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Intercettazioni in mare e obbligo di soccorso: lo stato dell'arte

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Indice

Introduzione...3

Capitolo I La giurisdizione statale sulle zone marine 1.1 Cenni storici: mare liberum versus mare clausum...8

1.2 La codificazione del diritto del mare...13

1.3 La suddivisione degli spazi marini...16

Capitolo II Le intercettazioni in mare come misura di contrasto all'immigrazione irregolare 2.1 Il fenomeno dell'immigrazione via mare...23

2.2 Le intercettazioni delle imbarcazioni straniere...26

2.2.1 Cosa si intende per intercettazione in mare...28

2.2.2 La giurisdizione degli Stati in mare nell'adozione delle misure di intercettazione...30

2.3 Il diritto di visita nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare...40

2.3.1 La nave priva di nazionalità...44

2.3.2 La tratta di schiavi...50

2.4 Il Protocollo di Palermo...55

2.5 Cenni sulla posizione dell'Unione Europea nei confronti dell'immigrazione irregolare via mare...65

2.6 La disciplina delle intercettazioni in mare negli accordi bilaterali...68

2.6.1 Gli accordi Italia-Albania...71

2.6.2 Gli accordi Italia-Libia...73

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Capitolo III

L'obbligo di prestare soccorso in mare e la responsabilità degli Stati

3.1 I rapporti tra intercettazione e soccorso in mare...88

3.2 L'obbligo di salvaguardia delle vite umane in mare...90

3.2.1 L'articolo 98 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare...92

3.2.2 La Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS) e la Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo (SAR)...97

3.3 Gli emendamenti alle Convenzioni SOLAS e SAR e le Linee guida per il trattamento delle persone salvate in mare...101

3.3.1 Il problema dell'identificazione del luogo di sbarco delle persone tratte in salvo...104

3.4 La responsabilità degli Stati per la violazione degli obblighi in materia di search and rescue in base al diritto del mare...111

3.4.1 La responsabilità internazionale dello Stato di bandiera. 112 3.4.2 La responsabilità internazionale dello Stato costiero...115

3.5 Il principio di non-refoulement...120

3.5.1 Il divieto di respingimento in mare e la giurisprudenza della CEDU: il caso Hirsi...126

3.6 L'impegno dell'Italia: l'operazione Mare Nostrum...130

Conclusioni...139

Bibliografia...145

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Introduzione

Ogni anno migliaia di persone abbandonano il proprio Paese di origine per cercare nuove opportunità altrove. La maggior parte di loro si sposta in conformità con le vie legali per l’ingresso in un Paese straniero; altri, pur essendo entrati regolarmente, perdono i requisiti per restarvi una volta trascorso un determinato periodo di tempo, permanendovi, talvolta, in una condizione di irregolarità. Altri ancora, infine, tentano di oltrepassare le frontiere pur in mancanza un valido titolo che consenta loro l'ingresso nel Paese di arrivo.

Il presente lavoro si soffermerà su quest’ultima categoria di persone ed in particolare su coloro che intendono raggiungere i confini del Paese di destinazione via mare. Si tratta di un fenomeno particolarmente attuale, che interessa da vicino l’Italia ed i Paesi alle frontiere meridionali dell’Unione Europea e che desta notevole interesse per le molteplici implicazioni sociali e giuridiche che comporta. Sebbene il numero dei migranti che raggiungono i confini dell’Unione via mare sia di carattere residuale rispetto alla percentuale totale degli ingressi irregolari nel territorio, sono comunque decine di migliaia i migranti che ogni anno salpano dalle coste nord-africane per raggiungere i confini meridionali dell'Europa nella speranza di una vita migliore.

Nel corso della trattazione, dopo un breve capitolo introduttivo sulla normativa generale in materia di diritto marittimo internazionale, si cercherà di esaminare il fenomeno

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dell'immigrazione irregolare via mare focalizzando l’attenzione sul duplice atteggiamento degli Stati al riguardo, in precario equilibrio fra esigenze di controllo e tutela della vita umana. In particolare, ci si domanderà se sia possibile salvaguardare le prerogative statali di controllo dei confini nazionali e contrasto all’immigrazione irregolare e nel contempo adempiere al dovere di soccorrere coloro che si trovano in condizioni di pericolo in mare, cosi come stabilito, ex multis, dall’articolo 98 della Convenzione di Montego Bay del 1982. L’interrogativo si pone in considerazione dei mezzi e delle modalità con cui avvengono gli spostamenti via mare. Le imbarcazioni utilizzate sono spesso prive degli standard minimi di sicurezza necessari per la navigazione - basti pensare che si fa riferimento ad esse utilizzando l’espressione “carrette del mare” - e nella maggior parte dei casi sprovviste di bandiera. I viaggi avvengono in condizioni di sovraffollamento e carenza di equipaggiamento, mettendo a repentaglio la vita dei passeggeri. Nella maggior parte dei casi, inoltre, si tratta di persone che, non disponendo di alcun modo più sicuro per raggiungere l'Europa, cadono vittime del trafficking of human beings e dello smugglings of migrants, affidandosi a membri di organizzazioni criminali che speculano su di essi, costringendoli a pagare ingenti cifre per un viaggio dall'esito più che incerto.

Preme sottolineare, inoltre, che tra quanti decidono di affrontare la traversata via mare non vi sono solamente i migranti cosiddetti “economici”, coloro cioè che si spostano in un altro Paese per cercarvi lavoro e nuove opportunità, ma buona parte di essi sono rifugiati e richiedenti asilo, che fuggono da Paesi devastati da

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guerre e carestie, nei quali correrebbero il rischio di essere perseguitati e/o subire trattamenti inumani e degradanti.

In un simile contesto, le prerogative sovrane di ciascuno Stato di regolare l’ingresso nel proprio territorio subordinatamente al possesso di determinati requisiti devono necessariamente tenere in considerazione le norme internazionali a tutela dei diritti dei rifugiati e dei diritti umani in generale, tra cui l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra del 1951, il quale disciplina il principio del non-refoulement, disponendo il divieto per ogni Stato contraente di respingere un rifugiato verso le frontiere dei luoghi in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate per motivi di razza, religione, nazionalità o differenti opinioni politiche. Sulla base di simili premesse, nel secondo capitolo si tratterà delle misure statali di contrasto all’immigrazione irregolare via mare, soprattutto in un’ottica preventiva, attraverso lo strumento della interception at sea, vale a dire l’intercettazione delle imbarcazioni che trasportano migranti in maniera irregolare quando ancora non abbiano fatto ingresso all'interno dei confini del Paese di destinazione. Se ne esaminerà dunque la legittimità, analizzando, a tal fine, le principali norme di diritto internazionale del mare. Soffermandosi sull’articolo 110 della Convenzione di Montego Bay del 1982, che disciplina i casi in cui è consentito esercitare il diritto di visita in alto mare, con l’obiettivo di includervi eventualmente anche l’ipotesi dell'intercettazione di un'imbarcazione che trasporti migranti in violazione della normativa di immigrazione del Paese di destinazione, si passerà poi all’analisi del Protocollo di Palermo del 2000, che per la prima volta disciplina espressamente,

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incriminandola, la fattispecie del contrabbando di migranti. Infine, le intercettazioni in alto mare, ed ancor più eccezionalmente nelle acque territoriali di un Paese terzo, trovano un esplicito riconoscimento all’interno degli accordi bilaterali conclusi tra i Paesi di destinazione ed i Paesi di origine o transito dei flussi migratori. Ci si soffermerà dunque su di essi ed in particolare sul contenuto degli accordi conclusi nell'ultimo decennio rispettivamente da Italia e Spagna, due tra gli Stati dell'Unione Europea maggiormente interessati dagli afflussi di migranti via mare.

Nel terzo capitolo si prenderà in esame l’aspetto positivo delle intercettazioni in mare, quale pratica rivolta non solo ed esclusivamente al contrasto dell’immigrazione, bensì anche alla salvaguardia della vita umana in mare. Oltre al già citato articolo 98 della Convenzione di Montego Bay, saranno esaminati gli ulteriori accordi rilevanti in materia, tra cui la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 e la Convenzione sulla ricerca ed il soccorso in mare del 1979, ed i successivi emendamenti del 2004.

