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La tutela della vittima del reato nella giurisprudenza della Corte E.D.U.

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INDICE

PREFAZIONE……… 5

CAPITOLO 1

LA VITTIMA NELL FONTI SOVRANAZIONALI

1. Premessa………. 10

2. La vittima nelle fonti dell’ONU………… 12

3. La vittima nelle fonti Europee………… 14

3.1 La vittima nelle fonti del Consiglio

d’Europa……… 15

3.1.1 La vittima nella giurisprudenza della

Corte di Strasburgo………. 15

3.1.2 La vittima nella raccomandazione del

Consiglio d’Europa………. 19

3.2 La vittima nelle fonti dell’Unione

Europea………. 26

3.2.1 Tutela della vittima e fonti a carattere

generale……… 26

3.2.2 Tutela della vittima e fonti a carattere

particolare……… 36

4. La direttiva 2012/29/UE: la tutela e i diritti

minimi della vittima nel processo penale… 43

4.1 La tutela della vittima alla luce della

direttiva 2012/29/UE……… 48

4.2 La direttiva 2012/29/UE e la giustizia

(2)

2

4.3 L’influenza della direttiva 2012/29/UE

sul sistema penale interno: il dlgs 15

Dicembre

2012n.212………. 55

CAPITOLO 2

LA

FIGURA

DELLA

VITTIMA

NELLA

ELABORAZIONE DELLA CORTE E.D.U.

1. Premessa: Chi è la vittima? Puntualizzazioni di

matrice europea… 59

2. Un cambio di prospettiva………. 62

3. La tutela della vittima nella giurisprudenza della

Corte di Strasburgo ………63

4. Art. 2 CEDU: Introduzione………. 66

4.1 Art.2 CEDU: La pena di morte e i limiti

all’estradizione e all’espulsione……… 69

4.2 Art. 2 CEDU: I limiti all’uso della forza

e delle armi……… 72

4.2.1 Art. 2 CEDU: Limiti all’uso delle armi

e della forza letale da parte degli agenti

delle forze dell’ordine………73

4.3 Art. 2 CEDU e gli obblighi positivi di

ordine sostanziale………. 77

4.4 Art. 2 CEDU: Le decisioni di fine

vita………. 83

(3)

3

5. Art. 3 CEDU-Proibizione della Tortura:

Introduzione……… 86

5.1 Gli obblighi sostanziali ex art. 3

CEDU………. 91

5.2 Gli obblighi sostanziali negativi…… 92

5.3 Gli obblighi sostanziali positivi……. 94

6. Art. 8 CEDU: Diritto al rispetto della vita privata

e familiare. Profili sostanziali……. 98

CAPITOLO 3

LA CORTE DI STRASBURGO E LA TUTELA

DELLA VITTIMA NEL PROCESSO

1. Premessa………. 104

2. ART.6 CEDU-Diritto ad un equo processo:

Introduzione………. 105

2.1 Art. 6 CEDU: imparzialità del giudice e

pubblicità dell’udienza………109

2.2

Equità

processuale:

obblighi

procedurali………114

2.3 I diritti della difesa………118

3. Indagini adeguate ed effettive come obblighi

procedurali derivanti dalla CEDU………125

3.1 Gli obblighi procedurali ex art. 2 CEDU.

I casi: Alikaj c. Italia e Giuliani e Gaggio c.

Italia………128

(4)

4

3.2 (segue) Art. 3 CEDU. Il caso: Cestaro c.

Italia………132

4. La tutela della vittima debole e gli obblighi

procedurali………. 135

5. Operazioni investigative e necessario rispetto dei

principi dell’equo processo………139

6. Conclusioni………. 141

Bibliografia………. 143

(5)

5

PREFAZIONE

Il termine vittima rimanda ad un concetto molto antico. Nonostante ad oggi la sua etimologia sia ancora incerta, si riconduce al termine latino victima che anticamente deriva da

victus (vitto), il cibo offerto agli Dei, o da vincire (legare),

poiché la vittima si conduceva legata al sacrificio.

La vittima affonda le sue radici nell’impero romano arcaico, quello delle XII tavole, che porta avanti una concezione di giustizia tendenzialmente «privata» che si concretizza nella Lex

Talioni (la legge del taglione) secondo cui:

«Si membrum rupsit, ni cum eo pacit, talio esto».

Un principio di diritto consistente nella possibilità di riconoscere ad una persona che avesse subito intenzionalmente un’offesa o un danno da un altro individuo, di poter infliggere alla medesima, un danno anche eguale all’offesa subita.

Successivamente, a fronte di una sostanziale razionalizzazione del diritto e del processo penale, la vittima viene posta al margine della scena processuale poiché l’illecito penale inizia ad essere considerato una minaccia della pace sociale e non più come violazione dell’interesse strettamente personale della vittima.

Dunque, a partire da questo momento, il ruolo di protagonista nella macchina processuale spetta ad una vittima non più individuale bensì collettiva, rappresentata dalla comunità, nella quale s’incontrano gli interessi delle singole vittime. Cambia completamente lo schema processuale che vede come protagonisti indiscussi: lo Stato, nella veste dell’accusa, e il reo, quale autore del reato. Anche la Scuola Classica, espressione del liberalismo penale italiano, attribuisce alla vittima un ruolo di

(6)

6

antagonista poiché ritiene che le sue ragioni non possono essere prese in considerazione nel contesto di giustizia criminale. Ritiene, infatti, che alla vittima spetti soltanto un rimedio puramente risarcitorio rispetto al danno, così da sanare le conseguenze pregiudizievoli e patrimoniali che dallo stesso discendono; al contrario la pena è riservata al reo come conseguenza del fatto da lui commesso.

La vittima rimane in questo stato di oblio per molti secoli, finché tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX ritorna ad avere un riconoscimento nei meccanismi della giustizia penale accanto allo Stato ed al reo. Questo è possibile grazie all’operato della scuola positiva, la quale si preoccupa di garantire un sistema di riconoscimento e tutela nei confronti della vittima attraverso il risarcimento del danno.

Inizia ad affermarsi l’idea del «risarcimento quale funzione pubblica», per cui, a differenza di quanto affermato dalla scuola positiva, è un diritto della vittima del reato essere risarcita sempre per i danni subiti e non solo a seguito di una sua richiesta espressa in sede civile; il risarcimento deve essere corrisposto direttamente dallo Stato che ha diritto a rivalersi per il corrispettivo nei confronti del reo e così questo assume una veste punitiva che affianca la pena, incrementando la sua efficacia deterrente.

Tuttavia, la scuola positiva non si limita a considerare la vittima sotto il profilo strettamente difensivo ma allarga il suo studio ad una prospettiva criminologica, sondandone anche il ruolo attivo che la medesima può assumere nella realizzazione del reato. La vittima è studiata in rapporto alla figura del reo al fine di poterne analizzare la pericolosità: colui che commette un fatto penalmente rilevante a seguito di una provocazione subita dalla persona offesa non è considerato pericoloso quanto uno che abbia commesso un reato senza provocazione. Ne consegue che

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7

non è destinatario di misure atte a prevenire il verificarsi del fatto.

Da qui la necessità di individuare delle misure preventive per limitare una partecipazione attiva della vittima nella realizzazione del reato che risalta ancora una volta l’ottica social-difensiva riservata dalla scuola positiva alla stessa.

