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"Avevamo in mente interi universi: una analisi socio-culturale del fenomeno del gioco di ruolo analogico contemporaneo tramite etnografia di gruppi informali di gioco nell'area veneziana"

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea magistrale

in Antropologia Culturale, Etnologia ed Etnolinguistica

Tesi di Laurea

“Avevamo in mente interi universi”

proposta di analisi socio-culturale ed etnografica del gioco di ruolo

analogico contemporaneo

Relatrice / Relatore

Ch.ma Prof.ssa Franca Tamisari Correlatrice/Correlatore

Ch.ma Prof.ssa Valentina Bonifacio Ch.ma Prof.ssa Donatella Schmidt

Laureando Marco Turci Matricola 826746 Anno Accademico

2018 / 2019

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Indice

Indice...2

1 Introduzione...5

Incipit: come ho smesso di avere paura e ho iniziato ad amare il “ruolo”...6

Una breve panoramica...11

Questioni di metodo e posizionamento...13

2 Contestualizzazione...21

“What is a Role-playing Game, anyway?”...21

Il Gioco di Ruolo come fenomeno culturale complesso...26

Precursori e origine del gioco di ruolo analogico...27

Il contesto culturale delle origini...34

Una “subcultura” in ascesa...37

“Dungeons&Dragons, or: What's Next?”...39

Diversificazione e diffusione transnazionale: anni '80 e '90...46

Giochi di ruolo e società: problemi di comunicazione...54

Anni '90 e 2000: contrazione, rinascita ed esplosione...58

Saturazione e produzioni indipendenti: dal XXIº secolo in poi...63

3 Stato dell'arte...70

Prospettive principali di studio sul gioco di ruolo analogico...70

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Studi socio-culturali sul gioco di ruolo in Italia...71

Studi accademici sul gioco di ruolo di provenienza anglosassone...75

Specialisti adatti a un panorama variegato...78

Racconti semi-biografici, raccolte storiche e fanzines...82

4 Questioni teoriche: una cornice interpretativa...86

Concetti per un'analisi contestuale: l'ambito del “tempo libero”...86

Pratiche e materialità in prospettiva interazionista...94

La nozione di "campo" di Bourdieu...99

. Fenomenologia del gruppo di gioco di ruolo analogico...100

5 Etnografia...104

Considerazioni programmatiche...104

Prima scena: 09/03/2017 D&D: en plen air...105

Seconda scena:D&D OPEN: “Gangs of Waterdeep”...112

Un tavolo, una mappa, sette dadi, un foglio e una matita...118

Creazioni: Narratori e Giocatori...126

Serata a tema col signor Lovecraft...163

5 Analisi e conclusione...168

Le cornici discorsive e la fenomenologia del “setting”...168

(5)

Il ruolo delle “informazioni” nella costruzione discorsiva sul e nel gioco..170

Appendici e strumenti...172

Breve glossario ludico...172

Gruppi di gioco...175

Trascrizione delle interviste...182

Intervista a Dario del 10-07-16 …...182

Intervista del 27-9-16 . Casa di Dario...198

Intervista 15/7/16 ore 16.30 ca. Casa di Andrea...204

Intervista ad Andrea M. del 29-9-16...220

Intervista ad Eric del 08/02/17...225

Intervista ad Alvise del 17/03/2017...237

Intervista a Giorgio 10/5/2017...246

Intervista a Walter del 23,24,25/5/2017...255

Intervista a Marco del 07-06-17...277

Intervista a Davide del 13 ,14 e 15 ago 2017 …...280

Intervista ad Eric su Messenger del 08/05/2017...283

Illustrazioni...287

Bibliografia...293

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1 Introduzione

La mia intenzione sarebbe quella di proporre una tesi, di taglio antropologico, su un fenomeno

abbastanza singolare della contemporaneità: il gioco di ruolo nella sua forma analogica, ossia priva di supporti digitali e basata interamente sulla relazione dialettica fra più giocatori che vestono i panni di un personaggio inventato e un giocatore (genericamente sempre presente) che si occupa di condurre le scelte degli altri e portarne a compimento gli esiti meccanicamente tramite lancio di dadi o altri elementi randomici o dialetticamente; il tutto in un setting stabilito: in genere una stanza con tavolo e sedie. Il fenomeno, apparentemente semplice, nasconde, a mio parere interessanti collegamenti con la

configurazione culturale odierna dell'ambito del tempo libero e una capacità generativa di universi simbolici densi, che, per mezzo dei canali informativi scritti e digitali della contemporaneità, ha tutte le facoltà per divenire un medium creativo fondamentale.

La sua intrinseca ricchezza culturale ha prodotto, naturalmente, una sempre maggior rilevanza, grazie a contaminazioni accademiche che coinvolgono, nel bene e nel male, quasi tutte le scienze sociali, ma soprattutto quelle impegnate in un'analisi fenomenologica ed essenzialmente qualitativa, come

l'antropologia culturale, la micro-sociologia e la sociologia della cultura, tutte discipline interessate ad approfondire, appunto, fenomeni complessi e in diffusione. Non sorprende, pertanto, come la ricerca sociale sul gioco e sul gioco di ruolo, si sia focalizzata soprattutto sulla produzione creativa e

dell'industria e, dunque dei prodotti della cultura contemporanea del consumo, e degli usi che i

consumatori ne operano: vorrei, pertanto, arricchire tale prospettiva, mostrando come, in piccoli gruppi correlati da relazioni amicali più o meno strette, che svolgono nel “tempo libero” la stessa attività di gioco, si generino, attraverso complessi riferimenti a universi simbolici e culturali e pratiche strutturate, nuove configurazioni creative ed espressive, sicuramente positivamente coinvolgenti.

Per farlo, mi servirò di una serie di accorgimenti teorici e metodologici, che ho maturato nel corso della mia esperienza di studio del corso di laurea magistrale in antropologia e che ho potuto costruire anche grazie all'inserimento nel curriculum di esami abbastanza eterogenei che mi legavano a doppio filo con i miei studi di triennale in lingue e culture contemporanee dell'Asia orientale: studi culturali e storia del cinema e dei media del Giappone, corso che mi ha senz'altro permesso di entrare in contatto con il mondo della teoria critica, della semiotica, ma soprattutto degli studi culturali e delle prime teorie sociali della cultura.

In essi e nei loro sviluppi contemporanei, ho trovato la giusta ispirazione per poter coniugare il mio interesse per gli aspetti tremendamente “banali” della vita sociale e lo sguardo totalizzante

dell'antropologia, che indaga il proprio ambiente culturale di appartenenza da prospettive cariche di

“incantamento” e che pertanto si proporrebero di illustrare le interazioni in gruppi di quasi coetanei, in

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fasi affatto interessanti di aggregazione e divertimento. Mi è parso fin da subito, infatti, che si prestasse sempre troppo poca attenzione, nell'ambito degli studi antropologici, all'ambito del “tempo libero” e che lo si facesse, quasi sempre, in un'ottica esotizzante: come ci si diverte, rilassa o come si ozia all'interno di pratiche culturali Altre rispetto a quelle, genericamente intese, dell'Occidente euro-americano?

Ora, a parte l'infelice riproposizione di lontananze, mai del tutto problematizzate, come l'esotizzazione e le pratiche di costruzione cognitiva dell'”Altro”, genericamente inteso come inconciliabile e proiezione di desideri repressi o paure infondate, come sostengono da tempo studiosi del calibro di Appadurai e Hannerz1, nella contemporaneità, fluida e in perenne movimento informativo, ci si è, alla fine, resi conto da un pezzo che le identità culturali, sebbene ancora fortemente nazionalizzate e costruite

ideologicamente attorno a un immaginario politico ben determinato, si siano ramificate in sotto-

determinazioni che possono giungere, nel corso della vita, a rivestire fondamentali ancore esistenziali ed emotive2.

A un certo punto della mia carriera universitaria mi sono, dunque, trovato a desiderare di poter rendere poco familiare il “familiare” e togliere quella odiosa sfumatura di banalità attribuita a fenomeni che di banale, invero, possiedono ben poco e che, anzi, concorrono a strutturare forze creative, economiche, informative e socio-culturali e dunque pratiche di identificazione e mutamento culturale importanti, lungo un settore della società contemporanea occidentale che sta assumendo un ruolo centrale: la pratica ludica all'interno e all'esterno del tempo libero.

