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Protagonista di un secolo dimenticato. La fortuna di Matilde nelle cronache medievali

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MATILDE DI CANOSSA

E IL SUO TEMPO

Atti del XXI Congresso internazionale di studio sull’alto medioevo in occasione del IX centenario

della morte (1115-2015)

San Benedetto Po - Revere - Mantova - Quattro Castella, 20-24 ottobre 2015

TOMO PRIMO

FONDAZIONE

CENTR O ITALIANO DI STUDI SULL’ALTO MEDIOE VO

SPOLETO

(2)

ISBN 978-88-6809-114-9

prima edizione: ottobre 2016

© Copyright 2016 by « Fondazione Centro italiano di studi sull’alto medioevo », Spoleto.

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Consiglio di amministrazione e Consiglio scientifico della

Fondazione Centro italiano di studi sull’alto medioevo pag. IX Elenco dei partecipanti ... » XI Programma del Congresso ... » XIII PAOLOGOLINELLI, Matilde: la donna e il potere ... » 1

TIZIANALAZZARI, I poteri delle donne al tempo di Matilde ... » 35

GIUSEPPE SERGI, Matilde di Canossa e Adelaide di Torino:

con-tatti, confronti, valutazioni tipologiche ... » 57 AMALIA GALDI, Sichelgaita e le altre. Donne di potere (?) nel

mezzogiorno medievale ... » 75 ENRICO BONANATE, La titolatura pubblica femminile canossana:

evoluzione e difformità con il contesto italico ... » 99 VALERIEEADS, What Is a Warrior Countess? ... » 117

EUGENIO RIVERSI, « Maiorem se facit Italia »: la questione della legittimazione del potere di Matilde nelle fonti narrative e

trat-tatistiche ... » 133 ANDREA PADOVANI, Matilde e Irnerio. Note su un dibattito

at-tuale ... » 199 GIUSEPPEFORNASARI, Canossa tra germanesimo e latinità. Alcune

riflessioni... » 243 ALBERTO RICCIARDI, Soissons 833 Canossa 1077. Potenzialità e

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INDICE VI

MARINO ZABBIA, Protagonista di un secolo dimenticato. La

fortu-na di Matilde nelle crofortu-nache medievali ... pag. 301 LUCIA CASTALDI, La Vita Mathildis di Donizone di Canossa fra

tradizione manoscritta e opportunità politica ... » 323 MARIA LUISA CECCARELLI LEMUT, La dimensione marittima

del-la Marca di Tuscia... » 355 CATERINACICCOPIEDI, Matilde e i vescovi ... » 371

MARCO VENDITTELLI, « Usque ad Urbem cum comitissa Mathilda pacifice venimus ». La situazione politico-sociale di Roma al

tempo di Matilde ... » 391 GIUSEPPAZ. ZANICHELLI, Donne e libri al tempo di Matilde... » 427

FILIPPO FONTANA, Aspetti archeologici del controllo del territorio fra l’Alta Val d’Enza e l’Alta Lunigiana. La consorteria dei

da Vallisnera e i Canossani ... » 447 EDOARDO MANARINI, Ai confini con l’Esarcato: proprietà, possessi e

giurisdizioni dei Canossa nel Bolognese orientale ... » 459 RENZO ZAGNONI, Valichi matildici fra Emilia e Toscana: il caso

dell’itinerario Reno-Ombrone pistoiese ... » 481 ENRICA COZZI, Un ciclo pittorico dell’epoca e nel territorio di

Matilde: Acquanegra sul Chiese... » 501 FABIO SAGGIORO, Castelli e Canossa: alcune note sulle politiche

territoriali e sulle strutture materiali ... » 519 PAOLAGALETTI, Gli spazi del ‘quotidiano’ al tempo di Matilde . » 531

NICOLA MANCASSOLA, Pievi, chiese e monasteri al tempo di

Ma-tilde di Canossa ... » 549 CHIARA MARASTONI - ELENA MONTI, Il contributo

dell’archeolo-gia alla lettura del paesaggio abitativo di età matildica nel

terri-torio mantovano... » 619 SILVIA LUSUARDI SIENA - CATERINAGIOSTRA, Archeologia a San

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MANFRED LUCHTERHANDT, Architettura matildica? Le Cattedrali

padane tra nobiltà, chiesa e comune: il caso di Parma ... pag. 665 SAVERIO LOMARTIRE, Cicli figurati e scritture esposte: un ruolo

per Matilde? ... » 701 XAVIER BARRAL I ALTET, Donne committenti e donne artiste nel

romanico europeo: una questione aperta dell’arte medievale... » 729 ANDREA DEL GROSSO, Le arti del metallo in area matildica tra

XI e XII secolo ... » 747 MADDALENAVACCARO, Matilde di Canossa a San Benedetto Po:

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MARINO ZABBIA

PROTAGONISTA DI UN SECOLO DIMENTICATO. LA FORTUNA DI MATILDE

NELLE CRONACHE MEDIEVALI

In un saggio dedicato alla Matelda di Dante, Bruno Nardi ha scritto che gli uomini colti vissuti nella seconda metà del Duecen-to e nel primo TrecenDuecen-to ignoravano tutDuecen-to del tempo di Matilde di Canossa e dei protagonisti di quel secolo, mentre di Matilde stessa sapevano soltanto – come affermava Cino da Pistoia com-mentando il Codice di Giustiniano – che « fuit filia regis Italiae et succesit in regno et gessit omnia tamquam rex »1.

