo l’influsso delle popolazioni autoctone con cui i coloni della Magna Grecia e della Sicilia erano venuti in contatto. (da E. PARATORE, op. cit., p. 20).

(15) L’ETÀ DELLE ORIGINI E LA SUA CULTURA. 15. 1.4 Forme di letteratura popolare. L’atellana. Il versus quadratus. I fescennini. Le prime forme di letteratura popolare a noi note s’identificano con le prime manifestazioni drammatiche a Roma. Legate alle esigenze di una società agricola, esse erano frutto d’improvvisazione e connesse al rituale. Anche le città greche d’Italia conoscevano forme di rappresentazioni drammatiche popolari; anzi, esse ne fecero un vero e proprio prodotto artistico, come nel caso delle commedie di Epicarmo, un poeta siracusano del VI-V sec. a.C., e delle ilarotragedie di Rintone di Taranto, vissuto nel IV sec. a.C. Le rappresentazioni drammatiche italiche si suddividono in tre tipi: atellane, fescennini e ludi scenici. L’atellana si rappresentava in ambiente osco: il nome rinvia, infatti, ad Atella, città della Campania presso Capua. Recitata da attori di professione, che improvvisavano le loro battute sulla base di un canovaccio (trica), essa si fondava su maschere fisse: Maccus, il balordo, Pappus, il vecchio rimbambito, Bucco, il cialtrone, Dossennus, il gobbo furbo. Si capisce bene come l’atellana basasse la sua vis comica sull’individuazione di difetti umani elementari (la sensualità, la ghiottoneria, la furbizia eccessiva) e proprio per questa sua caratteristica dovesse avere facile presa in un ambiente agricolo e in una società poco colta. Il metro usato in queste improvvisazioni burlesche era il versus quadratus, così chiamato perché costituito di quattro metra giambici o trocaici; si trattava dello stesso metro usato nei lazzi dei carmi trionfali. Quando furono introdotti a Roma i drammi esemplati sui modelli greci, l’atellana non scomparve; sopravvisse, anzi, alla decadenza delle forme drammatiche maggiori (a noi, tuttavia, sono giunti solo frammenti dell’atellana letteraria, che fiorì all’inizio del I sec. a.C). Certamente essa esercitò un influsso notevole sulla commedia plautina che, come l’atellana, si basa in gran parte su maschere fisse e costituisce un antecedente del teatro in maschera italiano (si pensi alle ben note maschere fisse, quali Arlecchino Pulcinella Balanzone e tante altre) e della commedia dell’arte. Proprio a causa della sua antichità gli attori che la rappresentavano avevano il singolare privilegio di non perdere la propria onorabilità; nelle altre forme drammatiche, invece, il mestiere d’attore, ritenuto sconveniente per un uomo di nascita libera, era generalmente riservato agli schiavi. I fescennini erano dialoghi, dal linguaggio vivacemente scurrile, recitati da attori camuffati da contadini durante le feste campestri. Sull’origine della parola fescennino esistono due teorie: la prima vuole che il nome derivi da Fescennio, città dell’Etruria meridionale; l’altra che dipenda da fascinum, e alluda ai riti con cui si teneva lontano il malocchio: si è, comunque, propensi a credere che la prima ipotesi sia quella giusta. L’origine di tali rappresentazioni drammatiche è molto antica e risale alle feste in onore del raccolto, allorché venivano portati in processione i simboli della fertilità e i partecipanti si scambiavano lazzi osceni. In origine si trattava, dunque, di espressioni tipiche di una società contadina, che nell’allegria delle feste del raccolto dava fondo ai motivi più grossolani. Ma i lazzi del fescennino potevano penetrare anche in campi diversi: ce lo attesta Catullo, che in un carme nuziale (il c. 61) accorda ampio spazio ai lazzi fescennini nei confronti degli sposi, deridendo la sorte dell’amasio dello sposo ma non risparmiando neppure la coppia. La fescennina licentia era tale che – come attesta Orazio (Epistulae, II, 1) – dovette essere varata una legge per frenarla (cfr. La documentazione testuale, T6, p. 32)..

