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Fonti documentarie e istituzioni culturali nelle città venete dei decenni centrali dell’Ottocento: archivi e biblioteche municipali

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(1)

e fonti documentarie

Archivi e ricerca storica

nell’Ottocento italiano (1840-1880)

a cura di

Andrea Giorgi, Stefano Moscadelli,

Gian Maria Varanini, Stefano Vitali

Firenze University Press

2019

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Presentazione, di Gian Maria Varanini 3 Quadri generali

Strutture statuali e realtà amministrative locali nei decenni centrali

dell’Ottocento, di Francesco Bonini 7

Dall’amministrazione alla storia, e ritorno: la genesi della rete de-gli archivi di Stato italiani fra la Restaurazione e l’Unità, di

Ste-fano Vitali 21

«Leggo sempre volentieri le lettere del vostro bravo corrispondente». Reti di persone e istituzioni nelle corrispondenze di storici ed eru-diti nei decenni centrali dell’Ottocento, di Andrea Giorgi e Stefano

Moscadelli 71

Il viaggio in Italia. Archivi e biblioteche dai resoconti e dalle corri-spondenze dei Monumenta Germaniae Historica (1819-1876), di

Da-niela Rando 167

Il Piemonte e la Liguria

Centro e periferia nella storiografia piemontese di metà Ottocento, di

Gian Paolo Romagnani 205

Dai Regi archivi di Corte all’Archivio di Stato. Strategie archivisti-che e contesto politico-culturale a Torino (1831-1870), di

Leonar-do Mineo 223

Storie cittadine, Deputazione di storia patria e archivi. Qualche

rifles-sione sul Piemonte (1840-1880), di Maria Gattullo 259

La “scoperta” degli Archivi notarili e del Banco di San Giorgio nella

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L’Italia nord-orientale

«Un patrio dovere». Conservazione e pubblicazione delle fonti docu-mentarie medievali a Milano e in Lombardia nell’Ottocento

preu-nitario, di Gianmarco De Angelis 321

«Non vi ha vera storia senza la critica discussione, né discussione cri-tica senza esame delle fonti originali». Gli studi eruditi negli archi-vi milanesi dall’età napoleonica al primo decennio postunitario, di

Marco Lanzini 345

Dalla narrazione storica alle fonti documentarie: Como (1829-1878),

di Elisabetta Canobbio 379

Cremona e il suo Medioevo: Francesco Robolotti, il Repertorio diplo-matico cremonese e le pergamene dell’Archivio segreto, di Valeria

Leoni 401

Un rimpianto lungo cent’anni. Archivi, storia, erudizione

nell’Ottocen-to veneziano, di Francesca Cavazzana Romanelli (†) 417

Fonti documentarie e istituzioni culturali nelle città venete dei decen-ni centrali dell’Ottocento:archivi e biblioteche mudecen-nicipali, di Gian

Maria Varanini 429

Dall’Archivio civico antico al Museo civico di Padova. Andrea Gloria e la tutela dei monumenta per la storia locale, di Nicola Boaretto 473

L’Accademia dei Concordi di Rovigo e l’Archivio del Comune di Adria. Archivi e collezioni fra storie di famiglia e di istituzioni, di

Elisa-betta Traniello 507

Erudizione e storia locale a Feltre nella seconda metà dell’Ottocento:

Antonio Vecellio, di Donatella Bartolini e Ugo Pistoia 529

La conservazione della memoria in Friuli. Da Jacopo Pirona a

Vin-cenzo Joppi (1832-1880), di Gabriella Cruciatti 555

Una città senza archivio: le concentrazioni documentarie nella

Biblio-teca civica di Trento, di Franco Cagol 573

L’Emilia e le regioni pontificie

Da capitale a periferia? Percorsi di integrazione della cultura storica

modenese nel nuovo Stato unitario, di Pierpaolo Bonacini 615

A ognuno il suo: archivi e istituzioni a Modena dopo l’Unità, di Euride

Fregni 649

Il Comune medievale alle origini dell’Archivio di Stato di Bologna.

Mito, fonti, erudizione, di Massimo Giansante 659

Una città “lontana” dalle sue fonti: la Biblioteca pubblica e gli archivi

di Ferrara nell’Ottocento, di Corinna Mezzetti 669

Fra campanile, accademia e biblioteca: le “medievistiche” locali nella

Romagna dell’Ottocento, di Enrico Angiolini 689

Cultura storica e fonti documentarie nelle Marche fra municipalismi e

(4)

Leandro Mazzocchi, Filippo Antonio Gualterio, il giovane Luigi Fumi

e la scoperta del Medioevo a Orvieto, di Lucio Riccetti 721

«Le carte di questo tabulario non presentano quel grande interesse che sarebbe ragionevole il supporre». Mito e anti-mito di Roma nella fondazione dell’Archivio storico capitolino (1870-1914), di

Raf-faele Pittella 779

La Toscana

Alle origini di una medievistica italiana: l’«Archivio della Repubblica fiorentina» nei disegni di Francesco Bonaini, di Francesca Klein 819

Dalle cancellerie alle Società di storia patria: gli archivi comunali

del-la Toscana tra Granducato e Regno d’Italia, di Carlo Vivoli 837

Le capitali del Mezzogiorno

Tra due patrie. Erudizione a Napoli tra i Borbone e l’Unità

(1840-1880), di Antonella Venezia 859

La cultura storica a Palermo prima della Società siciliana di storia patria (1873): luoghi, protagonisti, attività, di Serena Falletta 869 Riflessioni conclusive

In principio fu l’Archivio, di Duccio Balestracci 889

Locale e nazionale nell’Italia del lungo Ottocento: cultura storica, or-ganizzazione delle fonti e assetto amministrativo, di Luigi Blanco 895

Uomini, istituzioni e idee per la sedimentazione della memoria

nell’Ot-tocento. Riflessioni a margine, di Giorgetta Bonfiglio Dosio 903

Dentro e fuori gli archivi. Istituzioni, storie e memorie nell’Italia del

primo Ottocento, di Antonio Chiavistelli 907

Osservazioni conclusive, di Mauro Moretti 925

(5)
(6)

archivi e biblioteche municipali*

di Gian Maria Varanini

Nel corso dell’Ottocento, le biblioteche municipali divengono, nelle città venete, il luogo di conservazione anche della documentazione archivistica pubblica e privata, assumendo in tal modo un forte ruolo identitario, condiviso dai ceti dirigenti. Ciò accade sin dalla prima metà dell’Ottocento, e prosegue senza sostanziale soluzione di continuità dopo l’annessione del Vene-to all’Italia nel 1866, grazie anche all’apporVene-to degli archivisti veneziani dell’Archivio dei Frari. L’attenzione è posta soprattutto su istituzioni e protagonisti delle città di Verona e Vicenza, con cenni anche su Treviso, Bassano e Padova. È sottolineato in particolare il ruolo del clero liberale e dell’aristocrazia, con una crescente incidenza di archivisti e bibliotecari di estrazione borghe-se, laureati all’Università di Padova, verso la fine dell’Ottocento.

During the nineteenth century the municipal libraries of the cities of the Veneto became also repositories for public and private archival documents, thus playing a leading role in defining an identity, which was shared by the governing elite. This occurred as early as the first half of the nineteenth century, and continued uninterruptedly after the annexation of Veneto to Italy in 1866, also thanks to the work of the Venetian archivists of the Archivio dei Frari. The paper addresses especially the institutions and the main actors in Verona and Vicenza, with a few con-siderations on Treviso, Bassano and Padua. The author underscores the role of the liberal clergy and the aristocracy, and the increase in archivists and librarians (who had received their degree from the University of Padua) coming from the bourgeoisie, towards the end of the nineteenth century.

XIX secolo; Verona; Vicenza; Biblioteca Comunale; archivi comunali; fonti documentarie. 19th Century; Verona; Vicenza; Municipal Library; Municipal Archives; Documentary Sources.

* Una ricerca come questa deve inevitabilmente molto – oltre che al magistero della compianta, cara amica Francesca Cavazzana Romanelli – all’aiuto di bibliotecari, archivisti, amici delle diverse città venete: Marco Girardi (Biblioteca civica, Verona), Mattea Gazzola (Biblioteca civica Bertoliana, Vicenza), Mariella Magliani (Biblioteca comunale, Padova), Giovanni Pellizzari, Do-nato Gallo, Eurigio Tonetti. Un particolare ringraziamento va inoltre a Carla Pinzauti, della Bi-blioteca Nazionale Centrale di Firenze, grazie alla quale ho potuto consultare le carte Foucard, ivi depositate e non ancora inventariate. Sono state utilizzate le seguenti abbreviazioni: ASVr = Archivio di Stato di Verona; BCBVi = Biblioteca civica Bertoliana di Vicenza; BCVr = Biblioteca civica di Verona; BNCF = Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.

