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Le nuove città invisibili. La scrittura come gioco della rete

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Academic year: 2021

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AperTO - Archivio Istituzionale Open Access dell'Università di Torino

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Le nuove città invisibili. La scrittura come gioco della rete

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DOI:10.4399/97888548928806

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Aracne

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This is an author version of the contribution published on:

Questa è la versione dell’autore dell’opera:

[Alessandra Chiappori, Gamification urbana, Lexia serie speciale, 20, 2015,pp.

97-112, 10.4399/97888548928806]

The definitive version is available at:

La versione definitiva è disponibile alla URL:

[http://www.aracneeditrice.it/aracneweb/index.php/pubblicazione.html?item=9788

854892880]

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Abstract: Can Invisibile Cities by Italo Calvino, a book published in 1972, represent an ideal model which reproduce our contemporary way of life in the city? A meditation about the three concepts of writing, city and game could maybe give an answer to the question. If the city of Calvino was an evanescent place, created with an within the frame of a chessboard as a writing constraint, nowadays we live in a smart city, which at the same time is physically accessible but which is also constantly re-invented with digital instruments. Apps, social networks and digital technologies give each user the possibility to customize his maps, path and city experiences through the aesthetics of the game. The result is an invisible city, sort of imaginary place built as a game which, if in Calvino was ruled by the writing, now is presided by the digital and its logic.

Key Words: Italo Calvino, game, social media, chessboard, smart city English Title: New Invisible Cities: writing as net game

Le nuove città invisibili: la scrittura come gioco della rete

Seduti alla loro scrivania, meditabondi e concentrati, gli scrittori allineano parole

(Georges Perec, Specie di spazi)

1.Tra scrittura, città e gioco

Il gioco, il web, la città: tre assi semantici per costruire una prospettiva dalla quale considerare, ancora una volta, e con rinnovato interesse, una tra le opere più visionarie di Italo Calvino, Le città invisibili. La letteratura vastissima sul testo, che include tanto critica letteraria quanto analisi semiotica, è indice manifesto della ricchezza polisemica e della già menzionata carica immaginifica di un’opera che può vantare, oltre che pochi eguali, una straordinaria capacità di adesione all’estetica contemporanea. L’intento, in questa sede, non sarà dunque quello di analizzare capillarmente il testo, quanto, invece, quello di sorvolare con la leggerezza di un Perseo calviniano il dialogo tra Marco Polo e Kublai Khan per cercare di individuare alcune pertinenze utili a una riflessione sul mondo di oggi e sulle attuali estetiche legate alle pratiche urbane e al gioco. Tre saranno le linee di indagine ricorrenti lungo questo percorso, e si intersecheranno a formare un piano di analisi e osservazione, alla stregua di un vero e proprio “campo di forze”: la scrittura, la città, e il gioco.

La scrittura, innanzitutto, luogo calviniano reale e metaforico e spazio per la riflessione metaletteraria. Calvino ribadisce spesso il suo approccio alla scrittura come atto cognitivo, unico mezzo attraverso il quale conoscere e descrivere il mondo (ne sono lo straordinario emblema Palomar, ma anche il Dantès di

Montecristo in Ti con zero). La scrittura, però, è anche gioco combinatorio, spazio del potenziale con cui

l’autore si mette alla prova attraverso strutture narrative come il celebre Il castello dei destini incrociati. Infine, la scrittura è ripiegamento metaletterario su se stessa, riflesso, possibilità di parlare dell’atto stesso del comunicare: libro che parla di libri (come non pensare a Se una notte di inverno un viaggiatore), pagina bianca che racconta la sua stessa storia (e la suor Teodora-Bradamante de Il cavaliere inesistente ne è un fervido esempio), atlante, mappa, cornice all’interno della quale immaginare spazi altri. Le oniriche città

invisibili non prendono forma se non nella scrittura, ognuna immagine imperfetta di possibili città reali,

ognuna gioco di pertinenze dentro a un testo-cornice che ha le sembianze di una scacchiera.