Ad interessarsi della vittima, dopo la scuola positiva, è la criminologia secondo cui per garantire uno studio consapevole del fatto criminale è necessario considerare sia il delinquente sia la vittima stessa, prendendo in considerazione i suoi tratti distintivi: retaggio culturale, integrazione sociale, carattere biofisiologico e i rapporti che intrattiene con il reo. Questa idea più tardi viene sviluppata dalla scienza vittimologica che definisce la vittimologia come

«la disciplina che ha per oggetto lo studio della vittima del reato, della sua personalità, delle sue caratteristiche biologiche, psicologiche, morali, sociali e culturali, delle sue relazioni con l’autore del reato e del suo ruolo che essa ha assunto nella criminogenesi e nella criminodinamica». 1

Questo processo di riscoperta della vittima di reato influenza in maniera rilevante la politica criminale nazionale, infatti, rispetto a quanto avviene sul piano criminologico e vittimologico, a differenza di altri nel nostro ordinamento, il termine di vittima non è presente: né nel codice penale, dove si parla di offeso ex art. 70 n.2, c.p, né nel codice di procedura penale del 1930 che richiama la figura della persona offesa ex art. 92 e 122, comma 3, c.p.p.

Testimonianza di tale influenza è il Codice Rocco del 1930, espressione del punto d’incontro tra la visione della scuola classica e positiva; infatti, l’influenza del pensiero positivista si riscontra sia nell’introduzione di misure di sicurezza e negli

1M. VENTUROLI, La vittima nel sistema penale dall’oblio al protagonismo?

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8

indici di commisurazione della pena in relazione alla capacità di delinquere del reo sia nella valorizzazione del soggetto passivo del reato. Il codice Rocco, per quanto non sia espressione di un pensiero vittimologico specifico, che si affermerà solo vent’anni dopo, analizza la figura della vittima sotto un duplice profilo: da un lato, si preoccupa, date le loro caratteristiche personali e il loro stato di soggezione nei confronti dell’autore del reato, di riconoscere alle vittime una tutela preventiva; dall’altro, prevede delle attenuazioni o addirittura esclude una responsabilità del reo laddove il compimento del reato è dovuto ad una condotta determinata del soggetto che subisce il danno o laddove quest’ultimo ha materialmente contribuito alla realizzazione dello stesso.

A differenza del passato, oggi la vittima inizia a ritagliarsi uno spazio sempre più ampio nel sistema penale italiano (questo soprattutto sotto l’influenza di matrice comunitaria, da ultima la direttiva 2012/29/UE): ciò si registra, da un lato, sul piano strettamente sostanziale e criminologico che si caratterizza per un distacco dalla visione reo-centrica del delitto e l’evoluzione della stessa vittimologia in una scienza che da sola è in grado di destare interesse sul piano scientifico; dall’altro, sul piano processuale che rileva come è irragionevole collocare ai margini della scena un soggetto che, in quanto titolare dell’interesse giuridico leso dal delitto, si pone come il naturale antagonista dell’imputato.

Ecco che è necessario poter tutelare la vittima da rischi di vittimizzazione reiterata, conseguenza diretta del contatto con imputati pericolosi, e secondaria successiva all’intervento della stessa al processo in qualità di fonte dichiarativa.

Questa politica protezionistica dovrà collocarsi all’interno di una dimensione garantista dell’imputato, per evitare che eccessive esaltazioni vittimistiche possano risultare ingiuste nonché

(9)

9

confliggenti con i principi costituzionali di presunzione di non colpevolezza, libertà personale, diritto di difesa e diritto al contradditorio.

Ne discende che la tutela della vittima, deve avvenire prima e fuori dal processo mediante un’efficace rete di protezione extra-giudiziale, in quanto eleggere il processo a strumento di protezione nei confronti della stessa significa snaturare la funzione stessa della giurisdizione attribuendole funzioni di garanzia della solidarietà sociale che istituzionalmente non le competono.

(10)

10

CAPITOLO 1

LA VITTIMA NELLE FONTI SOVRANAZIONALI

SOMMARIO: 1. Premessa - 2. La vittima nelle fonti dell’Onu – 3. La vittima nelle fonti europee – 3.1. La vittima nelle fonti del Consiglio d’Europa – 3.1.1. La vittima nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo – 3.1.2. La vittima nella raccomandazione del Consiglio Europeo – 3.2. La vittima nelle fonti dell’Unione Europea- 3.2.1 Tutela della vittima e fonti a carattere generale- 3.2.2 Tutela della vittima e fonti a carattere particolare – 4. La Direttiva 2012/29/UE: tutela e diritti minimi della vittima nel processo penale – 4.1 La tutela della vittima alla luce della Direttiva 2012/29/UE – 4.2 La Direttiva 2012/29/UE e la giustizia riparativa – 4.3 L’influenza della Direttiva 2012/29/UE sul sistema penale interno: il d.lgs 15 Dicembre 2015 n.212

1.PREMESSA

Il tema della vittima di reato, con particolare attenzione al profilo della sua tutela, è oggetto di interesse da parte delle organizzazioni internazionali, che hanno sollecitato a più riprese gli Stati nazionali ad adoperarsi per rendere le proprie legislazioni (alcune tuttora indifferenti al problema della protezione della vittima), conformi alle prescrizioni di tali organismi.

In realtà queste organizzazioni internazionali - sia a carattere universale, (ONU), sia a carattere regionale (il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea) - hanno iniziato ad interessarsi del problema nel corso degli anni ’80 del secolo scorso, periodo in cui la vittimologia, emancipandosi dall’originaria impostazione teorica, inizia a richiedere interventi concreti a

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11

sostegno della vittima. Da ora in poi si può parlare della c.d. vittimologia dell’azione2.

Con il passare del tempo, l’attenzione degli enti sovranazionali nei confronti della vittima, a seguito del consolidarsi di una criminalità a dimensioni transnazionali che colpisce soggetti caratterizzati da un’eccessiva vulnerabilità e dunque in base ai dettami della vittimologia, destinatari di una particolare tutela, si è notevolmente accentuata.

L’intervento del legislatore penale europeo, in tal caso, è giustificato sia da ragioni di carattere politico-criminale, sia da argomentazioni strettamente giuridiche. Per quanto concerne le ragioni di matrice politico-criminale, esse si concretizzano nella necessità di attuare un’armonizzazione generale degli strumenti preposti alla tutela della vittima all’interno dei paesi membri dell’Unione Europea; tale necessità diventa sempre più urgente a causa dell’aumento del numero di vittime all’interno del panorama europeo (spesso appartenenti a paesi diversi rispetto a quello in cui s’è commesso il fatto).

«[…] quale connaturale conseguenza della rimozione delle frontiere interne e della creazione di uno spazio unico ove i cittadini europei possono circolare liberamente.»3

Al contrario, le argomentazioni giuridiche che rendono necessaria un’armonizzazione in tema di tutela della vittima, devono ricercarsi nel principio di libera circolazione e dell’eguaglianza dei cittadini dell’Unione Europea, rispetto ai

2 Si fa riferimento al passaggio da un’attenzione meramente scientifica verso

la vittima e ai suoi problemi ad un vero e proprio atteggiamento di rivendicazione politica e sociale a favore di essa; al riguardo v. Saponaro, Vittimologia, Origini – concetti – tematiche, cit.,2004, pp. 20 ss

3 M.VENTUROLI, La tutela della vittima nelle fonti europee, in Diritto Penale

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12

quali l’assenza di norme minime di protezione della vittima di reato potrebbe comportarne una violazione diretta.