Non in tutto si può condividere l’opinione di Nardi: in effetti gli uomini colti che vivevano intorno all’anno 1300 – Cino, come Dante Alighieri e tanti altri – di Matilde sapevano molte cose. In-fatti la contessa godette tra i dotti italiani del basso medioevo una fama così diffusa da risultare sorprendente e richiedere una spiega-zione: tanto più urgente qualora si consideri come i fatti narrati dalle cronache di quel periodo coincidano solo in parte con le ve-rità ricostruite dagli storici dall’Ottocento ad oggi.

Mi pare, invece, che Nardi vedesse giusto quando, in quello stesso studio, affermava che agli intellettuali d’inizio Trecento – giuristi o letterati – niente o quasi era noto di Enrico IV e Gre-gorio VII e dello scontro che li contrappose, compreso l’episodio di Canossa a noi così familiare. Le vicende del secolo XI rimasero

1. B. NARDI, Chi e che cosa è Matelda, in ID., Nel mondo di Dante, Roma, 1944, pp.

275-284 (cfr. p. 278 per la citazione di Cino, e p. 277 per il commento di Odofredo al medesimo passo del Codice). Sulla Matelda dantesca la bibliografia è molto ampia: la ri-percorre D. RUZICKA, Florence and the Gran Contessa: An Historicist Reading of Dante’s

Matelda, in Dante Studies, 132 (2014), pp. 35-57. Grazie alla cortesia dell’autore cui va la

mia gratitudine, nella stesura di questo saggio ho potuto utilizzare l’ancora inedito con-tributo di E. FAINI, La memoria di Matilde nell’età dei Comuni, relazione presentata al

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in buona misura ignote a chi scrisse di storia o fece uso di materiali storiografici in trattati o poesie durante i secoli XIII e XIV. In questo buio ricevono luce solo alcune rarissime figure: ricorrendo a compi-lazioni di storia universale assai diffuse – come la cronaca di Martino Polono – i cronisti bassomedievali hanno menzionato papi ed impe-ratori, dei quali spesso per questo periodo poco è noto; accanto a co-storo trova posto un piccolo gruppo di personaggi nel quale, vicino a qualche uomo di Chiesa, spiccano due principi laici, Matilde di Ca-nossa e il suo quasi contemporaneo Roberto il Guiscardo (1025-1085) che hanno ricevuto grande attenzione e, almeno in certe ope-re, sono protagonisti di episodi che ben poco fondamento hanno nel reale svolgimento dei fatti.

Nonostante i nessi che legano la memoria di Roberto a quella di Matilde nella cultura storiografica delle città italiane durante il basso medioevo, non è questa la sede per indagare la fortuna del Guiscar-do2. Rimaniamo dunque al tema di questo convegno: Matilde e il suo tempo. Converrà dire subito che fu un tempo assai lungo – l’at-tività pubblica di Matilde è documentata per oltre una quarantina d’anni – e che nella storia della storiografia medievale i decenni in cui la contessa fu protagonista della scena italiana, coincidono con il momento nel quale comparvero in Lombardia e Toscana le prime cronache cittadine. I cronisti che, grosso modo dall’ultimo quarto del Duecento, rivoluzionando il modo di scrivere la storia urbana abban-donarono l’esclusiva attenzione per le vicende coeve che aveva carat-terizzato i loro predecessori e procedettero alla ricostruzione del pas-sato cittadino, avevano a disposizione fonti narrative locali che nel migliore dei casi (Milano e, in parte, Venezia) risalivano a quasi due secoli prima. Mentre, nella norma, le cronache più antiche non si possono datare a prima del 1115 circa, cioè subito dopo la morte di Matilde. E, per prendere spunto ancora una volta da motivi dante-schi, sempre da quest’altezza cronologica inizia anche la memoria le-gata alle tradizioni orali e familiari di tanti esponenti del mondo

citta-2. Per qualche aspetto della fortuna bassomedievale del Guiscardo cfr. M. ZABBIA,

Prima del Villani. Note sulle cronache universali a Firenze tra l’ultimo quarto del Duecento e i primi anni del Trecento, in Le scritture della storia. Pagine offerte dalla Scuola nazionale di studi medievali a Massimo Miglio, a cura di F. DELLEDONNEe G. PESIRI, Roma, 2012

(Quader-ni della Scuola nazionale di studi medievali. Fonti, studi e sussidi, 1), pp. 139-162: pp. 149-153.