(16) 16. PARTE PRIMA: LE ORIGINI. al vaglio della critica. «La fescennina iocatio». Origine dei ludi scenici. Canti religiosi. I carmi trionfali. Il carattere lirico-giambico che i fescennini versus avevano in buona parte conservato – su per giù come i carmina triumphalia – ci è testimoniato, oltre tutto, dal c. 61 di Catullo che, nel canto epitalamico, introduce a un certo punto (vv. 119 sgg.) la fescennina iocatio, sbrigliatamente allusiva a pervertimenti sessuali: il che poi comprova che la tesi di un’origine sessuale dei fescennini versus è tutt’altro che trascurabile: cfr. del resto quanto scrive Festo (apud Paul., pag. 76, 6 Lindsay): fescennini versus qui canebantur in nuptiis ex urbe Fescennina dicuntur allati sive ideo dicti quia fascinum putabantur arcere 1. Da che poi vien fuori una terza etimologia, quella da fascinum inteso come malocchio, che può agevolmente spiegare anche la nascita degli abbozzi drammatici campagnoli, in occasione di feste religiose connesse con le fasi fondamentali dell’attività agricola. [...] La sopravvivenza della fescennina iocatio nella poesia epitalamica latina sino alla fine del secolo V d.C. è testimoniata da Sidonio Apollinare. (da E. PARATORE, op. cit., p. 17). 1. Trad.: «i versi fescennini che si recitavano durante i matrimoni sono detti così dalla città di Fescennio oppure perché si pensava che allontanassero il malocchio».. Per quanto riguarda i ludi scenici e l’origine del teatro latino, dallo storico Tito Livio (7,2) le prime rappresentazioni di giocolieri etruschi (ludiones) a Roma in occasione di una pestilenza, nel 364 a.C., sono messe in relazione con i fescennini, per designare spettacoli in cui danza e musica erano divisi dalla recitazione; in seguito canto e azione scenica furono uniti in uno spettacolo, detto satura; tale nome deriverebbe dall’espressione lanx satura (piatto pieno di primizie che veniva offerto agli dei a scopo propiziatorio), a indicare un tipo di rappresentazione misto di danza, recitazione e musica. Resti di antichissime produzioni preletterarie sono i canti liturgici, che alcuni collegi sacerdotali pronunciavano durante riti e feste. Tale era il Carmen Saliare, cantato dai sacerdoti Salii, di cui ci restano pochissimi frammenti, in gran parte incomprensibili già agli stessi antichi. Le danze dei Salii (salire = ‘saltare’, ‘danzare’), che erano sacerdoti di Marte, avevano luogo a Roma nel mese di marzo, con un fine propiziatorio per il raccolto e la prosperità della patria; i sacerdoti avanzavano danzando e scandivano il ritmo battendo sullo scudo con l’asta. Alla medesima epoca (VI-V sec. a.C.) appartiene il Carmen Arvale, che i fratres Arvales cantavano in primavera, nel corso di danze destinate alla purificazione dei campi; nel carme si invocavano i Lari, divinità protettrici del focolare domestico, i Semoni, divinità dei campi, e Marte, il dio della guerra, ritenuto una continua minaccia per la sicurezza della casa e la prosperità dei campi. Allitterazioni, omeoteleuti, rime, ricerca di coppie sinonimiche costituivano le caratteristiche del carme degli Arvali, ma non è possibile stabilire con certezza se il ritmo avesse natura quantitativa o accentuativa. Un altro genere di produzione preletteraria è rappresentato dai carmi trionfali, cantati nel cosiddetto versus quadratus durante la celebrazione di vittorie militari: in essi non ci si limitava a tessere gli elogi del generale vittorioso, ma era lecito apostrofarlo con assoluta libertà di linguaggio e si potevano ricordare persino particolari piccanti della sua vita..

(17) L’ETÀ DELLE ORIGINI E LA SUA CULTURA. 17. 1.5 Testimonianze archeologiche ed epigrafiche Dei primi secoli della civiltà latina non abbiamo attestazioni letterarie; non mancano, invece, testimonianze archeologiche ed epigrafiche. Le più antiche sono: – il cippo del Foro Romano, del VI sec. a.C., ritrovato sotto il lapis niger nel Foro, vicino all’arco di Settimio Severo. Secondo la leggenda in quel punto era sepolto Romolo. Scoperto durante uno scavo nel 1899, reca un’iscrizione bustrofedica (da sinistra a destra e poi da destra a sinistra e così via, come fanno i buoi che tirano l’aratro), a caratteri greci, di probabile contenuto religioso; – il vaso di Duenos: si tratta di un vaso d’argilla del VI-V sec. a.C., ritrovato a Roma alla fine del secolo scorso, che reca un’iscrizione da destra a sinistra d’incerta interpretazione, ma di probabile carattere amoroso (v. SCHEDA, p. 18); – la coppa di Civita Castellana (VI-V sec. a.C.), con un’iscrizione di carattere simposiaco contenente un invito a bere; – la cista Ficoroni, così detta dal cognome dello scopritore: si tratta di un vaso cilindrico di bronzo, trovato a Preneste, con un’iscrizione latina sul coperchio in cui è indicato il nome dell’autore: Novios Plautios med Romai fecid («Novio Plauzio mi fece a Roma»). Datata al IV sec. a.C., viene da taluni ritenuta una falsificazione (v. SCHEDA, p. 19); – il lapis Satricanus, di recente ritrovamento (1977): frammento di pietra rinvenuto a Satricum, nei pressi di Anzio; il testo fa riferimento a un dono votivo destinato al dio Marte; è databile al VI sec. a.C. È invece un falso di fine Ottocento la fibula Praenestina, una fibbia d’oro a lungo ritenuta del VII-VI sec. a.C., con un’iscrizione in lettere greche: Manios med fhefhaked Numasioi (= Manius me fecit Numerio), «Manio mi fece per Numerio». Essa è stata trovata a Preneste, l’attuale Palestrina.. Roma, Aventino. Particolare delle mura costruite dopo l’incendio gallico con tracce di restauri effettuati nel III sec. a.C..