Incipit: come ho smesso di avere paura e ho iniziato ad amare il

“ruolo”

Da dove cominciare, se non da sé stessi? Innanzitutto, gradirei chiarire che la profonda stima che nutro per le forme di gioco interattivo e sociale nascono, non troppo sorprendentemente, in una fase di crescita fisica e mentale, compresa fra il secondo anno della scuola media inferiore e i primi anni del liceo. Come appurai anche in seguito, durante i primi anni duemila, il settore dell'editoria, le industrie culturali che producevano tutti i contenuti che io e un buon numero di conoscenti avevamo imparato ad amare e, se

1 Per Appadurai ci si riferisce al concetto di -rama (da panorama) , ossia di configurazioni complesse di riferimenti simbolici e culturali in continuo movimento nei campi ideologici, pratici, geografici e trans-nazionali (Appadurai, 1990). In Hannerz (2001) emerge invece un intenso dialogo, tipico della contemporaneità globalizzata, fra “realtà” globali, intese come configurazioni economico-culturali transnazionali e “realtà” locali, in cui si sviluppano le relazioni sociali situate di scambio, condivisione e mutamento culturale.

2 Credo che anche Anderson (1983) sarebbe d'accordo nel constatare come, nella costruzione identitaria del nazionalismo prima e della “comunità immaginata” generica, poi sia fondamentale il peso emotivo e il senso di appartenenza.

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possibile, l'intera economia legata al divertimento (entertainment) erano in pieno fermento grazie a nascita di sviluppo di tecnologie di comunicazione e tele-comunicazione sempre più sofisticate3, sempre più accessibili e sempre più intuitive.

In questo nuovo ambiente, le informazioni, intese in senso lato come disponibilità sempre maggiori di operare nuove possibili scelte e configurazioni di consumo, si combinavano e ri-combinavano in maniera a volte imprevedibilie, a volte chiaramente mirata a determinate fasce di consumo e, appunto, esercitava un potentissimo fascino su ragazzini in pieno sviluppo adolescenziale che tentano di fare gruppo e condividere spazi creativi stimolanti con i coetanei. Infattil credo proprio che tutto sia cominciato quando iniziai a parlare in classe dei primi videogiochi che avevo provato in casa, dopo l'acquisto di una

postazione (decisamente rudimentale) fissa per il personal computer e il primissimo modello di

“Playstation 2”, all'epoca (2001-2002) ancora ai suoi albori, ma già dotata di ottimi giochi di ruolo, divenuti poi classici della narrazione videoludica come “Final Fantasy X” e i suoi vari seguiti. Se io potevo sfoggiare, in principio, il titolo di esperto di titoli per Playstation di nuova generazione, altri miei compagni avevano senz'altro una conoscenza molto più approfondita di titoli per PC e anche per console di più vecchia generazione (Playstation original, Nintendo 64 e Sega mega-drive), magari ereditate, come le conoscenze di tale campo di hobbistica, da parenti più grandi, genitori o amici delle superiori con un forte ascendente sociale su di noi, ragazzini delle scuole medie. Fu proprio da uno di questi compagni

“esperto” di software ludici che appresi dell'esistenza di videogiochi di ruolo veramente complessi dal punto di vista narrativo, difficoltosi da giocare per uno alle prime armi come me e semplicemente meravigliosi per quanto riguarda la perizia grafica e la sensazione di immersione che regalavano.

Il primo di questi fu “Baldur's Gate”, uscito nel 1998, in due capitoli e consistente di una serie di capitoli, come in un romanzo, che vedevano come protagonista il personaggio che il giocatore avrebbe creato a partire da zero, dalla schermata iniziale. Ora, il fatto di porre in essere un'idea, per quanto pilotata nelle scelte da parametri calcolati meccanicamente, di personaggio inserito in un universo complesso, di per sé, avrebbe costituito il massimo per chi, come me aveva iniziato seriamente ad amare i parti della fantasia di autori come Tolkien e la Le Guin e voleva disporre delle medesime facoltà creative, senza il reale impegno editoriale che, alla fin fine comportavano. Nessuna deadline dell'editore, nessun blocco dello scrittore e nessun freno, se non la noia e i limiti oggettivi imposti dall'algoritmo di gioco, che comunque erano sufficienti all'epoca per produrre un senso di meraviglia: i personaggi così creati venivano a

rientrare in parametri e qualità definiti da una serie di calcoli precisi, ma assumevano anche connotazioni morali, garantite dalla scelta di una personale condotta etica e, soprattutto, davano la possibilità di

affiliarsi a una religione tratteggiata in maniera decisamente troppo precisa perchè fossero solo opera di qualche designer informatico e non, invece, parte di qualcosa di più vasto.

Contemporaneamente alla scoperta dei primi giochi di ruolo per computer, mi interessai alle produzioni letterarie del fantasy “di serie B”, ossia di opere tradotte (solitamente dall'inglese) per case editrici oscure

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o comunque poco accessibili4 al mercato mainstream, sulla scorta del grande successo commerciale della trilogia di Jackson “Il signore degli anelli”, che quindi solo allora stavano iniziando a ricevere in Italia una certa fama di settore. Le trame non brillavano di sicuro per originalità, se confrontate con i capostipiti del genere e nemmeno spiccavano per composizione, ma suggerivano la presenza di un universo del fantastico ben al di là delle mie scarse cognizioni.

Fino a che l'uscita di un titolo videoludico non mi fece collegare tutti i riferimenti raccolti fino a quel momento verso una singola direzione: il gioco di ruolo da tavolo (o analogico, per convenienza).

“Neverwinter nights” (2002), titolo pubblicato dalla Atari games, con la collaborazione della casa di sviluppo Bioware, è stato uno dei primi gdr a implementare, oltre alla grafica tridimensionale isometrica, un sistema di regole interamente basato su manuali cartacei pensati per una fruizione analogica. In sostanza, avevo fra le mani un “gioco di ruolo da tavolo per pc”, se mi si garantisce la licenza, con il logo del prodotto originale stampato sopra nella sua classica grafica con una spada lunga in ferro incastonata fra le lettere D in Dungeons&Dragons.

Per vie traverse venni ad approfondire la conoscenza di un prodotto che, negli ambienti ludici collettivi del periodo veniva ancora consierato di nicchia o, comunque, non così famoso o popolare (perlomeno in Italia, si intende) da giustificare una comunicazione commerciale così ricca e sfaccettata, su più

“piattaforme mediali”, cartacee e digitali e per più oggetti, pensati per occasioni differenti: giochi analogici e digitali.

Il mio primo approccio con i manuali del gdr da tavolo fu, dunque, frutto di un'efficace pubblicità, mirata a una nicchia di consumatori adolescenti in piena espansione, le cui pratiche di consumo non erano ancora propriamente padroneggiate, né codificate in maniera adeguata. A quel tempo, non possedevo neanche un gruppo ce potesse aprirmi la strada a quella “sottocultura”; tra noi compagni di scuola difficilmente emergeva la questione se fosse il caso di provare, in che modo e con chi. Poi, come si faceva concretamente? C'era il dubbio che si potesse perdere il filo della sequenzialità e tutto rischiasse di risolversi in una chiacchierata inconcludente, del tipo che, forse, all'epoca era ancora fresco nella nostra mente del: “Facciamo finta che … “.

Eppure, Lorenzo, insieme ad Andrea, due compagni che sarebbero divenuti i primi condivisori di tante esperienze ludiche, mi assicuravano che loro amici e parenti più grandi avevano gruppi e giocavano abitualmente, persino in associazioni che si appoggiavano a ludoteche5. Uno di questi, Giulio, cugino di Lorenzo, di due anni più grande e quindi già dotato di una certa autorevolezza, dopo qualche giorno di trattativa, decise di fare da Dungeon Master, sorta di arbitro e narratore “super partes” che sarebbe dovuto essere il sostituto del computer, il sommo demiurgo del mondo immaginario: doveva conoscere tutte le

4 Tra le edizioni dei primi anni 2000 che cominciarono a riscuotere un discreto successo, ricordo il ciclo di “Dragonlance”

edito dalla romana Armenia (per ulteriori informazioni consultare l'intero capitolo 2).

5 Una delle più famose in tutta la Romagna, in particolare nel forlivese, è “La torre nera”, la cui notorietà fra ludofili e collezionisti non sembra diminuire, anzi, si è persino propagata su piattaforme social come Facebook.

https://www.torrenera.it/sedi/forli/ (consultato il 5/2/2020).

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regole, decretare i risultati delle nostre decisioni e metterci di fronte a sfide, insidie, tranelli, trappole, creature mostruose, tesori, conquiste e scoperte.

Cosa non sapevamo ancora? Primo: quanto dovevamo imparare delle regole? Difficile a dirsi, soprattutto data la complessità strutturale dei giochi per computer che conoscevamo bene. Secondo: vendevano da qualche parte manuali in grado di fornire una breve introduzione a principianti assoluti?