2. LA VITTIMA NELLE FONTI DELL’ONU

L’interesse dell’Onu nei confronti della vittima di reato sorge intorno agli anni ’80 del secolo scorso, quando in occasione del VI congresso mondiale sulla prevenzione del crimine e sul trattamento dei criminali, si afferma l’idea di procedere alla realizzazione di un corpus relativo ai diritti della vittima; in altre parole, l’Onu elabora una serie di testi normativi sul tema di protezione della vittima.

Il 29 novembre 1985, l’Assemblea Generale dell’Onu approva la risoluzione n. 40/34, Dichiarazione dei principi fondamentali di

giustizia per le vittime del crimine e dell’abuso di potere, con

cui si sollecitano gli Stati nazionali ad adottare misure e strumenti di protezione atti a garantire un’effettiva tutela alla vittima. Di tale risoluzione si deve tener conto con riferimento all’ampia definizione di vittima che la stessa offre ex art. 1, in cui rientrano sia coloro che subiscono danni strettamente fisici ma anche emotivi, sia le c.d. vittime indirette ovvero i prossimi congiunti della vittima nonché i suoi dipendenti o coloro che subiscono un pregiudizio nell’atto di prestare soccorso.

Per tali motivi, si assiste ad un netto distacco tra la nozione di vittima, fornita dalla medesima risoluzione e il concetto penalistico di soggetto passivo del reato.

Il 21 Luglio 1997, l’Economic and Social Counsil dell’Onu approva la Risoluzione n. 1997/33 sugli Elementi di una

responsabile prevenzione della criminalità: standard e norme;

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13

sovraffollamento delle carceri e dall’altro, la criticità del sistema di giustizia penale, si ribadisce l’esigenza di una prevenzione non-repressiva del crimine e pone l’attenzione sulla necessità di collocare sul medesimo piano i diritti del reo e la protezione della vittima.

L’Economic and social Counsil, il 28 Luglio del 1998, approva la Risoluzione n. 1998/23 sulla Cooperazione internazionale

tesa alla riduzione del sovraffollamento delle prigioni ed alla promozione di pene alternative, con cui s’invitano gli Stati

membri dell’Unione Europea a ricorrere a misure non custodiali e ad utilizzare la mediazione per giungere a risoluzioni «amichevoli per i conflitti di minore gravità.»4.

Esattamente un anno dopo, l’Economic and social Counsil approva la risoluzione n. 1999/26 sullo Sviluppo ed attuazione

di interventi di mediazione e giustizia riparativa nell’ambito della giustizia penale, con la quale s’incoraggiano gli Stati

membri ad adottare procedure che s’ispirano al modello della

Restorative Justice.5 A tal fine, il 27 Luglio 2000, approva la

Risoluzione n. 2000/14 relativa ai principi base sull’uso dei

programmi di giustizia riparativa in materia criminale da

riportare all’attenzione degli Stati membri, delle organizzazioni intergovernative e non governative ed agli organismi dell’Onu che opera in materia di prevenzione del crimine e giustizia penale, al fine di poter individuare i principi6.

4 M.VENTUROLI, La vittima nel sistema penale dall’oblio al

protagonismo?, Jovene, 2015, p.83 e ss.

5 Solo nella restorative justice la sanzione ha lo scopo di riparare il torto

arrecato dal reo alla vittima, cui si giunge per mezzo della presa di coscienza da parte del reo della lesività della propria condotta e delle sofferenze inferte alla vittima.

6 Nel dicembre del medesimo anno, l’Assemblea Generale dell’Onu, con lo

scopo di ribadire l’importanza della restorative justice come strumento di riduzione della criminalità e mezzo di conciliazione tra reo e vittima adotta la risoluzione n. 55/59, in attuazione della quale la medesima assemblea adotta nel Gennaio del 2002 la risoluzione n. 56/261.

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14

Infine, si deve considerare, la Risoluzione n. 2002/15 sui

principi base circa l’applicazione di programmi di giustizia con

cui, oltre che incoraggiare gli Stati membri ad adottare procedure di giustizia riparativa, si tiene conto anche dei risultati proficui prodotti dalla medesima: sulla vittima, garantendo la riparazione del danno subito, e sul reo, consentendone la risocializzazione grazie alla presa di coscienza della lesività del comportamento posto in essere.

3. LA VITTIMA NELLE FONTI EUROPEE

Negli ultimi decenni, attraverso l’adozione di atti che hanno lo scopo di garantire alla persona offesa «[…] una protezione pluridirezionale e articolata», anche le organizzazioni sovranazionali concentrano la propria attenzione sul tema della tutela della vittima di reato.7

In realtà, qualora si analizzi da un lato il comportamento tenuto dal Consiglio d’Europa e in particolare dalla Corte di Strasburgo e dall’altro il comportamento tenuto dall’Unione Europea, il tema della vittima è da sempre un punto di divergenza8 tra le due istituzioni sovranazionali. Inoltre, al di là delle differenze in punto di struttura sono molte le distonie sia sul piano giuridico che sul piano culturale.

Di seguito si procederà all’analisi della normativa prodotta dal Consiglio d’Europa e successivamente allo studio delle fonti dell’Unione Europea.

7 M.VENTUROLI, La vittima nel sistema penale dall’oblio al

protagonismo? Jovene, 2015, p.86; M. DEL TUFO, La tutela della vittima in una prospettiva Europea, in Dir. Pen. Proc., 1999, p.889 ss.

8 S.ALLEGREZZA, La riscoperta della vittima nella giustizia penale

Europea, in Lo scudo e la spada- esigenze di protezione e poteri delle vittime nel processo penale tra Europa e Italia, G.Giappichelli Editore-Torino,

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3.1.

LA

VITTIMA

NELLE

FONTI

DEL

CONSIGLIO D’EUROPA

Con riferimento all’intervento del Consiglio europeo in tema di protezione della vittima di reato, è necessario analizzare separatamente la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 (CEDU) dai provvedimenti specifici adottati, dallo stesso consiglio, rispetto alla tutela della persona offesa dal reato.

3.1.1 LA VITTIMA NELLA GIURISPRUDENZA

DELLA CORTE DI STRASBURGO

Partendo dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, si mette in rilievo come essa, in nessun caso fa riferimento esplicito alla vittima; infatti ogni volta che si utilizza il termine, ex art. 34, si riferisce esclusivamente alla vittima di violazioni della Convenzione medesima da parte di uno Stato. Da ciò ne discende che l’offeso dal reato non gode di una tutela diretta sotto il profilo della violazione dei diritti di natura processuale.

Nonostante l’apparente disinteresse nei confronti della vittima, ad oggi, si ritiene che la CEDU ricopra un ruolo fondamentale nella determinazione dei diritti spettanti alla medesima nel contesto europeo.

Pertanto, si ritiene, che l’art.6 decretante il diritto ad un equo processo9 (paragrafo 1) della CEDU è sinonimo di una garanzia

9 «1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente,

pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a

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processuale non solo a favore dell’imputato nei confronti dello Stato, ma anche per la parte civile, ossia la persona offesa che chiede il risarcimento per il danno subito a causa di un reato. Tuttavia, sono sorte molte perplessità riguardo la possibilità di applicare il principio ex art. 6 alla vittima di reato.