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PROTAGONISTA DI UN SECOLO DIMENTICATO 303

dino: penso ovviamente a Cacciaguida, l’antenato dell’Alighieri, che dovrebbe essere nato tra il 1090 e il 11013.

Matilde di Canossa, quindi, terminò i suoi giorni proprio quando nelle città dell’Italia centrale e settentrionale cominciavano a essere scritte quelle opere che, riversate in nuovi contenitori di memoria cittadina, avrebbero costituito il fondamento della cultura storiografi-ca urbana per molti secoli, in qualche storiografi-caso sino alle soglie del Nove-cento. A Matilde in generale e alla sua morte in particolare sono state dedicate note, di norma brevi e rapsodiche, che ricorrono con fre-quenza in tanti testi spesso non collegati tra loro e composti magari a distanza di secoli uno dall’altro, e che in qualche caso costituiscono la più antica informazione nota al cronista4.

C’è dell’altro. Agli autori vissuti tra l’ultimo quarto del XIII seco-lo e i primi decenni del XIV sembrava impossibile che prima del XII secolo non fossero state scritte cronache cittadine. Essi supposero, quindi, che quelle opere venissero composte, ma andassero poi per-dute in qualche incendio. Di un incendio che – nell’anno in cui morì Matilde – aveva bruciato le memorie fiorentine, ha scritto ver-so il 1280 il francescano Tommaver-so Tosco in una bella nota poi ripre-sa da Giovanni Villani5. In quello stesso incendio, secondo alcune

3. Cfr. F. FORTI, Cacciaguida, in Enciclopedia dantesca, I, Roma, 1970, pp. 733-739.

Anche la memoria familiare di Giovanni di Pagolo Morelli risale sino al XII secolo cfr. GIOVANNI DIPAGOLO MORELLI, Ricordi, in Mercanti scrittori, a cura di V. BRANCA, Milano,

1986, pp. 101-339: p. 104.

4. Tra i tanti esempi mi sembra di particolare rilievo un breve passo riconducibile alla tradizione bolognese che mescola realtà e mito. Lo cito da MATTHAEI DEGRIFFONIBUS

Memoriale historicum de rebus Bononiensium, a cura di L. FRATIe A. SORBELLI, Città di

Ca-stello, 1902 (Rerum Italicarum scriptores, 18/2), p. 4, 34-35: « MCXV. Obiit comitissa Ma-telda, que fuit filia marchionis Bonifacii et Beatrixie, filie Henrici tercii imperatoris, et sepulta fuit in comitatu Mantue ».

5. Cfr. THOMAS TUSCUS, Gesta imperatorum et pontificum, a cura di E. EHREFEUCHTER,

Hannover 1872 (M.G.H., Scriptores, 22), pp. 490-528: p. 500, 38-45: « [Comitissa Matil-dis] Mortua vero est anno a nativitate Christi 1115. Quo anno in burgo Sanctorum apo-stolorum Florencie ignis accensus est, qui magnam partem civitatis consumpsit, et quod residuum fuit predicte civitatis 1117 anno iterum ignis in sacrificium devoravit. Ex hoc factum est, quod in tam nobili civitate et antiqua, in ecclesiis vel monasteriis nulla scrip-ta antiquiscrip-tatis, nulli quasi libri sanctorum repperiuntur, quia omnia tunc per ignem as-sumpta sunt et deleta. In qua civitate, cum hoc opusculum colligerem, nullius antique scripture auxilium potui invenire, preter cronica Eustachii Romane ecclesie diaconi ». Il testo, sunteggiato, è riproposto in GIOVANNIVILLANI, Nuova cronica, a cura di G. PORTA,

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voci riproposte ad inizio Trecento dal domenicano Tolomeo da Lucca, proprio a Firenze sarebbe morta Matilde di Canossa6. Il passo della cronaca di Tommaso merita l’attenzione di chi è im-pegnato a studiare la storia della storiografia medievale e le vicen-de culturali fiorentine. Ma se associato alla nota di Tolomeo assume una valenza assai suggestiva – forzo un poco la mano alle fonti, ma si ricordi che il domenicano lucchese visse a Firenze e ne conosceva le cronache – perché mostra Matilde che muore tra le fiamme che can-cellano la memoria della città. Ecco perché – sembrano dire quei cronisti – del suo tempo non si sa nulla. La contessa, insomma, si po-ne veramente sulla sponda del Lete, tra l’oblio e la memoria come la Matelda dantesca.

