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L’ “esilio” italiano dei gesuiti spagnoli espulsi (1767-1798) : politica, economia, cultura

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Scuola Normale Superiore di Pisa

Classe di Lettere e Filosofia

Tesi di perfezionamento in discipline storiche

anno accademico 2004-2005

L’ “esilio” italiano dei gesuiti spagnoli

espulsi (1767-1798).

Politica, economia, cultura.

Relatore: Ch.mo Professore Mario Rosa

Candidato: Niccolò Guasti

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“I prîncipi gareggiarono nelle riforme, Carlo III e Ferdinando IV, Maria Teresa e Giuseppe II, Leopoldo, Carlo Emmanuele, e fino papa Ganganelli, che alla pubblica opinione offerse in olocausto i gesuiti”.

F. De Sanctis,

Storia della letteratura italiana, cap. XIX (La Nuova Scienza).

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Premessa

L’espulsione dei gesuiti dal Portogallo e dagli Stati borbonici (1758-1768) costituisce una delle vicende salienti del Settecento. Quell’episodio “colletti-vo”, che portò all’estinzione canonica della Compagnia di Gesù nel 1773, rap-presentò un’evidente cesura: non solo per la vita politica, economica e cultura-le dei paesi che decretarono la cacciata di un settore consistente del proprio clero regolare, ma anche per i nuovi equilibri che da allora si instaurarono tra gli Stati cattolici e Santa Sede. Una frattura che poté essere riassorbita sola-mente in seguito ad una ben più radicale e vasta discontinuità nella storia euro-pea, e cioè la Rivoluzione francese: non a caso nel 1814 il tentativo di restaura-re l’Antico Regime coincise con la rinascita ufficiale dell’ordine di San Igna-zio.

All’atto di iniziare una ricerca sulla crisi del ramo spagnolo della Compagnia nella seconda metà del XVIII secolo mi posi, com’è ovvio, la questione della prospettiva in base alla quale studiare il fenomeno. Dal momento che le storio-grafie iberica ed italiana hanno, fino a tempi recenti, sviluppato eminentemente la dimensione politica, la ricchezza degli studi mi portò inizialmente a privile-giare un taglio “convenzionale”: le espulsioni dei gesuiti e la successiva sop-pressione canonica rappresentarono effettivamente uno degli episodi centrali del conflitto che vide i partiti riformatori dei maggiori Stati cattolici tentare di limitare gli eccessivi privilegi del clero e della Santa Sede; sul terreno culturale la scomparsa dell’ordine regolare sorto con la Controriforma può essere consi-derato in senso lato una delle vittorie politiche più evidenti dei Lumi, in parti-colare dei philosophes francesi e dei funzionari regalisti presenti nelle ammini-strazioni borboniche.

Il successivo confronto con la documentazione manoscritta - i molteplici epi-stolari conservati nelle biblioteche e archivi italiani e la corrispondenza diplo-matica presente negli archivi centrali spagnoli - mi convinse dell’esigenza di integrare questa visione più classica con elementi diversi, che hanno finito per mutare la prospettiva globale della ricerca. Infatti i documenti provenienti dai gesuiti e dai funzionari che li avevano esiliati concordavano su un elemento: le difficoltà economiche degli espulsi. Questa constatazione, a prima vista margi-nale, pose il problema di come un’ampia comunità di religiosi stranieri riuscì a

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vivere e a integrarsi nel tessuto socio-economico dell’Italia pontificia (e, dopo il 1773, in quella del centro-nord) senza poter contare sulle antiche strutture dell’ordine e sul patrimonio beneficiale “nazionale” o locale. Parallelamente mi sembrò interessante che il gabinetto spagnolo, all’atto dell’espulsione, non solo avesse assegnato ai sacerdoti e ai coadiutori un vitalizio, ma avesse altresì organizzato un “fondo gesuitico” indipendente dal fisco i cui proventi sarebbe-ro stati destinati al finanziamento delle riforme, ma anche - se non soprattutto - al mantenimento degli oltre quattromila espulsi residenti all’estero. Fu soprat-tutto grazie a questa misera rendita che i gesuiti spagnoli furono in grado di sopravvivere durante le due tappe (1767-1798 e 1801-1815) del lungo esilio i-taliano. Che poi Carlo III decidesse di destinare una burocrazia ad hoc alla sorveglianza sul territorio pontificio degli ignaziani mi incuriosì ulteriormente, poiché dimostrava la volontà, da parte del gruppo dei funzionari che avevano combattuto e cacciato i gesuiti dalla monarchia spagnola, di mantenere con lo-ro un qualche legame, di fatto un contlo-rollo a distanza.

Il passo successivo è stato quello di verificare se e in quale misura l’erogazione della pensione pubblica - soggetta ad un’inevitabile erosione nel corso degli anni - avesse condizionato le scelte culturali, o almeno quelle edi-toriali, degli espulsi. Anche questa domanda è sorta - prepotentemente, direi - dall’esame della documentazione: tra le centinaia di petizioni che gli ignaziani spagnoli inviarono a Madrid nella speranza di ottenere un qualche aiuto finan-ziario che integrasse il vitalizio pubblico, quelle che sottolineavano i cosiddetti “meriti letterari” conobbero un picco notevole a cominciare dalla fine degli anni settanta in avanti. Appare chiaro che allora la pensione vitalizia si tra-sformò per scelta politica da strumento di disciplinamento a mezzo attraverso il quale instaurare un nuovo rapporto con gli espulsi in esilio: il governo spa-gnolo, per stessa esplicita ammissione dei diplomatici borbonici, avrebbe pre-miato con gratifiche economiche suppletive quei religiosi che si fossero impe-gnati a difendere l’“onore nazionale” screditato dagli stranieri. L’esasperato patriottismo di cui tanti gesuiti dettero allora mostra nelle loro opere a stampa non fu tanto un’anticipazione dei nazionalismi romantici ottocenteschi, quanto una reazione “indotta” dal governo spagnolo, in funzione di una ben precisa campagna di stampa di tipo propagandistico. Naturalmente nel corso della tesi

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evito di presentare questa lettura come un’interpretazione univoca e generale: l’immensa produzione editoriale degli espulsi - a tutt’oggi non catalogata spe-cificamente - e la ricchezza di sensibilità culturali all’interno dell’ex Assisten-za spagnola in esilio rendono rischioso qualsiasi tentativo di ridurre a un’unica formula interpretativa fenomeni culturali spesso diversi. Ho comunque reputa-to necessario insistere su quesreputa-to elemenreputa-to per richiamare l’attenzione degli studiosi italiani, i quali troppo spesso tendono a circoscrivere le attività cultu-rali dei gesuiti iberici alla nostra penisola, mentre invece questi cercarono di ricostruire un dialogo a distanza con il governo che li aveva esiliati. Analizzare le opere provenienti dall’ex Assistenza spagnola alla luce dei dibattiti italiani è certamente indispensabile, ma misconoscere il loro legame con la “patria per-duta” significa ignorare una faccia della stessa medaglia.

La struttura della tesi riflette il percorso di ricerca ora delineato. Nella breve introduzione ho cercato di sintetizzare, partendo dai tanti lavori prodotti - an-che di recente - dalla storiografia spagnola, i tanti aspetti del conflitto politico che portò all’espulsione e alla sua organizzazione: ho reputato superfluo ripe-tere ciò che anni di studi hanno ampiamente dimostrato, preferendo fornire al-cune coordinate bibliografiche e le chiavi di lettura interpretative essenziali per comprendere i tratti salienti dell’“esilio” italiano dei gesuiti iberici.

Nel primo capitolo ho invece affrontato le vicende successive all’espulsione da una prospettiva eminentemente economica: dopo aver illustrato le strategie pratiche di sopravvivenza, in base alle quali l’Assistenza spagnola in esilio ten-tò di ripensare una propria identità e una struttura amministrativa efficiente, ho affrontato il nodo della pensione vitalizia confrontandolo con la congiuntura economica e politica italo-spagnola degli anni settanta/novanta. Sebbene sia stato costretto a privilegiare una dimensione “qualitativa”, il confronto tra i ci-cli economici e il potere d’acquisto del vitalizio percepito dagli ignaziani iberi-ci dimostra l’esistenza di una tendenza inflattiva che finì per impoverire gra-dualmente l’intera comunità gesuitica spagnola, in particolare coloro che non erano riusciti ad integrare il proprio “bilancio domestico” con altre fonti di reddito.

Nel corso del secondo capitolo ho cercato di fornire un quadro preliminare del processo di graduale integrazione degli espulsi nella struttura

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economico-sociale dell’Italia del centro-nord; anche in questo caso l’assenza di statistiche quantitative o prosopografiche mi ha costretto a privilegiare un approccio “qualitativo”, seguendo cioè le vicende di poche decine di gesuiti, nel tentativo di isolare alcune tendenze rappresentative di fenomeni generali. Al termine di questa sezione, nell’analizzare i rapporti dei gesuiti con le istituzioni scolasti-che e culturali italiane, ho anticipato alcuni concetti poi sviluppati nel prosie-guo del lavoro.