La congiuntura temporale sembrava essere a favore della nostra iniziazione ludica: l'italiana Panini aveva da poco acquisito i diritti per l'edizione italiana della Terza Edizione del gioco americano di successo mondiale, Dungeons&Dragons, appunto. Quello che non sapevo, tuttavia, era che in commercio esistevano diversi prodotti con lo stesso nome e ancora, purtroppo, non esistevano canali informativi efficaci e quasi istantanei come quelli odierni legati a social network e a forme di sinergia mediale avanzata, per cui quando mi recai in libreria per acquistare il prodotto, mi affidai completamente ai commessi del negozio che mi indirizzarono verso un set introduttivo, cosiddetto “Box set introduttivo 25th edition. Advanced Dungeons&Dragons”.

Con mio grandissimo dispiacere scoprii che l'edizione acquistata forniva regole per la risoluzione dei conflitti fra personaggi giocanti gestiti dai giocatori e personaggi non giocanti gestiti dal Dungeon Master, diverse rispetto a quelle che ricordavo da “Neverwiner Nights”. Assieme ai miei compagni di scuola scoprimmo che stavamo usando l'edizione precedente del regolamento (Advanced, appunto) e che noi necessitavamo della Terza Edizione che, oltretutto, avrebbe avuto da lì a poco una ri-edizione: la cosiddetta 3.5.

Abbastanza scoraggiati e con l'aggiunta di un amico di famiglia, Giovanni, anch'egli interessatosi alla prova con Giulio, il famoso cugino di Lorenzo, ci siamo recati all'appuntamento con il Master e lo abbiamo trovato con tre bei manuali con la copertina rigida, riconoscibili ognuno per i bei colori brillanti e le illustrazioni di copertina che simulavano le asperità di incunaboli di pergamena: erano quelli i manuali base di cui eravamo alla ricerca. Senza grandi preamboli, Giulio partì velocemente con le spiegazioni su come creare i personaggi e distribuirne i punti generati con i dadi fra una serie di

caratteristiche contenute in piccole cellette all'interno di schede fotocopiate direttamente dal libro. Non posso negare che avessi grandi aspettative, nutrite dalle immagini di videogiochi e decine di romanzi, per cui dopo aver deciso di giocare come un bardo mezz'elfo che avrebbe dato man forte al gruppo, con i miei dadi poliedrici, mi apprestai a seguire le parole del Dungeon Master. Ebbene, dopo due o tre ore in cui Giulio ci spiegò, in medias res, come i nostri personaggi facessero parte di una scorta ,al seguito di una popoalzione disperata in fugada una città cinta d'assedio, ci trovammo di fronte il nostro primo combattimento: un'orda di zombi e scheletri che per poco non ci falciò subito. Il mio personaggio, che non combattè per nulla, si distinse per aver rincuorato con le nite del liuto (ancora non so bene come) una torma di vecchi e bambini, mentre altri vennero seriamente feriti, ma alla fine della nostra sessione guadagnammo talmente tanti punti esperienza che salimmo di livello e potemmo dare una scorsa ai manuali per cambiare le caratteristiche alle nostre personali schede. Ebbene, la seconda volta che ci

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trovammo nel parco dietro casa mia con Giulio fu l'inizio della fine: dopo una fuga disordinata dalla città e aver tratto in salvo la marmaglia, decidemmo di avventurarci in una catacomba, per nessun particolare desiderio se non la pura curiosità di immaginare risvolti piacevoli, ma il Master ci dirottò verso altro.

Dopo un breve e disastroso combattimento contro dei giganteschi scarabei, fummo tutti irrimediabilmente morti.

Fu da allora e, soprattutto, da quando riuscii ad acquistare i manuali originali dell'edizione 3.5, che decisi di arbitrare io stesso delle partite a turno con i miei compari e, così facendo, raccolsi attorno al mio tavolo che, di volta in volta, era al parco sotto casa, sotto casa direttamente, ossia in vari garage appartenenti agli inquilini dell'appartamento o dentro casa, mia o di amici. Ciò che ricordo con piacere di questo lungo periodo ludico che va dalla fine delle medie fino alla terza liceo compresa, è che, sebbene non avessimo mai portato a termine un solo arco narrativo con gli stessi personaggi sia in veste di Dungeon Master, sia in veste di giocatore, costituì per tutti i partecipanti un'efficace valvola di sfogo e di socializzazione continua, specie in momenti non troppo piacevoli di crescita adolescenziale che alcuni di noi, compreso me, sperimentavano in ambito scolastico. In poche parole, se sono quel che sono oggi, lo devo

sicuramente in gran parte al gioco di ruolo ed è una cosa che ho capito molto bene solo recentemente.

Per molto tempo, infatti, questa parte di me e del mio tempo libero, che esercitava gran parte delle mie energie creative per proporre ad altri scenari di fantasia e immedesimazioni originali e godere a mia volta dell'esercizio figurativo legato alle descrizioni altrui e al senso di incantamento temporaneo della

condivisione di esperienze, sebbene completamente immaginate, cessò. Non ci fu neanche un discrimine fra il prima e il dopo; non ricordo, francamente, nessuna frattura. Tutto procedette in maniera fluida e sequenziale: cambio di prospettive, fine del liceo, inizio dell'università a Venezia e cambio generale di conoscenze. Conservao ancora i taccuini in cui avevp gelosamente custodito le mie mappe, le mie linee narrative, i miei appunti su trappole mostri e ganci di trama e quando tornavo a Forlì, a volte, mi divertivo a sfogliarli, ma non mi era mai più capitato di chiedere ai miei nuovi amici e conoscenti se giocassero di ruolo. A dire il vero, mi giungevano solo voci di fidanzati e amici o amiche che, qualche volta, uscivano per giocare qualche partita a casas di conoscenti veneziani, ma rifiutavo di considerarlo come un possibile svago.

Fino a che, dopo essermi spostato in affitto a S.Polo, non venni di nuovo in contatto con due studentesse fuori sede di Forlì che, dopo avermi confessato di amare alla follia il gioco di ruolo, mi dissero anche che Andrea mi salutava e che se volevano giocare con un Master bravo, dovevano senz'altro rivolgersi a me.

Per una serie di combinazioni alquanto strane, mi ritrovavo in affitto con matricole che conoscevano molto bene il mio ex compagno delle scuole medie e che, per giunta, avevano giocato con lui di ruolo e con gli stessi giochi.

Per un'altra serie di coincidenze, mi trovai, proprio in quel periodo a leggere un articolo, su un blog di divulgazione antropologica, che menzionava una breve bibliografia essenziale per approcciarsi allo studio

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accademico del gioco di ruolo6 e si dava appunto il caso che fossi parecchio indeciso su che argomento prediligere per la tesi di magistrale.

In un certo senso, era come se una parte importante del mio passato mi stesse fornendo un punto di appoggio, ancora una volta. E forse la suggestione avveniva già da qualche tempo, dato che a partire dal Marzo del 2014 era stata annunciata la Quinta edizione di Dungeons&Dragons e il mercato mondiale dei giochi di ruolo sembrava stesse ricevendo un'attnezione che, prima, avremmo tutti definito senz'altro incredibile.

Possedevo grosso modo un'idea e avevo anche dei gruppi di gioco facilmente accessibili, mi mancava solo un docente e un buon metodo per cominciare. Quella che seguirà è una breve introduzione alla ricerca, alla metodologia e al posizionamento che mi hanno permesso di compiere il mio lavoro di ricerca sul campo all'interno di diversi gruppi in diverse occasioni e differenti contesti.

Una breve panoramica

Il progetto complessivo della mia tesi è ovviamente incentrato sulla messa in rilievo dell'etnografia come strumento conoscitivo per la formazione di una descrizione fenomenologica “densa” del fenomeno in questione e sull'illustrazione di come le pratiche ludiche del gioco di ruolo analogico o tabletop,

all'americana, siano pezzi importanti di cultura contemporanea che danno agli attori sociali coinvolti nelle interazioni, una serie di possibilità, conoscenze e competenze spendibili su una serie abbastanza ampia di

“campi sociali” in evoluzione, come quello delle comunicazioni, delle professioi creative e delle industrie culturali e dell'intrattenimento, che tanta parte hanno nella formazione dei contenuti dell'immaginario contemporaneo.

Il capitolo 1 sarà, pertanto strutturato in una prima definizione accademica ed extra-accademica di gioco, gioco di ruolo (role-play) e cultura ludica in generale, per poi soffermarsi in maniera estensiva sulle origini storiche ed economico-sociali del fenomeno e dei prodotti su suolo americano, con le sue

successive ramificazioni globali e trasformazioni culturali, a partire dalla seconda metà degli anni '80. La parte finale del capitolo verterà, invece sulle contaminazioni che il gioco di ruolo ha subito a partire dalla metà degli anni '90 con il settore videoludico prima e con lo sviluppo delle telecomunicazioni e Internet poi, per terminare con una panoramica sulla nascita di generi di intrattenimento trans-mediali,

6 L'articolo in questione è contenuto in: https://www.antrodichirone.com/index.php/it/2015/11/13/il-gioco-di-ruolo-dalle-

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appartenenti alla cultura amatoriale dei social network, in cui è entrato anche il gioco di ruolo coi suoi prodotti.