La città è la seconda suggestione e linea guida di questo intervento: tema dibattuto della contemporaneità, luogo delle interazioni sociali e delle relazioni, spazio di una perpetua negoziazione di un senso che continuamente si ridefinisce riscrivendosi sulla città stessa e cambiandone i connotati. Il senso della città, oggi più che mai, è coinvolto nei processi di messa in discussione e ridefinizione anche e soprattutto attraverso le tecnologie cosiddette smart: dispositivi mobili, app di geolocalizzazione e pratiche da essi dipendenti che, insieme, concorrono quotidianamente alla sua ridefinizione. Uno spazio urbano che, dalla concezione classica di imperturbabilità e solidità, è attaccato, scomposto, smaterializzato fino ad assumere i connotati di uno spazio digitale e intelligente. Non più una città percepibile con i sensi, ma, più probabilmente, una città creata ed esperita in modi differenti, nuovi. Una città invisibile. Del resto “la città, come realtà e come simbolo, è da sempre uno dei cardini della narrativa calviniana” (Barenghi, 2009, p. 81).

Le tecnologie smart, come è noto, sfruttano ampiamente l’estetica del gioco, innescando una sorta di riscrittura dello spazio in senso digitale e ludico. Ed è proprio il gioco la terza linea su cui costruire un

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tempi non ancora sospetti da Huizinga (1938) e Caillois (1958), che si costruiscono le odierne pratiche di scrittura e approccio cognitivo allo spazio. Questo nuovo sguardo sul mondo - una nuova estetica in sinergia con i fenomeni comunicativi della contemporaneità - ha alcuni fondamenti nelle riflessioni di Calvino, in particolare in quel lucido intreccio teorico costituito dalle dicotomie delle Lezioni americane (Leggerezza,

Esattezza, Velocità, Visibilità, Molteplicità, Consistenza), il cui prodotto narrativo più dinamico sono

probabilmente Le città invisibili: una smaterializzazione dello spazio urbano ante-litteram.

Testo di riferimento all’incrocio delle tre linee guida, Le città invisibili si presenta come una metafora della contemporaneità il cui valore letterario si riscontra nel lirismo poetico, nella brillante immaginazione messa in opera, ma anche nella combinatoria geometrica che ne regola l’impianto, e nella visionarietà dei temi messi in gioco. Sono temi non nuovi per Calvino, ma concentrati in modo particolare in un libro che, forse per questo motivo, è diventato un simbolo, una sorta di nuovo mito1 capace di descrivere il mondo moderno, il suo linguaggio, la scrittura e l’estetica di un universo digitale che l’autore non aveva conosciuto, ma di cui aveva intuito le priorità. Agli albori della rivoluzione cibernetica, Calvino aveva già abbozzato e costruito, attraverso la scrittura, il modo di vivere e giocare la città dentro al quale oggi siamo immersi.

Le città che viviamo e leggiamo oggi sono infatti nuove città invisibili, nate e sviluppate nel gioco della rete, grazie alle tecnologie digitali. Sono le città della rete: le mappe customizzate di Google, i percorsi del tram o del jogging quotidiano virtualizzati, i luoghi visitati, recensiti, dove ci siamo fermati a pranzare o dove abbiamo dormito, app legate in vario modo al territorio, al turismo, alla città. Ognuno di questi dispositivi è in grado di disegnare una nuova città, di risemantizzare quella di partenza secondo un preciso percorso attanziale orientato. L’investimento di un nuovo senso alla città procede attraverso la tecnologia e tramite pratiche, a essa direttamente connesse, che ricalcano i modi del gioco, trasformando il cittadino comune in giocatore della e sulla città. Tra la città classicamente intesa e la nuova città personalizzata e virtuale, si sono nel tempo stratificate pratiche di riscrittura urbana in chiave ludica, capaci di innescare cambiamenti decisivi e talvolta permanenti nella fruizione dello spazio cittadino, nel suo senso e nella sua percezione. Basti pensare, per fare solo un esempio, agli orti urbani, che attraverso il gioco hanno scardinato l’imperante dicotomia campagna-città, aprendo la via alle cosiddette pratiche “green” o, nella stessa direzione valoriale, alle giornate in bicicletta, attività classicamente legata alle pratiche di passatempo, svago e gioco al di fuori dello spazio urbano. Le Città di Calvino racchiudono e anticipano la tendenza al gioco sul

senso della città: sono il racconto – giocato nello spazio della scrittura - di città immaginarie, esistenti solo

dentro al testo e, nel testo stesso, capaci di farsi molteplici. Lo spazio della scrittura è sottoposto a regole, come un gioco, ma è anche territorio di libertà che, proprio facendo gioco, produce senso e si presta a sempre nuove interpretazioni e traduzioni.