L’analisi mirerà inoltre ad individuare le lacune giuridiche presenti nella materia, soprattutto per quanto riguarda la determinazione del porto di sbarco delle persone soccorse, nel tentativo di fornirvi una risposta adeguata ed evitare che nella prassi non vengano adempiuti gli obblighi di ricerca e soccorso in mare.

Si analizzeranno gli specifici obblighi di salvataggio posti in capo ai comandanti delle navi ed ai rispettivi Stati di bandiera, ed i corrispondenti doveri di cooperazione e coordinamento dei

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soccorsi a carico degli Stati costieri. Attraverso un’analisi della recente casistica a disposizione, si esaminerà l’eventuale responsabilità internazionale degli Stati qualora agiscano in violazione delle norme in materia di search and rescue.

Un cenno conclusivo verrà dedicato infine all’operazione Mare Nostrum e all’impegno dimostrato dall’Italia nel prestare soccorso ai migranti in difficoltà, nella prospettiva di un maggiore coinvolgimento e di un auspicabile intervento da parte dell’Unione Europea a supporto della missione, finalizzato al tentativo di evitare il continuo ripetersi delle innumerevoli stragi nelle acque del Mediterraneo.

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Capitolo I

La giurisdizione statale sulle zone marine

1.1 Cenni storici: mare liberum versus mare clausum

Da sempre il mare è un elemento fondamentale per l’uomo che, nel corso dei secoli, ha cercato di regolarne l’utilizzo al fine di adattarlo alle proprie necessità. Da semplice fonte di sostentamento, il suo ruolo si evolve con l’avanzare della civiltà, divenendo mezzo di comunicazione, di trasporto, e infine crocevia delle rotte commerciali. Non altrettanto lineare risulta la regolamentazione giuridica del mare nel corso della storia; a riguardo è sorto un dibattito protrattosi fino all’età moderna, che ha visto contrapporsi due visioni tra loro antitetiche: mare liberum versus mare clausum.

L'origine del principio della libertà del mare risale all'epoca greco-romana, quando viene meno la prassi di dominio marittimo che fino ad allora non era stata messa in discussione.1

Infatti nel 533, con la pubblicazione delle Institutiones di Giustiniano nella Costituzione Imperatoriam maiestatem, si riconobbe che l’aria, l’acqua corrente, il mare e, di conseguenza, i lidi del mare, erano comuni a tutti per diritto naturale.2 Tuttavia

1 E. PAPASTAVRIDIS, The Interception of Vessel on the High Seas:

Contemporary Challenges to the Legal Order of the Oceans, Oxford, Hart

Publishing, 2013, p. 18; P. POTTER, The Freedom of the sea in History, Law

and Politics, New York, Longmans, 1924, p. 11 ss.

2 Inst. 2.1.1: “Et quidem naturali iure communia sunt omnium haec: aer et aqua profluens et mare et per hoc litora maris”.

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questa concezione, che nacque con l’impero e si mantenne in vita per tutta la sua durata, era destinata a cadere insieme ad esso.

Durante il Medioevo si diffusero in Europa un clima di insicurezza ed una generale anarchia, le cui conseguenze ebbero ripercussioni anche sui traffici via mare: i pirati si impadronirono delle acque e delle coste, ponendo la navigazione in costante pericolo.3

Dal XIII secolo gli Stati iniziarono ad esercitare la giurisdizione anche sulle acque confinanti con i rispettivi territori; con il pretesto di proteggere le proprie coste e la navigazione, di fatto assoggettarono intere parti di mare alla propria sovranità.4 Si

riaffermò così, la nozione di mare clausum, e cioè l’idea che il mare fosse soggetto ad appropriazione da parte degli Stati, i quali potevano esercitarvi il proprio dominio. In particolare si trattava di una giurisdizione - come si è visto - limitata, dal punto di vista geografico, alle acque adiacenti al proprio territorio. Nel XV e XVI secolo, con la scoperta dell’America e l’apertura di nuove rotte commerciali, alla tradizionale lotta per il dominio del mare territoriale si aggiunse la battaglia per il controllo del mare aperto e dei nuovi, globali, orizzonti.5 Il dominio sugli

oceani fu rivendicato inizialmente da parte di Spagna e

3 “The sea was then common only in the sens of being universally open to

depredations”, T. FULTON, The Sovereignty of the Sea; an Historical Account of the Claims of England to the Dominion of the British Seas, and of the Evolution of the Territorial Waters, Edinburgh, Blackwood, 1911, p. 5.

4 R. P. ANAND, Origin and Development of the Law of Sea: The History of

International Law revisited, The Hague, Martinus Nijhoff Publishers, 1983, p.

84.

5 G. GREWE, The Epochs of International Law, translated and revised by M. BYERS, Berlin, Walter de Gruyter, 2000, p. 257.

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Portogallo, i quali lo reclamavano come proprio diritto.6 Il

principale oppositore al regime di dominio dei mari fu l’Inghilterra della Regina Elisabetta I, che si schierò apertamente a favore della libertà dei mari.7

In tale contesto gli Stati cercarono di giustificare le proprie pretese con il sostegno della dottrina. Un importante contributo venne fornito da Alberico Gentili, un giurista italiano (1522 -1608) il quale, trasferitosi a Londra, svolse un importante ruolo sia come teorico del diritto sia come consulente della corona. Partendo dal presupposto che il mare fosse una res communis omnium, egli introdusse per la prima volta una netta distinzione tra l’alto mare e le acque territoriali, assoggettando queste ultime alla giurisdizione degli Stati costieri, ai quali fu riconosciuta anche la facoltà di adottarvi provvedimenti restrittivi al fine di tutelare le popolazioni.8

Un apporto ancor più significativo a tale dibattito dottrinale provenne dal giurista olandese Ugo Grozio, il quale riportò in auge il principio della libertà del mare attraverso uno scritto pubblicato in forma anonima nel 1609, intitolato Mare Liberum,9

che prende spunto da un episodio accaduto nello stretto di Singapore. In tale occasione la Compagnia olandese delle Indie

6 Spagna e Portogallo rivendicavano il diritto di esercitare il proprio dominio sui mari sulla base della Bolla papale di Papa Alessandro VI del 1493 - modificata nel 1494 con il Trattato di Tordesillas - con la quale le nuove terre scoperte vennero divise tra spagnoli e portoghesi; cfr. U. Grozio, F. Izzo (a cura di),

Mare Liberum, Napoli, Liguori, 2007, p. 117.

7 E. PAPASTAVRIDIS, op.cit., p. 19.

8 A. GENTILI, De iure Belli Libri tres (1588) e Hispanicae Avocationis Libri duo (1605), come citato in G. GREWE, op. cit., p. 264.

9 Mare Liberum è in realtà un capitolo appartenente ad una più grande opera

giuridica, il De Iure Praedae Commentarius, il cui manoscritto rimase ignoto fino al 1864.

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Orientali catturò una nave portoghese, la Santa Catarina, e si appropriò del suo carico come bottino.10 Grozio fu incaricato di

difendere la compagnia e nonostante il suo contributo fosse meramente strumentale all’affermazione del diritto della sua assistita a navigare nell'Oceano indiano e negli altri mari orientali, in cui Spagna e Portogallo asserivano di avere il monopolio, esso fu considerato, dalla dottrina successiva, un punto di svolta che segnò l’inizio di una nuova epoca.