(7)

1. Premessa. Tra Jacopo Chiodo (1820-1830 circa) e Bartolomeo Cecchetti

(1876-1882 circa)

La storia archivistica della regione veneta è segnata, nel corso dell’Ot-tocento, da due falliti progetti, miranti entrambi alla creazione di una rete organica di archivi pubblici, uno in ciascuna delle città capoluogo1: falliti, ma

evidentemente frutto dei loro tempi e buon punto d’osservazione delle tenden-ze in atto. Ambedue i progetti ebbero origine da inchieste sullo stato della do-cumentazione delle città dell’entroterra veneziano, svolte da grandi archivisti in servizio presso le istituzioni di conservazione documentaria della Domi-nante, l’Archivio dei Frari: Jacopo Chiodo negli anni Venti, a partire dal 1820-1822 e sino al 1828, e Bartolomeo Cecchetti2 a cavallo degli anni Ottanta, nel

quadro dei lavori preparatori alla sua celebre opera Statistica degli archivii

della Regione Veneta, uscito nel 1880-18813. I due progetti nacquero dunque a

valle dei due principali momenti di accentramento statalistico che segnarono l’Ottocento veneto: il momento napoleonico e il momento post-unitario. Ma ambedue abortirono precocemente.

Profondamente convinto e compartecipe della funzione identitaria svol-ta dall’archivio dei Frari, luogo sacro della venezianità, unico appiglio delle passate glorie, Jacopo Chiodo – direttore dell’Archivio generale di Venezia, ove aveva organizzato fra 1815 e 1822 la razionale distribuzione dell’ingente materiale prodotto dagli organi di governo della Repubblica di san Marco4

aveva in un primo momento pensato a proporre una mega-concentrazione documentaria nella città lagunare, ma si era poi orientato verso una rigorosa omogeneità organizzativa degli archivi delle otto province del Veneto asbur-gico. Le indagini svolte (spesso, controvoglia) dalle Delegazioni provinciali avevano permesso di accertare l’esistenza di

un ammasso di moltissimi archivi e documenti, taluni di significante importanza e preziosità (…) sparsi in varie località, per la maggior parte confusi e disordinati, ed esistenti presso Delegazioni, Congregazioni municipali, Deputazioni comunali, Com-missariati distrettuali, Ispettorati demaniali, Preture, Tribunali giudiciarii, Camere notarili, notai ed eziandio alcuni presso private famiglie e persone.

In ogni capoluogo di provincia avrebbe dovuto essere istituito un «archi-vio governativo» o «centrale», collegato a mo’ di filiale con l’istituzione vene-ziana e organizzato al proprio interno in modo coerente a quanto era stato

1 Si veda, per ambedue i momenti, la suggestiva ricostruzione proposta da Cavazzana

Romanel-li, Per la storia degli archivi trevigiani.

2 Sul quale si veda in generale Preto, Cecchetti Bartolomeo, e Carbone, Bartolomeo Cecchetti. 3 Sul quale si veda (in generale, e non soltanto per la tematica evocata nel titolo) Cavazzana

Romanelli, «Questo affetto al passato…», pp. 217 sgg.

4 Ammirata anche da Francesco Bonaini in un suo noto sopralluogo, svolto nel 1838: si veda

Cavazzana Romanelli, Dalle «venete leggi» ai «sacri archivi», p. 183 («l’ordine mirabile del meraviglioso Archivio generale del Governo veneto»). Il saggio risale al 2004. Si veda anche Cavazzana Romanelli, «Quasi in lucido specchio», p. 12 (è la breve premessa al volume).

(8)

fatto ai Frari. Per certi versi, il piano predisposto dal Chiodo avrebbe creato a posteriori quell’unità amministrativa tra la Dominante e le città soggette, che l’inguaribile municipalismo veneziano per 400 anni aveva inibito. Chiodo non mancò di fornire indicazioni non solo teoriche, ma anche pratico-organizzati-ve; ma nel 1832 un rescritto dell’imperatore sospese «ogni avanzamento delle pratiche attinenti l’istituzione degli Archivi generali nei capoluoghi delle Pro-vince venete».

Cinquant’anni più tardi, un progetto per creare archivi pubblici in tutte le province venete riemerse, nel periodo post-unitario, quando fu evidente una tensione positiva e una volontà concorde di armonizzare memoria storica locale e memoria storica nazionale. Nella prima metà degli anni Settanta la commissione Cibrario ragionò sul tema degli istituti pubblici di conservazio-ne e conservazio-nel 1874-1875 l’assetto degli Archivi di Stato, nonché quello delle dieci soprintendenze archivistiche in quel momento, fu definito. Lo schema opera-tivo seguito da Cecchetti – dal 1876 succeduto al Toderini come soprintenden-te agli archivi veneti oltre che direttore dell’Archivio generale dei Frari – fu identico a quello del suo predecessore di mezzo secolo avanti: un’indagine molto puntuale sullo stato della documentazione nelle singole città, condot-ta quescondot-ta volcondot-ta anche attraverso le prefetture, la redazione di una scondot-tatistica ben organizzata e un lavoro “politico” per ottenere – sul territorio – risultati concreti, anche nella direzione dell’istituzione di archivi cittadini, obiettivo al quale egli ripetutamente fa riferimento, negli scritti di quegli anni, e che cre-de realizzabile. Cecchetti sollecitò in effetti la collaborazione, in tutti i centri urbani, delle figure più autorevoli sul piano della ricerca storica e provviste di maggiore sensibilità archivistica. Ci pensava fattivamente già nel 1876, e già da allora aveva preso contatto con le Prefetture, come risulta dalla sua corri-spondenza con il giovane Carlo Cipolla:

Siamo in corrispondenza colla Prefettura di Verona per una opinione generale sulla instituzione dell’Arch. di Stato. Ebbi riscontri quanto desideravo favorevoli da Bellu-no, Rovigo, Treviso, Udine, Vicenza; attendo da Padova, e spero da Verona perché io credo che si debba finire con l’andare pienamente d’accordo5.

Anche negli anni successivi Cecchetti lavorò in questa direzione; a Bel-luno per esempio nel 1879 il consenso di principio alla costituzione di un ar-chivio locale fu ribadito grazie alla mediazione del prof. Francesco Pellegrini, direttore del Museo civico; vi furono l’avallo della municipalità, la ricerca di edifici acconci e qualche altro passo preliminare6. La costante apertura e il

co-stante respiro regionale delle iniziative dell’archivista veneziano è dimostrato anche da altre sue iniziative, come la realizzazione del Museo paleografico della regione veneta7.

5 BCVr, Carteggio Cipolla, b. 1114, fasc. Cecchetti Bartolomeo, lettera n. 4, 28 ottobre 1876. 6 Si veda qui oltre, nota 134 e testo corrispondente.

7 Museo paleografico della regione veneta; l’opuscolo è firmato «Il direttore». Si fa riferimento

(9)

del-Ma nonostante i suoi sforzi la regione restò in ogni caso un costrutto te-orico ed astratto; dopo l’ottimismo di un momento l’occasione per la creazio-ne di un sistema coerente di archivi “governativi” in ogni capoluogo – così come prospettato da Jacopo Chiodo e da lui riproposto in termini aggiornati ai tempi – fallì definitivamente, per giungere a realizzazione solo nei decenni centrali del Novecento, con l’istituzione degli Archivi di Stato in ciascuna pro-vincia e della sezione di Archivio a Bassano del Grappa.

Orbene, se l’esito fu parimenti negativo, la situazione che emerge dal con-fronto tra i risultati delle due inchieste è a distanza di cinquant’anni molto diversa. Quanto meno nelle quattro maggiori città (Padova, Verona, Vicenza, Treviso), ma anche a Belluno, si erano fatti importanti passi avanti dal punto di vista della conoscenza del patrimonio documentario, della consapevolezza archivistica, delle concrete operazioni di concentrazione e di inventariazio-ne, che erano via via emerse come tema e problema specifico, dotato di una sua propria fisionomia, nell’ambito di un movimento culturale più ampio e complesso: mano a mano che si definiva lo statuto scientifico della disciplina storica e il suo rapporto con le fonti documentarie.

In ossequio all’obiettivo generale di questo convegno, lo scopo di questo saggio è quello di presentare in modo comparato – solo nel caso di Verona sul-la base di ricerche originali; e in modo deliberatamente sintetico per quanto riguarda Padova, rinviando per questa città alle indagini di Nicola Boaretto, in questi Atti – le informazioni riguardo al rapporto che nell’arco di tempo individuato si venne articolando, nelle cinque città menzionate, fra élites cit-tadine, istituzioni culturali e attenzione alla documentazione d’archivio (sen-za che vi sia nessun particolare privilegio o riferimento specifico alle fonti medievali). Nei vari contesti, il culto delle memorie civiche e il senso di iden-tità municipale – ovunque interpretati e fatti propri da esponenti del clero e dell’aristocrazia – si annodarono attorno ai musei e alle biblioteche civiche e/o agli “antichi archivi”, con ricadute diverse e diversi gradi di consapevolez-za, e secondo una diversa tempistica.