2. La scacchiera come rete

Le Città invisibili esce nel 1972, nel pieno del cosiddetto periodo sperimentale calviniano. Il libro, come

è noto, riproduce un dialogo tra il viaggiatore Marco Polo e l’imperatore Kublai Khan, durante il quale il veneziano racconta al Khan ciò che ha visto nei propri viaggi, descrive città eteree, sognanti, rappresentando per l’imperatore, curioso di conoscere un impero sterminato, l’unica mediazione possibile con il mondo. Si tratta di un testo denso di temi, immagini, visioni: né romanzo né raccolta di racconti, è piuttosto simile, come suggerisce l’autore nella presentazione al volume, a un libro di poesie. Tralasciando le molteplici letture del testo, in questa sede interessa pertinentizzare la dimensione semiotica e spaziale. Di ogni città, Polo seleziona un aspetto che sembra caratterizzarla: si hanno così la città fatta a cerchi concentrici, quella di sole tubature, quella su palafitte, quella sospesa tra due crinali… è così cheassumono senso nel viaggio reale o metaforico di Marco Polo: ognuna di esse rappresenta un tassello su un’ideale mappa che riproduce, o cerca di farlo, i possedimenti sconfinati del Khan. Si tratta di una mappa che travalica la realtà e diventa invenzione pura, visione: se lo spazio del testo (cfr. Panosetti 2015) viene geometrizzato in un tentativo di mappatura, lo spazio rappresentato nel testo – le città –, per contro, si smaterializza e diventa, in termini calviniani, pulviscolare, leggero e molteplice. Le cittàsono luoghi immaginari, inesistenti, invisibili, eterei e potenziali.

L’aspetto su cui è interessante soffermarsi è quello precedentemente introdotto come spazio nel testo. Si tratta di individuare quella griglia figurale (cfr. Panosetti, 2007 e 2015) che, sul livello dell’espressione, suggerisce la forma dello schema geometrico sul quale è costruito il testo. Le Città, come altri libri di

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Il riferimento al potere di connotazione di un segno inserito nella vita sociale è naturalmente quello alle Mythologies di Roland Barthes (1957).

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Calvino (in particolare Il castello dei destini incrociati e Se una notte di inverno un viaggiatore, ma uno schema analogo si rintraccia anche nella strutturazione dei capitoli di Palomar) presentano una griglia topologico-geometrica, una sorta di mappa in base alla quale è organizzato il contenuto, a sua volta riprodotta per isomorfismo sul livello discorsivo-semantico. In questo specifico caso si rileva un’organizzazione per cui, all’interno di una cornice enunciazionale costituita da 9 corsivi, ovvero i dialoghi tra Polo e il Khan, si incastonano 55 descrizioni di città, a loro volta suddivise in 11 serie: le città e il desiderio, le città e i segni, le città e gli occhi e così via. Ogni serie è articolata in 5 città. Come si noterà, 55 più 9 fa 64, ovvero 8 al quadrato, esattamente il numero delle caselle di una scacchiera. Incontriamo dunque per la prima volta, nella struttura del libro, una figura del gioco che, non troppo sorprendentemente viste le considerazioni precedenti sull’isomorfismo, si rintraccia anche a livello semantico. Marco e Kublai, infatti, a un certo punto danno inizio a una partita a scacchi, mezzo di comunicazione giocoso attraverso cui dialogare e descrivere le città.