In realtà Matilde ha fatto in tempo ad entrare come personaggio nella prima fase della cronachistica cittadina. La troviamo, ad esem-pio, nelle opere milanesi di Landolfo Seniore (che scrisse verso il 10807) e del suo contemporaneo Arnolfo, e anche nella cronaca più tarda di Landolfo Iuniore (o di San Paolo, scritta verso il 1135). Le opinioni relative a Matilde espresse da questi autori sono già state esaminate da chi ha studiato la biografia della contessa. Le riprendo assai brevemente: Arnolfo con lei è stato generoso (la definisce sa-pientissima, clarissima e dotata di magna prudentia8), mentre Landolfo

Parma, 1990, vol. I, pp. 214-215 (= libro V, cap. XXX). Il passo di Giovanni è esami-nato da F. RAGONE, Giovanni Villani e i suoi continuatori. La scrittura delle cronache a Firenze

nel Trecento, Roma, 1998 (Nuovi studi storici, 43), p. 15, dove si richiama l’attenzione

anche su un’altra nota in cui Giovanni data al tempo di Totila la perdita delle antiche scritture fiorentine.

6. Die Annalen des Tholomeus von Lucca in doppelter Fassung, a cura di B. SCHMEIDLER,

Berlin, 1930 (M.G.H., Scriptores rerum Germanicarum, n.s., 8), p. 35, 1-10: « Anno Domi-ni MCXV. Civitas Florentia quasi tota fuit combusta, et multe persone ibidem, fuerunt mortue. Et eodem anno mortua esta comitissa Mattilda, domina totius Tuscie et Lom-bardie, et tradunt aliqui quod in illa conbustione civitatis Florentie fuerit mortua ».

7. Sono proprio le pagine dedicate a Matilde che aiutano a datare con maggiore precisione la cronaca di Landolfo che non può risalire a prima del 1075, come alcuni studiosi vorrebbero, anche perché riporta (sia pure imprecisa, come vedremo nelle pros-sime pagine) la notizia della morte del primo marito di Matilde, Goffredo il Gobbo, che risale al 1076. Cfr. P. CHIESA, Landolfo Seniore, in Dizionario biografico degli italiani, 63,

Roma, 2004, pp. 497-501.

8. Cfr. ARNOLFO DI MILANO, Liber gestorum recentium, a cura di I. SCARAVELLI,

Bolo-gna 1996 (Fonti per la storia dell’Italia medievale. Storici italiani dal Cinquecento al Millecinquecento ad uso delle scuole, 1), ad indicem.

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PROTAGONISTA DI UN SECOLO DIMENTICATO 305

Seniore non le ha risparmiato critiche; Landolfo di San Paolo, in-vece, non ha espresso particolari giudizi e, a mio avviso, anche questo è un atteggiamento interessante perché rivela come egli ancora non sapesse del mito di Matilde: la contessa manteneva agli occhi di quel cronista – che aveva all’incirca vent’anni quando lei morì – i tratti del personaggio concreto – ritratto mentre intervie-ne d’autorità intervie-nelle vicende della Chiesa favorendo l’eleziointervie-ne di vescovi e abati – anche se a quell’altezza cronologica il suo mito stava già prendendo forma9.

Di tutte le informazioni trasmesse da questi autori, credo sia soprattutto di rilievo porre l’accento sull’immagine di Matilde proposta da Landolfo Seniore e sulla sua mancata ricezione a di-spetto della fortuna di cui quello scritto godette nei secoli XIII e XIV quando, nonostante le posizioni anti-gregoriane, ebbe lettori che – dimentichi del carattere pubblicistico rivendicato dall’autore – utilizzarono le sue informazioni con fiducia e senza turbarsi di quanto affermato nella cronaca. Quella descritta dal prete milanese era una Matilde che, donna, guida e consiglia un maschio e non un uomo qualunque, ma un chierico che poi diventa il papa Gre-gorio VII: si tratta quindi di una figura scandalosa, presente anche in altre opere composte da cronisti vicini all’imperatore, a cui si contrapponeva – come riflessa in uno specchio – la Matilde gre-goriana che si fa affiancare (anzi chiede di essere affiancata) da un chierico (Anselmo da Baggio morto nel 1086 e poi Bonseniore) che la guida e la consiglia10.

Quella di Landolfo non è l’unica Matilde di cui nelle città italia-ne bassomedievali si è perduta la memoria. E questo a dispetto di una produzione letteraria che pure – soprattutto in ambienti vicini alla contessa – ebbe sia rilievo culturale, sia circolazione larga11. Il

9. LANDULPHI DE SANCTOPAOLOHistoria Mediolanensis, a cura di L. BETHMANN e PH.

JAFFÈ, Hannover, 1869 (M.G.H., Scriptores, 20), pp. 17-49, p. 21. Questa immagine solo

sfiorata dal mito ancora si può cogliere in cronache come quelle del vescovo di Cremo-na Siccardo o del magister faentino Tolosano composte ad inizio Duecento: cfr. FAINI,

La memoria di Matilde cit. (nota 1).

10. LANDULPHIHistoria Mediolanensis, a cura di L. C. BETHMANNe W. WATTEMBACH,

Hannover, 1848 (M.G.H., Scriptores, 8), pp. 32-100: pp. 97, 39-98, 21.