Mare Liberum rappresenta in effetti il primo testo in cui vengono affrontate le conseguenze giuridiche della scoperta e occupazione di nuove terre e dell’apertura degli oceani alla navigazione, ai commerci e alla pesca.11 L’argomentazione di

Grozio è volta alla dimostrazione che il mare - in quanto res omnius o res nullius12 - non può essere oggetto né di dominio né

di imperium: vige una piena libertà di commercio e di navigazione, la quale legittima il diritto ad opporsi a coloro che vi si frappongono.13

Durante il XVII secolo, a partire dalla tesi di Grozio, si sollevò un acceso dibattito dottrinale - cui si fa comunemente riferimento come “Battle of the Books”14 - tra i sostenitori delle

due diverse teorie: mare liberum versus mare clausum. In particolare, un’accesa critica al lavoro di Grozio provenne da

10 R. P. ANAND, op. cit., p.77. 11 U. GROZIO, op. cit., p. 5.

12 Quando sarà dato per pacifico il principio del mare liberum - nel XIX secolo - il dibattito si sposterà piuttosto sulla sua natura giuridica. Coloro che ritengono si tratti di una res nullius sostengono che il mare aperto non appartenga a nessuno; quanti invece si schierano a favore della natura di res communis affermano che esso appartenga, al contrario, a chiunque; cfr. E. PAPASTAVRIDIS, op. cit., p. 23.

13 U. GROZIO, op. cit., p. 17.

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parte di un giurista inglese, John Selden, il quale, con la pubblicazione nel 1635 di Mare Clausum,15 cercò di confutare la

tesi dell’olandese argomentando che il mare non fosse in realtà comune a tutti, ma al contrario che gli Stati vi esercitavano la propria giurisdizione, esattamente come succedeva sulla terra ferma.

È opportuno in tale contesto soffermarsi su una serie di osservazioni di fondo che verranno sollevate a riguardo dalla dottrina successiva. In particolare venne messa in discussione l’esistenza di una reale dicotomia Mare Liberum versus Mare Clausum. In primo luogo fu evidenziato come Grozio, in realtà, non propose una teoria volta a contemplare una libertà assoluta in alto mare nel senso di un’impossibilità di interferenza con navi straniere, la quale al contrario si rendeva necessaria soprattutto nel caso vi fossero state esigenze di autodifesa.

In secondo luogo, fu sottolineato come anche i sostenitori di Mare Clausum concordassero sulla premessa che l’alto mare fosse aperto alla navigazione; le loro pretese di sovranità statale si limitavano esclusivamente alle acque adiacenti i territori nazionali, per esigenze di tutela e salvaguardia sia della popolazione sia delle risorse nazionali. Sulla base di queste premesse venne presa in considerazione la possibilità di rivalutare le due teorie in termini di complementarietà piuttosto che di esclusività.16

15 Mare Clausum seu de dominio maris libri duo fu commissionato molti anni prima dal re Giacomo I di Inghilterra per sostenere l'esclusivo diritto degli inglesi al commercio e alla pesca sui mari del nord; cfr. G. GREWE, op. cit., p. 266.

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Tra il XVIII e il XIX secolo - in conseguenza dell’espansione coloniale prima e della Rivoluzione industriale poi - il principio di libertà del mare fu finalmente condiviso dagli Stati europei. Se da un lato venne abbandonata la pretesa di esercitare un dominio in mare aperto, dall’altro, tuttavia, gli Stati rivendicarono ed ottennero il diritto ad esercitare la propria giurisdizione nelle rispettive acque costiere, in funzione della difesa del proprio territorio.17

Il XX secolo rappresenta il periodo della codificazione del principio della libertà del mare, dapprima nelle quattro Convenzioni di Ginevra del 1958 e successivamente nella Convenzione di Montego Bay del 1982.

In conclusione “the history of the law of sea has been marked by the doctrinal controversy and the tension between the two phenomenally divergent regimes of mare clausum and mare liberum”.18 Il bisogno socio-economico della società

internazionale di avere libero accesso ai mercati e di poter liberamente comunicare e commerciare via mare ha segnato definitivamente il trionfo del mare liberum.

1.2

La codificazione del diritto del mare

L’attuale regime giuridico degli spazi marini è frutto di una serie di tentativi di codificazione che si sono succeduti nel corso del XX secolo e che hanno portato, nel 1982, all'adozione della

17 R. P. ANAND, op. cit., p. 27. 18 E. PAPASTAVRIDIS, op.cit., p. 24.

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Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare.19 Il primo

tentativo di codificazione fu promosso nel 1930 da parte della Società delle Nazioni: venne convocata all’Aja una Conferenza per la codificazione del diritto internazionale, con il compito di occuparsi, tra i vari settori, anche del regime giuridico del mare territoriale. La Conferenza non riuscì nel tentativo di codificare la materia, ma i suoi lavori rivestono grande importanza, specialmente ai fini della ricostruzione del diritto consuetudinario, ed in particolare per quanto riguarda i diritti dello stato costiero sul mare territoriale ed il concetto di passaggio inoffensivo.20

L’opera di codificazione fu ripresa anni più tardi dalle Nazioni Unite e dalla Commissione del diritto internazionale con i negoziati in seno alla Prima Conferenza sul diritto del mare, tenutasi a Ginevra nel 1958. Questa volta l’esito fu positivo e portò all’adozione di quattro testi convenzionali distinti, in modo tale da favorire la più ampia partecipazione degli Stati, che potevano in questo modo vincolarsi solamente ad alcune parti del regime convenzionale adottato per gli spazi marini. Le convenzioni adottate nel 1958 riguardano: il mare territoriale e la zona contigua; la piattaforma continentale; l’alto mare; la pesca e la conservazione delle risorse biologiche dell’alto mare.

Nel 1960, ancora una volta a Ginevra, fu convocata una seconda Conferenza con l’obiettivo di stabilire quale dovesse essere l’ampiezza delle acque territoriali, dal momento che in

19 N. RONZITTI, Introduzione al diritto internazionale, Torino, Giappichelli, 2013, p. 105.

20 Sul diritto di passaggio inoffensivo delle imbarcazioni straniere nel mare territoriale di uno Stato terzo, v. infra cap. 1.3.

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precedenza non si era trovato un accordo.21 Tuttavia il risultato

ottenuto non era destinato ad essere duraturo, dal momento che, già qualche anno più tardi, emersero nuove esigenze incompatibili con il regime convenzionale adottato a Ginevra, le quali aprirono la strada per la convocazione di una nuova Conferenza.

Così nel 1970 ebbe luogo la Terza Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che si sviluppò in 11 sessioni e si concluse a Montego Bay, in Giamaica, il 10 dicembre 1982, con l’adozione della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, composta da 320 articoli e 9 allegati. Si tratta di uno strumento unitario, che disciplina le differenti aree marine, ponendo fine al relativismo convenzionale, frutto della Prima Conferenza del diritto del mare. La Convenzione non abroga quella precedente, adottata a Ginevra nel 1958, ma stabilisce che tra gli Stati parti di entrambe le Convenzioni, abbia la precedenza la Convenzione del 1982.

La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare è entrata in vigore, sul piano internazionale, il 16 novembre 1994.22

Nonostante ciò, numerose disposizioni della Convenzione hanno natura di diritto internazionale consuetudinario e, quindi, sono divenute obbligatorie per gli Stati ancor prima della sua entrata in vigore.

21 Tale limite venne stabilito ad un massimo di 6 miglia. L'art. 3 della CNUDM ha esteso il limite massimo per fissare la larghezza del mare territoriale fino a 12 miglia marine, misurate a partire dalle linee di base.

22 La CNUDM è stata ratificata dall'Italia con l. n. 689 del 2 novembre 1994 ed è entrata in vigore nel nostro ordinamento dal 12 febbraio 1995.

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1.3

La suddivisione degli spazi marini

La Convenzione di Montego Bay, riprendendo in parte la suddivisione degli spazi marini oggetto delle precedenti Convenzioni, disciplina definitivamente le seguenti zone: il mare territoriale, la zona contigua, la zona economica esclusiva, la piattaforma continentale e l’alto mare.23

Il mare territoriale è costituito da una zona di mare adiacente le coste sulla quale si estende la sovranità dello Stato costiero.24 Il

limite esterno delle acque territoriali è determinato da ciascuno Stato entro un limite massimo di 12 miglia dalla linea di base.25

Le acque costiere sono considerate parte integrante del territorio dello Stato, che pertanto esercita su di esse i medesimi poteri sovrani dei quali può disporre nella terraferma.26

Il potere dello Stato costiero nelle sue acque territoriali incontra un'unica limitazione: il passaggio inoffensivo27 delle

imbarcazioni straniere. L'estensione della sovranità dello Stato costiero sul mare territoriale trova il suo fondamento giuridico nella necessità di tutela degli essenziali interessi di sicurezza nazionale. Il passaggio inoffensivo, limitando i diritti dello Stato costiero nelle sue acque territoriali a favore degli altri Stati,

23 Per un approfondimento sulla suddivisione e regolamentazione degli spazi marini cfr. R. CHURCHILL, V. LOWE, The Law of the Sea, Manchester, Manchester University Press, 1998; D. ROTHWELL, T. STEPHENS, The

International Law of the Sea, Oxford, Hart Publishing, 2010; N. RONZITTI, Introduzione al diritto internazionale, Torino, Giappichelli, 2013.