Il capitolo 2 passerà in rassegna le principali opere bibliografiche dedicate e al gioco in generale e al gioco di ruolo in particolare, che hanno stimolato le più interessanti ricerche anche contemporanee e le raccolte di lavori collettanei, i quali, come nel caso di “Role-playing game studies” (2018) assumono il potenziale reale di influenzare il mercato dei giochi e le teorizzazione di design attorno ai prodotti in questione. Questo “status artis” avrà, ovviamente, al proprio interno una serie di riferimenti a ricerche appartenenti a campi affini (sociologia, psicologia sociale e storia) che fungeranno da complemento all'analisi che fornirò, segnalando la natura in fieri del lavoro accademico sull'argomento e i naturali, quanto scontati limiti della presente tesi.

Il successivo capitolo 3 presenterà, prima del capitolo etnografico centrale, un'illustrazione della cornice teorica utilizzata per fornire un'analisi conclusiva sul caso di studio e sulla cultura ludica analizzata tramite l'etnografia. Per ogni concetto, associato al proprio autore o autori di riferimento, sarà fornita una descrizione e un riferimento bibliografico, nonché la visione d'insieme che ho pensato di voler dare alla mia analisi: fornire strumenti utili per un'ulteriore analisi degli immaginari, delle pratiche e delle relazioni che si instaurano nei gruppi di gioco, in relazione con i flussi di informazione.

Il capitolo 4, ossia il fulcro etnografico centrale della tesi sarà costruito come una scelta di casi

particolarmente interessanti e che ho reputato particolarmente fecondi dal punto di vista informativo, a partire dalle note di campo, dalle interviste e dagli appunti, maturati a seguito di una ricerca sul campo che ho portato avanti dalla primavera-estate del 2016, all'estate del 2018, con la partecipazione di cinque gruppi, in parte sovrapposti, appartenenti alla medesima area geografica del veneziano (Venezia S.

Alvise, Venezia Giudecca, Mestre-Marghera, Musile-Salzano-Mestre). Ho strutturato la mia esposizione in modo da coprire gli ambiti culturali che reputo fondamentali per la comprensione del fenomeno, ossia:

le informazioni, ovvero la conoscenza accumulata da singoli e gruppi, attraverso l'utilizzo di canali mediali diversificati e pratiche culturali codificate; gli “oggetti”, ovvero il “mondo delle cose” che pertengono alle espressioni creative del gioco di ruolo nelle sue realizzazioni concrete, ma anche nelle sue “idealizzazioni” e i riferimenti alla catena economico produttiva e pubblicitaria che sostiene questo universo.

Infine, il capitolo 5, comprensivo di conclusione, sarà una breve analisi, operata a partire dalla cornice teorica esposta nella relativa sezione, volta a chiarificare la crescente rilevanza culturale del fenomeno del gioco di ruolo all'interno della cultura contemporanea, con particolare riferimento all'importanza che riveste, all'interno dei campi sociali che si strutturano attorno alla fruizione e commercializzazione dei giochi di ruolo, la gestione delle informazioni e la strutturazione delle pratiche ludiche e a valutare l'esperienza ludica come un canale efficace per esercitare una potenziale cultura della partecipazione e del dissenso. A seguire, una breve parentesi conclusiva per delineare le possibili evoluzioni della ricerca e i limiti della presente tesi.

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Oltre alla bibliografia di accompagnamento, sarà fornita nella sezione di Appendice la raccolta delle trascrizioni effettuate a seguito dei colloqui di intervista ottenuti nel corso della ricerca e un breve glossario con l'insieme dei termini specifici del gioco di ruolo analogico, utili ai fini della comprensione della tesi.

Questioni di metodo e posizionamento

Come ho già parzialmente menzionato sopra, la ricerca che ho condotto in 5 gruppi di giocatori dell'area veneziana7, mi ha portato settimanalmente, a volte in maniera discontinua, ad utilizzare una serie di accorgimenti metodologici differenti.

L'aggiunta dei gruppi nella ricerca è stata graduale, dopo un periodo di osservazione iniziale.

In primo luogo, nei primi mesi del 2016, mi sono dedicato alla formulazione di alcune linee di ricerca: su quanti gruppi focalizzarsi e su come? Quali basi teoriche mi accompagneranno? Dopo aver deciso di utilizzare inizialmente una prospettiva da osservatore esterno non partecipante, ho stilato una lista di

“oggetti” sul campo da tenere in considerazione privilegiata: le informazioni possedute da ogni

partecipante, fosse esso un giocatore o un Narratore, le battute e le narrazioni che avvenivano sia durante le sessioni, sia al limitare, che nel post-partita; l'utilizzo del setting e degli “oggetti” di gioco. Per poter mettere in pratica questa prima fase, ho deciso di portare sempre con me un piccolo taccuino e un

registratore, onde evitare di dimenticare puntualmente le informazioni memorizzate, ascoltate o visionate, il mio smartphone, col quale avrei potuto scattare fotografie e contesstualizzare elementi poco chiari tramite il motore di ricerca.

Durante il primo periodo, in cui, peraltro, ero ancora incerto su cosa focalizzarmi e in quali gruppi dovessi inserirmi, avevo già iniziato a gestire come Narratore quello che diverrà poi il Gruppo 1 e che, inizialmente non avrei inserito, ho iniziato semplicemente a registrare per intero le partite di 3 o 4 ore a cui assistevo da osservatore a S.Alvise, per poi riascoltarle nella loro interezza, riassumerle tramite il programma di scrittura, tenendo conto di ogni avvenimento registrabile, privilegiando soprattutto i luoghi, gli oggetti e le reazioni dei giocatori di fronte alle scelte del Master, per poi restringere il campo a flussi di informazione e riferimenti culturali, oggetti di gioco e relazioni nel gruppo. Dopo aver

sistematicamente annotato nelle mie “Note di campo” lo svolgimento delle partite, componendolo generalmente di un introduzione descrittiva della locazione, degli strumenti utilizzati dai giocatori e degli avvenimenti o dialoghi pre-sessione, di una parte illustrativa delle pratiche e dei flussi di informazione e dialogo, scritta per lo più all'interno del contesto della finzione, con i punti di vista dei personaggi alternati a quelli dei giocatori e dell'emergenza del contesto reale; da ultimo, invece, una sorta di fase molto breve di post-sessione con la descrizione di dialoghi registrati durante i miei spostamenti in

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compagnia dei collaboratori e annotazione delle tempistiche di commutazione fra una sede e l'altra.

Con l'intensificarsi del lavoro, dovuto all'accrescimento di conoscenze personali e gruppi di gioco in cui ero inserito, ho deciso di procedere con la fase di osservazione partecipante, sempre condotta con largo uso di annotazioni su taccuino, per quanto possibile, data la mia posizione come giocatore (cosa invece impossibile quando il Master ero io), registrazione di sessioni intere con uso continuato di registratore e dunque con processo di rielaborazione scritta del materiale registrato e annotato in forma estensiva, a casa, nel più breve tempo possibili. Avendo, ovviamente, a disposizione più materiale, ero anche carico di nuove questioni che mi sarebbe piaciuto approfondire, in particolare con giocatori più esperti e di lunga data, con Narratori e Master, tramite colloqui di intervista semi-strutturati, in cui redigevo sul taccuino una serie di argomenti chiave attorno a cui costruire le mie domande, volutamente il più generiche possibili, in modo da stimolare associazioni di idee flussi continui di pensier, da integrare alle osservazioni.

Per quel che concerne i colloqui informali, essi sono stati integrati nelle note di osservazione, ove possibile e ricostruiti anche tramite incrocio con le interviste o le registrazioni, da me conservate in un hard disk esterno.

Data la concentrazione da me effettuata su cinque gruppi di gioco e la regolarità degli incontri settimanali di ciascun gruppo (con l'eccezione del gruppo della Giudecca che ho potuto osservare un'unica volta), a volte intervallata da periodi di pausa, causati da intensi periodi di studio, malanni di stagione oppure difficoltà logistiche e d'orario, i periodi di stacco sono stati da me sfruttati per ampliare la conoscenza dei prodotti culturali di riferimento come manuali, schede, romanzi menzionati nel corso delle sessioni, oggetti del setting e videogiochi e dei principali canali di diffusione informativa, ovvero i social network e i siti commerciali delle case editrici (Wizards of the Coast, Need Games, ecc.), sia americani, che italiani.