Prevalsero comunque sia prima che dopo l’unità, le dinamiche locali, e ogni città fece a suo modo, per quanto l’influenza della “dottrina archivisti-ca” irraggiata da Venezia e dalla grande esperienza dei Frari sia stata – an-che nei decenni centrali dell’Ottocento – tutt’altro an-che trascurabile, almeno in alcune città.

le scritture usate in ciascuna regione» d’Italia a cura delle dieci sovrintendenze, così da arrivare in qualche anno a una «raccolta di documenti della “Scrittura in Italia nel medio evo”», p. 11); e si ringraziano i referenti locali che si erano prestati a collaborare con Cecchetti (Gloria a Padova, Cipolla a Verona [sui quali si veda qui oltre, rispettivamente testo corrispondente a note 59 sgg. e 115 sgg.] e «il Municipio di Vicenza», p. 12, nota 1). I documenti destinati al Museo paleografico erano stati trascritti da Riccardo Predelli, che in occasione dell’inaugurazione lesse un discorso

Sulla storia della scrittura (Venezia 1881); si veda anche la documentazione fotografica all’url

(10)

2. Musei civici, biblioteche e identità cittadina nell’età della restaurazione Così come è accaduto in molte regioni italiane, una riflessione storica mol-to attenta e salutarmente pluridisciplinare ha rinnovamol-to profondamente, negli ultimi decenni, i punti di vista sullo spirito pubblico delle città venete nei de-cenni della restaurazione. Rinacque vigorosamente, infatti, un patriottismo municipale che trova in termini immediati un riscontro nella trasformazio-ne, o nella fondazione ex novo, di importanti istituzioni culturali cittadine. Gli estremi cronologici sono il 1825 (Padova) e il 1855 (Vicenza): entro questi limiti si collocano i primi segnali della nascita dei musei anche a Verona e Bassano (che spicca tra i centri minori, sui quali non mi soffermerò in questa sede8). A Belluno (ove il Museo è fondato nel 1872) e Treviso (1879-1882)

l’isti-tuzione civica nasce invece nel periodo post-unitario9.

I musei costituiti nelle città venete entro gli anni Cinquanta dell’Ottocen-to non hanno moldell’Ottocen-to a che fare col centralismo statalista asburgico. Dal gover-no austriaco,

la tutela del patrimonio artistico viene sostanzialmente demandata alle autorità mu-nicipali, che pur nelle grandi difficoltà economiche troveranno in questa azione uno dei campi in cui esercitare i larghi margini di autonomia che vengono loro lasciati e in cui estrinsecare i sentimenti di strenuo municipalismo, di autocoscienza civile e di identità culturale che contraddistinguono la Terraferma veneta.

Già sul limitare dell’età veneziana (a Bergamo nel 1796) e nel primo de-cennio del secolo successivo (a Verona) erano nate in alcune città pinacoteche

8 Per Bassano si vedano, in breve, la scheda di M[arini], Bassano del Grappa; Il Museo civico di

Bassano del Grappa; ma si veda ora, in Storia di Bassano del Grappa, 3, i tre distinti contributi

di Ericani, Il Museo, Del Sal, La Biblioteca, Grandesso, Archivio. Per qualche cenno ulteriore si veda infine, in questo volume, il saggio di Nicola Boaretto. Le vicende delle istituzioni culturali (museali, bibliotecarie, archivistiche) dei centri minori o “quasi città” tanto ben rappresentate nel Veneto centro-orientale costituirebbero in effetti un campo di approfondimento autonomo e significativo. Non di rado tali istituzioni nascono nella seconda metà dell’Ottocento, sostenute oltre che dal clero colto dalla borghesia agraria locale che aveva avvicendato la grande proprietà patrizia veneziana, come «gabinetti di lettura» (così a Este, 1847 e sgg., e a Monselice, 1858) o come musei archeologici (come a Oderzo, 1880, o ad Adria, non prima del 1904 ma sulla base delle antiche collezioni della famiglia Bocchi). Le informazioni sul patrimonio documentario sono spesso non distinguibili e subalterne rispetto al materiale archeologico e/o pittorico/pla-stico (come ad Asolo, ove un primo nucleo del Museo nasce nel 1880); ma talvolta le fonti scritte godono di attenzione “mirata” già nell’Ottocento. Valga l’esempio di Este, ove L. Benvenuti e G. Pietrogrande pubblicarono nel 1880 un Catalogo dell’Archivio della Magnifica comunità di Este (che Cecchetti riprodusse nel vol. III della sua Statistica degli archivii, a p. 23 sgg.), e in parti-colare di Conegliano Veneto (Archivio vecchio comunale di Conegliano), ove opera ancora una volta un ecclesiastico, a illustrare un patrimonio documentario antico di notevole consistenza e qualità. Peculiare è poi il caso di Rovigo ove è «una struttura accademica di antica origine», cioè l’Accademia dei Concordi, «a mediare il passaggio dal privato al pubblico» già nella prima metà del secolo; rinvio, in proposito, al contributo di Elisabetta Traniello edito nel presente volume.

9 Marini, La formazione dei musei, pp. 300 e 301, anche per la citazione che segue; in generale

sul periodo si veda Il Veneto austriaco 1814-1866. Più di recente per il caso specifico di Verona si veda Marini, Identità e destino.

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a uso delle accademie, dunque con funzione didattica10. Ma come gli storici

della museografia veneta hanno da tempo acclarato11, fu in particolare nei

de-cenni successivi che prese corpo una maggiore articolazione delle istituzioni museali, sì da coinvolgere presto, mentre le pinacoteche si consolidavano con importanti lasciti di famiglie patrizie o borghesi, anche il materiale bibliogra-fico (non ancora quello documentario)12. Mantenendo in comune con le

an-tiche quadrerie napoleoniche l’ormai irreversibile connotazione pubblica dei beni, le nuove istituzioni culturali non si imperniarono dunque più in modo esclusivo sulle collezioni pittoriche o plastiche, ma si orientarono a costituire un sistema complesso di quelli che oggi definiremmo “beni culturali”. Ne fu-rono parte integrante, accanto ai dipinti e alle sculture, collezioni librarie di varia origine, reperti archeologici e collezioni naturalistiche; tutte componenti che interagiscono nel fornire un deposito, un caveau, una cassetta di sicurez-za della storia e dell’immagine della città13. A Bassano, ad esempio, nacque

nel 1840 una istituzione formalmente definita «Museo-Archivio-Biblioteca», consapevolmente polimorfa, che ancor oggi mantiene questa “ragione sociale” e questo nome14. Anche a Verona si coltivò un progetto “interdisciplinare”: il

conte Antonio Pompei nel 1836 progettava di collocare nel palazzo della Gran Guardia Nuova la pinacoteca, l’accademia di pittura, quella di agricoltura e il gabinetto letterario, mentre viceversa vennero collocati presso la Biblioteca civica a S. Sebastiano (istituita nel 1792 ma attiva dal 1802) marmi, medaglie e altri oggetti d’arte15. A Padova, nel 1825 l’imperatore conferì la «dignità di

Museo» alla raccolta epigrafica messa insieme dall’abate Giuseppe Furlanetto nel palazzo della Ragione; successive donazioni di privati e acquisizioni (anche di documentazione archivistica) fecero sì che già agli inizi della lunghissima (dal 1845 agli inizi del Novecento) militanza e poi direzione di Andrea Gloria

l’Istituto nascesse come Museo-Archivio-Biblioteca, in una connotazione di totale de-positario delle memorie storiche della città, che è scomparsa nel 1948 con il passaggio dell’Archivio alle competenze dello Stato16.

10 Marini, La formazione dei musei, p. 300, anche per la citazione precedente. È un accostamento

già significativo perché enuncia il significato pedagogico ed educativo della raccolta delle memorie artistiche cittadine.

11 Ibidem.

12 Basti qui rinviare per Verona alle donazioni dei conti Pompei e dei borghesi Bernasconi e

Monga; per Vicenza, alle collezioni artistiche Porto-Godi, da Velo, Arnaldi-Tornieri (tutti varia-mente nobili) e sul piano bibliografico al marchese Ludovico Gonzati; per Padova, alla biblioteca Polcastro e più tardi alla quadreria Emo-Capodilista. Ometto per brevità i rinvii bibliografici; sull’importanza giuocata dalle reti di relazioni aristocratiche nel favorire, nella seconda metà dell’Ottocento, la confluenza degli archivi familiari nei depositi civici, si veda qui oltre, par. 3.6.

13 Marini, La formazione dei musei, p. 302. 14 Si veda sopra, nota 8.

15 M[arini], Verona, Musei civici. Nel 1821 la Biblioteca comunale (fondata nel 1792 ma

con-cretamente operante solo dal 1802) ebbe in lascito da Silvio F. Fontana gran copia di reperti archeologici («resti di colonne, di cornici, di busti») provenienti dagli scavi del Teatro romano, alle pendici del colle di S. Pietro; si veda Cavattoni, Storia della Biblioteca comunale di Verona, p. 9 e Biadego, Storia della Biblioteca comunale di Verona, pp. 123-128.