24 Art. 2 CNUDM. 25 Art. 3 CNUDM.

26 Sull'equivalenza tra i diritti esercitabili dallo Stato costiero sulla terraferma e sul mare territoriale non solo la CNUDM ma ancor prima la Commissione di diritto internazionale nel 1956; cfr. Yearbook of International Law Commission, Vol. II (1956), p. 256.

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garantisce al contempo le esigenze connesse alla tutela della navigazione internazionale. Con il termine “passaggio” si fa riferimento alla navigazione all'interno delle acque territoriali per attraversarle ovvero per dirigersi verso le acque interne o allontanarsi da queste, subordinatamente al consenso dello Stato costiero.28 I requisiti del passaggio sono due: deve essere

continuo e rapido.29 Inoltre per essere considerato “inoffensivo”

il passaggio non deve arrecare pregiudizio “alla pace, al buon ordine ed alla sicurezza dello Stato costiero”.30 Le imbarcazioni

battenti bandiera straniera possono quindi navigare nelle acque territoriali di un altro Stato, a condizione che non minaccino in alcun modo la sua sicurezza e non ne turbino l'ordinamento giuridico. Lo Stato costiero può adottare nel proprio mare territoriale ogni precauzione necessaria, finalizzata all'impedimento di ciascun passaggio che non sia inoffensivo e, per motivi di sicurezza, ha la possibilità di sospendere temporaneamente il diritto di passaggio limitatamente ad alcune zone del mare territoriale qualora sia indispensabile a tutela dell'interesse nazionale.31 Le navi straniere che esercitano il

diritto di passaggio hanno perciò l'obbligo di rispettare le leggi ed i regolamenti adottati dallo Stato costiero.

La zona contigua32 è la zona di mare adiacente alle acque

territoriali e può avere un'estensione massima di 12 miglia dal loro limite esterno, per un totale di 24 miglia dalla linea di

28 Art. 18 (1) CNUDM. 29 Art. 18 (2) CNUDM. 30 Art. 19 (1) CNUDM. 31 Art. 25 CNUDM.

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base.33 La sua istituzione è facoltativa ed a tal fine è necessaria

una formale proclamazione da parte dello Stato costiero.34 Non è

parte del territorio di quest'ultimo e, giuridicamente, si ritiene applicabile a questa zona il principio di libertà della navigazione tipico dell'alto mare, con l'introduzione di alcune eccezioni. In particolare, nonostante non goda di una piena giurisdizione nella zona contigua, allo Stato costiero è riconosciuto il diritto di esercitare il controllo necessario a prevenire o reprimere le violazioni alle leggi di polizia doganale, fiscale, sanitaria o d'immigrazione vigenti sul suo territorio o nelle sue acque territoriali.35

La zona ha quindi natura esclusivamente funzionale: la giurisdizione statale è circoscritta alla sola possibilità di esercitare un controllo nei limiti delle materie tassativamente indicate. Al di fuori del dettato dell'articolo 33 della Convenzione di Montego Bay vigono nella zona contigua i princìpi della libertà di navigazione e dell'esclusiva giurisdizione dello Stato di bandiera, i quali trovano quindi applicazione al di fuori del limite esterno del mare territoriale.

La zona economica esclusiva (ZEE) è la zona di mare adiacente la zona contigua che, qualora istituita dallo Stato costiero,36 si

33 Art. 33 (2) CNUDM.

34 L'Italia si è astenuta fin'ora dal proclamare formalmente una zona contigua, sebbene l. n. 189 del 30 luglio 2002, recante modifiche in materia di immigrazione e di asilo, vi faccia un implicito riferimento, attribuendo alle navi in servizio di polizia e alle navi della Marina Militare poteri di polizia anche nei confronti di navi straniere per contrastare il traffico di migranti (art. 11 sexies). Sulla “ipotetica” zona contigua italiana cfr. F. CAFFIO, “Immigrazione clandestina via mare: l'esperienza italiana nella vigilanza prevenzione e contrasto”, in supplemento alla Rivista Marittima, 2003, p. 45.

35 Art. 33 (1) CNUDM.

36 Così come è previsto per la zona contigua, la ZEE, perché diventi effettiva, deve essere proclamata formalmente nei confronti della comunità internazionale.

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estende fino a 200 miglia dalla linea di base.37 Nella zona

economica esclusiva lo Stato costiero può esercitare i diritti sovrani che gli competono e la propria giurisdizione, nei limiti e nelle materie indicate nell'articolo 56 della Convenzione.38 La

sovranità dello Stato costiero è relativa e gli altri Stati continuano a godere in tale zona di talune libertà connesse al regime dell'alto mare.

La definizione di alto mare è fornita dalla Convenzione di Montego Bay in termini negativi. Vengono considerate alto mare “tutte le parti di mare che non sono comprese nella zona economica esclusiva, nel mare territoriale, nelle acque interne o nelle acque arcipelagiche”.39 L'alto mare rappresenta l'area

marina che si estende al di là della zona economica esclusiva, oltre le 200 miglia marine dalla costa - limite ultimo entro il quale è consentito agli Stati esercitare parte dei propri diritti sovrani - e che quindi non è sottoposta alla sovranità di alcuno Stato.

Tra le norme di diritto consuetudinario assimilate dalla Convenzione di Montego Bay rivestono particolare importanza i princìpi della libertà in alto mare e dell’esclusiva giurisdizione

37 Art. 57 CNUDM.

38 “Nella zona economica esclusiva lo Stato costiero gode di: a) diritti sovrani sia

ai fini dell'esplorazione, dello sfruttamento, della conservazione e della gestione delle risorse naturali, biologiche o non biologiche, che si trovano nelle acque soprastanti il fondo del mare, sul fondo del mare e nel relativo sottosuolo, sia ai fini di altre attività connesse con l'esplorazione e lo sfruttamento economico della zona, quali la produzione di energia derivata dall'acqua, dalle correnti e dai venti; b) giurisdizione conformemente alle pertinenti disposizioni della presente Convenzione, in materia di: i) installazione e utilizzazione di isole artificiali, impianti e strutture; ii) ricerca scientifica marina; iii) protezione e preservazione dell'ambiente marino; c) altri diritti e doveri previsti dalla presente Convenzione”.