A questo punto la Corte di Strasburgo dei diritti dell’uomo è chiamata ad esprimersi in merito all’applicabilità, alla vittima di reato, dell’art. 6 paragrafo 1 della CEDU; a tal proposito, la Corte risponde che la Convenzione non riconosce alla vittima di dare impulso al processo penale su propria iniziativa. Le parole della Corte affermano che:

«[…] ne garantit pas a l’individu le droit d’engager de son propre chef une action pénale. »10

Quest’affermazione è una conseguenza diretta della concezione che si ha del processo quale luogo deputato alla tutela dei diritti inviolabili della persona che assume il ruolo d’imputato. Esso, infatti, impegna il ruolo di protagonista indiscusso della scena processuale e pertanto gli è riconosciuto il diritto al processo come mezzo per valutare la fondatezza di ogni istanza penale rivolta contro di lui. 11

pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia. »,

Art. 6 comma 1 CEDU.

10 CORTE e.d.u, 29 Aprile 1991, Helmeres c. Svezia; Corte e.d.u, 3 Aprile

2003, Agnastopulus c. Grecia. S. ALLEGREZZA-H. BELLUTA-M. GIALUZ-L.LUPARIA, in LO SCUDO E LA SPADA-Esigenze di protezione e poteri delle

vittime nel processo penale tra Europa e Italia, G.GIAPPICHELLI EDITORE,

TORINO, 2012

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17

Quindi, l’art. 6 paragrafo 1, pur ricadendo su soggetti vulnerabili (la vittima di reato e i testimoni), li tutela su un piano strettamente civilistico: il diritto al processo della vittima, ex art. 6 CEDU, è riconosciuto solo in funzione di una richiesta risarcitoria in sede di accertamento penale.

La posizione sposata da parte della giurisprudenza comporta il rigetto di numerosi ricorsi avanzati da parte di persone offese, il cui diritto nazionale di appartenenza non riconosce la costituzione in sede di procedimento penale in assoluto o una volta superata una determinata fase dello stesso.

Ciò nonostante, è necessario precisare che al fine di poter garantire l’applicabilità dell’art. 6 paragrafo 1 alla persona offesa, devono essere riferiti alla medesima anche i diritti di cui al paragrafo 312 della stessa disposizione; si tratta di diritti generalmente riconosciuti a favore dell’accusato, quali: il diritto di accedere alle informazioni che la riguardano e il diritto di farsi assistere da un difensore o da un interprete anche gratuitamente se non si dispone dei mezzi necessari. Solo in tal modo, infatti, essa potrà vedersi riconosciuto il diritto ad un equo processo.

Alcuni ritengono che la base giuridica per il riconoscimento di ulteriori diritti alla vittima si può individuare anche in altre due

12 3. In particolare, ogni accusato ha diritto a :

a. essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in un modo dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico;

b. disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;

c. difendersi personalmente o avere l'assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d'ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia;

d. esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;

e. farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata all'udienza.>>, Art. 6 comma 3 CEDU.

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18

norme della CEDU. L’art. 1313 CEDU che riconosce il diritto di ricorrere dinanzi al giudice nazionale in presenza di violazioni dei diritti fondamentali e delle libertà riportate nella stessa Convenzione; motivo per cui, dal momento che la CEDU riconosce alcuni diritti alla vittima, si ritiene che anche ad essa spetti il diritto al ricorso giurisdizionale nel caso di violazione dei suddetti diritti.

L’art. 514 paragrafo 5 CEDU che riconosce a favore della vittima il diritto alla riparazione di determinate condotte (arresti e detenzione illegittima) in base alle norme poste dalla CEDU a tutela delle libertà delle persone e che per le legislazioni nazionali possono risultare anche irrilevanti.

Tuttavia, il riconoscimento alla vittima di un diritto al processo è riconosciuto oltre che dalla dottrina anche dalla Corte EDU, la quale in alcune delle sue più significative pronunce s’è concentrata sugli aspetti riguardanti il diritto alla vita ed il diritto all’integrità fisica di cui agli artt. 2 e 3 della CEDU.

Le vicende giudiziarie di cui si occupano i giudici di Strasburgo riguardano omicidi o maltrattamenti a danno degli indagati da parte degli organi di polizia penitenziaria. In questi casi, la corte ritiene che, da un lato, sia necessario procedere alla penalizzazione di comportamenti lesivi di diritti fondamentali e di aspetti essenziali della vita privata; dall’altro, riconosce in capo allo Stato il dovere di condurre delle indagini effettive dinanzi a una situazione di tale disvalore, rispetto ai quali

13 Articolo 13-Diritto ad un ricorso effettivo:

<<Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un'istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali.>>, Art. 13

CEDU.

14 Articolo 5, paragrafo 5; <<Ogni persona vittima di arresto o di detenzione

in violazione ad une delle disposizioni di questo articolo ha diritto ad una riparazione.>>

(19)

19

corrisponde a favore dell’offeso un diritto all’intervento processuale.

Grazie alle pronunce15 della Corte, si allargano le maglie della

tutela riconosciuta alla persona offesa. Pertanto, anche se i risultati conseguiti dalla giustizia penale sono assunti come chiave di lettura della relazione che intercorre tra lo Stato e l’imputato, ad oggi emerge un nuovo personaggio: la vittima, la quale esercita un proprio diritto e non deve essere considerata, come prova o ausilio alla pubblica accusa, ma come un soggetto che introduce nel processo la domanda di tutela dei propri diritti. Ovviamente è necessario tener presente che il ruolo della vittima nel processo cresce proporzionalmente all’importanza del diritto leso ed alla gravità della violazione realizzata.

3.1.2

LA

VITTIMA

NELLA

RACCOMANDAZIONE

DEL

CONSIGLIO

D’EUROPA

La Corte di Strasburgo, nel corso del suo operato, ha più volte ribadito la necessità di doversi occupare della persona offesa dal reato nell’ambito del processo penale, essendo ad essa riconosciuti specifici diritti dalla CEDU stessa, nonché da specifici testi.

Infatti, sul finire degli anni’ 70 del novecento fino ad oggi, il Consiglio d’Europa ha emanato documenti specifici funzionali alla protezione della vittima in generale, ossia diretti:

• a prevenire ed evitare fenomeni di vittimizzazione secondaria;

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20

• a garantire la riparazione pubblica;

• ad assicurare la tutela amministrativa delle persone offese.

Sono testi di notevole importanza dal momento che concorrono nella formazione, all’interno di questa organizzazione regionale europea, di un “diritto delle vittime.” Nell’ambito di questo studio sono due le raccomandazioni di maggiore importanza che meritano di essere esaminate: la R n. (85) 11 e la R n. (87) 21. La R n. (85) 11, approvata dal comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 28 Giungo 1985, riguarda la “posizione

della vittima nell’ambito del diritto penale e della procedura penale”.

Tale provvedimento, prendendo consapevolezza del fatto che la vittima è stata quasi del tutto dimenticata dalle norme del diritto processuale penale, ha lo scopo di individuare i diritti minimi da riconoscerle in tutte le fasi del procedimento penale, non solo sul piano strettamente risarcitorio ma soprattutto in tema di assistenza, informazione e tutela della riservatezza al fine di prevenire episodi di vittimizzazione secondaria.

Nell’inizio della raccomandazione si afferma:

<< (…) criminal justice system have traditionally been expressed in terms which primarily concern the relationship between the state and the offender>>

ovvero che il sistema della giustizia penale si regge sulla relazione che esiste tra il reo e lo Stato, titolare dell’amministrazione della giustizia penale (e in genere dell’esercizio dell’azione penale).

