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La sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato minorenne

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

La sospensione del processo con messa alla prova, introdotta nell'ordinamento penale minorile dagli articoli 28 e 29 del D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448, rappresenta un'ipotesi di probation

processuale radicalmente nuova per il nostro ordinamento,

benché costituisca già da tempo patrimonio consolidato di svariate legislazioni straniere. La sua caratteristica qualificante, rispetto ad istituti similari noti al sistema penale italiano, sta nella collocazione rispetto alla decisione sulla responsabilità penale e sulla conseguente irrogazione della pena: l'art. 28 d.p.r. n. 448/88 precede la pronuncia sul merito, invece di seguirla.

La sospensione è, dunque, un istituto che consente di affrontare adeguatamente i casi in cui il reato commesso dall'imputato minorenne esprime nient'altro che “un disagio temporaneo, ricollegabile alla variabilità adolescenziale” ed arginabile consentendo all'autore di dare “dimostrazione della sua capacità di impegnarsi positivamente su un progetto di vita”. Si consente in tal modo l'anticipata espulsione dal processo di quelle che sono state definite “persona di non rilevanza penale1”, in base ad una prognosi positiva sull'evoluzione della loro personalità dopo il fatto.

Con il provvedimento di sospensione del processo con messa alla prova, il processo viene sospeso per un periodo non superiore a tre anni quando si procede per reati per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni; negli altri casi il processo viene sospeso per un periodo non superiore ad un anno. Con l'emanazione

1 In tal senso, C. Cesari, Sospensione del processo con messa alla prova, commento al

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dell'ordinanza di sospensione del processo, il minore viene affidato ai Servizi Minorili dell'amministrazione della giustizia e ai Servizi socio-assistenziali degli enti-locali, che insieme svolgono un'attività di osservazione, di sostegno e di controllo. Infatti il giudice quando ritiene di dover valutare la personalità

del minore, può disporre la sospensione del processo e affidare il

minore ai servizi dell'amministrazione della giustizia, affinché svolgano le suddette attività. Da notare come il fulcro dell'intera disciplina della “messa alla prova” sia costituito dalla personalità

del minore, poiché la presa in carico degli operatori dei servizi

sociali consente di valutare la personalità e il vissuto del minorenne, affinché si realizzi una piena consapevolezza circa la sua responsabilità e le motivazioni che lo hanno spinto a delinquere2. Inoltre il giudice, con la medesima ordinanza, può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato ed a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato. Ed è proprio la ricerca di un punto d'incontro tra il minore e la persona offesa, quando possibile, che permette di far realizzare al minore la quantità di sofferenza, disagio e paura che ha procurato col suo comportamento, accrescendo la capacità di condivisione di sentimenti ed emozioni della vittima e responsabilizzandolo e sviluppando la capacità di immedesimazione.

Pertanto l'istituto della messa alla prova presuppone l'adesione del minore ad un progetto che consiste implicitamente in una ammissione di responsabilità, ma al tempo stesso permette di eludere la condanna, la pena e il ricorso agli istituti detentivi, consentendo la maturazione del carattere e una maggiore consapevolezza dei valori di solidarietà umana.

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Il progetto di messa alla prova, come meglio vedremo in seguito, deve essere un programma di intervento elaborato dai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, in collaborazione con i servizi socio-assistenziali degli enti locali che preveda, tra l'altro, le modalità di coinvolgimento del minorenne, del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita, degli impegni specifici che il minore dovrà assumere, le modalità di partecipazione al progetto degli operatori della giustizia e dell'ente locale e quelle di attuazione eventualmente dirette a ripartire le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa3.

Per quanto riguarda l'attività svolta durante il progetto d'intervento e sull'evoluzione del caso, i servizi sociali minorili hanno il compito di informare periodicamente il giudice. I servizi possono proporre altresì al giudice eventuali modifiche del progetto, abbreviazioni, ovvero la revoca in caso di ripetute e gravi violazioni delle prescrizioni imposte.

Preliminarmente sembra essere importante che, al fine della sospensione del processo e della conseguente messa alla prova, il giudice dovrà compiere un giudizio prognostico positivo circa l'esito della prova e la possibilità di recuperare il minore mediante l'attuazione del progetto. Deve trattarsi di un giudizio svolto sulla base di taluni indici positivi in ordine alla forte probabilità che la personalità del minore nel corso del progetto evolva e maturi e che pertanto all'udienza di verifica, lo stesso sia una persona in qualche modo diversa dal minore che ha commesso il reato.

Infine, decorso il periodo di sospensione, il giudice fissa una nuova udienza nella quale dichiara con sentenza estinto il reato

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se, tenuto conto del comportamento del minorenne e della evoluzione della sua personalità, ritiene che la prova abbia avuto esito positivo; al contrario, se il giudice ritiene che la prova debba avere esito negativo, a norma degli artt. 32 e 33 D.P.R. 448/88, il giudice disporrà la riapertura del processo.

Concludendo possiamo affermare che l'obiettivo della sospensione del processo con messa alla prova è quello di consentire di evitare il ricorso alla sanzione detentiva nei confronti di minorenni e costituisce uno strumento di attuazione di alcuni strumenti tipici dei sistemi di giustizia minorile, quali la rapida uscita dal circuito penale, la tempestività dell'intervento istituzionale, la diversione, la mediazione tra minore e la vittima, ed infine l'esigenza di fornire al minore risposte individualizzate. L'istituto, dunque, permette di evitare gli effetti dannosamente etichettanti del processo penale, impedendo che il minore debba sopportare per l'intera vita “le conseguenze di episodi e manifestazioni di devianza giovanile, non sicuramente, né irreversibilmente sintomatiche di antisocialità”.

Difatti di fronte a soggetti in via di sviluppo il legislatore ha preferito dedicare attenzione all'esame della personalità come mezzo diretto a far comprendere il reale significato dell'atto di devianza commesso; a far percepire se l'atto stesso rispecchi un modo di essere costante del soggetto o se sia piuttosto da inquadrare nell'ambito della condotta meramente occasionale; a far cogliere l'influenza esercitata sul comportamento del minore dell'ambiente socio-familiare. Tutto questo perché precipitare subito il minore, autore di un comportamento illecito, nella drammaticità del rito penale potrebbe causare danni irreversibili su individui ancora labili. Di conseguenza un atteggiamento

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troppo rigoroso o intransigente da parte di chi è chiamato a giudicare potrebbero essere all'origine di uno sbandamento definitivo del soggetto, che finirebbe con l'interpretare l'atteggiamento delle istituzioni come rifiuto, come incomprensione nei suoi riguardi e, pertanto, potrebbe ritenere di essere nel giusto reagendo con un ulteriore “attacco” alle istituzioni stesse4.

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