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dello Stato di bandiera. Il principio della libertà dell'alto mare è stato codificato, alla fine del suo processo di evoluzione, nella Convenzione del diritto del mare del 1982. Con l'affermazione del principio si nega l'esistenza di qualsiasi autorità in alto mare e si riconosce la perfetta eguaglianza e completa indipendenza di tutti gli Stati. Pertanto, ne deriva che sono illegittime le pretese da parte degli Stati di assoggettarne alla propria sovranità alcuna parte.40 Escludendo qualsiasi tipo di giurisdizione esclusiva

sull'alto mare, è garantito in ogni caso il riconoscimento a tutti gli Stati, sia costieri sia privi di litorale, della possibilità di svolgervi le proprie attività. In particolare sono riconosciuti i diritti di: navigazione; sorvolo; posa di cavi sottomarini e condotte; costruzione di isole artificiali e altre installazioni; pesca; ricerca scientifica.41 Tali libertà non possono però

intendersi in senso assoluto ma devono venire esercitate tenendo conto delle disposizioni della Convenzione sul diritto del mare, delle regole di diritto internazionale e dell’interesse che presenta l’esercizio della libertà in alto mare per gli altri Stati.42

Strettamente collegato al principio della libertà dell'alto mare è il principio di diritto internazionale in base al quale gli Stati non possono generalmente esercitare il proprio potere e la propria giurisdizione al di fuori del loro territorio, infatti l’alto mare inizia là dove gli Stati costieri non esercitano più la loro sovranità. La mancanza di giurisdizione statale sull'alto mare non rappresenta tuttavia un vuoto giuridico e agli Stati è riconosciuta

40 Art. 89 CNUDM. 41 Art. 87 (1) CNUDM. 42 Art. 87 (2) CNUDM.

(21)

la possibilità di esercitare una giurisdizione extraterritoriale, anche al di fuori dei confini nazionali, sulle navi che battono la loro bandiera nazionale.43

Il principio dell'esclusiva giurisdizione dello Stato di bandiera lo Stato che attribuisce la propria nazionalità ad una nave -rappresenta un corollario del principio di libertà dell'alto mare e garantisce il rispetto delle regole della navigazione. Si configura come conseguenza dell’obbligo di non interferenza tra le navi battenti diverse bandiere nazionali ed è finalizzato a consentire che tutti gli Stati usufruiscano liberamente dell'alto mare.

Ciascuno Stato, sia costiero sia privo di litorale, ha il diritto di far navigare in alto mare le navi battenti la sua bandiera44 e di

esercitare su di esse la giurisdizione esclusiva.45 Ciascuna nave

deve possedere una sola nazionalità e nel caso in cui essa batta bandiera di due o più Stati, viene equiparata ad una nave senza nazionalità.46 Le navi che ne sono prive non possono invocare la

protezione di alcuno Stato, e sono soggette in mare alla giurisdizione delle navi da guerra di tutti gli Stati.

Ciascuno Stato è libero di determinare le condizioni cui è subordinata l'attribuzione della propria nazionalità alle imbarcazioni. In ogni caso è importante che sussista, tra uno Stato e la nave battente la sua bandiera, un “legame effettivo” (noto come genuine link); in particolare lo Stato deve effettivamente esercitare la sua giurisdizione ed un controllo

43 D. ROTHWELL, T. STEPHENS, op.cit., p. 149. 44 Art. 90 CNUDM.

45 Art. 92 (1) CNUDM. 46 Art. 92 (2) CNUDM.

(22)

amministrativo, tecnico e sociale sulle navi nazionali.47 Posto che

non vi è alcun dubbio sul fatto che tale requisito sia richiesto in base alle disposizioni convenzionali, non è altrettanto certo che un tale legame sostanziale sia imposto anche dal diritto internazionale consuetudinario.48 Vi sono alcuni Stati, come per

esempio l'Italia,49 che richiedono l'esistenza di un collegamento

effettivo tra la nave e la comunità; altri invece concedono facilmente la propria nazionalità alle navi dando così luogo al fenomeno delle cosiddette “bandiere ombra” o “bandiere di convenienza”:50 si tratta di imbarcazioni che non sono sotto

l'effettivo controllo dello stato di bandiera e che eludono gli standard di sicurezza e le norme generalmente in uso.

Il principio per cui una nave è soggetta in alto mare alla esclusiva giurisdizione dello Stato di bandiera implica che nessuno Stato ha il diritto di interferire in tempo di pace con una nave di altra bandiera che navighi in alto mare. Il principio fin qui enunciato non è tuttavia assoluto e sono configurabili alcuni casi eccezionali in cui l'imbarcazione può essere sottoposta ad una giurisdizione diversa da quella dello Stato bandiera.51

47 Art 91 (1) e (2) CNUDM; art. 94 (1) CNUDM. 48 N. RONZITTI, op. cit., p. 127.

49 Artt. 143 e 144 cod. nav.

50 T. SCOVAZZI, Elementi di diritto internazionale del mare, Milano, Giuffrè, 2002, p. 95.

51 Sono le ipotesi in cui è esercitabile il diritto di visita (art. 110 CNUDM) o il diritto di inseguimento (art. 111 CNUDM). Quest'ultimo si configura come il potere attribuito alle navi da guerra, alle navi in servizio governativo ed agli aeromobili militari, di inseguire una nave straniera quando si hanno fondati sospetti che questa abbia violato leggi o regolamenti nazionali. Per quanto riguarda invece il diritto di visita, si rinviano la definizione e l'analisi al capitolo successivo, v. infra cap. 2.3.

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Capitolo II

Le intercettazioni in mare come misura di

contrasto all'immigrazione irregolare

2.1

Il fenomeno dell'immigrazione via mare

La ricerca del progresso e di condizioni di vita migliori hanno da sempre caratterizzato l'essere umano. La storia dell’umanità è storia di migrazioni sin dalle origini. In particolare, la storia dell’Europa è stata da sempre caratterizzata da imponenti ondate migratorie, fenomeno che perdura ancora oggi in maniera sempre più diffusa. Ogni anno sono migliaia le persone che, a rischio della propria vita, tentano di raggiungere via mare le frontiere meridionali dell'Europa, lasciandosi alle spalle i Paesi di origine, spesso dilaniati da guerre, carestie ed epidemie. Come le cronache riportano pressoché quotidianamente, nel momento in cui seguire le vie legali per entrare in un altro Paese diventa difficile o richiede lunghi tempi di attesa, l’ingresso irregolare spesso è l’unica strada percorribile per tanti che vedono nei Paesi dell’Europa occidentale una meta da raggiungere per fuggire da condizioni di vita insostenibili e costruirsi un futuro.

Il numero delle persone che intraprendono il difficile viaggio per raggiungere le coste europee è in costante aumento. Si tratta di un fenomeno più che attuale, i cui dati sono in continuo aggiornamento. In un rapporto della International Organization for Migration pubblicato agli inizi del giugno 2014 si stima che

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siano più di 50.000 i migranti e richiedenti asilo che sono giunti in Italia dalle coste del nord Africa.1 Si tratta di un dato davvero

rilevante, soprattutto se si tiene in considerazione che nel 2013 il numero totale di persone sbarcate sulle coste italiane e maltesi è stato di 45.000.2 Nonostante il notevole incremento degli sbarchi,

non si tratta tanto di un'emergenza in termini di numeri, quanto piuttosto di un'emergenza umanitaria ed operativa.3

Le problematiche derivanti da una migrazione di massa via mare di simile portata sono molteplici. Prima di tutto vi è il fatto che le persone che si apprestano ad attraversare il Mediterraneo lo fanno per lo più utilizzando imbarcazioni non sicure. Si tratta di vere e proprie “carrette del mare” - nella maggior parte dei casi imbarcazioni senza bandiera - sovraffollate e mal equipaggiate, prive degli standard minimi di sicurezza necessari per la navigazione, a bordo delle quali viene messa in serio pericolo la vita dei passeggeri, persone disperate, che non dispongono di alcun modo più sicuro per raggiungere l'Europa.4 Di fronte ad

esigenze di carattere umanitario riguardanti la salvaguardia della

1 “Migrant Boat Arrivals in Italy Top 50,000: IOM Calls for Action”, pubblicato online il 10 giugno 2014: < http://www.iom.int/cms/en/sites/iom/home/news- and-views/press-briefing-notes/pbn-2014/pbn-listing/migrant-boat-arrivals-in-italy-t.html>.

2 Secondo dati dell'IOM “nel corso del 2013 sono stati quasi 45.000 i migranti

che hanno rischiato la vita nel tentativo di raggiungere le coste italiane e maltesi. Oltre 42.900 sono sbarcati in Italia, 2.800 a Malta. Si tratta del numero più alto di arrivi registrato nei due paesi dal 2008 (ad eccezione dell’anno della crisi libica, il 2011)”, 23 gennaio 2014: <http://www.italy.iom.int/index.php? option=com_content&task=view&id=281&Itemid=46>.

3 Cfr. “Gli arrivi via mare sollevano importanti questioni umanitarie ma è

necessario fornire una informazione corretta”, pubblicato online il 12 giugno

2014 <http://www.italy.iom.int/index.php?

option=com_content&task=view&id=303&Itemid=90>.