(18) 18. PARTE PRIMA: LE ORIGINI. CIVILTÀ ROMANA Scheda Duenos med feced. Il vaso di un uomo buono Rinvenuto nel 1880 in un deposito votivo a Roma sul Quirinale, il vaso di Duenos (detto anche vasculum Dresselianum) ha una forma particolare, molto tipica dell’ambito greco ed etrusco (kernos): si tratta di tre vasetti collegati tra loro con uno schema triangolare. Sulle pareti è incisa, con andamento sinistrorso, una lunga iscrizione che si legge a partire dall’alto, redatta in latino arcaico. Com’è consuetudine in età arcaica, il vaso parla in prima persona (è quindi un “oggetto parlante”), indicando chi l’ha prodotto e rivolgendosi direttamente al destinatario-utente. iouesat deiuos qoi med mitat nei ted endo cosmis uirco sied asted noisi opetoitesiai pacari uois duenos med feced en manom einom duenoi ne med malos tatod «Lo giura sugli dei, colui che mi regala, nel caso in. cui la fanciulla non sia gentile con te, anzi non ti tenga in nessuna considerazione, la faccio riconciliare con le esalazioni (di profumo). Un bonus mi ha fatto fare a fin di bene e per un bonus. Non sia un malus a porgermi» (trad. di G. COLONNA).. Il testo non è chiaro in tutte le sue parti. Si tratta di una formula di carattere amoroso, che inizia con un giuramento agli dei e prosegue con un invito ad un buon uso dell’oggetto per conquistare l’amore di una fanciulla. L’ultima parte dell’epigrafe è riservata all’indicazione del fabbricante, duenos; piuttosto che un nome proprio (di qui la denominazione del vaso, come nel caso di Novios Plautios autore della cista Ficoroni, sch. 1.4), ora si preferisce interpretare la parola come un attributo: mi ha fatto fabbricare un uomo buono. Questo prezioso documento dell’artigianato e della lingua arcaica di Roma è datato nella prima metà del VI secolo a.C.. Il vaso di Duenos e trascrizione dell’iscrizione (Berlino, Antikenmuseum).

(19) 19. L’ETÀ DELLE ORIGINI E LA SUA CULTURA. Scheda La cista Ficoroni Rinvenuta nel 1738 nella necropoli di Colombella a Palestrina, questa cista costituisce l’esempio più significativo (e il più alto dal punto di vista qualitativo) di una classe di oggetti tipica di questo centro posto a poche decine di chilometri da Roma. Di forma cilindrica, è chiusa da un coperchio sormontato da una maniglia costituita da tre statuette fuse in bronzo (Dioniso con due satiri ai lati), che poggiano su una lastra sulla quale è incisa l’iscrizione: NOVIOS PLAVTIOS MED ROMAI FECID / DINDIA MACOLNIA FILEAI DEDIT. La scritta, realizzata in latino arcaico, indica, con la formula arcaica dell’«oggetto parlante», l’autore del “beauty-case”, Novio Plauzio, che realizzò la cista a Roma per conto di Dindia Macolnia che la regalò a sua figlia.. Sul corpo, tra fregi decorativi, si dispone una complessa scena mitologica relativa alla vittoria di Polluce su Amykos, nel corso della spedizione degli Argonauti. La cista, realizzata con una tecnica estremamente complessa (decorazioni a traforo, a sbalzo, con puntinato e con linee continue incise), documenta l’attività, nella seconda metà del IV secolo a.C., di un abile artigiano che opera a Roma e che ha per committente una delle più nobili famiglie prenestine. Praeneste, importante città laziale, una delle principali componenti della lega latina che si contrappose a Roma nella decisiva battaglia del 338 a.C., dopo questo episodio cominciò a gravitare nell’orbita dello stato romano. L’indicazione del luogo di produzione sicuramente vuole sottolineare la garanzia di qualità: evidentemente ormai un oggetto prodotto a Roma nel IV secolo veniva considerato migliore di uno realizzato a Praeneste. Anche in questo modo emerge la centralità culturale di Roma. Stessa consapevolezza si ritrova nell’orgogliosa indicazione dell’artigiano (forse un liberto della potente famiglia plebea dei Plautii), il cui nome suggerisce un’origine sabellico-campana.. Cista Ficoroni (Roma, Museo Nazionale di Villa Giulia).. Iscrizione della Cista Ficoroni..