[fig. 1]

Lo schema precedente è un’elaborazione grafica della struttura delle Città realizzata da Claudio Milanini (1990) e approvata da Italo Calvino. Con riferimento alla geometria sottesa al libro Stefano Bartezzaghi (2004) commenta: “lo stato di quiete assicurato dalla simmetria iniziale è agitato dalla struttura a scalare: come un attacco progressivo sulla scacchiera, o come un volo di uccelli nel cielo, la freccia del diagramma si incunea nello schema e lo dinamizza” dando vita, si può dunque aggiungere, al percorso di scoperta di Marco Polo in forma di programma narrativo, dove il Khan ricopre il ruolo di mandante con l’intento di tenere sotto controllo i territori del proprio impero. Il gioco, attraverso lo schema della scacchiera, interviene nella scrittura come elemento da una parte creativo e dall’altra ordinatore: nell’introduzione Calvino (1972b) spiega di aver voluto “capire la forma e il senso da dare al libro”.

La scacchiera costituisce dunque il principio geometrico alla base del testo, una struttura – termine non innocente - combinatoria alla base dell’opera, incaricata di tenere insieme in una rete le città, “non è solo un oggetto simbolico carico di significati, ma è anche una mappa, un oggetto per riquadrare lo spazio, per rappresentarlo, è un punto di vista” (Belpoliti, 2006, p. 15). La conformazione del testo risponde a precise estetiche, quasi forme di gioco che in Calvino

estraggono la scrittura dalla figura e il diagramma dalla scrittura, con l’idea che non è possibile rinunciare alla ricerca di un ordine del mondo, anche se questo ordine non potrà che risultare convenzionale, insensato, precario. Un digramma convenzionale che rielabora una quantità di figure del mondo. Uno schema di gioco che risulta da un puntiglio, i cui motivi sono remoti nel tempo e sproporzionati alle sue stesse conseguenze. È lo stesso puntiglio che manteneva il Barone Rampante sul proprio albero: distaccato dalla superficie del mondo, e a lei sempre distaccatamente fedele (Bartezzaghi, 2010, p. 224)

Di fronte alla continuità e complessità del mondo, l’autore ligure sente l’esigenza di schematizzare: è lui stesso a rilevare la tendenza (Calvino, 1980b p. 54) “e oggi, il senso della complessità del tutto, il senso del brulicante o del folto o dello screziato o del labirintico o dello stratificato, è diventato necessariamente complementare alla visione del mondo che si vale di una forzatura semplificatrice, schematizzatrice del reale”47-54. Una tensione che, nel mondo del web, trova un analogo andamento dicotomico: alla complessità rizomatica e all’ammontare di enormi quantità di dati, si contrappone la necessaria schematizzazione, secondo un’estetica che vede la realtà “alleggerita, configurata in schemi e processi astraenti piuttosto che rappresentativi” (Granata, 2013, p. 8).

3. Il gioco delle Città

Dalla scacchiera del testo, alla scacchiera nel testo: Marco e Kublai iniziano una partita a scacchi:

Disponendo in un certo ordine gli oggetti sulle piastrelle bianche e nere e via via spostandoli con mosse studiate, l'ambasciatore cercava di rappresentare agli occhi del monarca le vicissitudini del suo viaggio, lo stato dell'impero, le prerogative dei remoti capoluoghi. Kublai era un attento giocatore di scacchi; seguendo i gesti di Marco osservava che certi pezzi implicavano o escludevano la vicinanza d'altri pezzi e si spostavano secondo certe linee. Trascurando la varietà di forme degli oggetti, ne definiva il modo di disporsi gli uni rispetto agli altri sul pavimento di maiolica. Pensò: "Se ogni città è come una partita a scacchi, il giorno in cui arriverò a conoscerne le regole possiederò finalmente il mio impero, anche se mai riuscirò a conoscere tutte le città che contiene". In fondo, era inutile che Marco per parlargli delle sue città ricorresse a tante cianfrusaglie: bastava una scacchiera coi suoi pezzi dalle forme esattamente classificabili.