Ho iniziato così a chiedermi se, ai fini della mia ricerca, fosse essenziale produrre anche una sezione etnografica online, o se fosse il caso, invece, di triangolare qualche dato con quelli che ho ricavato nei gruppi di riferimento. Alla fine, ho optato per la sceonda alternativa e mi sono limitato a cercare

informazioni integrative sulle meccaniche di gioco e sulla popolarità di determinati prodotti, tramite gli strumenti che l'algoritmo social stesso forniva: i sondaggi e i post nei gruppi chiusi e nelle pagine

ufficiali di Facebook, nei quali, inizialmente, fornivo io le alternative tra cui scegliere (diversi prodotti di una stessa casa editrice o diversi stili di gioco) e a cui poi gli utenti potevano aggiungerne altre. Le domande aperte all'interno dei post invece hanno suscitato un numero di commenti decisamente maggiore e mi hanno fornito una serie di risposte qualitativamente apprezzabili che potevano fornire un supporto o un contrasto a quelle fornite nei colloqui o nelle fasi di pre o post-sessione. Altri elementi che ho

considerato nella mia esplorazione dei contenuti mediali di Facebook che potessero fornire una efficace panoramica ideologica delle pratiche comunicative e interattive del e nel gioco di ruolo è giunta dalla breve analisi semiotica dei post-meme, selezionati da personalmente fra una serie di pagine ufficiali: sorta

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di collage umoristici di testo e immagini fotoritoccate, costituiscono una buona fonte di informazione culturale sui riferimenti culturali e ideologici.

Youtube ha, invece fornito, una serie di indicazioni sulle principali contaminazioni che avvengono tra la pratica del gioco e la teorizzazione, tra l'esperienza e la fruizione della ludicità: ho visionato una serie di opere originali di videomaker con pagine dedicate al gioco di ruolo che hanno contribuito a formare domande di indagine e teorie nel corso dell'intera ricerca sul campo. Incidentalmente, le ho anche sfruttate per costruire le mie sessioni in qualità di Dungeon Master e seguire consigli di gioco in qualità di personaggio giocante.

Quest'ultima fase non costituisce, dunque, di per sé un tentativo di “etnografia digitale”, in quanto, comunque, il mio focus è rimasto e rimane fermo, nel dispiegarsi dell'intera ricerca sul campo, sull'esperienza di gioco di gruppi legati anche da intime conoscenze di amicizia e sulle pratiche

informative, che pertengono all'espressione faccia a faccia; il canale digitale non è stato, dunque oggetto di ricerca in sé e per sé, bensì un valido aiuto e uno strumento conoscitivo e di validazione di dati altrimenti ottenuti nelle fasi di osservazione8. Viene, tuttavia, ad integrare alcune informazioni e

triangolare molti punti di vista che, altrimenti, non potrebbero essere analizzati in maniera efficace, al di là del loro contesto complessivo di articolazione, specie se consideriamo quanto possano essere

fondamentali i mezzi di informazione elettronica e le forme di espressione trans-mediale (video/audio/testo scritto).

Per quel che concerne, invece, le comunicazioni con i giocatori partecipanti, ho fatto ampio uso di chat in tempo reale, tramite il sistema di messaggistica sincrona di Whatsapp, in cui quasi ogni gruppo aveva a disposizione una chat dedicata e il sistema di SMS integrato negli Android dello Smartphone, con una scontata preponderanza della prima sul secondo metodo di comunicazione. In due casi (Walter e Davide), ho persino condotto delle interviste tramite Whatsapp, anche grazie alla presenza della funzione di registrazione vocale, che ha lasciato al collaboratore la libertà di articolare i propri pensieri con

immediatezza e libertà, dati gli impegni lavorativi di qualcuno che, in più di un'occasione, hanno messo in difficoltà i miei tentativi di ottenere colloqui di una certa durata. In un unico caso, ovvero, in una seconda intervista rilasciatomi da Eric che aveva come oggetto la mia conduzione da Master, ho utilizzato il sistema di messaggistica di Facebook (Messenger, con gli stessi buoni risultati di Whatsapp.

Un'ulteriore metodo è stato, poi, quello della raccolta sul campo, ove possibile, a meno che non servissero per la conduzione delle sessione, di oggetti come annotazioni, mappe, disegni e schede compilate o precompilate, in forma materiale, che ho poi provveduto a schedare nelle mie note di campo o,

alternativamente, in forma di fotografia digitale (da smartphone), che mi hanno permesso di articolare alcune interessanti riflessioni sul processo creativo prima, durante e dopo le sessioni, attuato da diversi attori. Una prima e più semplice raccolta è avvenuta nel Gruppo 2 di S. Alvise, a casa di Dario, in cui ho

8 Come emerge nelle differenziazione elaborata in Pink (2016: 106) tra una “digital ethnography”, interamente dedicata al medium e ai suoi risvolti socio-culturali e una “netnography”, ossia un metodo di indagine di comunità con estensioni

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provveduto a fotografare le più interessanti mappe, ideate e riprodotte su supporto cancellabile (plexiglass) con pennarelli ad acqua, per facilitare i momenti tattici di combattimento più complessi oppure gli appunti provvisori schizzati a matita e le annotazioni sulle schede ufficiali fotocopiate direttamente da manuali o stampati da formato pdf; lo stesso è stato fatto anche nel caso del mio gruppo di Marghera (Gruppo 1), quando assieme ai giocatori abbiamo provveduto a disegnare su un acetato ripartito in quadretti le mappe principali che procedevo a descrivere. Il secondo tipo di oggetti etnografici è, invece, costituito dagli appunti presi in gioco e successivamente rielaborati da due giocatori , Silvia e Andrea S. presenti al mio “tavolo”. Nel primo caso sono due taccuini, uno più piccolo, parzialmente scarabocchiato su un lato, contenente buona parte degli eventi e dei particolari numerici e discorsivi della campagna, con l'aggiunta di disegni autografi o di altra mano; il secondo più grande, ricopiato in una specie di “bella copia” con gli stessi contenuti. Nel caso di Andrea S., invece, gli appunti sono stati presi a matita e sono interamente concentrati in un faldone di circa due facciate, proveniente da un piccolo quaderno a righe, con qualche mappa e disegno stilizzato. In entrambi i casi, mi sono servito degli oggetti, integrandoli con foto e altri elementi, come post e riferimenti bibliografici per restituire, in fase di etnografia, l'esperienza ludica reale il più fedelmente possibile.

Nel momento in cui ho maturato la decisione di intraprendere una ricerca immerso in un tavolo da gioco, con un gruppo che regolarmente si ritrovava per “fare sessione”, avevo a disposizione diverse opzioni:

avevo già iniziato, nel Febbraio-Marzo del 2016, a frequentare a S. Alvise il gruppo di Dario, che aveva da poco perso un membro e mi avrebbe volentieri aggiunto. Ero già a conoscenza del Master, Dario e di uno dei giocatori Andrea M. che sapevo essere un giocatore di lunga data di D&D.

Inizialmente, per lo meno, sentivo di avere a disposizione un bel “luogo” in cui inserirmi, che fosse già abbastanza vicino alle mie esperienze e che mi permettesse di allargare con calma le mie conoscenze di giocatori. E non passò, infatti, molto tempo quando Andrea M. mi riferii della sua campagna in corso da due o tre anni con Dario e altre persone che avevo solo sentito nominare, come Alvise e Ginevra, che facevano parte di un vecchio ensemble di giocatori poi scioltosi, a causa di alcune divergenze con il Master e la sua compagna. Nell'Aprile del 2016 avevo cominciato io stesso ad arbitrare una campagna, proponendo di trovarci una volta a settimana a casa mia, a una serie di conoscenti che, o non avevano mai giocato di ruolo e avevano solo sentito nominare la pratica, o avevano giocato così poco da non ricordare praticamente nulla, così grazie alla graduale partecipazione di amici e conoscenti come Claudia, Silvia e Andrea S. decisi di iniziare ad osservare ,partecipando dalla posizione privilegiata del Narratore, quelli che potevano essere i primi passi nell'hobby di neofiti interessati. Il gruppo che Andrea M. arbitrava sarebbe stato osservato dall'esterno, data la notevole preparazione che la partecipazione ad altri due gruppi come Master e giocatore, comportava durante il corso della settimana, oltre alle sbobinature e alla

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redazione delle note di campo, che si ammucchiavano inesorabilmente.

Entrare all'interno di un gruppo già formato è, di norma, abbastanza semplice, se la conoscenza dei prodotti, delle regole dei manuali e delle pratiche di gioco è sufficientemente buona ed è stato anche non troppo difficoltoso far accettare l'idea della presenza di un piccolo registratore sul tavolo da gioco, perchè dopo qualche minuto dall'inizio della sessione, di norma nella prima serata, ognuno entrava nel vivo della gestione del proprio personaggio, sia tatticamente, nelle fasi di combattimento o esplorazione poste di fronte dal Master, sia nelle fasi di interazione e immedesimazione che possono essere assimilate a una sorta di pratica teatrale di improvvisazione a canovaccio, in cui, a parte rari casi, lo stereotipo è la norma.

