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Oscar Scaglietti - Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia

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OTTOBRE2011;37:226

226

EDITORIALE

OSCAR SCAGLIETTI

.(BOEPMm

Past President S.I.O.T.

I

l professor Raffaele Zanoli aveva lasciato la Cattedra di Ortopedia dell’Università di Bologna per limiti di età. La Facoltà non espresse praticamente un successore (le vicende furono in verità più complesse).

Il reparto universitario all’Istituto Rizzoli si era ridotto da 600 letti circa a 130, essendo stato l’Istituto stesso smembrato in più primariati. Tenni io per qualche mese la direzione ope-rativa della parte universitaria poi arrivò il professor Oscar Scaglietti che aveva avuto dal Ministro dell’Istruzione di allora – l’on. Gui –, l’incarico di occupare la Cattedra di Ortopedia all’Università di Bologna pur essendo contem-poraneamente Ordinario all’Università di Firenze.

Scaglietti veniva al Rizzoli il fine settimana, il venerdì po-meriggio, e mi lasciva continuare con estrema stima (la responsabilità legale era sua) l’operatività quotidiana. I nostri rapporti erano sempre abbastanza vivaci e tesi (ero un ostacolo ai suoi programmi per il futuro della Cattedra bolognese) e suscitavano in me sentimenti di frustrazione e comportamenti di dura opposizione alternati tuttavia da sentimenti di forte ammirazione: una memoria formidabile, una cultura profonda, una instancabilità rara, una prontez-za decisionale singolare.

Un episodio può sintetizzare questo mio giudizio.

Un venerdì sera, eravamo lui e io nel mio studio; studio at-tiguo al Museo Anatomo-patologico ove erano custoditi, in bacheche di vetro, una decina di scheletri di persone morte in Istituto per malattie rare o per casi singolari (Scaglietti conosceva benissimo il Museo fin dai tempi di Putti). Gli scheletri erano tutti sostenuti in posizione eretta e illumi-nati uno a uno con luci perfettamente centrate. Ogni giorno le bacheche, come tutto l’ambiente, erano ben pulite, quasi “lucidate”.

Scaglietti, su mia richiesta, stava commentando il caso, dif-ficile per me da diagnosticare, di un paziente ricoverato. Squillò il telefono: era il portiere dell’Istituto che, con voce molto allarmata, mi riferiva che una signora di circa 70 anni, armata di un coltello estratto dal cappotto e in stato di elevata agitazione, cercava il professor Scaglietti per ucciderlo!

Restai impietrito ed ebbi appena la forza di riferire al Pro-fessore il contenuto della telefonata. Scaglietti non si scom-pose, prese il telefono e chiese al portiere quale fosse il motivo di tanta furia omicida: la signora, qualche giorno prima era stata al cimitero per assistere alla riesumazio-ne dei resti della salma del marito morto moltissimi anni

prima dopo essere stato operato giovanissimo al Rizzoli da Scaglietti, allora aiuto del grande Putti. Nella bara nes-sun resto umano ma solo un sacco pieno di sassi avvolti da giornali. Dove era il corpo di Zuvnìn, di Giovannino, l’adorato marito? Che scempio ne era stato fatto? Perché questo imbroglio? Scaglietti doveva essere punito e Zuvnìn vendicato.

A me il momento sembrava piuttosto drammatico, Scaglietti invece restò calmo, si prese qualche momento di riflessione e invitò il portiere, piuttosto titubante, ad accompagnare, sia pure con una certa lentezza, la signora direttamente al Museo, ove il Professore ed io saremmo subito andati. Scaglietti diede un rapido sguardo attorno (per scegliere lo scheletro più idoneo allo scopo?) dopodiché mi fece ap-prestare un gioco di luci per cui restò acceso solo il faro che illuminava una bacheca all’interno della quale appa-riva bianco e luminoso lo scheletro perfettamente eretto, dall’aspetto alquanto burbero ma molto sereno. La signora, un po’ trattenuta dal portiere con il quale aveva inveito a voce alta durante il tragitto dalla portineria al Museo, venne immediatamente e totalmente zittita dall’accoglien-za estremamente cordiale, quasi affettuosa, di Scaglietti che con voce suadente le disse: “Cara signora, ecco il suo

Zuvnìn, suo marito, sempre in ordine, giornalmente

accudi-to, spolveraaccudi-to, illuminaaccudi-to, gli manca solo la parola ma se potesse parlare le direbbe tutta la sua soddisfazione per una sistemazione che contrasta nettamente con il buio e il deterioramento di una allocazione sottoterra”.

Questa volta fu la signora a rimanere impietrita per qual-che minuto per poi liberarsi in un urlo un po’ soffocato dal pianto: “Zuvnìn! com tsi bel – come sei bello – come sei ben sistemato, sembri vivo”. La bacheca venne prima sfio-rata, poi accarezzata, poi abbracciata nella ricerca di una specie di contatto fisico dopo molti decenni di lontananza, di nostalgia, di amore perduto (altri tempi!).

Scaglietti si godeva lo scampato pericolo, anche perché la signora, poco dopo, gli rivolse il viso sorridente, lo rin-graziò moltissimo, gli chiese, molto deferente, il permesso di venire ogni tanto a rivedere il suo Zuvnìn e se ne andò soddisfatta. La situazione si era rovesciata: dalle minacce ai ringraziamenti.

La prontezza organizzativa, l’intelligenza fantasiosa, l’ap-proccio dialettico alla situazione di Scaglietti erano ancora una volta risaltati: restai di stucco.

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