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Se si procede con la classificazione celebre di Caillois (1958), il gioco della scrittura che intesse le Città rientra a pieno nei termini di un ludus, un gioco intellettuale, caratterizzato da regole precise che creano difficoltà e tensione rendendo l’arrivo al risultato più difficile, ma anche più atteso. Sul rapporto tra gioco e scrittura, geometria della scrittura e spazio del testo, Calvino (1972b) afferma nella presentazione alle Città: “un libro (io credo) è qualcosa con un principio e una fine (anche se non è un romanzo in senso stretto), è uno spazio in cui il lettore deve entrare, girare, magari perdersi, ma a un certo punto trovare un’uscita, o magari parecchie uscite, la possibilità d’aprirsi una strada per venirne fuori”. Il libro rappresenta quindi la

forma finita della scrittura, uno spazio con confini precisi, ma in cui lo scrittore, e poi il lettore, hanno una

certa libertà, possono in qualche modo giocare.

Com’è noto, Calvino faceva parte dell’Oulipo, gruppo di artisti-artigiani della parola, che sull’uso sistematico di contraintes - regole applicate ai testi sia sul piano dell’espressione che su quello del contenuto - basava la propria produzione letteraria, nella convinzione che solo così potesse sprigionarsi potenziale creativo. Mentre per una disamina delle caratteristiche e dell’attività dell’Oulipo si rimanda alla vasta letteratura sul tema2, qui basti citare ancora Bartezzaghi (2004)per entrare nel merito del rapporto tra Calvino, il gioco e la contrainte: “il ludus consisterà nell’esplorare tutte le potenzialità che non sono impedite dall’ostacolo, senza lasciarne inespressa alcuna”. Il senso dell’attività dell’Oulipo e dell’interesse di Calvino per la letteratura combinatoria si ritrova anche nella riflessione dell’autore ligure nell’introduzione a una raccolta di saggi di Raymond Queneau, altro scrittore-giocatore (Calvino, 1981): “La struttura è libertà, produce il testo e nello stesso tempo la possibilità di tutti i testi virtuali che possono sostituirlo. Questa è la novità che sta nell’idea della molteplicità “potenziale” implicita nella proposta di una letteratura che nasca dalle costrizioni che essa stessa sceglie e s’impone”. Si evidenzia così in modo più nitido un secondo legame tra scrittura e gioco: se da una parte il gioco è insieme di regole e contraintes, schema combinatorio fuori dai confini del quale non eccedere, dall’altra rivela il suo potenziale nella natura di spazi di movimento e libertà. Avere gioco significa potersi muovere, pur sempre all’interno dei vincoli creati dalla struttura.

Tra regole, relazioni e strutture si è mossa anche la semiotica, che dalla sua origine, con Ferdinand de Saussure, ha fatto della metafora del gioco, e soprattutto degli scacchi, (cfr. Idone Cassone, 2014) una delle sue figure per eccellenza. Si tratta di un riferimento imprescindibile per la teoria del linguaggio, metafora che dischiude le porte a un metalinguaggio figurativo, aspetto con il quale, circolarmente, si ritorna ancora una volta a Calvino e alle sue riflessioni metanarrative. La metafora degli scacchi si ritrova in Saussure (1922) e Hjelmslev (1970) come analogon di struttura, meccanismo regolatore del rapporto tra sistema e processo e delle relazioni e combinazioni di elementi tra loro. Più in generale, gli scacchi sono presenti in tutto lo strutturalismo, tanto che lo stesso concetto compare anche in un noto saggio calviniano del 1967, Cibernetica

e fantasmi, dove l’autore dichiara apertamente di essere influenzato dalla semiotica e dallo strutturalismo.

Calvino non cita infatti solo Vladimir Propp3 (1928) per evidenziare la ricorrenza di schemi combinatori in narrativa, ma allarga il discorso a un’idea di letteratura sempre più diffusa negli anni Sessanta, pronta a sfidare gli approcci metaletterari e i labirinti del Postmoderno. Queste le sue parole:

Al posto di quella nuvola cangiante che portavamo nella testa fino a ieri e del cui addensarsi o disperdersi cercavamo di renderci conto descrivendo impalpabili stati psicologici, umbratili paesaggi dell’anima, - al posto di tutto questo oggi sentiamo il velocissimo passaggio di segnali sugli intricati circuiti che collegano i relé, i diodi, i transistor di cui la nostra calotta cranica è stipata. Sappiamo che, come nessun giocatore di scacchi potrà vivere abbastanza a lungo per esaurire le combinazioni delle possibili mosse dei trentadue pezzi sulla scacchiera, così – dato che la nostra mente è una scacchiera in cui sono messi in gioco centinaia di miliardi di pezzi – neppure in una vita che durasse quanto l’universo s’arriverebbe a giocarne tutte le partite possibili. Ma sappiamo anche che tutte le partite sono implicite nel codice generale delle partite mentali, attraverso il quale ognuno di noi formula di momento in momento i suoi pensieri. (Calvino, 1980a)

È così che, con riferimento al tema del gioco e del web

the digital world seems to adhere precisely to Calvino’s idea of invisible city: a connective structure where everything is related to everything else, where the coordinates of space and time are found to be traced on staggered or layered levels. All in all, it is an idea that is similar in many ways to the kind of planetary brain, or the ultimate network of networks, the Internet, as well as a clear expression of cyberspace, the powerful label introduced by cyberpunk literature – thus the “invisible city” of the digital world (Granata 2014, p. 23)

2 Si citano qui, a titolo esemplificativo e non certo esaustivo: Aragona R. (2002); Campagnoli R., Hersant Y. (1973). 3

Il riferimento implicito è al Propp (1928) di Morfologia della fiaba, da cui discenderà l’interesse di Calvino per la combinatoria narrativa.

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Con un’ottica che scavalca la letteratura e guarda alla matematica e alla nascente cibernetica, Calvino (1980a) aggiunge nella sua conferenza che “l’uomo sta cominciando a capire come si smonta e come si rimonta la più complicata e la più imprevedibile delle macchine: il linguaggio”. Prosegue poi parlando degli esiti metaletterari di queste considerazioni e di una rinnovata attenzione al lettore, e cita esplicitamente il modello del percorso generativo di Greimas e l’Oulipo. D’altra parte anche Greimas (1995) non perde occasione per fare riferimento al gioco degli scacchi:

In quanto modello figurativo che ci aiuta a pensare il linguaggio, il gioco degli scacchi può ricevere una lettura pluri-isotopica. Prima di tutto, evidentemente, si tratta di un modello che permette di comprendere la natura di un "sistema di segni": ogni figura si definisce non già per quello che essa è, ma per il suo comportamento che la distingue da tutte le altre, il segno diventa in questo modo una pura posizione, il luogo di intersezione dei percorsi.

Oltre a considerare le regole del gioco un riferimento metasemiotico al linguaggio, Greimas (1995) individua anche il secondo aspetto del gioco sottolineato da Calvino e dall’Oulipo, quello di libertà: “Il gioco appare allo stesso tempo come un sistema di costrizioni formulabili in regole, e come un esercizio di liberta, come una distrazione. A prima vista tuttavia questa liberta consiste in un atto puntuale limitato all'entrata nel gioco attraverso un'assunzione volontaria delle regole costrittive”.

4. La città smaterializzata e digitale

Le Città si trovano dunque al centro di una duplice definizione di gioco come spazio chiuso e al contempo libero: la scrittura definisce una struttura, una cornice per lo sviluppo delle 55 città, ma ognuna di loro è in realtà uno spazio potenziale, costruito su una mancanza, su una sorta di vuoto imperfetto. Di metafora in metafora, lo spazio ludico del testo, generato dall’intersezione di un certo modo di intendere la scrittura, il gioco e lo spazio rappresentato, può costituire un riferimento, quasi una mappa, per un approccio contemporaneo alla città. Nel suo Parole in gioco, Ugo Volli (2009) gioca con le parole, mettendone in evidenza la mutevolezza semantica sia sull’asse sincronico che, soprattutto, su quello diacronico. Inserendo il termine gioco tra le parole correnti discusse nel volume, Volli riflette: “il gioco sarebbe dunque soprattutto un certo ambito di libertà, uno spazio separato in cui non si è più costretti a una posizione precisa. Quanto questa libertà di cambiare e di oscillare sia caratteristica del nostro tempo, è una questione che lascio alla riflessione dei nostri lettori”.