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Un’altra caratteristica significativa, che si manterrà nel tempo e che è figlia delle scelte di questi anni, è la natura pedagogica di queste istituzio-ni. A Vicenza, espresse questi sentimenti nel 1855 l’abate Antonio Magrini, quando – a conclusione di un iter piuttosto lungo; l’acquisizione di palazzo Chiericati, il restauro del quale aveva curato lui stesso, risaliva al 1838 – si inaugurò il Museo civico alla presenza dell’imperatore Francesco Giuseppe. Nella prolusione celebrativa stesa dall’ecclesiastico vicentino, l’emulazione “campanilistica” è un dato scontato: «porgiamo alla nostra Patria», patria che è ovviamente la città, «di che alzare finalmente più sicura la fronte in faccia alle italiche città consorelle»; le è possibile ora esibire il suo «pubblico san-tuario delle produzioni dell’ingegno degli uomini», «indizio ed il fregio d’un popolo colto e civile». Altrettanto prevedibili sono la logica patrimoniale e “inventariale” alla quale il Magrini si ispira, nonché l’eterogeneità del patri-monio conservato17. Ma le “proprietà” del Comune racchiuse nell’istituzione

museale sono rese vive oltre che dall’apprezzamento per il bello, anche da una spiccata sensibilità sociale ed educativa. Negli auspici di Magrini, il Museo vicentino è infatti destinato a diventare anche – in grazia delle collezioni di carattere scientifico e tecnico – «scuola e motore della cittadina e provinciale industria», perché «non abbiasi da noi a rimaner nella coda del secolo, che si slancia innanzi veemente sul cammin del progresso»18. Anche altrove del

re-sto – per esempio a Treviso – il Museo civico ospitò le scuole d’arte applicata19.

Insieme con il patriziato cittadino, tra i protagonisti di questo movimen-to mantennero a lungo un ruolo significativo (ad eccezione di Padova, con re-sponsabilità di direzione) nella maggior parte delle citta venete gli esponenti del clero liberale, almeno dagli anni ’40 e ’50 (e senza che il 1866 costituisca uno spartiacque). Essi operarono soprattutto nelle biblioteche, in dipendenza della solida formazione letterario-umanistica che li caratterizzava, ma il loro interesse per i “beni culturali” fu sempre a tutto campo. Alcune figure di verti-ce, protagoniste nella propria città così come nelle relazioni intercittadine, sono conosciute, come il conte Giambattista Carlo Giuliari (1810-1892) bibliotecario della Capitolare di Verona ma pars magna anche nelle istituzioni culturali

ci-costituita dal Museo Bottacin (1865), si veda S[accocci], Padova, Museo Bottacin.

17 Discorso dell’abate Antonio Magrini, pp. 7-34, già citato in Varanini, Tradizione municipale

e metodo storico, pp. 14-15. Magrini esprime il proprio compiacimento perché, dopo 17 anni

dall’acquisto a fini museali dell’immobile, finalmente «tutte le proprietà del Comune di scienze ed arti» vi furono collocate, si trattasse di minerali o di erbari, di epigrafi romane o di dipinti, di esemplari in cera delle frutta prodotte nel territorio o di crostacei, distribuiti nelle varie sale.

18 Ibidem.

19 Questa dell’avviamento al lavoro incardinata attorno al Museo civico è una preoccupazione

ricorrente anche negli scritti programmatici del bibliotecario trevigiano Luigi Bailo, quando fondò trent’anni più tardi il Museo trevigiano con un’attitudine ancora più esplicita, peraltro, alla indiscriminata conservazione: «noi dobbiamo conservare, non distruggere, né in documen-ti né in monumendocumen-ti (…) ciò che si conserva può sempre essere udocumen-tile a qualche cosa, ciò che si perde è perduto per sempre». Su Bailo e su molti aspetti della sua attività si veda ora «Per solo

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vili20. Di non minore rilievo, nell’insieme, è il gruppo dei vicentini, con Ignazio

Savi (1765-1857) bibliotecario della Biblioteca civica Bertoliana, il suo vice An-tonio Magrini (1805-1872) il successore (dal 1857 al 1877) Andrea Capparoz-zo (1816-1884) a Vicenza21; e anche a Padova, ove a partire dal 1845 (quando

prese servizio come «cancellista») il governo del Museo civico e la cura della Biblioteca fu esemplarmente egemonizzata da Andrea Gloria, ebbe in prece-denza un ruolo l’abate Giustiniano Marchetti, suo predecessore nei compiti di «custodia e riordinamento» dell’archivio22. Questa tradizione non era destinata

a spegnersi, perché nella generazione appena successiva ebbero il ruolo di Deus

ex machina rispetto a biblioteca, museo e archivio della loro città Francesco

Pellegrini a Belluno (1826-1903)23, Luigi Bailo a Treviso (1835-1932)24 e Antonio

Vecellio a Feltre (1837-1912)25. In tutti i casi, si tratta di ecclesiastici

volontero-samente aperti alle sollecitazioni metodologiche e al rinnovamento storiografi-co, ma soprattutto sempre profondamente inseriti nella vita culturale e sociale della città, sensibilissimi ai valori civici e quando sarà il momento entusiasti dell’inserimento della “piccola patria” nella nazione. Tutti, con varie sfumature, sono dunque cattolici liberali, antitemporalisti e poi conciliatoristi, in qualche caso (Giuliari26, Pellegrini) sospesi a divinis per ragioni di patriottismo (o

per-lomeno in conflitto col proprio vescovo intransigente), autori di composizioni poetiche celebrative del 20 settembre27, e di tendenza rosminiana e non tomista

in filosofia; in più casi cavalieri della corona d’Italia28.

20 Il canonico veronese conte G.B. Carlo Giuliari (1810-1892); Marchi, «La Capitolare

Biblio-teca di Verona».

21 Su costoro si veda qui oltre, testo corrispondente a note 37 sgg., 41 sgg. 22 Un cenno in B[anzato], Padova, Musei civici, p. 314.

23 Francesco Pellegrini storico; Varanini, Pellegrini (de Pellegrini) Francesco, con bibliografia

ulteriore.

24 «Per solo amore della mia città».

25 Sulla figura di Antonio Vecellio si vedano la biografia di Fratini, Don Antonio Vecellio;

Bia-suz, Antonio Vecellio; Conte, Perale, Mons. Antonio Vecellio; Dal Molin, Vecellio Antonio. Noti-zie sull’origine della «Biblioteca storica», ovvero del fondo antico della attuale Biblioteca civica di Feltre, nato dalla collaborazione tra il Vecellio e una esponente della nobiltà feltrina, Anto-nietta Guarnieri Dal Covolo, nella scheda introduttiva «Biblioteca civica-Feltre, Fondi mano-scritti», in http://www.nuovabibliotecamanoscritta.it/BCFBl.html.

26 Per qualificare le sue posizioni, basterà ricordare i suoi “arresti domiciliari” (per un mese, in

Se-minario) nel 1848 (ASVr, Dalla Torre-Giuliari-Torri, b. 6 [numerazione provvisoria], fasc. Noterelle; si tratta di appunti autobiografici stesi forse attorno al 1870), oppure la sua lettera del 28 febbraio 1867 a Garibaldi del quale si professa «devotissimo servitore ed ammiratore» (ASVr, Dalla

Tor-re-Giuliari-Torri, b. 8 [numerazione provvisoria], Epistolario [indice delle lettere inviate, alla data]).

27 [Zanandrea], Scheda biografica di Luigi Bailo.

28 Il forte significato di queste personalità sta anche nella capacità di fare in senso lato scuola.

Non sono figure isolate, e il magistero indiretto di un Bailo, che pure fu piuttosto limitato nella produzione scientifica e insegnò sempre al Liceo classico di Stato, si proietta sul seminario tre-vigiano ove – per tacere di altri solidi ecclesiastici eruditi come Angelo Marchesan e più tardi Giuseppe Liberali – studia ai primissimi del Novecento Pio Paschini. Per quanto riguarda Ve-rona, a Cavattoni e Zenti, bibliotecari della Comunale, si fa ampio riferimento in un paragrafo successivo (testo corrispondente alle note 73 e 42 rispettivamente); e anche qui la tradizione non si spegne immediatamente: si possono menzionare nella generazione successiva Antonio Spagnolo, Giuseppe Crosatti, per qualche anno docente alla Gregoriana ove fu appunto prede-cessore di Paschini, Giuseppe Turrini.