4 “The interception and rescue at sea of asylum seekers, refugees and irregular

migrants”, Parliamentary Assembly, Doc. 12628, Report of the Committee on

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vita umana in mare, gli Stati sono obbligati a prestare soccorso e non possono esimersi dall'intervenire con operazioni di recupero e salvataggio.5

La situazione è resa ancor più complessa dal fatto che questi flussi migratori sono di natura mista6 - trattandosi in parte di

persone migranti per motivi economici e sociali, ed in parte di richiedenti asilo - e quindi richiedono risposte di protezione specializzate e su misura, in armonia con lo status delle persone soccorse.

Inoltre occorre tenere presente il fatto che la maggior parte delle persone che attraversano il Mediterraneo lo fa affidandosi a membri di organizzazioni criminali che speculano sulle vite dei migranti, costretti a pagare cifre altissime per un viaggio dall'esito più che incerto, infrangendo nel contempo le normative in materia di immigrazione dei Paesi di destinazione.

Il fenomeno dell’immigrazione irregolare via mare impone dunque la necessità di fornire delle risposte adeguate, in particolar modo, rispetto ad un duplice ordine di esigenze strettamente connesse e che riguardano, da un lato, le misure di contrasto e di controllo che gli Stati adottano per prevenire e

5 v. infra cap. 3.

6 “The term “boat people” has now entered into common parlance and tends to be applied without distinction to migrants, asylum-seekers and refugees alike. Broad and indiscriminate usage of such a generic term is illustrative of an increased blurring of the distinctions which exist between different categories of migrants - those who travel in search of work, better living conditions, educational opportunities and a brighter future, and those who as asylum-seekers and refugees may be pursuing similar goals, but whose initial flight is motivated by a fear of persecution, and who are therefore in need of international protection”, Meeting of State Representatives on Rescue at Sea

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reprimere il traffico di migranti via mare7 e, dall'altro, le misure

relative alla salvaguardia della vita umana in mare e al rispetto dei princìpi umanitari.

Mentre questo ultimo aspetto verrà analizzato nel capitolo seguente, l'attenzione in questa sede è rivolta alle misure utilizzate dagli Stati nell'affrontare il problema dell'immigrazione irregolare.

2.2

Le intercettazioni delle imbarcazioni straniere

Di fronte all'incremento degli arrivi irregolari via mare, gli Stati di destinazione dei flussi migratori hanno risposto adottando politiche restrittive di ingresso nei propri territori. Il potere di controllare gli ingressi rientra infatti tra le prerogative sovrane degli Stati, così come la subordinazione dell'accesso a determinati requisiti, in mancanza dei quali lo stesso può essere legittimamente negato.

Le politiche di chiusura dei confini nazionali, tuttavia, non sono servite a fermare i flussi migratori e dissuadere i potenziali migranti dall'attraversare le frontiere in maniera irregolare. Poiché nella maggioranza dei casi emigrare non rappresenta una scelta, bensì una necessità di sopravvivenza, la difficoltà a superare tramite le vie legali le frontiere di ingresso degli Stati di

7 T. SCOVAZZI, “La lotta all'immigrazione clandestina alla luce del diritto internazionale del mare”, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, IV, 2002, p. 48 ss.; F. CAFFIO, “Immigrazione clandestina via mare: l'esperienza italiana nella vigilanza prevenzione e contrasto”, in supplemento alla Rivista marittima, 2003, p. 7 ss.

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destinazione a causa dell'inasprimento dei controlli, ha contribuito ad alimentare il ricorso a mezzi di immigrazione irregolari per quanti decidano di emigrare senza tuttavia essere in possesso della documentazione necessaria per farlo.8

Le misure di contrasto adottate dagli Stati, al fine di controllare le frontiere nazionali e prevenire l'accesso illegale sul loro territorio, sono condotte in una fase precedente all'arrivo delle persone sul territorio nazionale, presso i porti di Paesi terzi, nelle loro acque territoriali o in quelle internazionali.9 Tali misure

consistono nell'intercettazione delle imbarcazioni ancor prima che queste abbiano fatto ingresso nelle acque territoriali (ovvero nella zona contigua,10 per gli Stati che l'abbiano istituita).11

La protezione dei confini nazionali viene “esternalizzata” e le misure di contrasto ai flussi migratori irregolari vengono adottate al di fuori del territorio nazionale, in una fase precedente all'effettivo arrivo delle persone sul territorio.12

8 G. PALMISANO, “Strumenti internazionali per la lotta al traffico di migranti”, in M. CARTA (a cura di), Immigrazione, frontiere esterne e diritti umani. Profili

internazionalistici, europei ed interni, Roma, Teseo editore, 2009, pp. 97-98.

9 A. BROUWER, J. KUMIN, “Interception and Asylum: When Migration Control and Human Rights Collide”, in Refuge, Vol. 21, No. 4, 2003, p. 11.

10 La zona contigua è definita dall'articolo 33 CNUDM. Si tratta di una fascia marina adiacente al mare territoriale – che può avere un'estensione fino a 12 miglia dalla linea di base - nella quale lo Stato costiero può esercitare, anche sulle navi straniere, diritti di controllo necessari a prevenire o reprimere infrazioni alle sue leggi doganali, fiscali, sanitarie e d'immigrazione. La convenzione di Montego Bay autorizza gli Stati ad istituire una zona contigua sino a 24 miglia marine. La sua istituzione è facoltativa ed a tal fine è necessaria una formale proclamazione dello stato costiero.

11 N. RONZITTI, “Coastal States Jurisdictions over Refugees and Migrants at sea”, in N. ANDO et al. (a cura di), Liber Amicorum Judge Shigeru Oda, The Hague, Kluwer Law International, 2002, p. 1277.

12 Per una maggiore comprensione del termine cfr. J. RIJPMA, M. CREMONA,

The extra-territorialization of EU Migration Policies and the Rule of Law, EUI

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Le intercettazioni così condotte trovano una giustificazione nella necessità di prevenire l'ingresso irregolare di migranti e contrastare la tratta degli esseri umani, nonché nella priorità di garantire la sicurezza nazionale.13 Tuttavia lo strumento delle

intercettazioni, cui fanno seguito i respingimenti in alto mare, divenuto prassi della politica italiana - e più in generale europea - rappresenta di fatto una reazione all’incapacità di far fronte al crescente numero di migranti e richiedenti asilo, e rischia di ledere seriamente tutto il sistema di protezione internazionale dei rifugiati e la tutela dei diritti dell’uomo.

2.2.1 Cosa si intende per intercettazione in mare

Dal momento che il diritto internazionale non fornisce una definizione della nozione di intercettazione (interception), un'interpretazione è stata suggerita nel 2003 dal Comitato Esecutivo dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati:14

“Interception is one of the measures employed by States to: i. prevent embarkation of persons on an international journey; ii. prevent further onward international travel by persons who have commenced their journey; or iii. assert control of vessels where there are reasonable grounds to believe the vessel is

13 Rapporto "Access to protection: a human right” elaborato dal CIR e finanziato dall'European Programme for Integration and Migration, 2013, p. 15.

14 UNHCR Executive Committee, Conclusion on Protection Safeguards In

Interception Measures, No. 97 (LIV) - 2003, disponibile online:

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transporting persons contrary to international or national maritime law; iv. where, in relation to the above, the person or persons do not have the required documentation or valid permission to enter; and that such measures also serve to protect the lives and security of the traveling public as well as persons being smuggled or transported in an irregular manner”.15

La definizione così formulata richiama l'attenzione in modo particolare sull'aspetto negativo della prassi delle intercettazioni, ossia quello legato alla tutela dei confini nazionali.16 In questi

termini l'intercettazione viene concepita esclusivamente come un mezzo di contrasto all'immigrazione irregolare, finalizzato alla protezione del territorio nazionale.