Calvino, si è già notato, nelle Città ha giocato con l’immaginazione e con la scrittura per ottenere il modello della città molteplice, disgregata, non più compatta ma potenziale, alleggerita di ogni gravità. Questo modello, pensato nel 1972, presenta un modo di intendere la città, il gioco e il senso che ha molto a che fare con un’estetica attuale, che lega il web, i dispositivi mobili e le pratiche da questi generati. Si assiste infatti oggi a una costante risemantizzazione e riscrittura degli spazi urbani in chiave ludica: la fine della città intesa come oggetto compatto e portatore di un senso percepito come stabile, l’inizio dell’era di una città alleggerita, invisibile e personalizzata perché digitalizzata attraverso il gioco.

Paolo Granata (2013), autore di un testo che mette in evidenza la profeticità di alcune idee di Calvino, non esista a definire l’autore “sapiente cartografo del mondo digitale” intuendo il valore di attualità di alcuni concetti sviluppati nelle Lezioni americane, tra cui vari temi anticipatori dell’attuale scenario dei cosiddetti nuovi media. Le Lezioni sarebbero schemi concettuali, griglie geometriche per inquadrare la complessità attuale, addirittura “meme”4 (Granata, 2014), sorta di cartine tornasole, mappe e indicazioni di percorso sul web. A fare da mediatore tra i cittadini e il mondo oggi non è infatti più Marco Polo, intessitore di trame geometriche, ma, in vari modi, l’estetica del digitale. Con Agata Piromallo Gambardella (2013) si può concordare sul fatto che nell’odierno mondo rizomatico e digitale: “tutto si è rarefatto in un gioco – in un videogioco - le città diventano non più luoghi dove si svolge una narrazione, ma esse stesse diventano narrazioni pressoché infinite. Soprattutto, questo tipo di città non è più la “nicchia” dove l’uomo delimita il suo spazio […] anche perché sembra che l’uomo non abbia più bisogno di nicchie dal momento che si rifugia in quelle delle comunità virtuali della rete”.

Il terreno di gioco non è più il testo-libro strutturato come una scacchiera sulla quale le città sono frammenti di un gioco che le descrive - ovvero le immagina - attraverso la scrittura. Il testo oggi è la città, spazio polimorfo all’interno del quale si muove il cittadino-giocatore. Ben calzano a questo proposito le parole di Volli (2005) sulla città:

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dal punto di vista semiotico, una realtà espressiva che si rinnova e si ridefinisce continuamente come la città si definisce come discorso, una pratica significante la quale però in ogni momento proietta alle sue spalle un testo. La città è viva, cambia materialmente e nel senso che proietta; ma in ogni suo tempo è stabile e leggibile come un libro. […] si tratta evidentemente di un testo complesso, stratificato nel tempo e variabile nello spazio, dunque sempre incompiuto, a rigore invisibile – spesso di un testo conflittuale, perché sulla faccia della città sono riconoscibili i diversi interessi che si misurano, si combattono, si alleano.

Come la scacchiera del testo-libro era spazio di negoziazione per la creazione di città immaginarie, spazio della partita a scacchi dove ognuno dei due giocatori aveva libertà di mossa - quindi di percorso - così oggi il campo di gioco è diventato la città stessa, leggibile come libro ma altrettanto inconsistenti. Spazio narrato attraverso un’estetica ludica, la città si fa spazio narrante con le stesse modalità del gioco: il suo territorio è una moderna scacchiera che ospita percorsi di senso innescati dai cittadini giocatori incaricati di ri-scriverla e per ridarle continuamente senso.