Un poco più difficile è stato rendere la mia presenza di osservatore non partecipante accettabile ed evitare che fosse fonte di distrazioni o imbarazzo: nel gruppo di Andrea M. , del quale ho assistito a un paio di sessioni da quattro ore e mezzo circa, ovviamente, le domande circa la mia presenza sono state

paarecchie, soprattutto da parte di persone che non mi conoscevano come Alvise e Ginevra e in certe brevi fasi di rilassamento, che chiamerei pause, mi è stato chiesto di togliere e censurare alcuni commenti e battute che erano state fatte per il timore che registrassi ogni cosa e qualcuno venisse a sapere cosa dicevano; in realtà, dopo le prime titubanze, ho subito chiarito che avrei rispettato la privacy e di sicuro non avrei trascritto ogni commento possibile. In seguito, in effetti, la mia presenza, credo anche a seguito della mia partecipazione assieme a Dario, Sofia, Andrea M. e Alvise al Gruppo 2 in maniera continuativa mi abbia avvicinato notevolmente a loro e abbia creato legami di amicizia che, inevitabilmente, si sono estesi anche al di là del mondo del roleplay.

L'evoluzione del mio rapporto con il Gruppo 2 e con i partecipanti che orbitavano intorno a S.Alvise mi ha portato a condurre la mie prime interviste e colloqui più o meno informali con i giocatori, tra cui, alla fine, i collaboratori da me favoriti per esperienza e solerzia nell'attività, sono stati Andrea M. e Dario che hanno collaborato sin da subito con me con buona volontà, in diverse occasioni, anche dedicandomi buona parte del tempo libero a loro disposizione dopo gli studi universitari. Verso la fine del 2016, tra settembre e ottobre, nel Gruppo 2, ha fatto la sua comparsa una nuova giocatrice, Maria, una conoscenza di Sofia, entrambe più piccole di circa 4 anni rispetto a me , Dario e Andrea M., ci ha subito informati della sua modesta conoscenza del gioco di D&D e che aveva partecipato a sole campagne di un gioco- clone (Pathfinder) con suoi compagni del liceo scientifico. Come al solito, Dario si è messo d'accordo privatamente con lei, cosiccome aveva già fatto con me, per la creazione del suo personaggio, dei suoi retroscena, della sua storia (background) e delle sue specializzazioni, visto che abbiamo sempre fatto uso di un'ambientazione ufficiale (Eberron) che necessita di una buona conoscenza di base delle sue

peculiarità narrative.

La conoscenza di Maria e la sua buona volontà di integrarsi nel nostro gruppo, mi ha permesso di condurre un buon numero di colloqui informali sia pre, sia post-sessione sulle pratiche ludiche che coinvolgevano anche l'altro gruppo di suoi coetanei, a cui all'epoca partecipava, in qualità di Master, il fidanzato Sebastiano.

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Data la mia doppia figura di Master-Giocatore in due gruppi distinti, la mia buona conoscenza di Dario e la mia rinnovata esperienza del campo, dopo anni di inattività nel gdr, ho iniziato a valutare le mie esperienze sia in maniera positiva che negativa, offrendo ove possibile consigli e critiche, sapendo comunque che ogni Master possiede un diverso stile di gioco che, col tempo e a contatto con giocatori storici, riceve feedback e aggiustamenti autonomi. Lo stile molto lento di Dario e, a volte, troppo tecnico e privo di descrizioni lungo tutta la sessione, cominciava a starmi stretto e potevo vedere, d'altro canto, come l'assenza di vitalità nel modo di proporre incontri e situazioni da parte del Narratore fosse centrale anche nel mio gruppo a Marghera. Cercavo, quindi, di raccogliere insegnamenti dagli errori miei e altrui e mi stavo dedicando, forse, un po' troppo a cercare una specie di perfezione stilistica, rischiando così di perdere un'ottica più pluralistica.

Così, sapendo che una mia vecchia compagnia di studio della triennale, Eric, aveva un impegno di norma setttimanale, ma spesso bi-settimanale, con giocatori più vecchi di me di una media di cinque o sei anni, decisi che valeva la pena cominciare a inserirmi come osservatore non partecipante anche all'interno di questa realtà che si ritrovava a casa di un informatico di nome Marco a Musile di Piave, perchè speravo potessero fornirmi dati interessanti circa una frangia di giocatori già più attempati che erano venuti in contatto con giochi e modalità in piena evoluzione, nella metà degli anni '90 e nei primi anni 2000.

Chiesi, come prima cosa, ad Eric ai primi di Febbraio del 2017, se potesse introdurmi ai suoi compagni giocatori e spiegare brevemente in cosa consistesse la mia ricerca e cosa contassi di fare una volta giunto alle sessioni: sostanzialmente, mi proponevo di registrare interamente le partite con il mio recorder portatile ed essere il meno intrusivo possibile, ma sapevo anche per averlo già sperimentato che avrebbe significato anche introdurmi in ambienti domestici già differenti rispetto a quelli di universitari o

addirittura matricole appena uscite dal liceo. Così, alla mia prima osservazione, che ho condotto quando Marco ancora era Master di Eric, Giorgio, Alfonso e Davide V. che successivamente ha dovuto tralasciare il gioco di ruolo per motivi familiari, ho provveduto a partecipare alla cena di pizza nel pre-partita portando con me qualche dolce e una bibita analcolica, in modo che si potesse poi anche socializzare nei momeni morti della sessione. Nella stessa serata avevo intervistato Eric e qualche giorno prima avevo avuto modo di conoscere Giorgio in un'occasione esterna al gioco, per cui mi potevo ritenere abbastanza sicuro della mia accettazione; cosa che, poi, si rivelò, in effetti, corretta. Data la mia posizione, le prime volte di solo ricercatore con un taccuino in mano e un registratore poco distante che teneva conto di ogni cosa dicessero i gicatori, non mancarono le battute e le fasi di ironia rivolte al mio operato, ma al

contempo tutti quanti volevano sinceramente capire perchè mi fossi interessato a fare una ricerca del genere. Continuavo a recarmi a S.Alvise in qualità di giocatore e a condurre a Marghera, per quanto potevo, ma volli comunque partecipare, specie dopo aver saputo da Marco e Giorgio che un loro amico disegnatore (Walter) conduceva partite molto particolari e aveva ideato assieme a loro un'ambientazione originale che, un giorno, avrebbero messo per iscritto e, chissà, forse commercializzato. Dopo qualche mese , tra l'aprile e il maggio del 2017, ma anche per tutta quell'estate mi recai tra Mestre e Musile a una

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serie di sessioni di prova in cui giocavo e registravo, ottenendo sempre più vicinanza con le persone nel gruppo e con collaboratori decisamente ricchi di informazioni e molto aperti come Marco, Giorgio e Walter che, alla fine, ho provveduto a intervistare e ad accompagnare in alcune scampagnate per negozi di modellismo tra Padova e Mestre. Era lo stesso periodo in cui stavo meditando se integrare

l'osservazione partecipante con una porzione di etnografia digitale, ma che poi si rsolse in una blanda partecipazione ad alcune pagine dedicate su Facebook e a una ricerca spasmodica di materiale per arricchire le mie creazioni personali e le mie conoscenze di settore. Anche in questo caso, ero riuscito a trovare una buona ricezione delle mie attività, senza bisogno di porre rimedio a situazioni spiacevoli o incomprensioni; certo, permaneva sempre quel vago senso di imbarazzo nel cercare di spiegare cosa stessi registrado di quello che dicevano tutti loro, ma nel complesso potevo dirmi appagato e felice per come stavano andando le cose, soprattutto quando a fine Aprile, Maria, dopo vari insuccessi, forse dovuti a lentezze organizzative, riuscì a rendermi noto l'appuntamento che aveva con il suo ragazzo Sebastiano alla Giudecca, per fare sessione di Pathfinder con un gruppo composto da coetanei loro e già

notevolmente smaliziati per il gioco di ruolo. Anche in quell'occasione, la mia presenza, a parte qualche fiacco momento di ironia per la presenza del registratore e del mio sgualcito taccuino, si risolse in un genuino sentimento di curiosità soprattutto da parte di Sebastiano, con il quale stabilii una buona

vicinanza di concezioni per quanto riguardava la pratica del Dungeon Mastering; il che, in un certo senso mi avvicinò ulteriormente a Maria, che continuava a raccontarmi nei momenti di passaggio da S.Alvise alla fermata del bus a Piazzale Roma delle avventure di suoi vari personaggi in gruppi affatto differenti rispetto a quello di Dario.