Al contrario, in maniera al quanto deplorevole, non si tiene conto della vittima la cui tutela deve rappresentare uno dei principali fini cui tendere. La vittima, infatti, assume rilevanza nell’ambito processuale solo nella veste di testimone, pertanto non si tiene conto: né dei danni fisici, psicologici, sociali e

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patrimoniali dalla stessa subiti a causa del reato; né dei suoi bisogni e delle sue necessità. Le è sì riconosciuta la possibilità di richiedere il risarcimento patrimoniale ma con mezzi assolutamente inidonei che spesso non conducono a nessun esito risarcitorio oppure lo producono solo a distanza di anni. Pertanto, tenendo conto di questo aspetto, il Consiglio d’Europa invita gli Stati membri a rivedere le loro legislazioni, così da adottare delle misure funzionali a garantire il rispetto dei diritti fondamentali delle vittime.

Il contenuto della raccomandazione tocca diversi punti rilevanti. In merito agli atti di polizia giudiziaria, il Consiglio afferma che i funzionari inquirenti hanno il compito di trattare le vittime in modo comprensivo, informandole sui loro diritti all’assistenza legale, sociale e al risarcimento del danno da parte del delinquente e dello Stato.

Per quanto concerne l’esercizio dell’azione penale, si invitano le autorità ad un utilizzo prudente dell’archiviazione e, comunque, si riconosce alla vittima il diritto di impugnare la decisione di archiviare dinanzi ad un’autorità di grado superiore rispetto al pubblico ministero. La questione appare maggiormente spinosa nei paesi ove non vige il principio di legalità e obbligatorietà dell’azione penale, rimettendo alla discrezionalità dell’autorità giudiziaria l’instaurazione del processo penale.

Laddove, inoltre, sia necessario procedere ad un interrogatorio della vittima, è opportuno tener conto della sua personalità e dignità, scongiurando il ricorso ad atteggiamenti invasivi (volti indubbiamente a raccogliere il maggior numero di informazioni istruttorie dalle deposizioni della parte lesa) soprattutto quando si tratti di soggetti particolarmente deboli e vulnerabili. Il risarcimento del danno, garantito alla vittima, dev’essere devoluto in modo automatico e non al termine di un processo lungo e complesso. Ecco che, nella fase esecutiva, il

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risarcimento del danno dev’essere prioritario rispetto all’esecuzione di ogni altra sanzione pecuniaria addebitata al reo. Sempre nel corso del procedimento, alla vittima, dev’essere garantita riservatezza della sfera privata, evitando ingiustificate incursioni della stampa, e della sicurezza che nei processi per criminalità organizzata è di solito affidata alla polizia giudiziaria. A tal fine è essenziale, caso per caso, valutare se è opportuno procedere ad un dibattimento in pubblica udienza o a porte chiuse oltre che limitare la divulgazione di dati e nominativi relativi a determinati procedimenti.

In chiusura, la raccomandazione, invita gli Stati membri a considerare il vantaggio derivante dall’utilizzo di strumenti extra-penali quali la conciliazione e la mediazione, nei rapporti tra vittima e reo.

Con la Raccomandazione n. (87)21 “sull’assistenza alle vittime

e sulla prevenzione della vittimizzazione”, adottata dal Consiglio

dei Ministri del Consiglio d’Europa il 17 Settembre 198716, ha

un contenuto più ampio rispetto ai precedenti interventi, poiché completa il quadro in materia di tutela della vittima.

Essa, infatti, non si limita a considerare il tema sul piano strettamente processuale (a differenza della R n. (85)11) ma guarda alle possibili forme di assistenza alla vittima (incluse quelle di natura extra-giudiziaria e su base volontaria) e indaga sulle possibili cause di vittimizzazione, così da individuare adeguati strumenti di prevenzione. La raccomandazione prende consapevolezza del fatto che, nonostante i continui sforzi degli Stati nella previsione di sistemi di prevenzione e nella revisione degli strumenti sanzionatori, la criminalità è in continua espansione con conseguente aumento delle vittime di reato. Tale provvedimento, evidenzia come, la sola intimidazione della

16 S.ALLEGREZZA-H.BELLUTA-M.GIALUZ-L.LUPARIA. LO SCUDO E LA SPADA.

Esigenze di protezione e poteri delle vittime nel processo penale tra Europa e Italia. Torino, 2012, p.6

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23

sanzione penale non sia sufficiente a prevenire il fenomeno della vittimizzazione ma è necessario predisporre appositi programmi di prevenzione extra-penale.

Tutto ciò si basa sulla considerazione che la vittima, nel momento stesso in cui si verifica il reato, necessita di assistenza medica e psicologica, al fine di tutelare la sua integrità psico-fisica dai traumi fisici ed emotivi cagionati dal fatto criminoso. A tal fine si auspica alla creazione di appositi centri di assistenza, per le vittime in generale o per specifiche categorie di vittime particolarmente deboli (vittime di reati sessuali e/o criminalità organizzata, minori e anziani).

Ancora una volta il quadro di tutela della vittima, elaborato dal Consiglio d’Europa, si conclude con un invito agli Stati membri al potenziamento di procedure di mediazione e conciliazione tra vittima e reo, in quanto funzionali a valorizzare il ruolo dell’offeso e a ridurre i traumi da vittimizzazione secondaria. In questo senso, va ricordata la Raccomandazione n. (06)8, in tema di “Assistenza alle vittime del crimine”, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 14 Giugno 2006(destinata a sostituire la sopracitata R n. (87)21). Tale provvedimento ha come principale obbiettivo quello di promuovere e migliorare gli strumenti preposti all’aiuto ed alla tutela delle vittime, così da facilitare l’accesso alla giustizia ed evitare che esse subiscano ulteriori pregiudizi a causa delle procedure cui sono sottoposte. Nell’ultimo decennio, in seno al Consiglio d’Europa, s’è proceduto all’elaborazione di due importanti Convenzioni17 il

cui scopo è rafforzare la tutela e la posizione delle vittime di specifici reati nel sistema della giustizia penale.

La prima Convenzione relativa alla protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali, fu firmata a

17 A.GAITO. I PRINCIPI EUROPEI DEL PROCESSO PENALE. Contributo di M.

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Lanzarote il 25 Ottobre 2007 ed entrò in vigore il 1° Luglio 2010. La convenzione di Lanzarote ha come scopo quello di indurre gli Stati a criminalizzare ogni forma di abuso sessuale nei confronti dei minori, inclusi quelli realizzati in un contesto domestico o familiare mediante l’uso di forza, costrizione o minacce. Tra le misure funzionali al perseguimento dello scopo, la convenzione, predispone dei programmi a sostegno della vittima da sviluppare prima e dentro il processo, nonché di speciale protezione per i minori vittime di abusi. Nello specifico, all’art. 1 si specifica che:

1.La presente Convenzione ha l’obiettivo di:18

a) Prevenire e combattere lo sfruttamento e l’abuso sessuale di minori;

b) Tutelare i diritti dei minori vittime di sfruttamento e di abuso sessuale;

c) Promuovere la cooperazione nazionale e internazionale contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale di minori.

Al fine di perseguire tali scopi, sono predisposte delle misure preventive, di sostegno alla vittima e d’ intervento sia sul fronte del diritto penale che su quello procedurale. Proprio sotto quest’ultimo aspetto, ex art. 30 della Convenzione di Lanzarote si individuano una serie di principi che l’autorità giudiziaria deve seguire nello svolgimento delle investigazioni e del processo, per garantire la tutela e il rispetto dei diritti dei minori. La seconda Convenzione relativa alla prevenzione ed alla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, è stata firmata ad Istanbul l’11 Maggio 2011 ed è in vigore dal 1° Agosto 2014.