15 “Le pratiche di intercettazione navale per contenere l’immigrazione clandestina

via mare, consistono in misure adottate dagli Stati volte a impedire l’imbarco di persone - sprovviste della documentazione richiesta o valida autorizzazione ad entrare nello Stato - che intendano intraprendere un viaggio internazionale, o impedirne il proseguimento, laddove vi siano fondati motivi di ritenere che le imbarcazioni trasportino persone in violazione della legislazione marittima nazionale e internazionale; e quando tali misure servano anche per proteggere la vita e la sicurezza dei viaggiatori e delle persone vittime di traffico o trasportate in modo irregolare”.

16 E. PAPASTAVRIDIS, “Interception of the Human Beings on the High Seas: A Contemporary Analysis under International Law”, in Syracuse Journal of

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Tuttavia, la giustificazione della pratica delle intercettazioni condotte in mare trova il suo fondamento non soltanto nella necessità di prevenire l'ingresso irregolare di migranti e nella priorità di garantire la sicurezza nazionale, ma anche nella salvaguardia della vita umana in mare. Questo secondo aspetto, positivo, della nozione di intercettazione verrà preso in considerazione nel capitolo successivo.

2.2.2 La giurisdizione degli Stati in mare nell'adozione

delle misure di intercettazione

Il termine “giurisdizione” indica i limiti della competenza giuridica che uno Stato ha per stabilire, applicare e far rispettare le regole di comportamento per le persone.17

La giurisdizione è strettamente collegata al principio di sovranità degli Stati ed alla loro indipendenza. Ciascuno Stato esercita la giurisdizione entro i limiti della propria sovranità e non può invadere la zona di esclusiva giurisdizione degli altri Stati.

Il diritto internazionale distingue tra due tipi di giurisdizione: la prescriptive jurisdiction e la enforcement jurisdiction. Con la prescriptive jurisdiction si riconosce agli Stati il potere legislativo di creare, modificare o abrogare le norme; la enforcement jurisdiction riguarda invece il potere statale di rendere applicabile la legge nei confronti delle persone presenti

17 “Jurisdiction is the term that describes the limits of the legal competence of a

State [..] to make, apply and enforce rules of conduct upon persons” cfr. C.

STAKER, “Jurisdiction”, in M. EVANS (edited by), International Law, Oxford, Oxford University Press, 2014, p. 309.

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nel territorio nazionale. Mentre la prescriptive jurisdiction è illimitata, ovverosia il legislatore ha il potere di legiferare indistintamente su qualsiasi materia o persona, essendo indifferenti la nazionalità o la collocazione fisica della stessa, la enforcement jurisdiction risulta intrinsecamente legata alla sovranità territoriale.18

La questione riguardante la giurisdizione di uno Stato al di fuori dei propri confini nazionali è stata affrontata, per la prima volta, dalla Corte Permanente di Giustizia Internazionale nel 1927, nel cosiddetto caso Lotus.19 La Corte riconoscendo la legittimazione

degli Stati ad esercitare la propria giurisdizione all'interno del territorio nazionale, estese l'utilizzo della enforcement jurisdicton al di fuori dei confini statali. La decisione fu particolarmente innovativa perché in quell'occasione si stabilì che la sovranità statale potesse essere esercitata, in via del tutto eccezionale, al di fuori del territorio nazionale.20 In deroga al

18 “Enforcement jurisdiction is the power of a state to investigate, arrest,

prosecute, punish, or otherwise enforce the law against persons present within its territory or aboard vessels or aircraft bearing its nationality”, J. H.

CURRIE, Public International Law, Toronto, Irwin Law, 2008.

19 S.S. Lotus (France v. Turkey), 1927 P.C.I.J. (ser. A) No. 10 (Sept. 7). Il caso riguarda la collisione tra una nave turca ed una nave francese in acque internazionali, a seguito della quale persero la vita otto turchi. La Turchia iniziò un procedimento contro il cittadino francese che era al comando della nave e la Francia rispose negando la giurisdizione delle autorità turche nel caso di specie. Si fece dunque ricorso alla Corte Permanente di Giustizia Internazionale, alla quale venne chiesto di pronunciarsi in merito all'esistenza nel diritto internazionale di eventuali norme che avessero proibito alla Turchia l'esercizio della giurisdizione per fatti che si fossero verificati al di fuori del proprio territorio. La Corte di pronunciò a favore della Turchia, dal momento che le conseguenze del fatto si erano verificate direttamente a bordo dell'imbarcazione turca.

20 S.S. Lotus “[45] Now the first and foremost restriction imposed by international

law upon a State is that – failing the existence o a permissive rule to the contrary – it may not exercise its power in any form in the territory of another State. In this sense jurisdiction is certainly territorial; it cannot be exercised by a State outside its territory except by virtue of a permissive rule derived from international custom or from a convention. [46] It does not, however, follow that

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carattere prettamente territoriale della enforcement jurisdiction, se ne riconobbe l'esercizio extraterritoriale, subordinatamente all'esistenza di una permissive rule di derivazione consuetudinaria o convenzionale.21

La Convenzione di Montego Bay disciplina il diritto degli Stati di esercitare la propria giurisdizione in mare, ed in particolare ne definisce i limiti geografici di applicazione. Stabilire quando uno Stato abbia giurisdizione è importante al fine di valutare se possa adottare misure coercitive, quali l'intercettazione delle imbarcazioni straniere. L'intercettazione rappresenta difatti una delle modalità con cui uno Stato esercita la propria giurisdizione. Comprende innanzitutto il diritto di fermare ed ispezionare la nave, ed eventualmente, di adottare ulteriori misure, quali il sequestro dell'imbarcazione e l'arresto delle persone a bordo. Si configura quindi come applicazione dell'enforcement jurisdiction, che, in forza di accordi internazionali e regole di diritto consuetudinario, può essere estesa anche al di fuori del territorio nazionale.22 Stabilendo le circostanze in cui uno Stato

può esercitare la propria giurisdizione e definendo i limiti di applicazione extraterritoriale della enforcement jurisdiction, allo stesso tempo si stabilisce la legittimità dell'intercettazione stessa.

international law prohibits a State from exercising jurisdiction in its own territory, in respect of any case which relates to acts which have taken place abroad, and in which it cannot rely on some permissive rule of international law”.

21 I. BROWNLIE, Principles of Public International Law, Oxford, Oxford University Press, 2003, pp. 238-239.

22 “Interdiction concerns the extraterritorial exercise of enforcement jurisdiction,

and in any given case one must first ascertain the permissible extent of that jurisdiction”, D. GUILFOYLE, Shipping Interdictions and the Law of Sea,

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Il diritto riconosciuto agli Stati di esercitare la propria giurisdizione in mare non rappresenta un diritto assoluto, ma è subordinato a condizioni ed in particolare dipende dalla zona marittima in cui si svolge.23 Infatti al di fuori del mare territoriale

(o della zona contigua per gli Stati che l'abbiano istituita) la enforcement jurisdiction si considera applicabile solo se espressamente prevista ed in presenza di appositi accordi internazionali o norme di natura consuetudinaria.

Nel momento in cui gli Stati esercitano la propria giurisdizione nell'intercettazione delle navi straniere, incontrano comunque una serie di limitazioni, in particolar modo connesse al rispetto dei diritti umani e al principio di non-refoulement.24

Non sembra sollevare particolari problematiche giuridiche la possibilità di intercettazione delle imbarcazioni straniere da parte dello Stato costiero all'interno del suo mare territoriale. In forza dell'equiparazione tra acque territoriali e territorio nazionale, non vi sono differenze tra la giurisdizione esercitabile sulla terraferma e sul mare territoriale.25

In linea di principio, qualsiasi imbarcazione gode del diritto di passaggio inoffensivo all'interno delle acque territoriali di un altro Stato.26 Poiché per poter usufruire dei diritti riconosciuti e

garantiti dalle norme di diritto internazionale del mare è necessario al contempo rispettare gli obblighi che vengono

23 M. PALLIS, “Obligations of States towards Asylum Seekers at Sea: Interactions and Conflicts Between Legal Regimes”, in International Journal of Refugee

Law, Vol. 14, No. 2-3, 2002, p. 350.

24 v. infra cap. 3.5.