Potevo dire, nel frattempo, verso la seconda metà del 2017, che la conoscenza e le pratiche, anche all'interno del gruppo di Marghera fossero mutate: avevo attirato come giocatori Eric, Davide P. e Alessandro (amici di amici) e l'impegno, sebbene felicemente profuso, stava iniziando a diventare gravoso, anche in ragione della presenza di alcuni miei lievi problemi di salute e la constatazione che, oramai, possedevo parecchi dati. Così, dopo aver letto del nuovo alone di fama che attirava su di sé la Quinta edizione di D&D e aver saputo da Davide P. dell'organizzazione a Padova di una mega-sessione a più tavoli costruita come evento promozionale per l'uscita in traduzione di alcuni manuali, decisi di partecipare, quasi senza avere idea di cosa mi aspettasse. Dato che vedevo questo come il colpo di coda finale del mio periodo di fieldwork, un periodo molto sfilacciato e comunque graduato secondo periodi più o meno intensi, con impegni settimanali diversificati, decisi di iscrivermi in compagnia del gruppo con nome ufficioso di “Uranidi”, a un evento che, insieme alla netnografia avrebbe costituito un buon espediente per dare un'idea di come potesse essere estesa la community del gdr analogico e degli estimatori dei suoi prodotti culturali.

Se, dal punto di vista soggettivo, l'esperienza per me fu sommamente stancante e neanche troppo divertente, dal punto di vista della ricchezza fenomenologica e descrittiva fu positiva e mi permise di capire almeno un po' di più quanto contasse l'espressione creativa nel proprio tempo libero e in questo

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momento storico, impressione ricavata anche dalla apparente facilità con cui l'evento poteva coinvolgere anche inesperti totali, poco esperti o semplici osservatori, cosa che, forse, volevo essere, ma che alla fine fu impossibile dato il costante impegno cognitivo richiesto per partecipare attivamente.

Non nego che, durante l'intera mia esperienza di ricerca, sia stat determinante, nella facilitazione dei miei vari compiti di registrazione e raccolta, l'essere considerato un insider e poter vantare una solida

conoscenza di prodotti, correnti di pensiero della teoria ludica o del game design, pratiche di gioco, regole e ambienti. Ripeto che, per me, è stato un po' come riscoprire una realtà stranamente lasciata nell'oblio per un lungo periodo, che quando cominciai a frequentare mi diede una buona quantità di risorse per risollevarmi da alcuni periodi particolarmente negativi e che, anche ora, mi è utile per capire vari aspetti della mia personalità e costruire attorno a me una comunità che sento positiva.

In ogni caso, al termine della raccolta, con la foga della sistemazione ancora in corso, per tutta la fine del 2018, intento a sistemare i riferimenti delle note di campo, secondo un indicizzazione per argomenti, mi resi conto che, a parte la testualizzazione a tratti molto schematica, a tratti particolarmante strana, per il fatto che vi era un continuo entrare ed uscire dal punto di vista del giocatore e dal punto di vista del personaggio, sia nelle fasi da puro osservatore, sia in quelle da partecipante, che mi hanno senz'altro coinvolto di più a livello emotivo, ma che spesso sono state fonte di difficoltà notevole, quando si trattava di stabilire la direzione del flusso di informazioni, anche solo stando a riascoltare per intero le

registrazioni. Così mi sono state assolutamente utili quelle che Clifford chiamerebbe “mental notes9”, ovvero il graduale inscriversi nella mia mente organizzatrice di eventi, in questo caso di natura ludica, una serie di nozioni, comportamenti e pensieri sul “gioco” che mi hanno permesso di ri-costruire di sicuro non in maniera “oggettiva” gli avvenimenti e le pratiche, ma di collegarli all'”impressione” anche emotiva degli spazi sociali che andavo, pian piano a descrivere. Un altro motivo che ha condotto a una sovrapposizione lenta dei vari processi di in-scrizione del dato, è stato il fatto che, analizzando, in definitiva solo una piccola porzione della vita del singolo, sebbene molto ricca e produttrice di senso, a volte è stato necessario attendere parecchio per il ripresentarsi dello stesso gruppo in sessione, mentre altre volte, le settimane erano letteralmente piene di partite serali e osservazioni che spesso, almeno qualitativamente, tendevano ad assomigliarsi e a causare confusione, noia e anche frustrazione. In un certo senso, c'è stata una maniera un poco strana di produrre quell'”impregnazione10” tipica

dell'immersione nel mondo culturale sotto osservazione, in ogni campo della vita sociale; qui, conducevo la mia vita normale in assenza di contatto con i miei collaboratori, almeno fino agli eventi prefissati e nei momenti di distacco, se non dovevo pensare a come costruire in anticipo la sessione in cui agivo da Master, sfruttavo per lo più la mia memoria e la mia voglia di conoscere un po' più a fondo i prodotti e le esperienze di gioco, tramite Internet e in particolare Youtube prima e, successivamente, quando trovai più di una persona che potevano vantare esperienze veramente pluriennali decisi di partecipare alle sessioni

9 Si veda Clifford “Notes on fieldnotes” in Sanjek (1990).

10 Confrontare con de Sardan “La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia” in Cappelletto (2009): p.31.

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con spirito di emulazione, rincuorato dall'accettazione che questi nuovi “esperti” mi avevano concesso.

Nel mio essere già un pallido “connoisseur”, per così dire, del settore, maschio e di quasi trent'anni, interessato più a questioni di ordine comunicativo, espressivo e informativo, con tutte le probabilità, ho tralasciato numerosi aspetti legati all'uso del tempo libero e all'affiliazione a gruppi di roleplay, che sicuramente meriterebbero di essere approfonditi e valorizzati, come la discriminazione di genere, la stereotipizzazione dei ruoli all'interno delle pratiche ludiche e le problematiche sociali dello stigma e della categorizzazione; problematiche che, soprattutto nei colloqui informali sono comunque emerse solo superficialmente.

2 Contestualizzazione

Nel seguente capitolo verrà fornita un'ampia panoramica storica della nascita, specializzazione e diffusione del gioco di ruolo analogico contemporaneo, con riferimenti molto fitti alle comunicazioni pubblicitarie e agli universi simbolici che l'ambito ha richiamato e costruito attorno a sé. Particolare attenzione verrà fornita anche alla evoluzione del fenomeno in Italia e alle problematiche relative alla sua crescente importanza sociale, spesso artificialmente marginalizzata. Come prescrive Burke nella sua teorizzazione della “storia culturale” come metodo di analisi delle mutazioni diacroniche nelle pratiche culturali e nelle sue connotazioni, occorre prendere coscienza della “co-varianza” di più connotazioni su uno stesso fenomeno, per coglierne appieno la portata11.

“What is a Role-playing Game, anyway?”

Per inquadrare il fenomeno dobbiamo prima chiarire cosa sia esattamente un “gioco di ruolo”. Ebbene, possiamo partire dalla definizione che Saler e Zimmerman danno del gioco, inteso nella sua

manifestazione pratica:

“[A game is] a system in which players engage in an artificial conflict, defined by rules, that results in a quantifiable outcome”

(2004: 80).

11 Burke (2019): 35.

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Tale definizione è frutto di un procedimento di raffinazione concettuale, in cui da una sostanza

“culturalista” e abbastanza generica, come quella di Huizinga (1973), che lo “reifica” come origine e suggello di ogni azione sacrale e giuridica, ma che la modernità ha limitato nell'ambito del faceto, poiché volontario e improduttivo, si passa a una definizione tassonomica del “gioco” come insieme di

dimensioni pratiche differenti, afferenti a una facoltà particolare12 dell'azione umana. In tutte è tuttavia presente la dimensione del limite, delle regole, del sistema. La dimensione del conflitto artificiale, invece viene dedotta dall'osservazione comparativa dell'attività dell'uomo e dell'animale nel loro adattamento all'ambiente, anche se manca di sistematicità. Tale conflitto è una piacevole imitazione della vita, che il cucciolo, secondo la scienza etologica, dovrà affrontare una volta adulto13. L'importanza biologico- evolutiva del gioco, sia fisico, sia immaginifico o fabulatorio, è abbastanza chiara se si fa riferimento alla mole notevole di studi comparativi di biologia, etologia e antropologia (molti esempi possono facilmente essere rintracciati in: “Play, playfulness, creativity and innovation”, Bateson P. e Martin P. 2013,