Il terzo capitolo rappresenta il “cuore” della tesi poiché mi sono prefisso di analizzare le strategie culturali dei gesuiti spagnoli nei confronti dei Lumi. Da un punto di vista culturale - e quindi ideologico e politico - anche nell’ex Assi-stenza spagnola si distinsero con chiarezza due linee di pensiero: un primo set-tore continuò a rimanere fedele alla tradizione di studi controriformistica, rifiu-tando qualsiasi contatto con la “moderna filosofia” e perseguendo un evidente impegno polemico in difesa della Santa Sede; un secondo gruppo cercò invece di sviluppare un dialogo proficuo con i ceti riformatori italiani e la cultura il-luministica, nel tentativo di depotenziare la carica eversiva dei Lumi e delle ri-forme ad essi riconducibili. A ben vedere entrambi questi sviluppi sono coe-renti con la tradizione di studi gesuitica, in quanto specchio fedele delle due anime - quella polemica/controversistica e quella missionaria/sincretica - che avevano reso grande la Compagnia e i suoi intellettuali. In questo quadro il fal-limento del dialogo di un importante gruppo di gesuiti valenzano-catalani capi-tanato da J. Andrés con gli accademici e i riformatori fiorentini illustra le diffi-coltà e i limiti di quell’operazione culturale che cercò di adattare alcuni aspetti della cultura illuministica al Cattolicesimo.

Nel quarto e ultimo capitolo ho infine tentato di analizzare due questioni che reputo strettamente connesse. Partendo dall’analisi della vulgata negativa che da secoli gravava sulla storia spagnola - la cosiddetta leyenda negra - inopina-tamente rivitalizzata dai philosophes francesi e scozzesi (oltre che dai letterati italiani), ho cercato di illustrare le ragioni che resero interessante agli occhi del governo di Carlo III (in particolare del pragmatico segretario di Stato J. Moñi-no, conte di Floridablanca) le potenzialità propagandistiche degli espulsi. Pas-so quindi ad esaminare le caratteristiche di quel tacito “do ut des” che si verifi-cò a cominciare dalla fine degli anni settanta tra Madrid e gli espulsi, allo

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sco-po di stabilire in che misura la prospettiva di integrare il sempre più misero reddito attraverso gratifiche una tantum e il raddoppiamento della pensione condizionò le scelte culturali di tanti ignaziani iberici. Nello stesso tempo mi sono prefisso di non sottovalutare il lento processo di ricostruzione di un rap-porto proficuo e collaborativo tra i gesuiti esiliati e l’intellighenzia patria lega-ta al potere centrale e alle tradizioni culturali “locali” delle lega-tante Spagne.

Il lavoro si conclude con l’analisi delle contraddizioni del riavvicinamento tra governo ed espulsi, dovuto essenzialmente a ragioni opportunistiche, partendo da alcune vicende significative che videro come sfortunati protagonisti vari i-gnaziani di ogni Provincia.

Per quanto concerne la trascrizione dei documenti, ho deciso di adottare non il diffuso criterio diplomatico ma quello interpretativo. Il castigliano della se-conda metà del Settecento è di fatto una via di mezzo tra l’attuale spagnolo e quello seicentesco; inoltre la sua forma varia molto a seconda dello scrivente, per cui si assiste ad una difformità di grafie, spesso all’interno di uno scambio epistolare o, addirittura, di un solo dispaccio. Ho quindi reputato più utile e corretto unificare le norme grafiche allo scopo di facilitare la comprensione dei documenti spagnoli ai lettori italiani, salvando tuttavia le vacillazioni grafico-fonetiche e gli italianismi più significativi.

Riguardo alle indicazioni relative al riconoscimento dei singoli documenti, ho solitamente mantenuto la fogliatura archivistica; laddove la fogliatura è assente o confusa, ho scelto di citare unicamente l’autore, il destinatario e la data della lettera, sottolineando con la sigla s. f. (senza fogliatura) la mancanza della nu-merazione. Per districarsi meglio tra le filze - di cui ho mantenuto la dizione spagnola legajo - conservate nell’“Archivo del Ministerio de Asuntos Exterio-res” (AMAE), ho deciso di fornire quante più coordinate possibili, indicando la natura dei dispacci, sempre seguiti dall’anno: quelli provenienti da Madrid so-no definiti con le iniziali R. Ó. (Reales Órdenes), mentre le risposte degli am-basciatori sono distinte con O. E. (Oficios de la Embajada). La formula expe-diente definisce invece un “fascicolo” riguardante un caso specifico o una sin-gola persona.

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Introduzione.

Le cause e l’organizzazione dell’espulsione dei gesuiti spagnoli.

Le ragioni - contingenti e di lunga durata - che portarono all’espulsione dei gesuiti dalla monarchia spagnola sono state da tempo enucleate dalla storiogra-fia1. L’esilio decretato da Carlo III appare l’epilogo di un’aspra lotta politica che, iniziata alla fine del regno di Filippo V, termina appunto con la cacciata della Compagnia di Gesù nel corso del 1767. Durante i primi anni del regno di Carlo III (1759-1766), infatti, i gesuiti - i quali avevano fino ad allora control-lato, attraverso i propri confessori, la coscienza dei sovrani borbonici2 -

1

La bibliografia sull’espulsione è molto ampia; negli ultimi dieci anni sono usciti contributi importanti. Mi limito a ricordare i principali: J. M. March, El restaurador

de la Compañía de Jesús, beato José Pignatelli y su tiempo, Barcelona, Imprenta

Revista Ibérica, 2 vol., 1935 (ed. italiana: Torino, 1938); F. Venturi, Settecento

Riformatore, Torino, Einaudi, II (La chiesa e la repubblica dentro i loro limiti, 1758-1774), 1976, pp. 44-64; R. Olaechea, En torno al ex-jesuita Gregorio Iriarte hermano del Conde de Aranda, in “Archivum Historicum Societatis Iesu”, XXXIII, 1964, pp.

157-234; Id., El anticolegialismo del Gobierno de Carlos III, in “Cuadernos de investigación de Logroño”, n. 4, 1976, pp. 53-90; Id., Política anticolegialista del

gobierno de Carlos III, in AA. VV., II Simposio sobre el Padre Feijoo y su siglo,

Oviedo, Facultad de Filosofía y Letras - Centro de Estudios del Siglo XVIII, t. II, 1983, pp. 207-246; M. Batllori, La cultura hispano-italiana de los jesuitas expulsos.

Españoles - hispanoamericanos - filipinos (1767-1814), Madrid, Ed. Gredos, 1966; T.

Egido, La expulsión de los jesuitas de España, in R. García Villoslada (a cura di),

Historia de la Iglesia en España, vol. IV (La Iglesia en la España de los siglos XVII y XVIII), Madrid, Biblioteca de Autores Cristianos, 1979, pp. 745-792; T. Egido e I.

Pinedo, Las causas “gravísimas” y secretas de la espulsión de los jesuitas por Carlos

III, Madrid, Fundación Universitaria Española, 1994; J. A. Ferrer Benimeli, La expulsión y extinción de los jesuitas según la correspondencia diplomática francesa,

Zaragoza - S. Cristóbal, Universidad de Zaragoza - Universidad Católica del Táchira, vol. 1 (1766-1770), 1993; vol. 2 (Córcega y Paraguay), 1996; vol. 3 (1770-1773), 1998; J. M. Benítez i Riera, L’espulsione dei gesuiti dalla Spagna al tempo di Carlo

III, in AA.VV., Expulsions i exilis: hebreus, moriscos, jesuïtes, guerra civil. Espulsioni ed esilii in Spagna, Roma, Associació “Catalans a Roma”, 1996, pp.

69-83; E. Giménez López (a cura di), Expulsión y exilio de los jesuitas españoles, Alicante, Publicaciones de la Universidad de Alicante, 1997; Id. (a cura di), Y en el

tercero perecerán. Gloria, caída y exilio de los jesuitas españoles en el siglo XVIII,

Alicante, Publicaciones de la Universidad de Alicante, 2002; M. Tietz (a cura di), Los

jesuitas españoles expulsos. Su imagen y su contribución al saber sobre el mundo hispánico en la Europa del siglo XVIII, Madrid-Frankfurt am Main,

IberoAmericana-Vervuert, 2001; C. E. O’Neill, J. M. Domínguez (a cura di), Diccionario Histórico de

la Compañía de Jesús. Biográfico-temático [DHCJ], Roma-Madrid, Institutum

Historicum Societatis Iesu - Universidad Pontificia Comillas, 4 voll., 2001, in particolare vol. 1, pp. 878-880 e vol. 2, pp. 1347-1364 (voci Compañía de Jesús e

Expulsión y exilio). Sull’espulsione della Compagnia di Gesù dalla Spagna segnalo

inoltre il sito internet, curato da E. Giménez López, http://www.cervantesvirtual.com. 2

F. Alcaraz Gómez, Jesuitas y reformismo. El padre Francisco de Rávago

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regalisti-buirono a boicottare con successo una serie di riforme di carattere regalistico che l’eterogeneo “partito” riformatore, guidato dal ministro siciliano Squillace, aveva tentato di varare: in particolare l’intervento della Compagnia si era rive-lato fondamentale nel ritardare e quindi affossare un innovativo (almeno per la realtà iberica) progetto di legge limitativo delle mani morte avanzato dal fiscal del Consiglio di Castiglia, P. Rodríguez de Campomanes3.