(20) 20. PARTE PRIMA: LE ORIGINI. 1.6 I più antichi testi scritti Leggi e Annali. Le Leggi delle XII Tavole. Gli Annali dei pontefici. Accanto alla letteratura orale, di cui si è parlato, esistevano forme letterarie affidate alla scrittura: si tratta delle leggi e degli Annali dei pontefici. Si è d’accordo nel vedere nel diritto un’espressione originale della civiltà latina; la mentalità concreta dei Romani fu sempre vigile nei confronti di ciò che garantiva il rispetto dell’ordine costituito. In origine il diritto fu di competenza delle familiae e delle gentes; quando, poi, lo stato ritenne di appropriarsene, è ovvio che l’amministrazione del diritto civile sia stata riservata ai pontefici, i quali se ne servirono per favorire largamente l’aristocrazia, a cui essi stessi appartenevano. Ben si comprende, quindi, come una delle principali richieste della plebe durante le lotte di classe del V-IV sec. a.C. sia stata quella di una legislazione scritta, nel tentativo di togliere dalle mani dei patrizi il monopolio del diritto e di fissarlo con la scrittura. Nel 452 a.C., in seguito all’aggravarsi del conflitto fra patrizi e plebei, furono sospese tutte le magistrature ordinarie e vennero concessi pieni poteri a un collegio di decemviri, incaricati di redigere leggi valide per tutti i cittadini. La tradizione ci tramanda una serie di leggende relative al periodo in cui si attese alla compilazione delle leggi, che ci fanno comunque capire come il processo sia stato lungo nel tempo e non privo di momenti critici. La commissione decemvirale codificò i suoi lavori nelle Leggi delle XII Tavole: nonostante le buone premesse, però, le nuove leggi non ebbero certamente il potere di colmare gli squilibri esistenti. Norme severissime riguardavano i debitori, che potevano essere ridotti in schiavitù; all’interno della famiglia il padre aveva un potere illimitato sui figli, mentre alla donna non era riconosciuto alcun diritto; furono, inoltre, vietati i matrimoni fra patrizi e plebei. Una concessione importante fu fatta alla plebe con il divieto di violare la legge imposto a privati cittadini che in precedenza godevano di privilegi straordinari; era anche sancita la proibizione di condannare a morte cittadini romani senza interpellare i comizi centuriati. Il testo a noi noto delle XII Tavole comprende, probabilmente, norme appartenenti a periodi diversi della storia di Roma: non diversamente si spiega la coesistenza tra leggi “umanitarie” (ad esempio il divieto per un padre di vendere il figlio più di tre volte o le sanzioni contro le eccessive e artificiose manifestazioni di dolore nei funerali) e disposizioni anacronistiche (come l’applicazione della legge del taglione). D’altronde deve esser chiaro che solo nel corso del III sec. a.C. lo Stato romano realizza quell’equilibrio di forze politiche, economiche e sociali che favorirà anche il sorgere di una vera e propria letteratura in lingua latina. Gli Annali dei pontefici furono la prima forma di composizione storica conosciuta dai Romani. La loro redazione era riservata ai pontefici, il cui scopo originario era quello di creare un calendario: nei Fasti venivano distinti i dies fasti (in cui era consentito svolgere attività pubbliche) dai nefasti (in cui, invece, era vietata qualsiasi attività). Secondo le testimonianze antiche, il Pontefice Massimo curava anche la compilazione di elenchi con i nomi dei magistrati; tali elenchi, o commentarii, che si conservavano nella Regia (la residenza ufficiale del pontefice), erano redatti nella cosiddetta tabula dealbata, una tavola bianca che il pontefice riempiva con i nomi dei consoli e con l’elenco dei fatti più importanti; essa veniva esposta alla fine di ogni anno davanti alla residenza del pontefice. Tutto questo materiale confluì negli Annales Maximi, così detti perché compilati dal Pontifex Maximus, che alla fine del II sec. a.C. furono raccolti in 80 volumi dal pontefice Mucio Scevola. È chiaro, anche in questo caso, il valore politico della redazione degli Annales ad opera dei pontefi-.