Cambridge), nei quali il costo elevato in termini di risorse energetiche che l'attività giocosa comporta, viene controbilanciato da notevoli vantaggi in età adulta, come maggiore flessibilità fisica e mentale in caso di pericolo o imprevisto, capacità di adattamento e innovazione. Il vantaggio è evidente anche all'interno della specie umana, la cui incompletezza fisico-biologica è compensata da una fase molto lunga di allevamento e inculturazione socializzata, la cui complessità necessita di supporti discorsivi e meta-comunicativi che la struttura del gioco assolve nel migliore dei modi. Se l'universo del gioco è come una interfaccia adattiva ausiliaria rispetto alla socializzazione primaria del nucleo familiare per il bambino, fino a età non inferiori ai 15 o 16 anni, è altrettanto vero che l'attività non viene abbandonata con l'età e si può stabilirne un'efficacia fondamentale nel dirigere le facoltà creative, di ricerca di significati e connessioni impreviste e di capacità inventive, ovvero di implementazione di quei nuovi significati in situazioni verosimili. Per poter essere efficacemente condotto, questo “gioco”, deve disporre di ambienti sicuri e scevri di preoccupazioni fisiche e precarietà esistenziali (sostentamento, stress fisici e mentali) e deve nutrirsi di una piacevole disposizione d'animo per poter essere veramente utile:sfide alla portata delle capacità individuali,disciplinato da regole comprensibili operanti in cornici metatestuali non ambigue e prive di stress imprevisti e, all'interno delle contemporanee società occidentali, si prevede sia condotto in contesti spazio-temporali qualitativamente distinti da quelli associati a processi socio- economici di primaria importanza, come il “lavoro” o il sostentamento14. Il gioco fisico e il gioco immaginativo assumono forme e codificazioni chiaramente differenti, ma svolgono entrambi funzioni

12 Caillois (1981) seziona il fenomeno del gioco in Alea (il gioco di fortuna o legato al destino), Mimicry (l'emulazioe), Agon (il gioco come competizione) e Ilynx (il gioco come vertigine dei sensi) e ne aggiunge due cornici: la paidia (ovvero il divertimento senza freni, tipico del bambino) e il ludus (l'insieme delle regole e dei limiti).

13 Konner e Melvin 2010: 507.

14 Bateson e Martin 2013: 122-127.

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importanti e utilizzano processi simbolici e metaforici che troviamo anche in attività consce e inconsce di fantasia o fabulazione individuale (Bateson e Martin 2013: 110-115).

Per quanto riguarda la presenza di sistemi complessi di regole e strutture, ci dobbiamo riferire alla facoltà ideativa che l'essere umano ha affinato, di innalzare matrici simboliche e rendersi ricettivo nei loro confronti, lungo tutto il corso della propria socializzazione. I momenti sanzionati ed emotivamente connotati di passaggio sociale, “prova” e sperimentazione (di gioco, appunto, o scena; play, come direbbe Victor Turner15).

La componente di simulazione, pertanto, merita una “cornice” sicura in cui fare esperienza e il modo migliore per costruirla è attraverso la costruzione simbolica e linguistica dello spazio ludico, ovvero una dimensione di accordo cognitivo e psicologico, in cui si fa, si agisce “come se” ci si trovasse nella realtà concreta, ma senza alcun risultato apprezzabile o utile nel breve termine, se non il piacere che il gioco stesso comporta: Bateson (1953; 1954) ci parla appunto di “cornici” e proiezione di modelli linguistici e in questo non è certo molto lontano da Goffman (1974), che parla di “frames” come di ambiti interattivi e simbolici di costruzione della narrazione sociale quotidiana (cioè l'interazione mediata dalla funzione sociale che si assume e dalla relazione con il contesto, con gli attori nel contesto e con le loro narrazioni).

Tuttavia, le cornici di Goffman non sono pienamente sicure e impermeabili, sono piene di negoziazioni e false partenze, di “re-inquadramenti” strategici (footing) e devono essere disciplinate da regole di

presenza e corretta interpretazione, all'interno di un “sistema” di interazioni, cioè di azioni, reazioni e aggiustamenti costanti. Il gioco rimane, appunto, confinato in una situazione ancora più precisa, perché sancita dalla presenza di regole, di un registro di procedure da rispettare per produrre un risultato quantificabile in una vincita e una conseguente perdita. Se tutti i giochi hanno in comune queste

caratteristiche, allora dobbiamo prima considerare cosa sia il “ruolo” di cui parliamo. Nella definizione inglese di “Role-play” è già presenta la porzione che indica una “messa in gioco”, una “libertà di movimento e interpretazione” , contrapposta al “game” delle regole irregimentate16, ma viene intesa principalmente come l'assunzione volontaria di un ruolo diverso dal proprio17 (in cui ruolo vale

inizialmente come “ruolo sociale”, come nella ritualità liminale analizzata dagli antropologi), definizione che , tuttavia non tiene conto dell'esperienza di questa assunzione volontaria, che è prima di tutto

emozionale ed esperienziale18, come nelle forme teatrali di espressione artistica, come nelle performance:

la forma dell'esperienza teatrale (play) è sempre una concentrata e circoscritta a imitazione di una forma rituale (ritualizzata), che viene definita “liminoide”, ovvero che assume una connotazione imitativa, mimetica , simulativa della realtà sociale; non ne sconvolge i confini, come nei rituali di passaggio e non

15 Turner 1986: 40-42

16 Vedasi “Homo Ludens oggi” Eco, 1973: XVIII in Huizinga 17 Zagal e Deterding 2018: 20 (Box 2.1).

18 Ibidem.

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deve essere reintegrata. Le regole del “Role-play”, ovvero, le disposizioni che fanno sì che un “attore”

assuma correttamente un ruolo differente dal proprio all'interno di un sistema in evoluzione, che dovrebbe avere risultati quantificabili, quali dovrebbero essere?19

Non sarebbero quantificabili, o per meglio dire, non sarebbero riconducibili a una logica “della somma 0”

(Morgenstern e von Neumann, 1953), ma sarebbero accostabili al teatro improvvisato, come dimostrano i riferimenti che lo psicoterapia di Jacob Moreno fece al “role-play” in quanto efficace soluzione di

immedesimazione ed empatia, che si può introdurre come gioco, cioè interazione volontaria fra

partecipanti, con regole per la presa di parola e interpretazione, ma senza nessun vincitore20. Se le regole quantificanti ci impediscono di capire come si possa unire Role-play a Game, data la natura necessaria della regola nel Game e della libertà e imprevedibilità collaborativa nel Play, allora conviene rivolgersi al concetto di “somiglianza di famiglia” che Wittgenstein utilizzò nelle sue “Philosophical Investigations”

(1958): muteremo pertanto il nostro predicato esplicativo da “è” a “ha”. Il “gioco di ruolo” (o gdr) ha in comune con il concetto di gioco (Game), la presenza di uno spazio-tempo definito e artificiale, volontario e generalmente improduttivo e di regole, immerse in un sistema di interazioni su più livelli cognitivi (si veda anche Fine 1983: 181-2015) e con il concetto di Role-play o anche solo di play, data la già ben nota presenza di un “ruolo” in ogni performance umana, la componente dell'immedesimazione finalizzata alla sperimentazione emotiva e alla formazione di un'”esperienza” e quella dell'apertura, cioè della mancanza potenziale di confini del gioco, se non nella sua interruzione concreta fisica.

Pertanto, il gdr è un gioco interattivo di narrazione fantastica che genera secondo tempi e ritmi, definiti da regole scritte e non scritte, in negoziazione continua tra i partecipanti, una simulazione più o meno verosimile di esperienze21.

Occorre chiarire anche come appare e si manifesta un “gioco di ruolo” così inteso. Tralasciando, dunque, tutte le forme di gdr utilizzate come addestramento o preparazione funzionale, in ambiti ben definiti della società contemporanea, come aziende, corsi di lingua, sedute terapeutiche e addestramento militare(che non pertengono dunque all'ambito del gioco22, pur conservandone le forme tecnico-operative), nella sua forma originaria e basilare viene organizzato come una narrazione orale aperta, condivisa in un unico ambiente fisico (in genere una sala con un tavolo o un appoggio fisico abbastanza ampio da contenere manuali di regole e strumentazione varia), a partire dalla descrizione di una situazione iniziale da parte di un “supervisore” (di solito chiamato Dungeon Master o Narratore o semplicemente Master, ma, in alcuni casi, è anche possibile che sia del tutto assente), che può essere accompagnata da immagini visive,

19 Nel play performativo può esserci un copione, ma non produce alcun risultato quantificabile. Non abbiamo vincitori e vinti.

20 La tecnica dello psicodramma di Moreno fu, in effetti, una terapia innovativa nella Vienna degli anni '20, dominata dalla psicoterapia Freudiana: https://www.britannica.com/topic/psychodrama#ref162750 consultato il 27/09/2019.

21 Si confronti con D'Andrea 1998: 27-32.

22 Al massimo è il concetto di ludicità ad essere inserito nelle pratiche di apprendimento, come dimostra il processo di

“gamification”: l'intrusione di metodi di risoluzione affini a quelli ludici, in ambienti in cui la cornice cognitiva del gioco non è presente .

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