I protagonisti del processo di espulsione furono un pugno di funzionari e giu-risti - tra i quali spiccano Campomanes stesso e il ministro di Grazia e Giusti-zia M. Roda4 - appartenenti al cosiddetto “partito” tomista o manteísta e cioè a quella fazione della burocrazia iberica che si era formata presso i collegi e le università minori gestite dagli ordini regolari “nemici” della Compagnia5.

che che percorsero tutto il Settecento spagnolo cfr. l’ottima sintesi di T. Egido, El

Re-galismo y las relaciones Iglesia-Estado en el siglo XVIII , in García Villoslada (a cura

di), Historia de la Iglesia..., cit., pp.123-249. 3

Sulla formazione, le riforme e i compiti istituzionali di Campomanes durante i regni di Carlo III e Carlo IV cfr. R. Krebs Wilckens, El pensamiento histórico, político y

económico del Conde de Campomanes, Santiago de Chile, Universidad de Santiago

de Chile, 1960; L. Rodríguez, Reforma e Ilustración en la España del siglo XVIII:

Pedro Rodríguez de Campomanes, Madrid, Fundación Universitaria Española, 1975;

G. Imbruglia, Qualche nota sul conte di Campomanes, in “Rivista Storica Italiana”, XCIV, 1, 1982, pp. 204-229; A. Álvarez de Morales, El pensamiento político y

jurídico de Campomanes, Madrid, Instituto Nacional de Administración Pública,

1989; C. de Castro, Campomanes. Estado y reformismo ilustrado, Madrid, Alianza Universidad, 1996; M. Coronas González, Ilustración y derecho. Los fiscales del

Consejo de Castilla en el siglo XVIII, Madrid, Ministerio para las Administraciones

Públicas, 1992; V. Llombart, Campomanes, economista y político de Carlos III, Madrid, Alianza, 1992; J. M. Vallejo García-Hevía, La Monarquía y un ministro,

Campomanes, Madrid, Centro de Estudios Políticos y Constitucionales, 1997; S. M.

Coronas González (a cura di), Campomanes o el triunfo del mérito. Exposición

conmemorativa en el II centenario de su fallecimiento, Oviedo, Gobierno del

Principado de Asturias - Ayuntamiento de Tineo, 2002; D. Mateos Dorado (a cura di),

Campomanes doscientos años después, Oviedo, Publicaciones de la Universidad de

Oviedo - Instituto Feijoo de Estudios del siglo XVIII, 2003. Sugli avvicendamenti ministeriali e la lotta politica che caratterizzò il secondo Settecento spagnolo molto utile J. A. Escudero, Los orígines del Consejo de ministros en España, Madrid, Edito-ra Nacional, 2 voll., 1979, in particolare 1, pp. 303-659.

4

Su Roda ministro di Grazia e Giustizia di Carlo III cfr. I. Pinedo, Manuel de Roda.

Su pensamiento regalista, Zaragoza, Institución Fernando El Católico, 1983; Id., Manuel de Roda y Arrieta ministro de Carlos III, in “Letras de Deusto”, XII, 1982,

pp. 97-110; Id., Manuel de Roda (Secretario de Gracia y Justicia de Carlos III), in “Razón y Fé”, n. 250, 1982, pp. 253-262.

5

Manteísta deriva dal termine manteo, cioè quel vestito lungo, simile all’abito talare, che indossavano per tradizione gli studenti universitari; la definizione finì per assu-mere una connotazione dispregiativa poiché qualificava coloro che si erano diplomati - solitamente in legge: i cosiddetti golilas - presso i collegi e le università “minori”, sprovviste dei mezzi economici e umani dei colegios mayores e delle Università più

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nostante che gli amici e gli ex allievi dei gesuiti costituissero ancora la mag-gioranza dei quadri dell’amministrazione borbonica, il combattivo gruppo di funzionari tomistas, efficacemente coadiuvato dal confessore regio, il france-scano J. Eleta, riuscì ad orientare Carlo III e l’intero governo verso l’espulsione. L’occasione giusta venne offerta dal cosiddetto Motín de Esqui-lache, scoppiato a Madrid durante la Pasqua del 1766, che portò alla caduta del potente ministro italiano. Di fatto la sollevazione madrilena fu la prima di una serie di rivolte che scossero tutta la monarchia: i tumulti erano una reazione delle plebi cittadine e rurali alle riforme approvate dal governo (in particolare da Squillace e Campomanes) in materia di commercio granario; solo a Madrid il tumulto sembrò pilotato da elementi appartenenti ai ceti privilegiati, clero compreso.

Per far luce sulle cause e i protagonisti delle rivolte, il sovrano - su consiglio di Roda - nell’aprile 1766 decise di istituire un’inchiesta segreta, la cui dire-zione venne affidata a una sala speciale del Consiglio di Castiglia, costituita per l’occasione, denominata Consejo Extraordinario6. Di fatto fu questa giunta

celebri a loro collegate. Tomista definiva per antitesi chiunque fosse nemico della

Compagnia: in particolare quei manteístas - spesso legati a professori domenicani, agostianiani e francescani - che avevano subìto una strenua discriminazione nella loro carriera da parte dei colegiales mayores: cfr. M. Irles Vicente, Tomismo y jesuitismo

en los tribunales españoles en vísperas de la expulsión de la Compañía, in Giménez

López (a cura di), Expulsión y exilio..., cit., pp. 41-63. 6

L’organico del Consejo Extraordinario venne gradualmente aumentato, adeguando-lo così alle competenze sempre più ampie che Caradeguando-lo III decise di affidargli. Alla sua fondazione (27 aprile 1767) la sala speciale del Consiglio di Castiglia era composta da Aranda, dal fiscal de lo civil, dall’escribano de la Cámara J. Payo Sanz e dal con-sigliere M. M. de Nava y Carreño. Il 13 giugno successivo, su richiesta di Campoma-nes, il sovrano aggregò alla sala altri due consiglieri di orientamento tomista, P. Ric y Egea e L. del Valle Salazar, allo scopo di far fronte alle nuove funzioni amministrati-ve assegnate alla commissione gesuitica; lo stesso fenomeno si ripetè all’inizio di set-tembre, quando vennero aggiunti altri due consiglieri con il compito specifico di oc-cuparsi dei beni confiscati alla Compagnia nelle colonie. In questo stesso periodo Campomanes accettò di condividere con J. Moñino (nominato fiscal de lo penal il 31 agosto 1766) il compito di guidare la commissione gesuitica. Inoltre il 9 novembre 1767 Calo III decise di associare al Consejo Extraordinario cinque vescovi dai risa-puti sentimenti antigesuitici: J. J. Rodríguez de Arellano (arcivescovo di Burgos), J. Sáenz de Buruaga (arcivescovo di Saragozza), J. Molina (vescovo di Albarracín), J. Tormo (vescovo di Orihuela) e J. Laplana (vescovo di Tarazona). La loro funzione precipua era quella di coadiuvare gli altri membri laici nell’amministrazione delle

temporalidades gesuitiche. L’ultimo incremento di organico avvenne il 18 giugno

1772, quando J. F. de Albinar - terzo fiscal con giurisdizione sull’ex Corona d’Aragona (dal 1769) - venne coinvolto nei lavori della commissione. Cfr. Vallejo García-Hevía, La Monarquía y un ministro..., cit., pp. 212-219.

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ridotta del supremo organo di governo della monarchia a gestire dapprima l’inchiesta e poi il processo politico-amministrativo che portò all’espulsione: il Consejo Extraordinario, da subito in mano al fiscal de lo civil Campomanes e al partito tomista, riuscì infatti a dirigere la repressione contro la sola Compa-gnia sfruttando l’emozione e la paura che le sollevazioni popolari avevano su-scitato nei ceti privilegiati e nell’animo di Carlo III. L’esempio portoghese (il tumulto di Oporto, la congiura di Malagrida, ecc.) divenne quindi un utile ter-mine di riferimento per il partito antigesuita spagnolo; si può anzi affermare che la strategia politica che condusse all’espulsione dei gesuiti spagnoli venne chiaramente ispirata dal precedente lusitano del 17597.

Campomanes, in particolare, si dimostrò abilissimo nel selezionare quelle te-stimonianze - molte delle quali artefatte - che sembravano inchiodare i gesuiti. Se in un primo momento la responsabilità dei motines era stata attribuita al po-polino, all’inizio dell’estate il campo si era già ristretto ad una parte dello sta-mento ecclesiastico: l’escalation si concluse con la consulta del Consejo E-xtraordinario dell’11 settembre 1766, nella quale Campomanes formalizzò una specifica accusa nei confronti dei soli gesuiti. Il passo successivo fu quello di ottenere la ratifica dell’episcopato: compito che istituzionalmente spettava a Roda. Il 20 novembre 1766 il ministro di giustizia indirizzò ai 56 vescovi spa-gnoli una carta circular nella quale, dopo aver riassunto i crimini commessi dalla Compagnia (sempre definita in codice: “N. eclesiástico”), chiedeva “con la prontitud y secreto que pide la materia” che essi fornissero la loro opinione sulla possibilità di cacciare i gesuiti “por vía económica y sin ofender los dere-chos de la inmunidad”. Alla fine del marzo successivo solo 8 vescovi (tutti di orientamento antigesuitico) avevano risposto, quando ormai l’espulsione era stata decretata da più di un mese; Roda e il partito tomista ebbero perciò gioco facile nell’interpretare l’indifferenza della maggioranza dell’episcopato e la debolissima protesta suscitata dall’iniziativa come un silenzio-assenso.

7

Cfr. P. Rodríguez de Campomanes, Dictamen fiscal de expulsión de los jesuitas de

España (1766-67), Madrid, Fundación Universitaria Española, 1977, §§ nn. 282, 387,

392, 409, 419, 444, 504, 632-635, 709; E. Giménez López, La ‘extirpación de la mala

doctrina’. Los inicios del proceso de extinción de la Compañía de Jesús (1767-1769),

in Id. (a cura di), Expulsión y exilio..., cit., pp. 229-256; Id., Portugal y España ante

la extinción de los jesuitas, in Tietz (a cura di), Los jesuitas españoles expulsos..., cit.,

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L’atto di accusa definitivo nei confronti della Compagnia venne stilato da Campomanes con il suo celebre dictamen presentato alla giunta straordinaria il 31 dicembre 1766: in esso il fiscal, adattando al caso spagnolo gli argomenti della letteratura antigesuitica nazionale ed europea, accusava esplicitamente la Compagnia di aver organizzato un colpo di Stato, chiedendone la cacciata dal-la Spagna in base all’accusa di lesa maestà8.