(21) L’ETÀ DELLE ORIGINI E LA SUA CULTURA. 21. ci: in tal modo, infatti, rappresentanti dell’aristocrazia (quali erano, appunto, i pontefici) potevano effettuare un’accorta selezione dei fatti da ricordare annualmente.. 1.7 Appio Claudio La carriera politica. I discorsi, le massime, le questioni grammaticali. La prima personalità che s’incontra nella letteratura latina non è quella di un letterato nel senso moderno del termine: si tratta, infatti, di un membro dell’aristocrazia che fu censore nel 312, console nel 307 e nel 296, dittatore intorno al 290 e guidò più volte l’esercito romano contro i nemici. Eppure proprio Appio Claudio fu protagonista delle lotte di classe del IV sec. a.C.: ai censori, che in origine esercitavano la loro carica per 5 anni e in una fase successiva per un periodo di 18 mesi, spettava il compito di censire la popolazione, di redigere le liste dei cittadini secondo la divisione per categorie e dal 312 a.C. di rivedere le liste dei senatori, escludendone quanti con la loro condotta si fossero resi indegni di sedere nel supremo consesso. Durante la censura, Appio Claudio rivide la lista dei senatori inserendovi anche i figli dei liberti: una novità così audace è stata spiegata col peso crescente dei nuovi ricchi, provenienti dall’artigianato e dal commercio. Abbiamo già accennato all’inizio di un processo di differenziazione sociale, conseguente alle guerre di conquista dell’Italia, da cui emersero un’aristocrazia plebea, alla quale erano ormai aperte le magistrature più alte, e una nuova classe di ricchi, non aristocratici per nascita ma in gran parte liberti, legati al commercio e all’artigianato. Ad Appio Claudio si deve un altro serio tentativo di modificare gli ordinamenti vigenti: l’autorizzazione concessa a ogni cittadino di iscriversi alla tribù che voleva; ciò fece aumentare il peso delle tribù cittadine a discapito di quelle rurali, che restarono in mano ai ceti più conservatori. Durante l’edilità curule, un suo segretario, Gneo Flavio, rese pubbliche le forme del diritto civile e il calendario, con le distinzioni in giorni fasti e nefasti, in cui si poteva o no amministrare la giustizia; in precedenza tutto ciò era di esclusiva competenza dei sacerdoti. Era così caduto l’ultimo privilegio dei patrizi: il monopolio in materia religiosa. Gli edili curuli – così chiamati perché, come i magistrati più importanti, avevano diritto alla sedia curule – erano eletti annualmente: avevano il compito di controllare i mercati, i prezzi e gli approvvigionamenti e di occuparsi di strade e quartieri; solo successivamente ad essi verrà affidata l’organizzazione dei giochi pubblici. Appio Claudio resta una figura dai contorni non ben definiti, anche a causa delle notizie frammentarie che abbiamo di lui: da una parte infatti è ricordato per le sue tendenze avanzate, dall’altra, invece, per alcune prese di posizione intransigenti in difesa dell’aristocrazia. Al tempo di Cicerone circolava ancora un discorso famoso de Pyrrho rege, in cui Appio, vecchio e ormai cieco, metteva in guardia il senato, nel 280 a.C., dal concludere la pace con Pirro. Appio Claudio scrisse anche una raccolta di massime morali (Sententiae), ispirate alla filosofia pitagorica, di cui ci rimangono solo pochissimi frammenti: è famoso quello in cui l’uomo è definito artefice assoluto del proprio destino (fabrum esse suae quemque fortunae); si occupò anche di questioni grammaticali e linguistiche: a lui si deve l’introduzione del rotacismo, cioè il cambiamento in r della s intervocalica (Lases, ad esempio, divenne Lares)..

(22) 22. PARTE PRIMA: LE ORIGINI. CIVILTÀ ROMANA Integrazioni Roma protostorica Da sempre la ricerca storica e archeologica si è cimentata con la ricostruzione delle più antiche pagine della storia di Roma risalenti all’età del Bronzo e alla prima età del Ferro, cioè quelle fasi che precedono e accompagnano la mitica fondazione della città. Si è così giunti alla scoperta in più punti della città – in particolare sul Palatino, nel Foro Boario e sulla Velia – di abitazioni di età protostorica. Le strutture abitative forse meglio conservate sono quelle rinvenute sul Palatino, nella zona successivamente occupata dal Tempio della Magna Mater. Qui, nel periodo databile tra il 900 e il 750 a.C. venne realizzata una grande capanna (circa m 12x7), le cui fondazioni furono scavate direttamente nel banco naturale; a poca distanza dall’abitazione era una grande fossa circolare. Successivamente (750-650 a.C.) questa abitazione fu abbandonata e nella stessa zona furono realizzate tre capanne di minori dimensioni, cui si aggiunsero progressivamente nelle zone limitrofe altre capanne. Queste strutture sono ben leggibili grazie alle evidenti buche per i pali, ai canali di scolo per le acque, ai resti di focolari. In quest’area la tradizione colloca la casa Romuli, più volte citata dagli autori antichi, e la Roma quadrata, rappresentata da varie fonti letterarie e iconografiche come un altare. Nelle immediate vicinan-. Fondi di capanne rinvenuti nell’area occidentale del Palatino (scavi 1948-49) e ricostruzione delle strutture lignee.. ze inoltre erano le Scalae Caci, la cui denominazione deriva dal gigante Caco, nemico di Ercole. Alcune capanne della prima età del Ferro sono state rinvenute anche alle pendici settentrionali del Palatino, in origine coperte da boschi: in particolare è stato indagato un gruppo di capanne, tra cui un complesso abitativo attribuito ad un gruppo familiare allargato, costituito da una capanna a pianta rettangolare più grande, dotata di un ripostiglio per la conservazione. Roma, mura palatine: sepoltura di un uomo e di un bambino (inizi del VII a.C.) posta nello strato di abbandono delle prime mura (A. CARANDINI)..