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Un almeno parziale cambio della guardia tra gli esponenti del clero e del patriziato o della nobiltà cittadina e i professori, gli archivisti, i bibliotecari di estrazione borghese si ebbe nell’ultimo quarto dell’Ottocento (non prima), anche se il ruolo di ascensore sociale degli studi universitari a Padova – ove il magistero di Giuseppe De Leva e di Andrea Gloria, ma anche dei docenti della facoltà giuridica, giocò un ruolo importante –, si fa già percepibile tra gli anni Sessanta e Settanta quando si laureano in lettere o in giurisprudenza il sacer-dote trevigiano Luigi Bailo e il suo concittadino Gerolamo Biscaro, il veronese Giuseppe Biadego, il già citato vicentino Fedele Lampertico, per tacere del sa-cerdote bergamasco Angelo Mazzi e di moltissimi altri: tutti protagonisti, nel-le rispettive città, della storia delnel-le istituzioni bibliotecarie ed archivistiche29.

3. Biblioteche e archivi comunali nelle città venete prima e dopo l’annessione

al Regno d’Italia

Le vicende più propriamente archivistiche delle città venete non posso-no dunque essere esaminate a prescindere dal quadro d’insieme costituito dal cultural heritage del quale il patrimonio documentario entra a far parte. Dopo l’unificazione nazionale, in particolare, si attiveranno quelle dinamiche di “complementarità conflittuale”30 fra centro e periferia, delle quali anche i

progetti archivistici “nazionali” degli anni Settanta e Ottanta (che Cecchet-ti, come si è visto, impersona) sono manifestazione: sottolineare la propria identità, e inserirsi nella comunità nazionale in formazione, sono due facce della stessa medaglia. Ma la prima spinta propulsiva alla costituzione e alla concreta risistemazione degli archivi proviene già negli anni Cinquanta dalle sollecitazioni locali, e dal coinvolgimento attivo delle élites provinciali, varia-mente influenzate da un fitto dialogo e dalla circolazione di esperienze. 3.1 Il ruolo di Cesare Foucard: competenze archivistiche veneziane, fonti

veronesi e vicentine

Va subito ricordato, al riguardo, il ruolo rilevante giocato a Venezia, a Verona e a Vicenza da un giovane archivista veneziano, Cesare Foucard31. 29 Ho segnalato più volte la necessità di tener conto di queste scansioni generazionali tra gli

storici veneti formatisi nella facoltà umanistica di Padova nella seconda metà dell’Ottocento: si veda ad esempio Varanini, Augusto Serena, in particolare pp. 29-36 («La formazione universi-taria padovana e il metodo storico»).

30 In questa prospettiva si veda l’importante ricerca di Troilo, La patria e la memoria, pur

se attenta soprattutto al patrimonio artistico e architettonico (e basata su ricerche analitiche concernenti l’Italia centrale); e la non meno significativa indagine di Porciani, La festa della

Nazione. Un quadro sintetico sul lungo periodo è offerto anche da Moretti, Porciani, Italy.

31 Su questa importante figura si veda Alla memoria di Cesare Foucard nel primo anniversario

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Appena trentenne (era nato nel 1825) fu il primo docente di paleografia della Scuola d’archivio istituita ai Frari nel 1854 (a imitazione di quella dell’Ar-chivio di Milano, ove essa esisteva dal 1842) e avviata concretamente l’anno successivo, in coincidenza con l’apertura al pubblico della sala di studio, che portò alle prime esplorazioni degli studiosi lombardi (Cantù) e francesi (Baschet). Foucard resse l’incarico sino al primo semestre dell’anno 1859-1860, e fu poi avvicendato (sino al 1876) da Bartolomeo Cecchetti32. In quei

cinque anni, Foucard svolse un’intensa attività di editore, con particolare e rivelatrice attenzione alla documentazione conservata negli archivi dei cen-tri minori della Terraferma o concernente tali cencen-tri33. Fu anche in contatto

col Cicogna col quale pubblicò un importante lavoro34 e che anzi coinvolse

nell’attività didattica della Scuola di paleografia35; diede inoltre un supporto

erudito importante a Pietro Estense Selvatico col quale pubblicò nel 1859 i

Monumenti artistici e storici delle Provincie Venete, descritti dalla com-missione istituita da S.A.I.R. Ferdinando Massimiliano, governatore ge-nerale36. Ecco una prova della strettissima e concreta collaborazione tra chi

maneggia i documenti scritti e chi è versato nel restauro e negli studi stori-co-architettonici: tanto più simbolicamente importante, questo volume, in quanto gli edifici studiati non sono ubicati soltanto in Venezia (S. Marco, la

una menzione di Tommaseo, che scrivendo a Pacifico Valussi lo ricorda come collaboratore della «Fratellanza de’ popoli» nel 1849 (Rinaldin, «Il giornale che s’intitola da una parola d’affetto», p. 403 e nota 18). Ho potuto rapidamente consultare il suo importante archivio personale, con-servato alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ove fu depositato sin dal 1893

(Manoscrit-ti da inventariare, 142); darò via via cenno, nelle pagine seguen(Manoscrit-ti, di alcune no(Manoscrit-tizie e documen(Manoscrit-ti

che ne ho tratto. Se ne veda comunque una descrizione sommaria in http://siusa.archivi.be-niculturali.it/cgi-bin/pagina.pl?TipoPag=comparc&Chiave=327426&RicProgetto=personalita; un cenno anche in Guida agli Archivi delle personalità della cultura, p. 267.

32 Si veda al riguardo la documentazione conservata nell’archivio di Cesare Foucard: BNCF,

Manoscritti da ordinare, 142, b. 2 [numerazione provvisoria], II (fasc. «Copie di 6 documenti

relativi all’apertura della Scuola di paleografia di Venezia»); in particolare, una lettera di con-gratulazioni di Mutinelli a Foucard per l’insegnamento impartito nel 1855-1856, ma non man-cano alcuni riferimenti ai contatti con Sickel (1856) e un ricco materiale relativo alle scuole di paleografia (fasc. «Scuole di paleografia. Carte diverse da riordinare»), delle quali Foucard continuò a interessarsi per tutta la sua carriera. Per Venezia, si veda poi Sagredo, Dell’Archivio

pubblico di Venezia; Sagredo, Notizie sulla I. R. Scuola di paleografia in Venezia; Foucard, Notizia degli studi paleografici e storici; Foucard, Allievi e uditori che frequentarono la I. R. Scuola di paleografia.

33 Si veda in particolare Foucard, Codice diplomatico della città di Portogruaro e Foucard, Del

governo veneto in Conegliano 1339-1797; Foucard, Del governo della famiglia; Foucard, Lo sta-tuto dei medici e degli speziali in Venezia. Si veda anche Foucard, Lettere su Riva e su Trento; e

infine Nani Mocenigo, Della letteratura veneziana, pp. 140-141 (citato da Rinaldin, «Il giornale

che s’intitola da una parola d’affetto», p. 403, nota 18).

34 Della pittura sui manoscritti di Venezia.

35 Collavizza, Emmanuele Antonio Cicogna, p. 329 (con rinvio al carteggio Cicogna-Foucard,

lettere del 22 agosto e 14 dicembre 1855); a p. 27 e nota 58 notizie ulteriori sui rapporti tra Fou-card e Cicogna. Si veda ora Collavizza, Dall’epistolario di Emmanuele Antonio Cicogna.

36 Venezia 1859. Si veda Concina, Considerazioni sui Monumenti artistici e storici delle

pro-vince venete, pp. 385 sgg. Ovviamente, nelle carte Foucard si conserva materiale concernente quest’opera; in BNCF, Manoscritti da ordinare, 142, si veda ad esempio b. 2, II, lettera di Pietro Selvatico del 9 gennaio 1858, e in particolare b. 57 [numerazione provvisoria].

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cattedrale di Murano), ma anche a Padova (cappella Ovetari agli Eremitani) e a Vicenza (basilica Palladiana).

Orbene, proprio nel 1855 e negli anni seguenti è attivo (e spesso fisica-mente presente a Venezia, intento ad approfondire gli studi su Palladio 37)

An-tonio Magrini, l’ecclesiastico vicentino così fortemente impegnato per la sua Biblioteca e il suo Museo. Oltre che con Cicogna38, Magrini – che aveva una

notevole pratica delle fonti documentarie della sua città, in particolare degli archivi delle corporazioni religiose soppresse39 – è in contatto appunto con

Foucard40, ed è ragionevole ipotizzare che ciò abbia facilitato il successivo

in-gaggio dell’archivista veneziano per il riordinamento dell’archivio municipale (archivio di Torre), concretizzatosi nel 1859 quando il ruolo di direttore del-la biblioteca vicentina era ricoperto ormai da Andrea Capparozzo (dal 1857, a seguito di concorso dopo la morte del Savi)41. E a loro volta, gli accertati

intensi contatti fra i bibliotecari veronesi (Cesare Cavattoni e Ignazio Zenti) e il loro omologo nella città berica42 spiegano facilmente il trasferimento a

Verona, l’anno successivo, dell’archivista veneziano, che ebbe l’incarico dalla municipalità veronese il 20 marzo 1860 e per qualche mese portò avanti con-temporaneamente i due lavori43. Il suo lavoro a Verona lasciò tracce non meno 37 Lo testimonia direttamente, ad esempio, una lettera di Giovanni Casoni a Emmanuele

Cico-gna del 24 ottobre 1855, citata da Collavizza, Emmanuele Antonio CicoCico-gna, p. 329.