La linea dura caldeggiata da Campomanes venne spalleggiata da Roda ed E-leta che riuscirono a convincere il sovrano. Il ministro di Grazia e Giustizia - autore dei documenti governativi, compresi il decreto d’espulsione del 27 feb-braio e la celebre prammatica sanzione del 2 aprile 1767, che sancirono di fatto l’esilio9 - assegnò astutamente l’organizzazione logistica dell’operazione al

8

Cfr. J. Cejudo e T. Egido, Introducción a Rodríguez de Campomanes, Dictamen

fiscal..., cit., pp. 5-40. Nel corso del testo il fiscal rielaborava alcuni dei topoi negativi

della “leggenda nera” che gravava da almeno due secoli sulla Compagnia; la letteratu-ra antigesuita spagnola, in particolare, aveva tletteratu-ratto dalle accuse contenute negli scritti di J. de Palafox y Mendoza il suo punto di riferimento argomentativo: il vescovo messicano aveva infatti censurato i gesuiti per i loro comportamenti - il lassismo mo-rale, le pratiche idolatriche (i famosi riti cinesi), lo sfruttamento degli indigeni, la riot-tosità a sottomettersi alle autorità ecclesiastiche e pubbliche ecc. - finendo così per trasformarsi nell’icona indiscussa dell’episcopalismo antigesuita iberico. Cfr. al ri-guardo E. M. ST. Clair Segurado, Flagellum iesuitarum: la polémica sobre los

jesuitas en México (1754-1767), Alicante, Servicio de Publicaciones de la

Universidad de Alicante, 2005; Id., El obispo Palafox y la cuestión de los ritos chinos

en el proceso de extinción de la Compañía de Jesús, in E. Giménez López (a cura di), Y en el tercero..., cit., pp. 121-145. Un altro momento importante per la formazione di

una coscienza antigesuita dei funzionari manteístas venne rappresentato dalla cosid-detta ribellione del Paraguay del 1751-1754 legata all’applicazione del tratado de

lí-mites stipulato nel 1750 tra Spagna e Portogallo: anche questo episodio viene

ampia-mente sviscerato da Campomanes nel suo dictamen. La bibliografia relativa agli igna-ziani nel Paraguay è ricchissima. Mi limiuto quindi a ricordare G. Kratz, El Tratado

hispano-portugués de Límites de 1750 y sus consecuencias. Estudio sobre la aboli-ción de la Compañía de Jesús, Roma, Institutum Historicum Societatis Iesu, 1954; A.

Armani, Città di Dio e citta del Sole: lo “Stato” gesuita dei Guaraní (1609-1768), Roma, Studium, 1977; Alcaraz Gómez, Jesuitas y reformismo..., cit., pp. 666-695; J. C. Garavaglia, I gesuiti del Paraguay: utopia e realtà, in “Rivista Storica Italiana”, XCIII, 1981, pp. 269-314; G. Imbruglia, L’invenzione del Paraguay. Studio dell’Idea

di comunità tra Seicento e Settecento, Napoli, Bibliopolis, 1983. Sull’antigesuitismo

europeo tra Sei e Settecento cfr. invece S. Pavone, Le astuzie dei gesuiti. Le false

I-struzioni Segrete della Compagnia di Gesù e la polemica antigesuita nei secoli XVII e XVIII, Roma, Salerno, 2000; Id., ‘Ribelli, seduttori, machinatori, impostori’: il com-plotto gesuita e la sua origine secentesca, in “Roma moderna e contemporanea”, XI,

2003, pp. 195-228; DHCJ, 1, pp. 178-189. 9

Cfr. il testo della prammatica del 2 aprile 1767 in García Villoslada (a cura di),

Hi-storia de la Iglesia..., cit., pp. 813-816. L’articolo XII imponeva agli espulsi il divieto

di “enseñar, predicar ... confesar” nello Stato della Chiesa; il paragrafo XV vietava i contatti espistolari con amici e familiari, mentre i capi XVI-XVII sancivano la

(14)

cosi-neo-presidente del Consiglio di Castiglia, P. P. Abarca de Bolea y Ximénez de Urrea, conte di Aranda10. Legato a filo doppio alla Compagnia (J. Pignatelli era suo cugino), Aranda possedeva una mentalità “prussiana” tipica del “parti-to aragonese” - e cioè della nobiltà e della burocrazia proveniente dall’ex Co-rona d’Aragona presente a corte - da lui capeggiato: Grande di Spagna e gene-rale in capo dell’esercito, egli ubbidì alle direttive superiori con efficienza. All’inizio di marzo gli ordini relativi all’esecuzione dell’espulsione in America erano già stati inviati da Madrid alle autorità coloniali; i funzionari tomistas avevano infatti deciso di realizzare nello stesso giorno l’arresto degli ignaziani in ogni luogo della monarchia allo scopo di evitare possibili reazioni e resi-stenze (popolari, ma anche da parte di ampi settori dei ceti privilegiati)11.

detta “ley del silencio” e cioè il divieto di scrivere o pubblicare opere riguardanti

l’espulsione. Inoltre coloro che avrebbero cercato di ritornare clandestinamente in Spagna sarebbero stato trattati come “reos de Estado”. Gran parte di queste norme - a cominciare proprio dai paragrafi XII e XV - verrano ampiamente disattese negli anni successivi.

10

Su Aranda e il partito aragonese cfr. R. Olaechea, El conde de Aranda y el “Partido

Aragonés”, Zaragoza, Facultad de Filosofía y letras, 1969; R. Olaechea e J. I. Gómez, El Partido aragonés y la política ilustrada en España, in G. Pérez e G. Redondo (a

cura di), Los tiempos dorados. Estudios sobre Ramón Pignatelli y la Ilustración, Zaragoza, Gobierno de Aragón, 1996, pp. 191-223; E. Lluch, Las Españas vencidas

del siglo XVIII. Claroscuros de la Ilustración, Barcelona, Crítica - Grijalbo

Mondadori, 1999 (1ª ed. catalana: 1996); A. Ferrer Benimeli, El conde de Aranda:

mito y realidad de un político aragonés, in J. A. Ferrer Benimeli, E. Sarasa, E.

Serrano (a cura di), El Conde de Aranda y su tiempo, Zaragoza, Institución “Fernando El Católico”, 2 voll., 2000, vol. 2, pp. 247-257; J. Fayard e R. Olaechea, Notas sobre

el enfrentamiento entre Aranda y Campomanes, in “Pedralbes”, n. 3, 1983, pp. 5-42;

R. Olaechea e J. A. Ferrer Benimeli, El Conde de Aranda. Mito y realidad de un

político aragonés, Zaragoza, Diputación Provincial de Huesca – Ibercaja, 1998 (2ª

ed.). 11

Aranda stabilì le modalità concrete dell’arresto e della deportazione nella

Instrucción de lo que deberán ejecutar los Comisionados para el extrañamiento y ocupación de bienes y haciendas de los jesuitas en estos Reinos de España e Islas adiacentes, en conformidad de lo resuelto por S. M.. L’originale, datato 1 marzo 1767

e firmato da Aranda si trova in AGS, Gracia y Justicia, legajo 690. Il testo è stato ri-prodotto in García Villoslada (a cura di), Historia de la Iglesia..., cit., pp. 807-812 (appendice IV). Questa instrucción venne successivamente seguita da altri documenti (sempre stampati) inerenti la modalità della confisca dei beni gesuitici e da una

adi-ción riguardante le colonie: Aranda, infatti, aveva individuato nell’uniformità

(“uni-formidad de reglas”) e nella contemporaneità dell’operazione (“unidad de tiempo”) i due criteri guida che ne potevano garantire il successo. Il 6 marzo il presidente del Consiglio di Castiglia ordinò di spedire i decreti d’espulsione e le proprie

instruccio-nes nelle colonie attraverso il servizio postale marittimo che collegava Cadice a La

Habana; i plichi, giunti a Cuba, sarebbero poi stati ripartiti in tutte le province ameri-cane e filippine con staffette navali e terrestri. Ogni incartamento era accompagnato da una lettera autografa del conte aragonese, sempre datata 20 marzo, nella quale si

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Il 31 marzo 1767 scattava la prima fase dell’espulsione, non a caso denomi-nata “operación sorpresa”: i reggimenti di stanza nella capitale occuparono nottetempo i collegi e gli immobili che l’Ordine possedeva a Madrid; il giorno successivo la stessa sorte toccò a tutte le 142 sedi gesuitiche presenti sul terri-torio della monarchia con un’operazione congiunta e perfettamente coordinata. L’esercito riuscì infatti ad arrestare e a condurre nel giro di poche ore in appo-siti centri di raccolta i circa 2500 gesuiti appartenenti alla quattro Province me-tropolitane dell’Assistenza spagnola; i procuratori, invece, rimasero a disposi-zione dei funzionari borbonici incaricati della confisca e della confedisposi-zione degli inventari dei beni mobili ed immobili per due mesi. Più lunga e complicata del previsto - a causa delle enormi distanze e degli oggettivi ostacoli logistici - si rivelò invece l’operazione militare in America (dall’Argentina alla California) e nelle Filippine.