Come nelle Città invisibili, così nell’odierna città non esiste compattezza ma una sorta di sabbia, una sostanza pulviscolare che caratterizza l’estrema indefinibilità e la mobilità: la città attuale muta, si fa smart, riveste le sue parti di nuovo senso, cambia, si ri-scrive oggi ancora e più di prima grazie al web. Così commenta Giorgio Bertone (2012) cercando di individuare linee per l’attualizzazione del testo calviniano a quarant’anni dalla pubblicazione:

Tanto più forte è questa spinta al riuso figurativo della leggerezza fantastica e utopica di Calvino, quanto più […] ha preso il largo con il gran vento della digitalizzazione del mondo l’idea di “smart city” come soluzione totale rivoluzionaria di tutte le magagne socio-politico-urbanistiche: rivoluzione insieme ambientale, sociale, energetica, estetica. Una città, al limite, fatta di elementi componibili e intercambiabili, chiamati ancora cittadini, dotati di interconnessori e di sensori, tutti connessi tra loro e con l’Autorità di controllo, in un progetto di pan digitalizzazione dell’universo abitativo.

Questi processi implicano leggerezza – come quella delle città oniriche, dall’essenza spesso effimera, di puro sogno – e molteplicità, altra parola chiave rintracciata da Calvino. Come nel racconto delle Città, così nel racconto dell’attuale città vince la resa all’alleggerimento, scrive infatti Granata (2013): “l’inerenza al mondo che Calvino sembra suggerire – singolare vaticinio in relazione al portato simbolico dei nuovi media – va oltre il semplice rapporto mimetico con la realtà. Quest’ultima chiede di essere alleggerita, configurata in schemi e processi astraenti piuttosto che rappresentativi; è la logica del pensiero software”. Calvino (1988) lo aveva anticipato nelle Lezioni: “ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città: soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio”.

Ancora Granata (2013) suggerisce come oggi vivere la città sia uno “scivolamento nella pulviscolarità del mondo”, perché la città è mutevole e digitale. Impossibile non fare riferimento a Google Maps, che alleggerisce la materialità della mappa cartacea con il pulviscolo digitale dei pixel. Oppure a tutte le app collegate in vario modo a sistemi di geolocalizzazione e social networks: attraverso queste tecnologie la città diventa la nuova città invisibile: la comunicazione di un percorso, il suo racconto, la sua astrazione. Di conseguenza, i luoghi percorsi assumono nuovi sensi: una città diventa una conquistata meta di viaggio, le cui tappe sono segnalate con icone a forma di bandierina su una mappa digitale, lo stesso accade per singoli luoghi cittadini. Vivere la città diventa insomma un viaggio di scoperta come quello di Marco Polo: i percorsi si fanno giochi di esplorazione dello spazio e, come percorsi narrativi, si svolgono nella realtà digitale parallela. L’eroe è il cittadino, lettore di una storia in divenire, i cui spazi vanno riempiti di senso, come le pagine di un libro. Se oggi è facile mappare le città e i percorsi grazie ai dispositivi di geolocalizzazione che seguono passi e posizioni dandoci l’idea di giocare, questo schema non arriva tuttavia a garantire una conoscenza solida del mondo, ma porta anzi a una sua ulteriore smaterializzazione. Il mondo si riscrive continuamente attraverso giochi digitali, ogni città è un percorso possibile ma incompleto, dove permane uno spazio di gioco, un vuoto da riempire.

Dalla città vissuta, in un mondo digitale in cui trionfa la comunicazione scritta sotto forma di micro

blogging e post sui social media, oggi più che mai si può dire di essere passati a una città scritta, forse a una città libro. La mappa, oggi digitale, diventa più interessante del territorio stesso, le città sono vissute

attraverso i percorsi segnalati sullo spazio virtuale del web, attraverso le foto scattate e caricate dagli utenti. Attraverso, insomma, una rappresentazione. Sarà allora una città libro nella maniera in cui il testo calviniano costituiva una scacchiera: uno spazio racchiuso – spazio di gioco – sul quale scrivere nella libertà fornita dalle regole stesse di scrittura. Nello spazio della riflessione di Italo Calvino si incontrano letteratura e nuove tecnologie. È uno spazio di percorsi e scritture, social media e dinamiche del gioco del quale continuare con entusiasmo ad analizzare i fenomeni di senso in costante evoluzione e ridefinizione.

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Riferimenti bibliografici

Barenghi M. (2009) Calvino, Carocci, Roma.

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Universita degli Studi di Bergamo,

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