(25)

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La Convenzione di Istanbul realizza una sfera giuridica completa di tutela nei confronti delle donne rispetto a qualsiasi forma di violenza, con lo scopo di garantire la prevenzione e la perseguibilità delle stesse sul piano penale, implementando a tal fine le forme di cooperazione.

Nel preambolo, la Convenzione, specifica che ai fini della tutela da essa garantita non sono da considerarsi vittime della violenza domestica solo le donne ma anche i bambini, poiché testimoni delle violenze perpetrate all’interno delle mura domestiche. Sul piano processuale, tra gli altri ed in via generale, rileva l’art. 49, il quale invita gli Stati a predisporre una normativa interna ad

hoc,

“per garantire che le indagini e i procedimenti penali relativi a tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione siano avviati senza indugio ingiustificato, prendendo in considerazione i diritti della vittima in tutte le fasi del procedimento penale”19

oltre che

“a garantire indagini e procedimenti efficaci nei confronti dei reati stabiliti conformemente alla presente Convenzione”.

Al fine di assicurare effettività alla tutela predisposta dalla Convenzione, ex art. 66, è prevista la predisposizione di un gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza alle donne e la violenza domestica (“GREVIO”), incaricato di vigilare sull’attuazione della Convenzione da parte degli Stati contraenti.

19 Contributo di M. Montagna- I diritti minimi della vittima. A.GAITO. I

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26

3.2 LA VITTIMA NELLE FONTI DELL’UNIONE

EUROPEA

Come già detto in precedenza, l’interesse delle autorità europee relativamente ad una più attenta tutela nei confronti della vittima di reato, si avverte già a partire dagli anni ’80. Tuttavia, è con la creazione del cd terzo pilastro e il riconoscimento di una specifica competenza dell’Unione in ambito penale che si registra un’attività europea in materia di tutela delle vittime, non più di carattere meramente risarcitorio bensì estesa anche al diritto sostanziale e processuale.

La produzione normativa dell’Unione Europea in tema di protezione della vittima, ad oggi, può essere suddivisa in due principali categorie: da un lato, ritroviamo la categoria di testi che si occupa della protezione in generale della vittima; dall’altro, una categoria che affronta il tema della tutela con riferimento a specifici reati, lesivi dell’integrità fisica e morale, di vittime particolarmente vulnerabili. 20

3.2.1 TUTELA DELLA VITTIMA E FONTI DI

CARATTERE GENERALE

Il primo intervento di carattere generale operato dall’Unione Europea in tema di tutela alla vittima di reato, è rappresentato dalla risoluzione del Parlamento europeo del 13 Marzo 1981 sull’indennizzo alle vittime di atti violenti. Esso, dopo aver fissato nel principio di libera circolazione delle persone il suo fondamento giuridico, invita la Commissione a presentare una

20M. VENTUROLI, La tutela della vittima nelle Fonti Europee, Riv. Diritto

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27

proposta di direttiva contenente la disciplina normativa minimale in materia di indennizzo pubblico alle vittime di reati violenti, evitando che la nazionalità di esse rilevi quale condicio

sine qua non per beneficiare dell’indennizzo.

Nel 1989, il Parlamento europeo, con una nuova risoluzione sull’indennizzo alle vittime di reati violenti, sottolinea la necessità di avviare un processo di armonizzazione tra le legislazioni nazionali in tema di indennizzo alle vittime, dove si ribadisce l’obbligo dello Stato di procedere al risarcimento: non solo in funzione di esigenze solidaristiche, ma anche in forza del principio di responsabilità degli Stati a far rispettare le leggi e a mantenere la pace sociale. 21

Tuttavia, l’interesse europeo verso la vittima, fino ad ora focalizzato sul problema dell’indennizzo pubblico, a seguito della nascita dell’Unione Europea e della creazione di uno spazio di libertà sicurezza e giustizia, subisce un ampliamento con l’adozione, da parte della Commissione, di una Comunicazione del 14 Luglio 1999 intitolata “Vittime della

criminalità nell’Unione Europea-Riflessione sulle norme e misure da prendere”. 22

In questa comunicazione, indirizzata al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale, si prevede che la tutela della vittima debba essere realizzata mediante l’adozione di apposite misure a livello europeo entro i cinque anni successivi. Questa comunicazione evidenzia la necessità di elaborare dei

21 M.VENTUROLI, La vittima nel sistema penale dall’oblio al protagonismo?

Jovene, 2015, p.86;. Contributo di M. Montagna- I diritti minimi della

vittima. A. GAITO, I PRINCIPI EUROPEI DEL PROCESSO PENALE, Dike, 2016, p.305.

22 Si tratta di una comunicazione adottata a seguito del Piano d’azione del

Consiglio europeo e della Commissione sullo spazio di libertà sicurezza e giustizia del 3 Dicembre 1998. Contributo di M.MONTAGNA, I dritti minimi

della vittima, in AA.VV (a cura di A.GAITO), I PRINCIPI EUROPEI DEL PROCESSO PENALE, Dike, 2016, p.305.

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programmi di finanziamento delle iniziative per l’assistenza alle vittime e alla loro tutela, a livello sia governativo che statale. In questa prospettiva, il Parlamento europeo, nel 2001 adotta la “Resolution on Compensation for Victims of Acts of Violence”, ovvero una risoluzione sul risarcimento in favore delle vittime di reati violenti, nella quale s’invita la Comunità europea ad adottare iniziative ed azioni in tale direzione.

Nell’ambito dei provvedimenti di carattere generale, adottati da UE in favore della vittima, è di fondamentale importanza la decisione quadro 2001/220/ GAI del 15 Marzo 2001 relativa alla posizione assunta dalla vittima nel procedimento penale in cui: da un lato, riporta una definizione di vittima23, che seppur influenzata dalle elaborazioni vittimologiche (data la crescente attenzione prestata alle conseguenze psichiche cagionate dall’illecito), è comunque più ristretta di quella fornita dall’ONU nella Risoluzione del 1985 poiché non prende in considerazione le violazioni di beni a carattere collettivo e la diretta derivazione del danno patito direttamente dal reato, così da consentire il riferimento solo alle vittime dirette; dall’altro lato, ravvisa anche un catalogo dei diritti ad essa spettanti nell’ambito del processo a suo carico24.

La decisione quadro, più nello specifico, pone uno sguardo attento alla posizione della vittima nel procedimento penale, mediante il riconoscimento ad essa, di una serie di diritti esercitabili nel corso dello stesso in ogni sua fase. In primis è riconosciuto alla vittima il diritto di prendere parte al

23 Ex Art. 1 lett. A) <<vittima>>: la persona fisica che ha subito un

pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti o omissione che costituiscono una violazione del diritto penale di uno stato membro; Decisione Quadro 2001/220/GAI.

https://eur-lex.europa.eu/legal-content

24 VENTUROLI , La tutela della vittima nelle Fonti Europee, Riv. Diritto Penale

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29

procedimento penale e l’obbligo per gli Stati di garantire ad essa, durante il procedimento, un trattamento rispettoso della dignità personale (art. 2). È poi riconosciuto alla vittima il diritto di essere ascoltata durante il procedimento e fornire elementi di prova (art. 3) ma, non le viene attribuita la qualifica di parte processuale. Infatti, riconoscere in capo agli Stati l’obbligo di tale attribuzione è di fatto un’eccesiva ingerenza nella tradizione processuale di ognuno di essi (i.e. Germania, ove la vittima mai può diventare parte processuale in senso stretto).

