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Un muro trasparente

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Academic year: 2021

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Me pinxit, me fecit

A cura di Eleonora Del Riccio

Storica dell’arte E-mail: eleonoradelriccio@gmail.com

Un muro trasparente

Riv Psichiatr 2019; 54(1): 41 Studio Azzur-ro è un ormai af-fermato colletti-vo di artisti mila-nesi attivo fin dai primissimi anni Ottanta. Nato inizialmente co-me Laboratorio di Comunicazio-ne Militante, il collettivo si è av-valso dell’uso di differenti media come la fotografia, il cinema (Facce da festa, 1979-1980) e il video, quest’ultimo diventato nucleo del lavoro espressivo degli anni successivi. In virtù di questa predilezione, Studio Azzurro si può classificare come il primo significativo contri-buto italiano al filone della videoarte, nato negli anni ’60 dal-le esperienze di Nam June Paik, Vito Acconci, Bruce Nau-man e Andy Warhol (Screen Tests, 1964-66).

A tal proposito, uno degli interventi più interessanti dello Studio è quello concernente le video-ambientazioni. Queste ultime sono opere che hanno uno stretto rapporto dialettico con lo spazio che le contiene e circonda. Pertanto sono diffi-cilmente immaginabili in un altrove differente da quello per cui sono state pensate, rendendo dunque più problematica l’esportazione.

Una delle video-ambientazioni più suggestive, a titolo d’esempio, è Il Nuotatore (1984). In un ambiente simile alla vasca di una piscina sono accostati 24 monitor attraverso i quali si vede un uomo nuotare a pelo d’acqua, il tutto con un avvolgente sottofondo musicale composto da Peter Gordon.

Oltre alle video-ambientazioni che avevano l’ambizione di presentare l’opera in un contesto, creando così uno sfondo per una narrazione, è di grande interesse anche la costruzio-ne di ambienti sensibili. Ovvero, luoghi espositivi in cui il vi-sitatore è invitato a interagire con l’opera, decidendo se atti-varla. Non si tratta di un escamotage fine a se stesso, al con-trario la presenza attiva del fruitore è richiesta al fine di sti-molare una nuova responsabilità che possa trasformarlo, in ultima analisi, in agente attivo dell’opera e non più ricevente passivo. Per esempio, in Tavoli. Perché queste mani mi

tocca-no? (1995), l’immagine “reagisce, si attiva, sviluppa una pic-cola parte della sua storia” nel momento in cui l’osservatore decide di toccare il tavolo su cui è proiettata. L’incontro tra il reale e il virtuale avviene su materiali familiari, senza la per-cezione della struttura tecnologica, ma attraverso la creazio-ne di “interfacce naturali” che dissimulino gli apparati artifi-ciali che non sono direttamente funzionali alla ricezione del-l’immagine.

Dove va tutta ’sta gente? (2000) è, invece, l’opera che pre-cede il particolare allestimento qui presentato del Museo La-boratorio della Mente. L’opera gioca sul concetto di liminali-tà dal momento che si compone di tre porte automatiche in vetro che si spalancano man mano che l’osservatore decide di passarvi attraverso. Sulle porte sono proiettate immagini di uomini, donne e bambini che si scontrano sulle pareti invisi-bili in un susseguirsi di suoni che alludono all’impatto e allo scivolamento sulle superfici.

Un muro trasparente divide per intero anche il piano ter-ra del VI padiglione dell’ex Ospedale Psichiatrico, oggi adi-bito a Museo Laboratorio della Mente. Anche in questo caso il visitatore è costretto ad attraversare un limite, un confine che era sembrato impossibile valicare fino a quando fu pro-mulgata nel 1978 la Legge 180 (Legge Basaglia) sugli “Ac-certamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”. Ta-le confine è relativo al passaggio non solo fisico e percettivo negli gli ambienti espositivi, ma anche attraverso un luogo che racconti il disagio mentale, confinato nelle mura del ma-nicomio per oltre cinquecento anni. Un percorso che – tra in-stallazioni video, strumentazioni medico-scientifiche e dota-zioni farmaceutiche – sottolinea l’abisso che correva tra il dentro e il fuori della struttura, tra l’accettazione e l’allonta-namento e che mira a “mantenere una memoria attiva, una radice collegata alle esperienze storiche”, soprattutto di que-gli eventi che per lungo tempo si ha avuto difficoltà a vedere.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI/WEB

• Valentini V (a cura di). Le pratiche del video. Roma: Bulzoni, 2003.

• Valentini V (a cura di). Studio Azzurro: l’esperienza delle imma-gini. Milano-Udine: Mimesis, 2017.

• http://www.studioazzurro.com • http://www.museodellamente.it Studio Azzurro, Museo Laboratorio

della Mente, 2008. Installazione video. Roma, VI padiglione dell’ex manicomio

di S. Maria della Pietà.

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