La seconda tappa della cacciata dei gesuiti - e cioè il trasporto marittimo dei religiosi verso la Stato della Chiesa - terminò invece in ben altra maniera: le difficoltà nel reperire e rifornire un’ingente flotta con la quale deportare i ge-suiti nello Stato pontificio fecero subire alla fase “marittima” dell’espulsione vari contrattempi. Infine il netto rifiuto di Clemente XIII e del segretario di Stato pontificio, il cardinale L. Torrigiani, ad accogliere i religiosi spagnoli nel maggio 1767 (quando ormai alcuni convogli si trovavano già a Civitavecchia) costrinse il governo a individuare una destinazione alternativa. Dopo febbrili trattative diplomatiche, le corti borboniche decisero di sbarcare con l’assenso della Repubblica di Genova gli scomodi religiosi in Corsica. Finalmente nel luglio 1767 si concludeva il lungo periplo delle navi spagnole per il Mediterra-neo: i primi contingenti degli ignaziani mettevano piede sull’isola ancora in preda alla guerra civile.

Alla base del rifiuto papale all’accoglienza degli ignaziani spagnoli nell’aprile-maggio 1767 vi fu un’evidente considerazione economica. In una

intimava i destinatari di lasciarlo sigillato fino alla notte del 2-3 aprile: solo così si

poteva infatti garantire la contemporaneità dell’arresto degli ignaziani attraverso una vera e propria operazione militare. Cfr. L. Von Pastor, Storia dei Papi, Roma, De-sclée & C.i, 1954 (rist. anastatica, 1971), vol. XVI, I, pp. 808-809; Egido, La

expulsión..., cit., pp. 750-752; Vallejo García-Hevía, La Monarquía y un ministro...,

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lettera datata 21 aprile 1767 che Torrigiani inviò al nunzio pontificio di Ma-drid, L. O. Pallavicini, si faceva chiaro riferimento all’impossibilità da parte dell’economia e della società dello Stato della Chiesa, ma anche delle strutture italiane della Compagnia, di accogliere e fornire occupazione alle migliaia di gesuiti spagnoli espulsi (definiti “sì gran moltitudine di persone oziose”), il cui numero si esagerava o si faceva finta di non conoscere con precisione12. Il car-dinale toscano richiamava inoltre la precedente vicenda portoghese: il conte di Oieras aveva infatti negato qualsiasi tipo di aiuto finanziario e l’arrivo dei ge-suiti lusitani aveva provocato nello Stato del Papa una serie di conflitti sia con il clero, che con la popolazione locale13. In quell’occasione il primo ministro spagnolo G. Grimaldi rispose che, a differenza degli espulsi portoghesi, quelli spagnoli venivano dotati di una pensione vitalizia, che certamente avrebbe giovato all’economia pontificia.

Effettivamente all’inizio del 1767, durante la fase preparatoria l’espulsione, il governo aveva deciso di garantire sia ai sacerdoti che ai coadiutori una pensio-ne vitalizia seguendo evidentemente il precedente esempio francese; la pram-matica di espulsione fissò tale rendita rispettivamente in 100 e 90 pesos annua-li. La stessa prammatica stabiliva che a quei gesuiti che durante l’esilio avesse-ro scritto e pubblicato opere contavesse-ro il governo o la monarchia spagnoli o in di-fesa della Compagnia sarebbe stato sospeso il pagamento della pensione stessa. La copertura finanziaria venne garantita dalle proprietà ex gesuitiche confisca-te all’atto dell’espulsione, fondo gestito esclusivamenconfisca-te dal Consejo Extraor-dinario, ormai trasformato in commissione gesuitica. Vennero invece esclusi dalla percezione di qualsiasi rendita in denaro i novizi che avessero scelto

López, El ejército y la marina en la expulsión de los jesuitas de España, in Id. (a cura

di), Expulsión y exilio..., cit., pp. 67-114, in particolare pp. 68-71; DHCJ, II, p. 1353. 12

Cfr. Egido, La expulsión..., cit., pp. 754-755; Pastor, Storia dei Papi..., vol. XVI, 1, p. 846; Ferrer Benimeli, La expulsión y extinción..., II, cit., pp. 134-135. Una copia della lettera si trova in ASV, Gesuiti, filza 34 (Carte relative ai gesuiti di Spagna,

1759-1773).

13

Torrigiani citava il caso di Albano e Frascati dove la popolazione nel 1764 aveva attribuito alla locale comunità di gesuiti portoghesi l’innalzamento del prezzo della sussistenza. Su alcuni aspetti dell’accoglienza ricevuta dagli espulsi spagnoli nello Stato della Chiesa cfr. P. Bellettini, Tipografi romagnoli ed ex gesuiti spagnoli negli

ultimi decenni del Settecento, in L. Baldacchini e A. Manfron (a cura di), Il libro in Romagna. Produzione, commercio e consumo dalla fine del secolo XV all’età con-temporanea, Firenze, Olschki, 1998, vol. 2, pp. 557-657, in particolare pp. 558-559 e

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lontariamente di seguire nell’esilio i loro maestri. Solamente dopo l’estinzione canonica (tra l’autunno del 1773 e l’estate del 1774) e in seguito a una serie di petizioni indirizzate al Consejo Extraordinario e al sovrano, il governo decise di concedere anche ai novizi una rendita minima14. Proprio all’organizzazione del fondo gesuitico Campomanes tra il 1767 e i primi anni ottanta dedicò una serie di provvedimenti miranti a salvaguardare le temporalidades le cui rendite sarebbero state impiegate non solo per garantire negli anni agli espulsi l’erogazione del vitalizio, ma anche per finanziare alcune importanti riforme (ad esempio quella delle università). Allo scopo di assicurare una corretta am-ministrazione dei fondi ex gesuitici il fiscal consigliò la fondazione di un nuo-vo ufficio, la Depositaría General de temporalidades, che avrebbe gestito tutti i beni immobili e mobili requisiti, sia sul territorio metropolitano, che colonia-le. La direzione veniva affidata a tre funzionari: un tesoriere generale, un con-tador e un depositario general; i due fiscales del Consiglio di Castiglia assu-mevano invece il controllo delle operazioni di censimento del patrimonio ex gesuitico metropolitano: la giurisdizione sulla Castiglia veniva affidata a Cam-pomanes, mentre a J. Moñino sarebbe stato competente per la Corona d’Aragon15.

14

Cfr. I. Fernández Arrillaga, Los novicios de la Compañía de Jesús: la disyuntiva

ante el autoexilio y su estancia en Italia, in Giménez López (a cura di), Y en el tercero..., cit., pp. 251-277. Fino ad allora i novizi erano stati mantenuti a spese delle

singole comunità. 15

Cfr. Pastor, Storia dei Papi..., vol. XVI, I, pp. 882-886; Egido, La expulsión..., cit., pp. 785-787; I. Pinedo, Campomanes y los jesuitas después de la Pragmática de

expulsión, in “Letras de Deusto”, 22, 1992, pp. 96-106; S. Lorenzo García, La expulsión de los jesuitas de Filipinas, Alicante, Universidad de Alicante, 1999, pp.

215-253 e 285-293; S. Escoto, Governor Anda and the liquidation of the jesuit

Temporalities in the Philippines, 1770-1776, in “Philippine Studies”, 23, 1975, pp.

293-319; B. Bartolomé Martínez, Las temporalidades de los jesuitas de Castilla y sus

estudios de Grámatica y primeras letras, in “Revista española de Pedagogía”, 38,

1980, pp. 95-103; A. Alberola Romá e E. Giménez López, Las temporalidades de la

Compañía de Jesús en Alicante, siglos XVII-XVIII, in “Revista de Historia Moderna -

Anales de la Universidad de Alicante”, 2, 1982, pp. 167-210; B. Yun Casalilla, La

venta de los bienes de las temporalidades de la Compañía de Jesús. Una visión general y el caso de Valladolid (1767-1808), in AA. VV., Desamortización y Hacienda pública, Madrid, Ministerio de Agricultura, Pesca y Alimentación, 2 voll.,

1986, 1, pp. 293-316; G. Bravo Acevedo, Los bienes temporales jesuitas en el Reino

de Chile (1593-1820). Cuantificación y administración por la Monarquía, in “Revista

de Historia” (Monterrey), 1, 1986, pp. 19-66; A. L. López Martínez, El patrimonio

económico de los jesuitas en el Reino de Sevilla y su liquidación en tiempos de Carlos III, in “Archivo Hispalense”, 217, 1988, pp. 35-60; Id., El patrimonio rústico

(18)

La pensione costituì quindi la principale fonte di reddito dei gesuiti spagnoli espulsi; se essa fu fondamentale per garantire la loro sopravvivenza nel terribi-le anno passato in Corsica, divenne comunque imprescindibiterribi-le durante il lungo esilio italiano. A questo riguardo il governo spagnolo dovette superare una se-rie di difficoltà organizzative non indifferenti per trasferire il denaro in Italia. Madrid poteva comunque contare su una rete bancaria nazionale operante all’estero fondata da Ensenada nel 1747-1748, e cioè il Real Giro, le cui sedi italiane principali si trovavano a Roma e Genova16. Il denaro giungeva solita-mente sotto forma di lettere di cambio o di rimesse di metalli preziosi inviate a Civitavecchia e nella città ligure: qui venivano convertite nella divisa locale. Una speciale convenzione stipulata tra le autorità borboniche e quelle pontifi-cie poco prima dell’estinzione canonica stabilì che nel territorio delle legazioni - laddove cioè si concentrava la maggioranza degli espulsi - il capitale sarebbe stato fornito dagli esattori ed appaltatori delle imposte locali: come contropartita il governo spagnolo si impegnava a versare nelle esauste casse della Zecca romana e della Camera Apostolica denaro metallico spagnolo (dobloni d’oro e pesos fuertes d’argento) di buona lega. I governi genovese e pontificio risultarono essere gli unici beneficiari di questo meccanismo poiché, come faceva notare il gesuita castigliano M. Luengo nel suo diario, la conversione della moneta spagnola (nella quale era calcolata la cifra del vitalizio) in quelle genovese, romana e bolognese decurtava parte del valore della pensione (versata nella moneta locale).