(23) 23. L’ETÀ DELLE ORIGINI E LA SUA CULTURA. Plastico ricostruttivo dell’abitato dell’Età del Ferro di Roma (fine IX-inizi VIII secolo a.C.) (Roma, Antiquarium Forense). del cibo, e da una capanna di minori dimensioni destinata verosimilmente agli attrezzi e agli animali; davanti alla capanna principale era un forno per la produzione di ceramiche e per la cottura degli alimenti. Recenti scavi archeologici condotti da Andrea Carandini, con grande rigore stratigrafico, alle pendici settentrionali del Palatino hanno consentito all’illustre archeologo di avventurarsi in quella che lui stesso ha definito “mitistoria”, infrangendo numerosi tabù storiografici, primo fra tutti quello che considera i miti nient’altro che semplici favole. In particolare, nel 1988 si è giunti alla sensazionale scoperta di una palizzata identificata con il solco di confine, il pomerio, e, a poco più di una decina di metri da essa, di fossati e resti di mura, attribuibili a quattro fasi principali, la più antica delle quali sarebbe da riferire alle mura che, secondo la tradizione, Romolo avrebbe costruito intorno al Palatino (secondo Tacito ai piedi del colle) all’incirca negli anni 750725 a.C. Mentre infatti la maggior parte degli storici moderni ritiene che la città, con i suoi segni peculiari della vita politica e religiosa (cioè la definizione di uno spazio all’interno del quale la popolazione si riconosceva come organismo unitario), non si sia formata prima della fine del VII secolo, questa scoperta archeologica riporterebbe indietro di un secolo la nascita di Roma, in accordo con il mito. Queste prime mura avevano una fondazione in scaglie di tufo ed un elevato con pali di legno. Nello strato di fondazione del muro, sotto la soglia di una porta (identificata con la porta Mugonia) è stato rinvenuto un corredo funebre femminile, datato al 730720 a.C., che è possibile mettere in relazione con i riti. di fondazione e che ha fatto pensare anche a sacrifici umani (reali o simbolici?). Altre tombe, databili ai primi decenni del VII secolo, sono state rinvenute all’interno dello strato di obliterazione di questo circuito originario e anche in questo caso Carandini ha proposto di interpretare le sepolture con uccisioni rituali o sacrifici umani, necessari per espiare la distruzione della struttura sacra. I resti delle due altre mura sono stati datati rispettivamente all’inizio del VII secolo a.C. (due cortine in muratura a secco, con un fossato esterno) e al VI a.C. (mura in grandi blocchi di tufo rosso). Le mura furono più volte rifatte, per almeno due secoli, grazie al loro forte valore simbolico oltre che difensivo.. Roma, Palatino. Disegno ricostruttivo delle capanne della prima età del Ferro (A. CARANDINI).