11. Si vedano in particolare i contributi raccolti in M. NOBILI, Gli Obertenghi e altri

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fatto è che a definire la figura di Matilde (e di Matilde nel suo tempo) intervenne anche una certa casualità. Mi spiego meglio: opere che ebbero larga circolazione nel basso medioevo italiano non raccontano molto di Matilde, mentre altri testi più ricchi di notizie finirono dimenticati oppure non si diffusero in Italia.

La cronaca universale del monaco Sigeberto di Gembloux, composta nei primi anni del XII secolo, funse da punto di parten-za per le principali compilazioni della seconda metà del Duecento, quelle che poi per secoli sono servite da riferimento per la cultura storiografica, e fu una fonte autorevole per i cronisti delle città italiane anche se spesso costoro non la conobbero direttamente, ma attraverso il largo uso che ne aveva fatto Vincenzo di Beau-vais. Ebbene quest’opera, scritta proprio al tempo di Matilde, del-la contessa non racconta nuldel-la anche se si sofferma assai su Grego-rio VII e se la posizione filo-imperiale dell’autore avrebbe potuto favorire la riproposizione di qualche voce malevola, magari a pro-posito dei suoi sfortunati matrimoni, argomento di maliziose pagi-ne già all’inizio del XII secolo12.

Anche la cronaca del monaco Frutolfo di Bamberga – altro testo composto mentre viveva Matilde – è decisamente filo-imperiale e come quella di Sigeberto trascura la contessa, persino quando riferisce dell’episodio di Canossa13. Ma il monaco Eccheardo d’Auria – mor-to nel 1126, che di Frumor-tolfo fu il continuamor-tore – non condivideva quei toni e completò la nota della morte di Matilde con un bel ri-tratto, dopo che in una pagina precedente l’aveva paragonata a De-bora, profetessa ma – sia per noi sia per quel monaco – soprattutto giudice di Israele14. Non è stato Eccheardo a proporre per primo questo accostamento: lo si trova – non sfruttato a dovere – anche nella Vita Mathildis di Donizone e in altri testi compilati da scrittori

12. SIGEBERTI GEMBLACENSIS Chronographia, a cura di L. C. BETHMANN, Hannover,

1844 (M.G.H., Scriptores, 6), 300-374. La morte di Matilde è ricordata nella Anselmi

Gemblacensis Continuatio, ibid., p. 376, 16.

13. L’unico luogo della cronaca in cui si parla di Matilde « potentissime per Italiam femine » è il passo dedicato alle elezioni dei papi Vittore III e Urbano II propiziate dalla contessa alleata con i Normanni: cfr. Frutolfs und Ekkehards Chroniken und die Anonyme

Kaiserchronik, a cura di F. J. SCHMALEe I. OTTSCHMALE, Darmstadt, 1972, p. 102, 2-11.

14. Ibid., p. 276, 9-10, per Matilde nuova Debora; e ibid., p. 314, 15-18, per l’elo-gio che accompagna la notizia della morte della contessa.

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PROTAGONISTA DI UN SECOLO DIMENTICATO 307

vicini alla contessa. Era in effetti un’immagine potente: Matilde giu-dice, come giudice era stata solo Debora. Però il parallelo poteva es-sere pericoloso – già Bonizone da Sutri nel Liber de vita christiana ne fece uso polemico proprio contro Matilde15 – e non ebbe fortuna nel basso medioevo, rimanendo escluso dal repertorio di figure con-fluite nel mito matildico anche se avrebbe potuto tornar utile, per esempio, a Odofredo e Cino nei passi del loro commento al Codice di Giustiniano in cui richiamarono il ruolo pubblico della contessa16.

I cronisti italiani non lessero le pagine di Eccheardo (e neppu-re quelle del suo continuatoneppu-re di primo Duecento, il monaco Burcardo di Ursperg, dove si riporta il celebre invito a « renovare libros legum » che Matilde avrebbe rivolto ad Irnerio). Niente di strano, si dirà: Bamberga è lontana e comunque le cronache scrit-te Oltralpe non arrivarono quasi mai ai lettori italiani. Essi però conobbero, sia pure indirettamente, l’opera di Frutolfo: il suo te-sto, infatti, fu tra le principali fonti della cronaca universale di Ot-tone di Frisinga, la quale a sua volta venne ampiamente ripresa negli anni Ottanta del XII secolo da Goffredo di Viterbo che era stato cappellano e notaio alla corte imperiale sin dal tempo di Corrado III e poi per tutto il periodo di Federico Barbarossa. Ma nel Pantheon di Goffredo, che ebbe molti lettori nelle città italiane prima dell’affermazione delle grandi sintesi di fine Duecento, Ma-tilde quasi non appare17.