38 Il carteggio di Magrini comprende 44 lettere di Cicogna: BCBVi, Epistolario Magrini, E. 58,

fasc. 31. Da segnalare la lettera del 3 settembre 1855 con la quale Cicogna ringrazia Magrini per l’invio degli opuscoli sul Museo e per la sua attività, volta a «rendere più assai interessante a’ nazionali e a’ forestieri la città di Vicenza colla unione di tanti e sì preziosi oggetti in un solo e così magnifico stabilimento».

39 Ciò gli consentì tra il 1839 e il 1850 circa di pubblicare una serie cospicua di documentate

monografie di storia dell’architettura (oltre che su Palladio, suo cavallo di battaglia, sulla chiesa di S. Lorenzo, sulla cattedrale di Vicenza, su Onorio Belli, su Zamberlan). Nell’insieme, si veda su di lui Zavalloni, Magrini Antonio.

40 BCBVi, Epistolario Magrini, E. 58, fasc. 54. Le lettere di Foucard (dal 1854) non riguardano

peraltro questioni di archivio, ma problemi di varia erudizione (ad esempio, la chiesa di S. Lo-renzo); Foucard scrive: «continuate ad adoperarvi pel vostro paese e ad illustrarne i monumenti e la storia; è fatica che non andrà perduta ed è un merito che non vien mai dimenticato». In una lettera del 23 ottobre 1858 Foucard comunica che «lo storico prussiano Ranke è mio ospite, domenica ripartirà».

41 Fra i concorrenti vi era anche il Magrini, ma nel contrasto tra lui e Bartolomeo Bressan

pre-valse il terzo incomodo, Capparozzo; si veda Bortolan, Rumor, La Biblioteca Bertoliana di

Vi-cenza, pp. 103 sgg.

42 BCBVi, Epistolario Capparozzo, E. 19, fasc. 128, a partire dal 1858, quando l’ecclesiastico

vicentino prese effettivamente servizio alla direzione della Biblioteca e Cavattoni gli elargì con-sigli biblioteconomici (gestione dei doppi), gli inviò una scheda bibliografica da lui elaborata e adottata a Verona e si accordò per l’invio del «mio allievo, il Zenti», per istruire il Capparozzo, ciò che effettivamente accadde nel febbraio di quell’anno; si vedano le lettere del 29 gennaio, 3 febbraio, 18 febbraio 1858. La corrispondenza (33 lettere in tutto) è molto fitta sino al 1859 e suc-cessivamente si rarefà. Le 20 lettere di Ignazio Zenti (che fu poi il successore di Cavattoni nella direzione della biblioteca veronese) sono per lo più degli anni Sessanta e Settanta (1868-1882).

43 È chiarificatrice al riguardo questa lettera di Foucard a Capparozzo da Verona, del 17

settem-bre 1860: «Chiarissimo Bibliotecario, non potrei precisare il giorno del mio ritorno in questa settimana e mi dispiacerebbe che quei signori fossero invitati e non fossi presente. Mi pare più opportuno invitarli quando sarò tornato. Qui a Verona si fece in questi giorni la stessa resti-tuzione per parte della Biblioteca all’Archivio e poi con una ricevuta furono di nuovo riposti

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consistenti, anche se il materiale effettivamente sopravvissuto è costituito da 3 buste di «regesti e copie da altri archivi» (prevalentemente, ma non solo, l’archivio generale di Venezia) redatte per incarico della municipalità verone-se44. Rientrato a Venezia nella prima metà del 1861, successivamente Foucard

riparò in Piemonte, e – senza dimenticare subito le sue esperienze venete45

– si avviò a una brillante carriera di funzionario d’archivio (culminata nella direzione dell’Archivio di Stato di Modena)46.

Nei paragrafi successivi si tenta di ricollocare nelle due specifiche situa-zioni l’input fornito da Foucard a Vicenza e Verona; né va dimenticato che – come ricorda lui stesso nella relazione indirizzata alla Congregazione mu-nicipale veronese – egli ebbe formalmente un incarico, per un analogo lavoro, anche dalla Congregazione municipale di Padova, tra il gennaio e il marzo 186147. Per quanto il lavoro di riordinamento sia stato da lui svolto solo

par-zialmente, in ambedue le città, è evidente che la “cultura archivistica” di de-rivazione veneziana ebbe un ruolo di rilievo nell’incanalare e nell’orientare l’attività delle amministrazioni municipali in due tra le più importanti città della regione. Ma in ambedue i contesti “bibliotecari” c’era già una sensibilità viva, anche per i problemi della documentazione d’archivio.

3.2 Il consolidamento dell’archivio vicentino presso la Biblioteca Bertoliana Nella città berica, già dal Cinquecento l’archivio di Torre (così denominato per la originaria collocazione nella «torre del Zirone») era stato spostato in una sede contigua a quella dei deputati ad utilia, la principale magistratu-ra cittadina, e dopo primi tentativi abortiti cinque e seicenteschi emagistratu-ra stato ordinato dal domenicano Giovanni Domenico Scolari, fra il 1779 e il 1793, per essere poi sostanzialmente abbandonato in età rivoluzionaria e asburgica. Nella prima metà dell’Ottocento, la storia della Biblioteca civica vicentina è

nella Biblioteca coll’aggiunta anzi di altri. Veda che la cosa è ragionevole in più luoghi. Intanto si conservi sano e viva tranquillo che tutto andrà bene. Di lei devotissimo Cesare Foucard». Si veda BCBVi, Epistolario Capparozzo, E. 19, fasc. 228. Per le date si veda anche la nota seguente.

44 ASVr, Regesti e copie da altri archivi per C. Foucard [d’ora in poi Foucard], buste I-III; la

data di conferimento dell’incarico si legge nella Relazione sugli archivi e documenti veronesi

del prof. Cesare Foucard, premessa ai fascicoli della b. I, edita in Appendice a questo saggio

(Appendice 1).

45 Tra gli esiti più tardi del soggiorno vicentino di Foucard va collocata anche l’edizione di un

pregiato pezzo documentario, appartenente a una tipologia di fonte cruciale per l’illustrazione del rapporto tra la Dominante e le città di Terraferma: Del Governo veneto in Vicenza.

46 Foucard rientrò per qualche tempo a Venezia, donde nel 1862 fu ancora in relazione con i

bibliotecari e gli amministratori veronesi e inviò un certo numero di copie di documenti concer-nenti le relazioni tra Venezia e Verona nel tardo Medioevo. Quanto alla sua carriera successiva, nel 1883 Foucard aspirò anche alla direzione dell’Archivio di Stato di Genova, ma gli fu preferito il più anziano e tutto sommato meno aggiornato Cornelio Desimoni, localmente molto radicato: Gardini, Cornelio Desimoni, p. 44. Si veda a riguardo della partecipazione di Foucard a questo concorso Repertorio del personale degli Archivi di Stato, 1, p. 81.

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infatti dominata dal Savi, che la resse per oltre mezzo secolo (1803-1857) e con molti meriti: grazie anche all’incameramento delle raccolte librarie delle istituzioni religiose soppresse, il patrimonio librario fu notevolmente incre-mentato, non senza cospicue (e non sorprendenti, nel già menzionato contesto del municipalismo veneto dell’età della restaurazione) donazioni da parte di famiglie aristocratiche o comunque eminenti (i da Velo, i Lampertico, gli Ar-naldi-Tornieri). Ma Savi fu appunto solo ed esclusivamente un bibliotecario, e predispose cataloghi per materia e inventari del solo materiale bibliografico48.

Si è già accennato all’attività di Magrini e all’avvicendamento tra Savi e Capparozzo alla direzione della Biblioteca Bertoliana, nel 1857. Ma la convo-cazione di Foucard nel 1859 (il decreto è datato 1° ottobre) dipese probabil-mente, oltre che da migliorate condizioni logistiche, anche dalla costituzione di una Deputazione specificamente preposta alla Biblioteca, cui presero parte Lodovico Gonzati (1813-1876), Giuseppe Todeschini (giurista, docente a Pa-dova; 1795-1869), e successivamente (ma solo dal 1866) Fedele Lampertico, che anche di archivi ebbe a occuparsi e non poco49. Nell’archivio di Torre, che

negli anni Cinquanta era stato ripetutamente traslocato, con l’ovvia conse-guenza di un qualche maggior disordine50, Foucard procedette innanzitutto a

un’operazione di scarto51; ma rispettò sostanzialmente l’assetto dato

all’archi-vio municipale dallo Scolari, redigendo per la gran parte dell’Archiall’archi-vio civico un indice progressivo delle unità archivistiche52, dando direttive a un suo

col-laboratore, Eugenio Panizzoni, che qualche anno più tardi (1867) presentò al municipio una relazione (pubblicata sulla stampa cittadina).