25 M. PALLIS, op.cit., p. 343.

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imposti, alle imbarcazioni prive di bandiera, non soggette alla giurisdizione di alcuno Stato, è precluso il diritto di passaggio nelle acque territoriali dello Stato costiero. Allo stesso modo, cessa di essere considerato inoffensivo il passaggio delle imbarcazioni impegnate in una delle attività indicate dall'articolo 19 (2) lettera g) della Convenzione.27 In particolare viene

considerato pregiudizievole il passaggio di una nave straniera nel mare territoriale quando la stessa si impegnata in attività concernenti “il carico o lo scarico” di persone, in violazione delle leggi di immigrazione vigenti nello Stato costiero.

27 L'elenco delle ipotesi di cui all'articolo 19 (2) (g) della Convenzione di Montego Bay è da considerarsi esaustivo, pertanto il passaggio di una nave che non sia coinvolta nelle attività elencate è da considerarsi inoffensivo. Cfr. R. CHURCHILL, V. LOWE, The International Law of the Sea, Manchester, Manchester University Press, 1999, p. 85 ss.

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Secondo quanto disposto dall'articolo 27 della Convenzione di Montego Bay, “lo Stato costiero non dovrebbe esercitare la propria giurisdizione penale a bordo di una nave straniera in transito nel mare territoriale, al fine di procedere ad arresti o condurre indagini connesse con reati commessi a bordo durante il passaggio”. Esistono tuttavia una serie di circostanze in cui, in via del tutto eccezionale, è riconosciuto l'utilizzo della giurisdizione penale sull'imbarcazione straniera, ed in particolare quando “le conseguenze del reato si estendono allo Stato costiero” oppure “il reato è di natura tale da disturbare la pace del paese o il buon ordine nel mare territoriale”. Pertanto sembra che sia giustificato l'utilizzo della enforcement jurisdiction a bordo di un imbarcazione dedita al trasporto irregolare di migranti all'interno delle acque territoriali dello Stato costiero.28

Più complessa è la questione riguardante le intercettazioni ad opera dello Stato costiero nella sua zona contigua. La Convenzione di Montego Bay, pur non occupandosi esplicitamente dei problemi connessi all'immigrazione via mare, disciplina questo aspetto limitatamente ai diritti e doveri esercitabili dallo Stato costiero nella zona contigua. Difatti “lo Stato costiero può esercitare il controllo necessario al fine di prevenire” e punire “le violazioni delle proprie leggi e regolamenti […] di immigrazione entro il suo territorio o mare territoriale”.29

28 T. SCOVAZZI, “Human Rights and Immigration at Sea”, in R. RUBIO-MARÍN (edited by), Human Rights and Immigration, Oxford, Oxford University Press, 2014, pp. 214-215.

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L'articolo 33 della Convenzione riconosce esplicitamente la giurisdizione statale nelle successive 12 miglia adiacenti il mare territoriale. Qualora gli Stati abbiano istituito la zona contigua è loro consentito adottare misure volte al contrasto dell'immigrazione irregolare. Nonostante la disposizione convenzionale, tuttavia, manca qualsiasi riferimento alla definizione delle azioni in concreto esercitabili dagli Stati. Una domanda irrisolta, più nello specifico, riguarda la legittimità delle misure consistenti nell'intercettazione delle imbarcazioni dedite al trasporto di migranti in modo irregolare, ai fini della prevenzione o repressione delle violazioni delle leggi in materia di immigrazione.

Per tentare di rispondere, è necessario innanzitutto distinguere tra la diversa tipologia di controlli, di natura preventiva o di carattere repressivo, esercitabili dallo Stato costiero nella zona contigua. Per quanto riguarda i poteri repressivi, non solleva particolari problematiche giuridiche l'intercettazione, tramite l'esercizio del diritto di visita e l'arresto dell'imbarcazione una volta che, in violazione della normativa interna, questa abbia introdotto clandestinamente degli immigrati all'interno del mare territoriale o del territorio dello Stato. Tale ipotesi è inclusa all'interno della lettera dell'articolo 33 della Convenzione. I controlli aventi caratteri repressivo scattano nel momento in cui la violazione è stata commessa e pertanto non mettono in discussione l'esercizio della giurisdizione statale.

Al contrario, risultano controversi i controlli a carattere preventivo esercitabili dallo Stato costiero nella zona contigua. Sebbene l'articolo 33 non si riferisca espressamente all'utilizzo

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delle intercettazioni quale strumento per prevenire la violazione delle leggi dello Stato costiero, neppure stabilisce alcuna preclusione al riguardo.30 Nel silenzio della Convenzione

potrebbero pertanto ritenersi compatibili con le competenze in materia di prevenzione, le operazioni di intercettazione comprendenti anche l'utilizzo di misure coercitive. Una simile interpretazione dell'articolo 33 permetterebbe non solo la repressione delle violazioni compiute all'interno delle acque territoriali, ma consentirebbe anche il perseguimento, con misure coercitive, di atti compiuti nella zona contigua, se idonei e finalizzati a causare ripercussioni all'interno dell'ordinamento giuridico dello Stato costiero.31

Sulla base di una “giurisdizione territoriale oggettiva”,32 nei

limiti posti dal diritto internazionale, ad uno Stato è consentito applicare la propria normativa ad atti aventi inizio fuori dal proprio territorio, ma che si sarebbero perfezionati sul territorio dello Stato in assenza di un intervento da parte di quest'ultimo. Non si tratta dell'unica interpretazione possibile. Difatti secondo altra parte della dottrina i suddetti poteri, in ragione della loro natura preventiva, consentirebbero solamente l'esercizio del diritto di visita a bordo dell'imbarcazione sospetta, ma non l'esercizio dei più incisivi poteri coercitivi, quali il sequestro dell'imbarcazione e l'arresto delle persone che si trovano a

30 “[T]he special jurisdictional rights which a State can exercise in the adjacent

area of the contiguous zone do not clearly include the interception of vessels believed to be carrying asylum seekers”, GOODWIN-GILL, MCADAM, The Refugee in International Law, Oxford, Oxford University Press, 2007, p. 276.

31 D. GUILFOYLE, “Maritime Interdiction of Weapons of Mass Destruction”, in

Journal of Conflict & Security Law , Vol. 12, No. 1, 2007, p. 7.

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bordo.33 Nel momento in cui i controlli vengono effettuati, non è

ancora stata commessa alcuna violazione della normativa nazionale per la quale sono posti a tutela,34 dal momento che la

sola presenza dell'imbarcazione nella zona contigua, cui non consegue l'ingresso nelle acque territoriali, non costituisce di per sé un illecito. La violazione effettiva delle leggi nazionali può avvenire solo successivamente al superamento dei confini -ovverosia oltrepassando limite esterno che delimita le acque territoriali – pertanto l'intercettazione nella zona contigua con finalità preventive deve necessariamente tenere conto del bilanciamento tra l'interesse nazionale ed il pregiudizio per coloro che si trovino a bordo dell'imbarcazione e, soprattutto, del rischio di subire persecuzioni e trattamenti inumani e degradanti, qualora all'operazione di intercettazione facesse seguito il respingimento verso i Paesi di origine.

Se da un lato lo Stato costiero gode della prerogativa sovrana di esercitare i suoi poteri di prevenzione e di repressione delle violazioni della normativa interna in materia di immigrazione nella zona contigua, dall'altro lato, grava sullo Stato l'adempimento degli obblighi internazionali volti alla salvaguardia dei diritti umani, tra cui il diritto di chiedere asilo.35

La decisione dello Stato costiero di adottare o meno misure di intercettazione dovrebbe quindi necessariamente tenere in

33 I. SHEARER, “Problems of Jurisdiction and Law Enforcement against Delinquent Vessels”, in The International and Comparative Law Quarterly, Vol. 35, No. 2, 1986, p. 330.

34 S. TREVISANUT, “Diritto di asilo e contrasto dell'immigrazione irregolare via mare”, in C. FAVILLI (a cura di), Procedure e garanzie del diritto di asilo, Milano, Cedam, 2011, p. 264.

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