15. BONIZO, Liber de vita christiana, a cura di E. PERELS, Berlin, 1930, p. 250 (= VIII, 29).

16. Cfr. Vita Mathildis celeberrimae principis Italiae carmine scripta a Donizone presbytero, a cura di L. SIMEONI, Bologna, 1931-1940 (Rerum Italicarum scriptores, 5/2), p. 80, 7-8; Vita

metrica s. Anselmi Lucensis episcopi auctore Rangerio Lucensi, a cura di E. SACKUR, G.

SCHWARTZ, B. SCHMEIDLER, Leipzig, 1926-1934 (M.G.H., Scriptores, 30/2), pp. 1152-1307:

p. 1232, 39; Anselmi episcopi Lucensis vitae primae fragmenta a. 1087, a cura di W. ARNDT,

Hannover, 1869 (M.G.H., Scriptores, 20), pp. 692-696: p. 694, 20.

17. GOTIFREDI VITERBENSIS Opera, a cura di G. WAITZ, Hannover, 1872 (M.G.H.,

Scriptores, 22), pp. 1-338: p. 248, 45-46, dove si ricorda che Beatrice di Lorena fu portata

in Germania da Enrico III specificando che era la madre di Matilde. Questo passo è ri-preso alla lettera da OTTONIS EPISCOPIFRISIGENSIS Chronica sive historia de duabus civitatibus,

a cura di A. HOFMEISTER, Hannover - Leipzig, 1912 (M.G.H., Scripores rerum

Germanica-rum in usum scholaGermanica-rum, 45), pp. 301, 35-302, 2, che riassume Frutolfs und Ekkehards Chro-niken cit. (nota 13), p. 70, 12-15, lasciando cadere la critica ai comportamenti di Beatrice

dopo la morte di Bonifacio che avevano causato l’intervento dell’imperatore (dopo bre-ve bre-vedovanza Beatrice abre-veva sposato Goffredo il Barbuto, per lussuria sembra insinuare Frutolfo in un passo in cui piuttosto che affermare si allude).

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Le secche note delle compilazioni riemergono dopo qualche decennio nelle cronache cittadine, accostate talvolta ad altre noti-zie, queste ultime spesso dai tratti fantasiosi. Il caso più interessan-te è costituito da una novelletta atinteressan-testata per la prima volta in una cronaca composta verso il 1120, che ricompare a distanza di oltre un secolo e mezzo per entrare solo in pieno Trecento nel reper-torio degli aneddoti matildici. Il prete Cosma di Praga – mentre narrava la tormentata storia della sua diocesi al tempo di Jaro-mir/Gebhard, vescovo dal 1067 al 1090 – aprì una parentesi per dedicare un inserto a Matilde di Canossa e al suo sfortunato ma-trimonio con Guelfo di Baviera che risaliva appunto agli ultimi anni di quell’episcopato, quando nel contesto della riforma grego-riana i contatti tra Roma e Praga furono più frequenti18. L’episo-dio è noto: Guelfo – di Svevia secondo il cronista – non fu in grado di consumare le nozze e Matilde lo cacciò con mala grazia. Si tratta della stessa novelletta che leggiamo in Giovanni Villani, il quale a sua volta la riprese alla lettera da Tommaso Tosco19. Co-sma, si è detto, scriveva verso il 1120, proprio l’anno in cui Guel-fo morì senza avere avuto figli. Tommaso compose la sua cronaca a Firenze intorno al 1280. In mezzo un silenzio lungo oltre cen-tocinquant’anni. Le due opere, anche se non presentano precise riprese testuali e anzi si differenziano nei dettagli minuti, mostra-no comunque forti somiglianze mostra-non solo quando raccontamostra-no la notte di nozze, proponendo entrambe un dialogo tra i coniugi costruito con il discorso diretto, soluzione inconsueta per il frate, oppure perché chiamano duca di Svevia Guelfo di Baviera (Tom-maso lo credeva forse imparentato con Federico II e Manfredi?), ma anche quando ricordano il ricco corteo che accolse il futuro sposo20. Però solo il francescano, che era pavese d’origine, ha

18. H. E. J. COWDREY, Pope Gregory VII (1073-1085), Oxford, 1998, pp. 448-451.

19. Cfr. ZABBIA, Prima del Villani cit. (nota 2), pp. 153-156.

20. Die Chronik der Böhmen Cosmas von Prag, a cura di B. BRETHOLZ, Berlin 1923

(M.G.H., Scriptores rerum Germanicarum, n.s., 2). Cfr. L. WOLVERTON, Cosmas of Prague.