(24) 24. PARTE PRIMA: LE ORIGINI. Integrazioni La nascita della città di Roma Come punto di partenza dobbiamo assumere le definizioni che della città davano gli antichi stessi, da cui emerge che questa era essenzialmente la comunità dei cittadini liberi. Nonostante alcune significative differenze, tale concezione era sentita anche nel mondo romano, ancora alla fine della Repubblica. Cicerone stesso si chiede «Quid est enim civitas nisi iuris societas civium?» e parlerà di «concilia coetusque hominum iure sociati, quae civitates appellantur». Le citazioni potrebbero facilmente moltiplicarsi, sia per il mondo greco sia per quello romano, tanto è chiara la concezione antica, che rimase a livello ideale anche dopo che la realtà della città antica si era ridotta a un ambito municipale. È chiaro comunque che termini come koinonia e societas implicano l’insieme delle relazioni sociali. La città antica va cioè vista come stretta unità di elementi politici e istituzionali, religiosi (gli dèi sono i veri re della città) e sociali, basati sul nesso giuridico-economico tra cittadino e proprietà della terra. [...] I dati archeologici che abbiamo esaminato provano che nel corso della seconda metà del VII secolo si era sviluppata a Roma una comunità civica, una civitas corrispondente pienamente alla polis ellenica e alla concezione della città antica. Questo risultato già consente di rialzare decisamente la cronologia della formazione della città di Roma rispetto alla discussa cronologia di Gjerstad (575). Resta da affrontare un problema importante: non è possibile che le manifestazioni fin qui esaminate, e che si concentrano tra il 650 e il 600, siano già il riflesso cosciente di una unità urbana da tempo realizzata e quindi ci offrano solo un terminus ante quem? In altri termini, la città può manifestarsi attraverso testimonianze monumentali che si collegano ad aspetti politici e religiosi, in un momento successivo rispetto al primo formarsi di una unità civica, inizialmente non consapevole di sé (e quindi che non si rifletta sul piano ideologico e non abbia manifestazioni monumentali che esprimano una «ideologia della città»)? Queste obiezioni possono oggettivamente trovare la loro base nell’interpretazione della formazione urbana (Stadtwerdung) di Roma fatta da H. Müller-Karpe, il quale fa risalire la nascita di Roma all’VIII secolo: un’interpretazione che ha avuto molto seguito fra gli studiosi italiani. La risposta a questi interrogativi è duplice: riguarda cioè sia la «teoria» sia la «prassi» della città antica. Per quel che riguarda il problema teorico, è noto che nel caso della città antica le manifestazioni religiose civiche non sono solo una sovrastruttura ideologica. più tarda: come ha insegnato Fustel de Coulanges, il nesso tra alcune manifestazioni cultuali e la realtà strutturale della comunità antica è profondo e strettissimo, sia dal punto di vista logico sia da un punto di vista storico. Il ruolo del simbolismo politico era così importante per la comunità civica che difficilmente questo può essere considerato un fattore secondario o recenziore: esso emana direttamente dalla struttura della città antica, dal suo essere una comunità. Quindi il culto di Vesta (sia esso originario, oppure introdotto dal mondo ellenico) è il «segno» della comunità civica romana, del suo esistere, e non può essere considerato come una tarda manifestazione ideologica. Così anche le altre manifestazioni monumentali della comunità di cittadini, della civitas romana, come il Comitium e le sedi di istituzioni pubbliche (Curia, Regia), sono un altro «segno» della koinonia politik¯e che è la città antica. Si può ragionevolmente ammet-. Plastico ricostruttivo di Roma nell’età dei Tarquini (particolare) (Roma, Museo della Civiltà Romana)..

(25) L’ETÀ DELLE ORIGINI E LA SUA CULTURA. Roma, il tempio dei Dioscuri.. tere una differenza di pochi anni tra la realizzazione monumentale e la necessità di creare e sistemare certi spazi destinati alla vita associata della civitas; ma deve trattarsi al più di alcuni decenni, non certo di secoli. Né vale obiettare che in alcuni casi gli spazi civici individuati dalla ricerca archeologica sono certamente posteriori alla nascita della comunità politica; a chi cita il caso di Atene, certo più antica come polis dei primi edifici dell’agorà (inizi del VI secolo), è facile rispondere che ci è pervenuto anche il ricordo di un’agorà più antica alle pendici dell’Acropoli, mentre nel caso di Roma non abbiamo alcuna notizia di un Comizio o di un Foro in data più remota. Non si tratta di un puro argumentum ex silentio: di un fatto così importante. 25 sarebbe rimasto qualche ricordo esplicito (così già sosteneva G. De Sanctis) o almeno qualche indizio cultuale. [...] Per quel che riguarda l’insediamento si è spesso interpretata la situazione di Roma nella seconda metà del IX secolo e nell’VIII secolo come quella di un grosso «centro protourbano». È un concetto che esprime bene la realtà, documentata soprattutto in Etruria, di concentrazioni di insediamenti su un pianoro di notevole estensione (anche più di cento ettari), o su colline vicine o attorno a un’altura che fa da acropoli. È indubbio che queste nuove realtà rappresentano una grande novità, un salto notevole rispetto agli insediamenti precedenti dell’Età del bronzo finale, e questo giustifica il termine «centro protourbano» (specialmente se essi sembrano costituire il punto di riferimento per un ampio territorio). Ma è altrettanto certo che c’è un’enorme differenza con le città-stato, con i loro «segni» evidenti. In un certo senso l’aggettivo «protourbano» è una profezia ex eventu, cioè assume o come presupposto o come conseguenza inevitabile il fatto che ci fosse una unità, o che si sarebbe certamente arrivati alla struttura urbana. [...] Una delle acquisizioni più importanti degli ultimi decenni nel campo della storia greca è stata quella relativa alle tribù. Già M. Weber richiamò l’attenzione sul fatto che nel mondo greco le tribù (phylai) erano caratteristiche delle città-stato ed erano invece sconosciute agli stati cosiddetti etnici. Questa teoria, fondata su una constatazione indiscutibile, è stata riconosciuta vera solo dopo un importante lavoro di P. Roussel ed è stata ribadita recentemente da M. Finley. Gli stati etnici non. Roma. Templi di Largo Argentina. Tempio C, di Feronia (fine IV - inizi III a.C.); Tempio A, di Giuturna (dopo il 241 a.C.); Tempio D, dei Lari Permarini (179 a.C.); Tempio B, della Fortuna huiusce diei (101 a.C.).