Negli anni immediatamente successivi, l’attività del nuovo bibliotecario fu intensa. Nel 1861 Capparozzo chiese, e nel 1863 ottenne, «a titolo di sem-plice deposito» dall’imperial regia amministrazione finanziaria, gli archivi delle corporazioni religiose soppresse (poi implementati da altre consegne di

48 Anche per le fasi precedenti, si veda Morello, Appunti di storia, pp. 12-13; il volume

compren-de una esaustiva bibliografia. Si veda anche Bortolan, Rumor, La Biblioteca Bertoliana e Dal Lago, La Biblioteca Bertoliana.

49 Fece parte ad esempio nel 1868 della commissione scientifica incaricata dal ministero di

esaminare la convenzione in materia di archivi costituita tra Italia e Impero asburgico dopo il 1866: Cavazzana Romanelli, Dalla Marciana ai Frari, p. 197.

50 Bortolan, Rumor, La Biblioteca Bertoliana, p. 181.

51 Ibidem, p. 182: «si procedette a uno spoglio di buste e pacchi contenenti percezioni di

pe-dazzi, colte, dadie, carrette, ovvero polizze di minute spese comunali, e tutto ciò fu distrutto»; ovviamente, oggi i criteri di scarto sarebbero differenti. Si veda anche Dal Lago, La Biblioteca

Bertoliana, p. 81.

52 Bortolan, Rumor, La Biblioteca Bertoliana, pp. 182 e 187: «È da notarsi che da volume 1 al

1328 [su un totale di circa 2000] il signor Foucard ha sovrapposto il numero progressivo, che è in relazione al suo inventario». Una stesura dell’Inventario dell’archivio del comune di

Vicen-za si conserva nelle carte Foucard: BNCF, Manoscritti da ordinare, 142, b. 57 [numerazione

provvisoria]. Si tratta di un registro rilegato in cartone, non datato né sottoscritto; le carte non sono numerate. Ogni facciata è impostata su colonne che recano acconce intestazioni («Marca esterna», «Titolo e date interne», «Avvertenze», «Numero dell’inventario»). Un confronto con il materiale conservato presso la Biblioteca Bertoliana consentirebbe evidentemente di acquisire informazioni interessanti sul metodo adottato dal Foucard, certamente rispettoso degli ordina-menti preesistenti.

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documenti del 1865, e dopo l’annessione del 1876, 1879, 1884). È significati-vo che per il riordinamento sia stato interpellato in prima battuta (febbraio 1864), Federico Stefani53, a prova di una perdurante mancanza, in sede locale,

di know how archivistico; dopo un sopralluogo Stefani, che in un primo mo-mento aveva accettato, declinò l’incarico. Qualche mese dopo, il compito fu affidato pertanto a Luigi Cristofoletti, «paleografo» e cancelliere dell’archivio notarile, «persona esperta e pratica per aver già provveduto all’ordinamento di altri archivi»54. Cristofoletti lavorò dal 1864 al 1867, con esiti che – anche a

causa dello stato di disordine nel quale il materiale, per i ripetuti spostamenti, era pervenuto – apparvero qualche decennio dopo non del tutto soddisfacenti a Domenico Bortolan e Sebastiano Rumor (che non erano certo due speciali-sti, ma che attorno al 1890, quando una pur rudimentale e intuitiva conoscen-za del metodo storico è diffusa, appaiono in grado di dare una valutazione critica abbastanza motivata):

Fu mantenuta dal riordinatore la divisione di provenienza, ma a ciascun volume o mazzo fu apposto un numero progressivo e fu eretto un inventario, o catastico gene-rale. Pur troppo quando avvenne l’antico trasporto di ciascun archivio dal convento o corporazione che lo possedeva alla Finanza andò sconvolto l’ordinamento primitivo, per cui oggi quasi a nulla servono i parziali voluminosi catastici antichi. Le ricerche esigono ora molto tempo e pazienza, e non è raro trovarsi davanti a qualche lacuna. (…) In massima sono separati gli istromenti in pergamena da quelli in bombacina, tutti disposti cronologicamente, e da questi i mazzi dei processi, i libri scodaroli, i libri di livelli e legati, e quelli di entrata e uscita. Oltre il citato inventario di 140 pp. il Cristoffoletti (sic) stendeva anche un Elenco dei documenti d’importanza storica…55.

In piena continuità, dopo l’annessione del 1866 l’acquisizione del patri-monio archivistico vicentino alla Biblioteca Bertoliana progredì a partire dal 1868. Prese il via infatti l’iter di acquisizione dell’archivio dell’«Estimo antico», di proprietà della Deputazione, che peregrinò tra diversi uffici pub-blici sino ad approdare presso quelli finanziari dello Stato. Fu descritto in quell’anno da Giuseppe Bertolini, ma si dovettero attendere ancora quindici

53 Sullo Stefani (1827-1897), che fu anche presidente della Deputazione veneta di storia patria

e più tardi direttore de Frari, si veda Contò, Carlo Cipolla, Federico Stefani e la Deputazione

veneta, pp. 99-107; Cavazzana Romanelli, Rossi Minutelli, Archivi e biblioteche, pp. 1102-1103.

Ma a prova del profondo mutamento di approccio che si verificò nell’arco abbastanza breve di un ventennio, possono valere a suo riguardo i duri, quasi sprezzanti giudizi che l’archivista vene-ziano Riccardo Predelli diede, scrivendo a Carlo Cipolla nel 1889, quando Stefani fu designato direttore dei Frari: «bravissima persona ma forza ormai sfruttata», «dilettante», appartenente alla categoria dei «mezzi eruditi o degli industriali d’erudizione» (BCVr, Carteggio Cipolla, b. 1133, fasc. Predelli Riccardo, lettera n. 7, nella quale ribadisce che avrebbe molto gradito una direzione Cipolla apparsa per un momento possibile [si veda nota 117]). Sull’elezione di Stefani si veda Cavazzana Romanelli, Memorie nazionali, memorie locali, pp. 243-244.

54 Dal Lago, La Biblioteca Bertoliana, p. 78. Tra gli «altri archivi» cui si fa riferimento, oltre a

quello notarile va inserito sicuramente l’archivio capitolare, che Cristofoletti aveva riordinato nel 1862: si veda Lomastro, Varanini, La costruzione dell’archivio di un capitolo cattedrale, p. X. Cristofoletti si trasferì poi (1869) a Verona, ove ebbe qualche contatto con l’ambiente degli Antichi archivi (si veda BCBVi, Epistolario Capparozzo, E. 19, fasc. 174; e inoltre fasc. 128 [Ca-vattoni], alla data 15 ottobre 1871).

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anni per un definitivo approdo alla Biblioteca. È interessante osservare infatti che tanto la definitiva e formale assegnazione dell’archivio di Torre alle cure del bibliotecario (inizialmente senza spostarlo di sede, ma successivamente trasportandolo presso la Biblioteca, con sistemazione logistica definitiva nel 1890) quanto, come si è appena accennato, il deposito dell’archivio degli an-tichi estimi avvennero tra 1881 e 188356: dunque, negli stessi anni nei quali la

legislazione nazionale e le iniziative a livello regionale di Cecchetti crearono un nuovo “clima archivistico”, ma anche gli stessi anni nei quali perveniva alla Bertoliana, in deposito temporaneo (perpetuatosi sino ad oggi), un altro archivio-simbolo, dal forte valore identitario e civico, quello dell’Accademia Olimpica57. L’Archivio storico comunale non fu peraltro formalmente istituito

prima del 193558.

3.3 Andrea Gloria a Padova e nel Veneto

Rispetto alle altre città della Terraferma già veneziana, il primato cro-nologico padovano in materia di “crescita” dell’archivio municipale precede addirittura l’avvento di Andrea Gloria (1845), visto che l’interesse dell’ammi-nistrazione civica per il fondo municipale fu sempre alto, e il dibattito e il lavorio di riordinamento degli archivisti municipali tra 1810 circa e 1840 circa fu molto intenso, grazie soprattutto ad Antonio Checchini e all’abate Arrigo Arrigoni, che produssero «strumenti e repertori a metà strada tra i mezzi di corredo archivistici e le ricostruzioni erudite»59. Fu poi l’immediato

predeces-sore di Gloria, Luigi Ignazio Grotto dell’Ero ad ottenere l’acquisizione degli archivi delle corporazioni soppresse, nel 184460. Il nuovo responsabile

(ini-zialmente «cancellista»61, poi direttore dell’archivio civico antico dal 1853,

con competenze sull’intero archivio comunale; dal 1858 fu anche direttore del Museo civico) sin dal 1847 redasse un nuovo inventario, diede poi un forte incremento al processo di acquisizioni, e nel 1855 produsse una importante «memoria storica» sull’archivio municipale padovano, riassumendo egli stes-so il suo operato sino a quel momento62. Non manca anzi una certa capacità

di influire sull’ordinamento degli archivi delle altre città, soprattutto quelli

56 Ibidem, pp. 183, 189-196; Dal Lago, La Biblioteca Bertoliana, pp. 82-83.

57 Ranzolin, L’Archivio storico dell’Accademia Olimpica, pp. 11-13: il versamento avvenne verso

la fine del mandato di presidenza di Fedele Lampertico e dunque attorno al 1882-1883.