Narrative, Classicism, Politics, Washington D. C., 2015, soprattutto le pp. 158-169, dove

analizzando la leggenda matildica si evidenziano le somiglianze di queste pagine con quelle che Cosma aveva dedicato alla regina Libusˇe (Lubossa), sostenendo che il prete avrebbe modellato la novelletta su quel precedente che la tradizione boema gli offriva. Ma la studiosa americana non prende in considerazione la fortuna della leggenda matil-dica e quindi non considera la diffusione di notizie relative ai matrimoni della contessa

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PROTAGONISTA DI UN SECOLO DIMENTICATO 309

specificato come l’incontro fosse avvenuto a Lomello, « castrum nobili de dyocesi Ticinensi »21. Supporre una forma di dipendenza diretta di Tommaso da Cosma non mi sembra prudente, pure se non lo si può escludere categoricamente poiché l’opera del prete ceco eb-be larga fortuna nel basso medioevo e ai francescani non mancava l’occasione per entrare in contatto con confratelli di regioni anche as-sai lontane. Meno azzardato mi pare ipotizzare per la cronaca di Co-sma il ricorso a una fonte scritta piuttosto che a una tradizione orale. Seguendo una prassi diffusa nelle cronache medievali, egli avrebbe impreziosito la sua narrazione – particolarmente povera di notizie per gli anni Settanta del secolo XI – con una bella pagina di sapore no-vellistico utilizzando un testo che non possediamo più, ma che anco-ra circolava nel Duecento22. Nel fare ciò il cronista boemo, che ave-va ambizioni da letterato, forse ritoccò la forma della sua fonte, ma non ne corresse le palesi inesattezze che pure riguardavano avveni-menti ancora recenti e personaggi importanti23. Anche i cronisti “sincroni” possono essere imprecisi – basti pensare a Landolfo Senio-re secondo il quale il primo marito di Matilde saSenio-rebbe stato un tal normanno di nome Gigone – ma il prete boemo in questa pagina è così disinformato da stupire il lettore. Egli ignora del tutto il

matri-che trovano posto nelle cronamatri-che. Le analogie matri-che compaiono nelle pagine della

Chroni-ca Boemorum dediChroni-cate a Libusˇe e a Matilde non impliChroni-cano di necessità che l’archetipo sia

la regina boema: Cosma avrebbe potuto prendere spunto dall’episodio matildico per ag-giungere qualche particolare alla remota storia di Libusˇe.

21. THOMASTUSCUS, Gesta imperatorum et pontificum cit. (nota 5), p. 500, 14.

22. Il capitolo dedicato a Matilde così ha inizio: « Sed quoniam incidit nobis mencio de Mathilda, unum, quod fecit femina viriliter, breviter referam, ne lectori fastidium in-feram » (Die Chronik der Böhmen Cosmas cit. [nota 20], p. 127, 19-21).

23. Bretholz oltre a riconoscere alcune riprese da Cicerone e dai libri della Bibbia, osserva che in questo episodio compare anche un prestito dalle Satire di Orazio già usato in un altro luogo del testo (cfr. Die Chronik der Böhmen Cosmas cit. [nota 20], p. 129, nota 5). Si osservi che questi richiami letterari, probabili abbellimenti della fonte, non sono presenti nella cronaca di Tommaso Tosco: per esempio i versi di Cosma con cui Matilde caccia Guelfo (quelli in cui si riprende Orazio) diventano solo una battuta nella cronaca del francescano, ma la minaccia di morte che chiude il mancato connubio è presente in entrambe le versioni. Ecco i testi: « I procul hinc monstrum, regnum ne pollue nostrum. / Vilior es galba, proiecta vilior alga. / Si mihi visus eris cras, morte mala morieris » (Die Chronik der Böhmen Cosmas cit. [nota 20], p. 129, 23-25); « Quod si facere distuleris, absque mortis periculo non evades » (THOMASTUSCUS, Gesta imperatorum

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monio della contessa con Goffredo il Gobbo – afferma, infatti che sia rimasta vergine per tutta la vita – e, soprattutto, non sa quando av-vennero le nozze con Guelfo e quanti anni ella avesse a quel tempo, dato che chiama puella una donna prossima ai quarantacinque anni. Così come non riferisce che Guelfo all’epoca era appena sedicenne: niente in questo brano – come nella parallela pagina di Tommaso Tosco – rivela la differenza d’età tra gli sposi, anche se un simile ele-mento avrebbe potuto facilmente essere utilizzato per aumentare il ridicolo che l’impietoso racconto fa ricadere sul giovane duca. C’è, inoltre, in questa pagina una crepa nella logica della narrazione: Co-sma ha dedicato il capitolo a Matilde dopo che la contessa è apparsa nella sua cronaca come consigliera ascoltatissima di Gregorio VII, se-condo la vulgata filoimperiale, mentre era impegnata nel 1074 ad aiu-tare il vescovo di Praga (Cosma vorrebbe che la contessa fosse paren-te di Jaromir per parparen-te di madre), ma ha riportato subito dopo un episodio che sarebbe avvenuto nel 1089 e fu messo in circolazione molto probabilmente per schernire Guelfo di Baviera24. Le pressioni dei principali tra i suoi sudditi e dei vescovi che indussero Matilde ri-masta orfana a trovare un marito che governasse i suoi domini e le desse degli eredi accanto alle altre tematiche che ritornano in veste parodistica in questo aneddoto richiamano la riflessione teologica che negli ambienti della riforma gregoriana aveva ridefinito il ruolo della donna all’interno della società ribadendone la soggezione al maschio e caricando di nuovi valori la verginità25: viene quindi da pensare che questa novella prendesse forma in contesto anti-imperiale dopo l’avvicinamento di Guelfo ad Enrico IV seguito alla separazione del duca da Matilde, oppure mentre il duca di Baviera era alleato di Enrico V. Resta da capire come mai Cosma, che era vicino a perso-naggi legati al fronte imperiale, abbia accolto nella sua opera una