Per distribuire materialmente il denaro Madrid si servì delle proprie rappre-sentanze diplomatiche, all’interno nelle quali erano inglobate le succursali del Real Giro. Allo scopo di seguire e controllare da vicino i gesuiti, il governo spagnolo decise, fin dall’esilio corso, di inviare in loco due burocrati con

de los jesuitas en España. Una aproximación, in “Hispania”, LIX-3, 203, 1998, pp.

925-954; P. García Trobat, La expulsión de los jesuitas. Una legislación urgente y su

aplicación en el Reino de Valencia, Valencia, Consell Valencià de Cultura, 1992.

Comunque il lavoro più completo è sempre quello di F. Mateos, Introducción, in Id. (a cura di), Documentos de la Compañía de Jesús en el Archivo Histórico Nacional, Madrid, Razón y Fe, 1967, pp. ii-l.

16

Cfr. I. Pulido Bueno, El Real Giro de España, Huelva, Artes Gráficas Aldalusas, 1994. L’assorbimento del Giro all’interno del nuovo istituto bancario fondato da Car-lo III è stato analizzato nel dettaglio da P. Tedde de Lorca, El Banco de San CarCar-los

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ri speciali, i comisarios de guerra y marina Geronimo e Luigi Gnecco, succes-sivamente affiancati da altri due funzionari di grado superiore, i comisarios re-ales. Entrambe erano figure istituzionali proprie dell’esercito: si occupavano cioè dell’approvvigionamento e del pagamento del salario dei soldati e delle pensioni di guerra. Dato che i problemi della quotidianità dei gesuiti erano si-mili a quelli dei si-militari in pensione o delle loro vedove, il Consejo Extraordi-nario decise di affidare il pagamento delle pensioni gesuitiche a questi funzio-nari. Ai commissari reali (P. Laforcada e F. Coronel) venne affidato anche il compito, ben più delicato, di incentivare con ogni mezzo le secolarizzazioni dei gesuiti: di fatto essi furono spediti nel novembre 1767 in Corsica come longa manus del fiscal Campomanes e del Consejo Extraordinario. La buona prova fornita dai quattro commissari durante l’anno di confino nell’isola medi-terranea convinse il governo spagnolo a conservare i loro uffici una volta che i gesuiti si stabilirono definitivamente nelle legazioni. I commissari reali dimo-rarono stabilmente a Bologna, mentre il commissario di guerra L. Gnecco ven-ne inviato a Ferrara (suo padre Geronimo chiese il pensionamento ven-nel 1768).

L’anno della permanenza in Corsica (luglio 1767 - settembre 1768) fu certa-mente il più critico che l’Assistenza spagnola - in particolare le sue quattro Province metropolitane - dovette sopportare nel corso del lungo esilio. La dif-ficile situazione economica e “ambientale” che i religiosi furono costretti ad affrontare al loro arrivo (ben descritta dai molti diari che non pochi gesuiti co-minciarono allora a redigere) mise a dura prova la solidarietà interna delle sin-gole Province17. Di questa situazione cercò di approfittare il governo spagnolo, in particolare Campomanes: attraverso l’illusoria prospettiva di un pronto ri-torno in patria e specifiche gratifiche in denaro, il fiscal de lo civil del Consi-glio di Castiglia riuscì a incentivare le secolarizzazioni e la fuga di centinaia di

17

Cfr. F. de Isla, Historia de la expulsión de los jesuitas. (Memorial de las cuatro

Provincias de España de la Compañía de Jesús desterradas del Reino a S. M. el Rey Don Carlos III), Alicante, Instituto de cultura “Juan Gil-Albert” - Diputación

Provincial de Alicante, 1999; M. Luengo, Memorias de un exilio. Diario de la

expulsión de los jesuitas de los dominios del rey de España (1767-1768), Alicante,

Universidad de Alicante, 2002; Id., El retorno de un jesuita desterrado. Viaje del

padre Luengo desde Bolonia a Nava del Rey (1798), Alicante, Universidad de

Alicante, 2004. Sulle cronache manoscritte elaborate dagli espulsi durante l’esilio cfr. I. Fernández Arrillaga, Manuscritos sobre la expulsión y el exilio de los jesuitas

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gesuiti (in particolare coadiutori e novizi) dalle città corse verso Genova, Li-vorno e Roma. Si verificò ben presto un “duello a distanza” tra Madrid e i Pro-vinciali: mentre questi ultimi tentavano di rinsaldare i ranghi delle loro comu-nità attraverso un difficile ritorno alla normalità (che passò attraverso la rico-struzione dei collegi, la gestione comunitaria delle pensioni pubbliche, il ri-spetto delle devozioni gesuitiche e un buon rapporto con P. Paoli), il Consejo Extraordinario si impegnò a disarticolare ciò che rimaneva della struttura or-ganizzativa delle singole Province. Questa strategia dette ottimi frutti dal mo-mento che le ultime statistiche stilate dagli storici iberici dimostrano che il pic-co più alto delle sepic-colarizzazioni venne toccato proprio durante l’esilio in Cor-sica18.

Nell’agosto 1768 fu invece Luigi XV, divenuto ormai sovrano dell’isola, a espellere i gesuiti spagnoli: con questa nuova espulsione, che seguiva misure simili da poco decretate da Tanucci a Napoli e da Du Tillot a Parma, iniziava effettivamente l’esilio italiano dell’Assistenza spagnola19.

18

Cfr. Giménez López e Martínez Gomis, La secularización de los jesuitas expulsos

(1767-1773), in Giménez López (a cura di), Expulsión y exilio..., cit., pp. 259-303. Le

statistiche sono state realizzare incrociando le liste presenti nell’ARSI (Assistentia

Hispaniae, busta 146) e in ASV (Gesuiti, filza 11) con l’ingente documentazione

spa-gnola presente in AGS, AHN e AMAE: in quest’ultimo archivio, in particolare, esiste un fondo specifico dedicato ai “Socorros a los jesuitas españoles desterrados en Ita-lia” (AMAE, Santa Sede, legajos 547-551), dal quale si possono trarre numerose in-formazioni sulle condizioni economiche degli espulsi.

19

Le due espulsione borboniche decretate tra il novembre del 1767 e il febbraio 1768 da Ferdinando IV e dal duca Filippo seguirono il medesimo processo politico-istituzionale percorso dall’amministrazione spagnola, a cominciare dalla creazione di una commissione gesuitica ad hoc composta da funzionari avversi alla Compagnia e dalla fondazione di un fondo gesuitico che amministrasse i beni confiscati (nel caso napoletano la celebre “Azienda gesuitica”). Cfr. Pastor, Storia dei Papi..., cit., vol. XVI, I, pp. 890-920; P. Onnis, L’abolizione della Compagnia di Gesù nel Regno di

Napoli, in “Rassegna Storica del Risorgimento”, XV, 4, 1928, pp. 759-822; E.

D’Alessandro, L’abolizione della Compagnia di Gesù nel 1767 e l’espulsione dalla

Sicilia, in “Archivio Storico Siciliano”, 9, 1959, pp. 71-103; Venturi, Settecento Ri-formatore..., II, cit., pp. 174-178 e 222-224; E. Robertazzi delle Donne, L’espulsione dei gesuiti dal Regno di Napoli, Napoli, Libreria Scientifica, 1970; F. Renda, Bernar-do Tanucci e i beni dei gesuiti in Sicilia, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1974

(2ª ed.); Id., L’espulsione dei gesuiti dalle Due Sicilie, Palermo, Sellerio, 1993; A. Si-nisi, I beni dei gesuiti in Capitanata nei secoli XVI-XVIII e l’origine dei centri abitati

di Orta, Ordona, Carapelle, Stornarella e Stornara, Napoli-Foggia-Bari, Ed. Dogane

e Tavoliere di Puglia, 1963, pp. 59-78; A. Lepre, Sulla censuazione dei beni dei

ge-suiti, in “Studi Storici”, XI, 2, 1970, pp. 279-291; E. Papa, I beni dei gesuiti e i preli-minari della loro espulsione dal Regno di Napoli nel 1767, in “Rivista di Storia della

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L’estinzione canonica del 1773, considerata fin dall’epoca un successo della monarchia spagnola e del suo plenipotenziario J. Moñino, inviato a Roma per questo scopo20, rappresentò per gli ignaziani iberici un evento traumatico, ben-ché atteso: anch’essi, infatti, dovettero sciogliere le comunità rifondate appena il lustro precedente. Per di più, oltre alle norme previste dal breve Dominus ac Redemptor - datato 21 luglio 1773 - e le rigide disposizioni emanate dalla spe-ciale congregazione cardinalizia “de rebus jesuiticis”, gli ex gesuiti spagnoli dovettero sottostare ad una serie di regole aggiuntive emanate dal Consejo E-xtraordinario21; in varie occasioni, inoltre, la commissione gesuitica spagnola

degli aboliti collegi della Capitale e Regno della espulsa Compagnia detta di Gesù,

Napoli, Guida, 1982; G. Gonzi, L’espulsione dei gesuiti dai ducati parmensi, in “Au-rea Parma”, L, 3, 1966, pp. 154-193 e LI, 1, 1967, pp. 3-62; Egido e Pinedo, Las

cau-sas “gravísimas” y secretas..., cit., pp. 102-105.