58 Dal Lago, La Biblioteca Bertoliana, p. 89.

59 Bonfiglio Dosio, La politica archivistica del comune di Padova dal XIII al XIX secolo, p. 35,

anche per la citazione. In precedenza si veda Briguglio, L’archivio civico antico di Padova, pp. 183-218.

60 B[anzato], Padova, Musei civici, p. 314.

61 Non va dimenticato che all’epoca egli era ventiquattrenne, essendo nato nel 1821.

62 Gloria, Dello archivio civico antico in Padova, pp. 18-24. Per una completa bibliografia su

Gloria si veda Desolei, L’archivio del Comune di Padova tra cultura e amministrazione, p. 40, nota 16; si veda inoltre in questo volume l’intervento di Nicola Boaretto.

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municipali, come prova la sua corrispondenza con gli archivisti vicentini63;

fors’anche grazie all’appoggio del Sickel che favorì l’inizio del suo insegnamen-to di paleografia all’Università di Padova, la sua noinsegnamen-torietà varcò presinsegnamen-to i confi-ni locali se è vero che nel 1863 rinunciò alla possibilità di ottenere la direzione dell’archivio dei Frari64. Ma nello stesso tempo, come si è accennato, anche a

Padova si ebbe un’eco significativa del lavoro svolto da Foucard, e della sua pur relativa novità di metodo, se è vero che, come riferisce lo stesso archivista veneziano la Congregazione municipale di Padova gli diede (nel gennaio 1861, confermando poi la deliberazione nel marzo) l’incarico di una regestazione completa delle fonti archivistiche del Comune padovano anteriori al 1420 (la data dell’incendio che distrusse l’archivio comunale e signorile)65.

E soprattutto, in quello stesso anno pubblicò un’importante riflessione d’insieme sugli archivi dell’intera regione, riprendendo – si badi, nel Vene-to “austriaco” – l’idea dell’istituzione di un archivio “governativo” in ogni provincia, con importanti novità rispetto a quanto aveva esplicitato Jacopo Chiodo trent’anni avanti. Egli prospetta infatti la concentrazione negli istituti delle varie città non solo degli archivi degli «uffici regi» e di quelli delle corpo-razioni religiose soppresse, ma anche degli archivi notarili e di «collegi privati e famiglie che li volessero depositare purché importanti»66. Non manca, nella

sua proposta, l’attenzione al rapporto fra mondo universitario e mondo docu-mentario: il personale degli archivi provinciali (finanziati metà dai municipi, metà dalle delegazioni territoriali) doveva esser scelto da una commissione mista, composta da due «dotti» locali e da tre professori patavini, un paleo-grafo, uno storico (cioè lui stesso e Giuseppe De Leva) e un latinista67. Lo

stu-dioso padovano è dunque l’unico che, dal suo campanile, allarga lo sguardo all’intera regione.

A livello cittadino, fu naturalmente Gloria che, in perfetta coincidenza temporale con quanto accadeva a Verona68, presiedette nel 1871 al fisico

spo-stamento dell’archivio antico dalla sede comunale al nuovo edificio di piazza del Santo destinato a ospitare la “memoria civica” nel suo insieme: le car-te d’archivio e i libri, certo, ma anche le car-testimonianze artistiche – plasti-che e pittoriplasti-che – e il patrimonio numismatico. Gli studi più recenti hanno alquanto smitizzato la “modernità” dell’approccio del Gloria, e negato la sua asserita adesione al metodo storico alla Bonaini imperniato sul nesso tra il funzionamento dell’istituzione e la produzione e conservazione documentaria

63 Un cenno in Varanini, Tradizione municipale e metodo storico, p. 17.

64 Desolei, L’archivio del Comune di Padova, p. 40, nota 16. Per i rapporti fra Gloria e Sickel, si

veda in particolare Wallnig-Mazohl, von Sickel, Gloria, Marginalien zur österreichischen

Uni-veritätsgeschichte.

65 Si veda la relazione edita nell’Appendice 1 di questo saggio.

66 Su questo aspetto significativo mi soffermo brevemente più avanti, par. 3.6. 67 Gloria, Pensieri intorno a un migliore regolamento.

68 A Padova lo spostamento del Museo nella nuova sede del Santo era stato deliberato nel 1867,

ma non mancarono difficoltà (poste dal governo centrale a causa di una legge sulle fabbricerie) e si pensò anche a un’altra sede. Si veda Desolei, L’archivio del Comune di Padova, p. 41 nota 19.

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(«le 52 classi stabilite dal Gloria sono il trionfo dell’ordinamento per materia e dell’applicazione retroattiva al quadro di classificazione»)69. È certamente

vero che la separazione anche fisica dell’archivio storico comunale, ormai “imbalsamato” nel Museo, con la conseguente netta divaricazione tra storici e studiosi da un lato e archivisti “burocrati” dall’altro, procurò nei decenni successivi danni seri. Essa determinò infatti «nell’organizzazione della fase formativa dell’archivio, priva del legame con la parte più antica, un lento e inesorabile processo di “amministrativizzazione”, non sorretta da un’adegua-ta cultura burocratica e da una forte consapevolezza di ruolo»70 da parte degli

archivisti che gestivano appunto la parte vitale dell’archivio, quella che secon-do lo scorrere del tempo seguiva la trasformazione archivio corrente>archivio di deposito>archivio storico. Ma è altrettanto vero che Gloria si uniformò alle dottrine correnti e allo spirito del tempo, nel “secolo della storia”; e non gli si può imputare più di tanto una mancata lungimiranza.

3.4 La costituzione degli archivi municipali a Verona (1855 circa-1880 circa) La vicenda degli «Antichi archivi veronesi» – tale la definitiva deno-minazione assunta alla fine degli anni Sessanta – segue binari sostanzial-mente paralleli, ma è caratterizzata da una progettualità e da una coerenza particolarmente incisive, che trovano tra l’altro – anche cronologicamente – un perfetto significativo parallelismo nell’ideazione e della realizzazione del pantheon (o «Protomoteca», come fu successivamente definito) dei ve-ronesi illustri71.

69 Si veda Bonfiglio Dosio, La politica archivistica del Comune di Padova, p. 36 (che critica le

valutazioni di Letterio Briguglio [1956] cui anch’io mi ero attenuto sia pure con cautela: Vara-nini, Tradizione municipale e metodo storico, p. 17. Di Briguglio si veda, sul punto, Briguglio,

«Metodo positivo» e metodo storico).

70 Desolei, L’archivio del Comune di Padova, pp. 44-45.

71 A probabile imitazione di quanto era accaduto a partire dal 1847 a Venezia, in Palazzo Ducale

(Magani, Il «Panteon Veneto»), si cominciò a discutere sin dal 1852-53 della trasformazione di piazza dei Signori in Pantheon cittadino, prevedendo la collocazione nella Loggia del Consiglio delle statue di due glorie della Verona rinascimentale, Sanmicheli e Veronese (realizzate poi rispettivamente nel 1874 e nel 1883 e collocate altrove in città). La piazza fu poi “occupata” dal monumento a Dante Alighieri (portato a termine nel 1865), ma il progetto complessivo della celebrazione dei grandi veronesi del passato fu nuovamente dibattuto in consiglio comunale sin dal 1863, e si iniziò la realizzazione nel 1870 in occasione della festa dello Statuto, con tanto di nobile e pedagogico discorso del sindaco Camuzzoni. Le 72 erme, medaglioni e busti scolpiti nei decenni successivi, raffiguranti illustri veronesi dal Medioevo all’Ottocento, soggiornarono per alcuni decenni nell’atrio della Loggia detta di Fra Giocondo, e successivamente – per esemplare eterogenesi dei fini – trovarono nel 1940 definitiva ricollocazione proprio nell’atrio della rin-novata sede della Biblioteca civica e Antichi archivi veronesi. Sull’interessante vicenda si veda l’esauriente volume di Gattoli, Il pantheon dei veronesi. Quanto a Dante, il 5 settembre 1865 si deliberò di acquistare per la Biblioteca uno dei molti gessi rappresentanti il modello della sta-tua eretta in piazza che erano diffusi in città e di collocarlo in Biblioteca in un luogo di grande visibilità, sopra la porta della stanza del direttore (Processi verbali 1863-1875 [si veda qui sotto, nota 76], p. 44, n. 16).

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