La decisione quadro, al fine di poter consentire la piena partecipazione processuale della vittima, adotta delle misure idonee a ridurre le difficoltà linguistiche di comunicazione e comprensione nelle fasi più importanti del procedimento. È necessario, inoltre, evidenziare la particolare attenzione dimostrata nell’evitare i frequenti episodi di vittimizzazione secondaria. Infatti, oltre al dovere (sopracitato) di trattare con rispetto la vittima, è previsto per ciascuno Stato l’obbligo di limitare le audizioni delle vittime solo ai casi strettamente necessari per il procedimento penale (art. 3); che al fine di tutelare la vittima (con particolare attenzione a quelle più vulnerabili) dalle conseguenze che possono scaturire dalla loro audizione in pubblica udienza, la testimonianza venga raccolta con modalità protette ove ciò sia necessario (art. 8); che i locali dove la vittima accede (uffici di polizia, locali dei servizi sociali ed ambienti giudiziari) siano strutturati secondo le sue esigenze (art. 15); che le persone destinate ad intervenire nel procedimento o, più in generale, a venire in contatto con le vittime, specie le più deboli, abbiano un’adeguata formazione professionale (art. 14).

La decisione quadro si preoccupa inoltre della incolumità della vittima durante lo svolgimento del processo penale, pertanto, prevede per gli Stati membri l’obbligo di adottare tutte le misure

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necessarie per assicurare la sicurezza della vittima e dei suoi familiari laddove vi sia una seria minaccia di atti di ritorsione o prova certa di un serio intento di intromissione nella sfera della vita privata (art. 8). Sempre con l’intento di garantire alla vittima di accedere al processo, essa ha diritto a poter godere di un rimborso delle spese sostenute per la partecipazione (art. 7) e, se ne ricorrono i presupposti, di poter accedere all’assistenza legale gratuita o al patrocinio dello Stato (art. 6).

Tra i diritti riconosciuti alla vittima e ritenuti fondamentali per la sua tutela vi rientra quello dell’informazione (art. 4), il quale rappresenta un presupposto necessario per assicurare la fruizione del diritto di prender parte al processo. Per questo, la decisione quadro stabilisce che la vittima, fin dal primo contatto con le autorità incaricate dell’applicazione della legge, possa accedere alle informazioni rilevanti, che la stessa decisione quadro provvede ad individuare; successivamente, durante il procedimento, la vittima deve essere avvertita del seguito dato alla denuncia e deve essere informata dei fatti, che, in caso di esercizio dell’azione penale, le consentano di essere a conoscenza dello svolgimento del processo penale, sempreché ciò non sia pregiudizievole per il processo stesso (art. 4).

Alla vittima è riconosciuto il diritto di essere risarcita del danno subito, che a sua volta prevede: il diritto a ricevere una decisione relativa al risarcimento da parte dell’autore del reato nell’ambito del procedimento penale; l’adozione di misure volte a sollecitare l’autore a risarcire adeguatamente la vittima; la restituzione dei beni appartenenti alla vittima e sequestrati (art. 9). La decisione quadro in oggetto, avendo lo scopo di regolamentare il ruolo della vittima nel processo penale, limita l’esercizio del diritto al risarcimento del danno solo nei confronti del reo, senza alcun riferimento all’indennizzo pubblico a favore delle vittime.

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31

Infine, la decisione quadro prescrive la necessità di garantire alla vittima un’adeguata assistenza relativamente a tutti i suoi possibili bisogni (legali, medici, psicologici, economici, etc.), anche se richiesta, dopo il termine del procedimento penale (art. 13). Perché ciò sia possibile, è necessario che ciascuno Stato membro sia dotato di apposite strutture; cosa che in talune esperienze (i.e. ITALIA), non accade mancando una legislazione organica in materia e una rete di centri su tutto il territorio nazionale, coordinati da un organismo centrale, destinati a prestare alle vittime tale attività di assistenza.

In secondo luogo, la decisione quadro, si occupa in modo generale della mediazione penale, sollecitando gli Stati membri a promuovere questo tipo di procedura, nell’ambito dei procedimenti per i reati ritenuti idonei (art. 10). Si tratta, di un peculiare modello di giustizia, alternativo al tradizionale modello punitivo, il cui scopo è ricercare (prima o durante lo svolgimento del procedimento penale) una soluzione negoziata tra la vittima e l’autore del reato tramite la mediazione di una persona competente25.

L’Unione Europea, dunque, mira a far sì che la mediazione penale26 entri a far parte in maniera definitiva degli ordinamenti degli Stati membri, in quanto modello alternativo di risoluzione dei conflitti penali che, da un lato valorizza il ruolo della vittima e dall’altro lato ha una finalità di deflazione penale.

Infine, la decisione quadro si occupa della questione sui diritti riconosciuti alle vittime residenti in altri Stati membri; lo scopo è evitare che si ponga un ostacolo alla libera circolazione delle

25 Si tratta di un tema particolarmente attuale e che trova una disciplina

organica, per quanto concerne le fonti internazionali, nella raccomandazione n. (99) 19 del Consiglio d’Europa.

26 Essa rappresenta il principale strumento della giustizia

riparativo-conciliativa in quanto coinvolge reo e vittima nella ricerca di soluzioni alle conseguenze generate dal fatto delittuoso, al fine di garantire: il risarcimento del danno, la riconciliazione tra le parti e un rafforzamento del senso di sicurezza collettivo.

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32

persone a causa di eventuali differenze processuali tra gli Stati membri, ma anche riconoscere ai cittadini dell’Unione, che hanno subito un reato in un Paese membro diverso dal proprio, di seguire il processo ed ottenere il risarcimento del danno una volta ritornati in patria27. In particolare, gli Stati membri

devono assicurare alla vittima il diritto a presentare regolare denuncia dinanzi alle autorità competenti dello Stato di residenza, qualora non abbia potuto nello Stato in cui s’è consumato il reato o, in caso di reato grave, qualora non abbia desiderato farlo (art. 11, comma 2). Si possono seguire due strade:

• se lo Stato membro di residenza della vittima non esercita la propria competenza, ha facoltà di inviare tempestivamente la denuncia all’autorità competente nel territorio dello Stato in cui è stato commesso il reato, che agisce secondo il proprio diritto nazionale (art. 12, comma 2);

• viceversa, laddove la vittima abbia sporto denuncia nello Stato di commissione del reato, l’autorità competente può procedere a raccogliere una dichiarazione dei fatti da parte della vittima evitandole, così, di ritornare sul luogo dei fatti per rendere la propria testimonianza (art. 12, comma 1).

Al fine di garantire la partecipazione della vittima al procedimento penale, la decisione quadro raccomanda ai Paesi membri di ricorrere, per quanto possibile, agli strumenti di videoconferenza e teleconferenza28 per l’audizione delle vittime

27 Si stabilisce una tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti e della

tutela delle vittime, specie nel procedimento penale.

28 In tal senso la decisione quadro richiama, e al contempo integra, le

disposizioni (artt.10-11) in materia di videoconferenza e teleconferenza, contenute nella Convenzione del 29 maggio 2000 relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione Europea.

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residenti all’estero laddove non sia per loro possibile presenziare nel luogo ove si trova l’autorità giudiziaria competente.