20

Sul ruolo determinante giocato da J. Moñino - futuro conte di Floridablanca - nel processo diplomatico che portò all’estinzione canonica e, specificamente, nella reda-zione della minuta del breve Dominus ac Redemptor cfr. E. Pacheco y de Leyva, El

Cónclave de 1774 a 1775. Acción de las cortes católicas en la supresión de la Compañía de Jesús, según documentos españoles, Madrid, Imprenta clásica española,

1915; Id., La intervención de Floridablanca en la redacción del Breve para la

supresión de los jesuitas, in “Cuadernos de trabajos de la Escuela Española de

Arqueología e Historia en Roma”, III, 1915, pp. 37-198; Pastor, Storia dei Papi..., vol. XVI, 1, pp. 177-197; Egido e Pinedo, Las causas “gravísimas” y secretas..., cit., pp. 175-181; I. Pinedo e A. Zabala, Bernis y Floridablanca: dos diplomáticos de la

Ilustración en la campaña de extinción de los jesuitas (1769-1773), in “Estudios de

Geografía e Historia - Universidad de Bilbao”, 1988, pp. 523-536; Ferrer Benimeli,

La expulsión y extinción..., III, cit., pp. 109-216; F. J. Belmonte Más, José Moñino en Roma: el breve de extinción de la Compañía de Jesús, in A. Mestre Sanchís e E.

Giménez López (a cura di), Disidencias y exilios en la España Moderna, Caja de Ahorros del Mediterráneo - Universidad de Alicante - A. E. H. M., 1997, pp. 739-746; S. Pavone, I gesuiti dalle origini alla soppressione (1540-1773), Roma-Bari, Laterza, 2004, pp. 132-135; A. Trampus, La ritrattazione del breve di soppressione

della Compagnia di Gesù: comunicazione politica e strategie del falso, in “Roma

moderna e contemporanea”, XI, 2003, pp. 253-280. Sulla carriera politica di Moñino - il quale alla fine del 1776 venne nominato Segretario di Stato al posto di Grimaldi - cfr. J. Hernández Franco, La gestión política y el pensamiento reformista del conde

de Floridablanca, Murcia, Universidad de Murcia, 1984.

21

Occorre a questo proposito ricordare che fin dal 1767 il governo spagnolo, su iniziativa di Campomanes, volle sottoporre all’opinione pubblica europea tutte le disposizioni legislative riguardanti gli espulsi e i loro beni confiscati pubblicando una monumentale Colección general de las providencias hasta aquí tomadas por el

Gobierno sobre el estrañamiento y ocupación de temporalidades de los regulares de la Compañía, que existían en los Dominios de S. M. de España, Indias e Islas Filipinas a consecüencia del Real Decreto de 27 de febrero, y Pragmática Sanción de 2 de abril de este año, Madrid, Imprenta Real, 5 tomi, 1767-1784. Questo testo

co-nobbe una vasta eco anche in Italia attraverso molteplici traduzioni parziali (specie del testo della pragmatica) e complete (in particolare del primo volume): cfr. M. C. Vigni Pecchioli (a cura di), Bibliografia delle edizioni giuridiche antiche in lingua

(22)

i-sembrò “ispirare” allo stesso governo pontificio, sempre attraverso la media-zione diplomatica di Moñino, la linea politica e legislativa da adottare verso i componenti del disciolto ordine.

Negli anni immediatamente successivi all’estinzione - almeno fino a quando Moñino rimase a Roma in qualità di plenipotenziario (e cioè fino al gennaio 1777) - i gesuiti spagnoli furono soggetti ad un’intensa sorveglianza da parte delle autorità pontificie e borboniche: in particolare il governo spagnolo tese a fornire un’interpretazione restrittiva del dettato del breve d’estinzione e delle norme emanate dalla Congregazione cardinalizia “de rebus jesuiticis”. La di-plomazia spagnola, ad esempio, avversò il reclutamento dei gesuiti spagnoli da parte dei vescovi italiani - possibilità esplicitamente prevista dal Dominus ac Redemptor e dalla circolare della congregazione gesuitica del 1 settembre 1773 riguardante i secolarizzati - e cercò di impedire che gli espulsi ricostituissero surrettiziamente gli antichi collegi. Determinante in questa attività di sorve-glianza, oltre ai comisarios residenti nelle legazioni, risultò essere l’aragonese J. N. de Azara, agente de preces spagnolo presso la Santa Sede dal 1765 al 1798 (dal dicembre 1784 anche ambasciatore della corona spagnola): profon-damente antigesuita e amico di Roda, egli divenne l’uomo di fiducia del Con-sejo Extraordinario e della Segreteria di Stato su ogni questione che riguardas-se il ramo spagnolo della disciolta Compagnia22. Tra le molte incombenze a lui

taliana, Firenze, Olschki, vol. II, 1993, pp. 687-688 e 704-705. Alcune di esse

venne-ro tradotte dall’abate Pezzana tra il 1767 e l’inizio del 1768 per conto di Du Tillot, come dimostrano le carte che ho individuato nell’ASP, fondo Du Tillot, fasc. 28. Questo corpus di leggi divenne quindi un punti di riferimento obbligato non solo per gli indirizzi politici adottati dal Regno di Napoli e il ducato parmense nei confronti dei propri ignaziani, ma anche per concrete misure normative adottate da Tanucci e Du Tillot (in particolare riguardo la gestione delle temporalidades gesuitiche).

22

Su Azara, le sue mansioni istituzionali, idee politiche e culturali cfr. C. E. Corona Baratech, José Nicolás de Azara. Un embajador español en Roma, Zaragoza, Institución “Fernando el Católico”- CSIC, 1948 (esiste un’edizione facsimile del 1987); R. Olaechea, Las relaciones hispano-romanas en la segunda mitad del siglo

XVIII, Zaragoza, Talleres Editoriales “El Noticiero”, 2 voll., 1965 (anche di questa

opera fondamentale esiste una ristampa anastatica dell’Institución “Fernando El Católico - Asociación Española de Historia Moderna, 1999); G. Sánchez Espinosa,

Memorias del ilustrado aragonés José Nicolás de Azara, Zaragoza, Institución

“Fernando El Católico, 2000. Essenziale risulta comunque la consultazione dell’epistolario con Roda stampato a metà del XIX secolo: El Espíritu de Don José

Nicolás de Azara descubierto en su correspondencia epistolar con Don Manuel de Roda, Madrid, Librería de Sojo - Imprenta de J. Martín Alegría, 3 voll., 1846. La

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affidate vi era anche quella di giudicare il valore delle opere che i gesuiti iberi-ci desideravano stampare in Italia; solitamente il governo spagnolo seguiva le sue indicazioni dal momento che ad una profonda conoscenza del mondo cu-riale egli univa una preparazione culturale notevole (fu, tra l’altro, protettore di F. Milizia e amico dello stampatore parmense G. Bodoni).

Per quanto riguarda la consistenza numerica dell’Assistenza spagnola in esi-lio le ultime statistiche stilate da Giménez López e Martínez Gomis - frutto della comparazione di diverse liste elaborate tra il 1767 e il 1773 dai funzionari borbonici all’atto dell’imbarco e del pagamento delle pensioni con quelle con-servate nell’archivio romano della Compagnia - permettono di precisare il nu-mero e la distribuzione amministrativa dei gesuiti esiliati: il computo aggrega-to di tutti gli ignaziani spagnoli raggiunge la cifra di 5046 unità, quantità che corregge al ribasso i precedenti calcoli di Pastor (5444), Egido (5376), Ferrer Benimeli (5152). Di questi cinquemila e passa gesuiti spagnoli, almeno la metà - pressappoco 2200 - appartenevano alle sette Province indiane. Occorre inol-tre osservare, come sottolinea Egido, che questi quadri quantitativi non tengo-no conto del gran numero di padri stranieri (italiani, tedeschi, austriaci, boemi, francesi, ecc.) presenti nelle missioni americane e filippine, anch’essi oggetto dell’espulsione: ciò farebbe ascendere la cifra di gesuiti dimoranti nel corso del 1767 sul territorio della monarchia spagnola a circa 5700 unità23.

Resta comunque il fatto che le difficili condizioni di vita patite nel corso del-la deportazione e nei primi anni di permanenza in Italia dagli espulsi - in parti-colare dai componenti delle sette Province sudamericane - provocarono la morte dei soggetti più deboli (a cominciare dai religiosi anziani) e quindi una decisa riduzione del numero di religiosi. Ferrer Benimeli ha calcolato che i

quantità di informazioni sulle vicende politiche romane e italiane degli anni

1768-1780 qui contenute è davvero impressionante. 23

Secondo Giménez López e Martínez Gomis i gesuiti delle quattro Province metro-politane ammontavano a 2503 unità (782 castigliani, 717 andalusi, 666 aragonesi, 638 toledani, 10 non attribuibili); mentre le sette Province indiane contavano 2813 gesuiti, così suddivisi: 650 messicani, 449 paraguaiani, 338 peruviani, 238 cileni, 183 quiteñi, 178 granadini, 152 filippini, 45 senza assegnazione precisa: cfr. La secularización..., cit., pp. 289-291; Pastor, Storia dei Papi..., cit., vol. XVI, 1, pp. 754 (2792 padri me-tropolitani e 2652 delle sette Province ultramarine); Egido, La expulsión..., cit., pp. 756-759 (2746 ignaziani metropolitani e 2630 indiani); Ferrer Benimeli, La expulsión

y extinción..., II, cit., pp. 10 (nota 3) e 238 (2727 spagnoli e 2425 americani). Vedi

(24)

cessi verificatisi nelle quattro Province metropolitane tra l’aprile 1767 e il di-cembre 1771 furono almeno 227; invece dei 678 gesuiti che componevano la Provincia messicana, ben 134 scomparvero nei primi cinque anni dell’esilio: in quest’ultimo caso le terribili condizioni del viaggio - specialmente durante la traversata atlantica - causarono un’impennata della mortalità poiché gran parte dei decessi (ben 101) si concentrarono tra la primavera del 1767 e la fine del 176824.