(26) 26. PARTE PRIMA: LE ORIGINI. erano organizzati in tribù ma in parti, distretti (mer¯e ), mentre solo le poleis avevano le tribù. Siamo qui davanti a un dato strutturale della città greca, indipendentemente dal complesso problema dell’origine delle varie tribù (specie di quelle doriche, che avevano caratteristiche particolari e si conservarono intatte, più di quelle cosiddette ioniche). Questo dato istituzionale passa all’interno del mondo greco e divide città da ethn¯e. È, a mio parere, importante verificare la situazione nel mondo romano e presso i popoli italici, sia per capire la struttura della città-stato italica e romana, sia per definirla meglio in rapporto alle esperienze elleniche. Ora, è ben documentata l’esistenza di una struttura tribale in Roma arcaica, anche se i particolari sono spesso oscuri e controversi. Un’organizzazione tribale comprendente il territorio romano è documentata a partire dal 495. Nel VI secolo esistono, per concorde ammissione delle fonti letterarie e antiquarie, almeno quattro tribù (quelle che poi saranno dette tribù urbane: Palatina, Collina, Esquilina, Suburana). È incerto se vi fossero altre tribù e se fossero connesse con l’organizzazione centuriata. Ma è assolutamente certa l’antichità di queste quattro tribù serviane. I Romani conservavano inoltre il ricordo di tre tribù più antiche, dalle quali prendevano nomi i reparti di cavalleria più antichi (Titienses, Ramnenses, Luceres). Delle funzioni e del significato di queste tribù sappiamo pochissimo. Per Varrone esse erano già una divisione dell’agro e secondo una notizia di Festo la civitas romana sarebbe stata divisa a un certo momento in sei parti (Titienses, Ramnenses, Luceres, divisi ognuno in. primi e secundi): in base a questa divisione si sceglievano sei vestali. Queste notizie hanno il carattere di ricostruzione antiquaria e non meritano molto credito; ma l’esistenza di una originaria divisione in tre tribù è certa ed era riaffermata frequentemente. Come spesso succedeva a Roma, una istituzione sopravviveva in modo meramente nominalistico; in questo caso fu la cavalleria più antica, che è anteriore alle riforme serviane. Possiamo essere quindi certi che, prima della metà del VI secolo, esistette una prima organizzazione tribale della città romana; che essa fu sostituita nell’età di Servio; che allora, o nel successivo secolo V, l’organizzazione tribale si estese. È anche probabile, ma non certo, che tribù rustiche con nomi locali (come la Lemonia, così denominata da un pagus Lemonius), e quelle che prendevano nome da genti scomparse in età storiche o da genti che rivestirono le supreme magistrature nel V secolo, risalgano effettivamente al VI secolo o agl’inizi del V. Questa caratteristica struttura tribale ebbe a Roma grande importanza nella vita politica, non solo con la costituzione dei comizi tributi, ma già prima. Come nel mondo greco, struttura tribale della città e lotte politiche si intrecciarono, e dalle tribù presero nome sia i magistrati della plebe, sia i comandanti militari (tribuni). In età più recente, anzi, l’indicazione della tribù nei documenti (ad esempio nelle iscrizioni) serve di fatto a indicare il cittadino romano. Anche nel caso di Roma siamo quindi davanti a una realtà strutturale, anche se il funzionamento elettorale e militare delle tribù varia secondo i luoghi e le epoche.. (da C. AMPOLO, La nascita della città, in Storia di Roma, vol. I, Torino 1988, pp. 155; 159-160; 164. Roma. Largo Argentina. Tempio B, dedicato alla Fortuna huiusce diei (del giorno presente) legato alle distribuzioni di grano..

(27) un. ponte sul tempo corso onnicomprensivo di letteratura latina. Dalle origini all’età di Silla ISBN 978-88-7276-803-7. L’età cesariana ISBN 978-88-7276-804-4. L’età augustea ISBN 978-88-7276-805-1. Dal I sec. d.C. agli Umanisti ISBN 978-88-7276-806-8. Il corso è onnicomprensivo in quanto contiene, oltre al profilo storico, ai contributi critici aggiornati e alle rubriche sulla civiltà romana antica, un’ampia documentazione testuale, proposta in tre forme, identificabili mediante appositi loghi: a) testi latini corredati da note a pie’ di pagina per facilitare la traduzione da parte degli studenti; b) testi latini con traduzione italiana; c) testi in sola traduzione italiana.. risorse on line:. materiali di ampliamento dei contenuti del corso.

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