Nonostante gli intenti armonizzatori in tema di diritti della vittima fatti propri dalla suddetta decisione quadro, nella relazione della Commissione29 sul recepimento della stessa, si

sottolinea un’inadempienza da parte degli Stati membri circa la sua adozione in concreto. Tra questi infatti alcuni, anziché affrontare il problema dei diritti da garantire alla vittima mediante l’adozione di nuove normative interne ad hoc, hanno preferito ricorrere a norme interne previamente esistenti; altri, invece, hanno recepito le disposizioni della decisione quadro in modo frammentario, dando luogo talvolta a sovrapposizioni con la normativa nazionale già in vigore. 30

Il Programma di Stoccolma per un’Unione aperta31 e sicura al servizio e a tutela dei cittadini invita la Commissione e gli Stati membri a studiare le modalità per migliorare la legislazione e le misure poste concretamente a protezione delle vittime con particolare attenzione all’assistenza e al riconoscimento di tutte le vittime, incluse in via prioritaria le vittime del terrorismo. Tuttavia, è con il Trattato di Lisbona sul funzionamento dell’Unione Europea, firmato il 13 dicembre 2007, che, attraverso il definitivo superamento del sistema dei tre pilastri, si creano le condizioni per una più solida regolamentazione della tutela della vittima. In particolare, l’art. 82, Capo 4 dedicato alla cooperazione giudiziaria in materia penale, ponendo l’attenzione

M.VENTUROLI, La tutela della vittima nelle Fonti Europee, Riv. Diritto Penale Contemporaneo, 2010, p.90 e ss.

29Relazione del 20 Aprile 2209, COM(2009)166.

30 Contributo di M. Montagna- I diritti minimi della vittima. A.GAITO. I

PRINCIPI EUROPEI DEL PROCESSO PENALE. Dike, 2016, p.306.

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34

sul fatto che l’Unione si fonda sul mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie e sul riavvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari in determinati settori, prevede che, laddove sia necessario per agevolare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e la cooperazione di polizia ed autorità giudiziaria nelle materie penali a carattere transnazionale, il Parlamento europeo e il Consiglio europeo, possono stabilire norme minime deliberando tramite direttive secondo la procedura legislativa ordinaria, tenendo conto delle differenze tra le tradizioni e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri. Va sottolineato, inoltre, che, nonostante l’adozione di norme minime nei campi indicati ex art. 82, tra cui quello della vittima, gli Stati membri sono comunque liberi di mantenere o introdurre ex novo una maggiore tutela delle persone.32

Ne deriva che, a partire dal Trattato di Lisbona in poi, il tema della vittima è al centro dell’attenzione da parte dell’Unione Europea; il suo principale obiettivo è garantire il mutuo riconoscimento delle decisioni penali tramite una previa armonizzazione delle legislazioni nazionali interne ai singoli Stati membri, incentrata su diritti minimi, relativi a settori cruciali della giustizia penale suscettibili di un maggiore potenziamento nei limiti della discrezionalità che comunque concerne il legislatore nazionale.

Ne consegue che, per attuare in concreto gli auspici contenuti nel Trattato, vengono adottate una serie di direttive a tutela di categorie specifiche di vittime. Tra queste, quella che assume rilievo nell’alveo delle fonti europee a carattere generale, è la

32 Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea- Trattato di Lisbona

10-11 Dicembre 2009. https://eur-lex.europa.eu; cfr. Contributo di M.

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35

Direttiva 2011/99/UE33, adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio europeo il 13 Dicembre 2011, sull’ordine di protezione europeo 34destinata ad operare nell’ambito dell’Unione Europea. La direttiva, perseguendo lo scopo di conservare e sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia (riprendendo quanto previsto ex art. 82 TFUE), ritiene che la cooperazione giudiziaria in materia penale nell’Unione ha fondamento nel principio del reciproco riconoscimento delle decisioni e sentenze giudiziarie.

Il testo in questione intende garantire che, nell’ambito di uno spazio comune di giustizia senza frontiere, la protezione fisica offerta a una persona in uno Stato membro sia mantenuta e venga assicurata in ogni Stato membro in cui essa si trasferisca, e pone delle regole così che, le misure di protezione35 adottate da uno Stato membro a favore di vittime di reati si applichino anche negli altri Stati membri nei quali la persona protetta decida di risiedere o soggiornare; ciò senza che la persona protetta debba avviare un nuovo procedimento o fornire

33 Tale direttiva è emanata nel quadro emanata nel quadro delle azioni

dell’Unione Europea di rafforzamento dei diritti e della protezione delle vittime di reato previste risoluzione del Consiglio del 10 giugno 2011, in cui si stabilisce una tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti e della tutela delle vittime, specie nel procedimento penale. VENTUROLI , La tutela della

vittima nelle Fonti Europee, Riv. Diritto Penale Contemporaneo, 2010, p.90 e

ss.

34 Ex art. 2 Direttiva cap. 1 2011/99/UE, si definisce ordine di protezione

europeo: « decisione adottata dall’autorità giudiziaria o equivalente di uno Stato membro in relazione ad una misura di protezione sulla cui base l’autorità giudiziaria o equivalente di un altro Stato membro prende misure appropriate secondo la propria legislazione interna al fine di continuare a proteggere la persona protetta»; https://eur-lex.europa.eu .

35 Ex art. 2 cap. 2 Direttiva 2011/99/UE, si definisce una misura di

protezione: « una decisione in materia penale, adottata nello Stato di emissione conformemente alla legislazione e alle procedure nazionali, con la quale uno o più divieti o restrizioni di cui all’articolo 5 sono imposti alla persona che determina il pericolo al fine di proteggere la persona protetta contro un atto di rilevanza penale che può metterne in pericolo la vita, l’integrità fisica o psichica, la dignità, la libertà personale o l’integrità sessuale». https://eur-lex.europa.eu .

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36

nuovamente prove nello Stato di esecuzione. È necessario, tuttavia, precisare che la direttiva, al fine di realizzare siffatta estensione della protezione, non prevede che l’autorità competente nel territorio dello Stato di esecuzione accetti e attui una misura adottata dall’autorità competente dello Stato di emissione; al contrario dispone che , su richiesta della persona protetta, lo Stato di origine(che ha emesso la misura) emetta un ordine di protezione europeo il cui riconoscimento da parte dello Stato di esecuzione comporta l’adozione di una misura di protezione nazionale analoga a quella in origine adottata dallo Stato emittente.36

Infine, il 25 Ottobre del 2012, è stata emanata la direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, che sostituisce la precedente decisione quadro 2001/220/GAI. Lo scopo che essa persegue è quello di predisporre assistenza, protezione e informazioni alla vittima di reato e assicurarne la partecipazione attiva al processo penale, amplificando alcuni dei diritti alla stessa riconosciuti nel contesto processuale.

3.2.2 TUTELA DELLA VITTIMA E FONTI A

CARATTERE PARTICOLARE

Dopo aver analizzato le fonti di carattere generale, è necessario concentrare l’analisi su quelle fonti che si occupano nello specifico della protezione di vittime di specifici reati perlopiù lesivi dell’integrità fisica e psicologica di soggetti deboli.

36 Contributo di C. AMALFITANO, La Tutela delle Vittime di reato nelle fonti

dell’Unione Europea. M.BARGIS E H.BELLUTA, VITTIME DI REATO E SISTEMA

PENALE-La ricerca di nuovi equilibri, GIAPPICHELLI EDITORE, TORINO, 2017, p. 89 e ss.

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