24

J. A. Ferrer Benimeli, Los ‘otros’ jesuitas de Bolonia, in P. Garelli e G. Marchetti (a cura di), ‘Un hombre de bien’. Saggi di lingue e letterature iberiche in onore di

(25)

I. L’esilio italiano dell’Assistenza spagnola (1768-1798): resistenze e in-tegrazione.

I. 1. L’“irruzione” degli espulsi nello Stato della Chiesa: la difficile ricosti-tuzione di un’identità (1768-1773).

L’arrivo dei gesuiti spagnoli nelle legazioni pontificie fu, da vari punti di vi-sta, traumatico. A fine settembre 1768, mentre il primo contingente di espulsi - appartenenti a varie comunità sud americane - stava già attraversando le mon-tagne liguri alla volta dell’Emilia-Romagna, i convogli francesi che trasporta-vano dalla Corsica le Province di Andalusia, Aragona e Castiglia raggiunsero la costa ligure1. Ma le autorità della Repubblica di Genova, invece di permette-re la discesa dei permette-religiosi spagnoli nei piccoli porti della riviera di Levante, im-posero ai capitani francesi di concentrare nella Dominante il loro scomodo “ca-rico”; il divieto genovese scaturiva dalla indeterminatezza che ancora caratte-rizzava la questione del mantenimento dei religiosi spagnoli: dal momento che al gruppo degli ottocento e passa gesuiti americani che era passato per il terri-torio ligure qualche settimana prima non era stato concesso alcun aiuto finan-ziario suppletivo, il Senato non intendeva autorizzare lo sbarco dei confratelli metropolitani prima di conoscere con esattezza chi, tra Madrid e Parigi, avreb-be coperto i costi del loro sostentamento. La dura posizione assunta da Genova scaturiva anche dall’atteggiamento litigioso di cui davano mostra i due amba-sciatori borbonici, Cornejo e Boyer, i quali, privi di ordini precisi, cercavano di scaricarsi vicendevolmente quella patata bollente; un comportamento che ali-mentò il legittimo sospetto che le due corti borboniche stessero di fatto cercan-do di accollare alla repubblica ligure tutti gli oneri logistici e finanziari dell’operazione di sbarco e di transito degli espulsi. L’unico punto sicuro del generico accordo diplomatico che i governi francese e spagnolo avevano poco prima stipulato con la repubblica riguardava il tragitto e lo scaglionamento (i gruppi non dovevano superare le sessanta unità) che gli ignaziani avrebbero

1

Cfr. E. Giménez López e M. Martínez Gomis, Un aspecto logístico de la expulsión

de los jesuitas españoles: la labor de los comisarios Gerónimo y Luis Gnecco (1767-1768); Id., La llegada de los jesuitas expulsos a Italia según los diarios de los padres Luengo e Peramás, entrambi in Giménez López (a cura di), Expulsión y exilio..., cit.,

rispettivamente alle pp. 181-195 e 197-211; Luengo, Memorias..., cit., pp. 681-696; Ferrer Benimeli, La expulsión y extinción..., II, cit., pp. 106-113 e 254-273. Di

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dovuto necessariamente rispettare durante il viaggio da Genova all’Emilia, sul quale si erano mostrati concordi anche i due ducati di Modena e Parma2.

La situazione si sbloccò gli ultimi giorni di settembre, dopo che il segretario di Stato spagnolo Grimaldi assicurò più volte al collega transalpino Choiseul (e attraverso di lui anche il Senato genovese) che il governo di Carlo III intende-va onorare gli impegni assunti nei mesi precedenti quando aveintende-va garantito ad ogni sigolo espulso l’erogazione di una gratifica sufficiente per coprire le spese di viaggio; l’aiuto economico sarebbe stato versato a Sestri Levante - località dalla quale, una volta sbarcati, i religiosi avrebbero dovuto iniziare il loro viaggio terrestre alla volta dell’Emilia-Romagna - dal commissario Geronimo Gnecco: i gesuiti che avessero espresso l’intenzione di secolarizzarsi avrebbe ricevuto 40 pesos, 20 per tutti gli altri3.

Ma prima di allora il timore che le trattative diplomatiche - con Genova, ma soprattutto con Madrid - andassero per le lunghe aveva spinto Choiseul a tenta-re un’altra opzione. Infatti i bastimenti sui quali si trovavano ancora stipati i gesuiti spagnoli avrebbero dovuto recarsi nel più breve tempo possibile a To-lone per imbarcare il corpo di spedizione francese destinato all’occupazione della Corsica; il blocco dello sbarco dei religiosi spagnoli, oltre che a cagiona-re una spesa supplementacagiona-re per i noleggi, rischiava di far fallicagiona-re o perlomeno rallentare la conquista armata dell’isola. Di fronte a questa prospettiva Choi-seul tentò di riesumare un altro vecchio piano; mentre ufficialmente continua-va a perorare presso i governi italiani e la corte iberica il viaggio terrestre, cer-cò di convincere i gesuiti spagnoli della convenienza di raggiungere diretta-mente lo Stato della Chiesa.

“irrupción de los jesuitas españoles en la Italia dieciochesca” ha parlato Batllori in La

cultura..., cit., pp. 55-81.

2

Cfr. Pastor, Storia dei Papi..., vol. XVI, I, p. 858; Giménez López e Martínez Gomis, La secularización..., cit., p. 275; Ferrer Benimeli, La expulsión y extinción..., II, cit., p. 108; I. Pinedo, Los jesuitas en su primer año de expulsión (1767) a la luz de

la correspondencia de la Embajada española en Roma, in “Letras de Deusto”, n. 28,

1998, pp. 211-222. 3

Fortunatamente il 1 ottobre 1768 giunse a Genova la notizia che la corte di Madrid aveva concesso a ciascun gesuita ulteriori 15 pesos di socorro straordinario (che ver-ranno però riscossi solo il 17): cfr. Luengo, Memorias..., cit., pp. 716, 742, 752. Poco affidabile l’affermazione del Generale Ricci, ripresa da Pastor, secondo cui il governo spagnolo avesse deciso di pagare l’aiuto finanziario necessario per il viaggio a causa dell’indignazione popolare per le miserrime condizioni in cui giunsero i gesuiti ame-ricani nello Stato della Chiesa. Cfr. Pastor, Storia dei Papi..., vol. XVI, I, p. 859.

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Il 27 settembre 1768 i comandanti transalpini dei convogli, coadiuvati dal console Boyer, organizzarono su sua indicazione un incontro con i superiori delle Province di Andalusia, Aragona e Castiglia (i toledani erano ancora in viaggio e sarebbero attraccati a Genova quella stessa giornata), nel corso del quale si offrì ai gesuiti spagnoli di scegliere se entrare nello Stato della Chiesa dal territorio genovese o via mare attraverso Civitavecchia. Lo scopo di questa proposta era chiaramente quello di accelerare il più possibile le operazioni di sbarco: infatti, dal momento che appariva ormai evidente che Clemente XIII aveva tacitamente fatto cadere il divieto all’accoglienza, l’entrata dei gesuiti attraverso la pianura padana si sarebbe rivelata indubbiamente più lenta e a-vrebbe perciò comportato un notevole ritardo sulla tabella di marcia preventi-vata da Parigi. Invece sbarcare congiuntamente e in un colpo solo i gesuiti a Civitavecchia avrebbe permesso di risolvere in tempi ben più brevi e una volta per tutte quell’imbarazzante situazione.

I Provinciali non fornirono una risposta immediata e decisero di consultare le rispettive comunità: nel caso dei castigliani padre F. J. Idiáquez (la personalità più carismatica della Provincia) inviò una “carta circular” a tutte le imbarca-zioni e chiese ai gesuiti “más antiguos” di avallare con la loro firma l’opinione della maggioranza dei gesuiti di ciascuna nave verso l’una o l’altra opzione. L’esito di questa consultazione - non sappiamo fino a che punto “democratica” come Luengo ci indurebbe a credere - fu uniforme, dal momento che tutte e tre le Province stabilirono di seguire il tragitto dei loro confratelli indiani. All’origine di questa decisione, che “disgustó mucho a los franceses”, vi fu la considerazione che accettare la proposta di sbarcare a Civitavecchia avrebbe significato screditare implicitamente la condotta del Papa (e contemporanema-nete avvalorare la politica delle corti borboniche) il quale, appena l’anno pre-cedente, si era rifiutato di accogliere nello stesso luogo i gesuiti; per cui, pur consci che il viaggio per terra avrebbe comportato nuovi patimenti e disagi di ogni tipo, i religiosi spagnoli (o meglio: la maggioranza delle Province, secon-do il racconto di Luengo) decisero di sottoporsi a questo nuovo “martirio” per

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