fa-24. Conviene citare il ritratto di Matilde proposto nelle pagine della cronaca boema che precedono il capitolo dedicato allo sfortunato matrimonio con Guelfo, così che ri-sulti chiaro come nell’opera di Cosma siano confluiti temi antigregoriani: Chronik der

Böhmen Cosmas cit. (nota 20), p. 126, 18-23: « Huius quasi proprie domne ad nutum

omnis senatorius ordo parebat, et ipse Gregorius papa per eam divina et humana nego-cia disponebat, quia erat sapientissima consiliatrix et in omnibus adversationibus sive ne-cessitatibus Romane ecclesie maxima fautrix ».

25. Cfr. S. CHÉLINI, Les femmes dans la société médiévale au temps de la comtesse Mathilde

a travers l’oeuvre de Pierre Dumien, in Studi matildici. Atti e memorie del II Convegno di

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PROTAGONISTA DI UN SECOLO DIMENTICATO 311

vola che dileggiava un esponente di primo piano di quello stesso schieramento. La tradizione manoscritta della cronaca boema esclude che il capitolo matildico sia un inserimento posteriore alla stesura ori-ginale. Sorge quindi il dubbio che Cosma ritenesse che le nozze si fossero celebrate in un periodo di poco seguente la morte di Bonifa-cio di Canossa, e di conseguenza non sapesse che questo Guelfo di Svevia era in realtà Guelfo di Baviera. Resta comunque il fatto che la favola, già completa di tutti i suoi elementi, circolava sin dall’inizio del XII secolo, giunse in Italia non sappiamo quando, dal lombardo Tommaso fu portata a Firenze – la pur ricca cronachistica toscana non reca contributi al mito di Matilde26 – e grazie al volgarizzamen-to proposvolgarizzamen-to da Giovanni Villani si diffuse largamente, anche perché la Nuova cronica fu utilizzata dai primi commentatori della Divina commedia27.

L’analisi della fortuna di testi che tramettono il mito di Matilde non può esimersi da dedicare almeno un cenno alla Vita Mathildis del monaco Donizone28. Di quest’opera rimangono un codice di dedica coevo alla stesura, alcune copie d’età moderna, e tre manoscritti me-dievali. Per un’opera storiografica d’inizio XII secolo si tratta di una tradizione manoscritta di tutto rispetto anche se circoscritta all’ambito monastico. Interessante è anche la stesura di epitomi, alcune delle quali legate alla cronachistica cittadina. La redazione di compendi di testi storiografici medievali non è frequente, ma era comunque una soluzione praticata29, singolare è invece il fatto che del poema di

26. THOMASTUSCUS, Gesta imperatorum et pontificum cit. (nota 5), p. 500, 37, riferisce

che Matilde è sepolta a Pisa. Questa notizia ricompare anche nelle cronache pisane in volgare redatte nel Trecento ed è l’unica informazione sulla contessa trasmessa dall’intera memoria storiografica di quella città: cfr. Cronaca di Pisa di Ranieri Sardo, a cura di O. BANTI, Roma, 1963 (Fonti per la storia d’Italia, 99), p. 23, 1-6, che ritorna quasi con le

medesime parole in Cronica di Pisa. Dal ms. Roncioni 3338 dell’Archivio di Stato di Pisa, a cura di C. IANNELLA, Roma, 2005 (Fonti per la storia d’Italia medievale. Antiquitates, 22),

pp. 13-14 (= cap. 26).

27. Per Matilde nei commentatori di Dante si veda Matilde di Canossa nella letteratura

italiana da Dante a Pederiali, a cura di P. GOLINELLI, Reggio Emilia, 1997, pp. 23-26.

28. Si vedano P. GOLINELLI, Le origini del mito di Matilde e la fortuna di Donizone, in

Matilde di Canossa nelle culture europee del secondo millennio. Dalla storia al mito, a cura di P.

GOLINELLI, Bologna, 1999, pp. 29-51; e per un’analisi dell’opera E. RIVERSI, La memoria

di Canossa. Saggi di contestualizzazione della “Vita Mathildis” di Donizone, Pisa, 2013.

29. Soprattutto per opere di grande dimensione come lo Speculum historiale di Vin-cenzo di Beauvais: cfr. A. NADEAU, Deux abrégés du “Speculum historiale” par Adam de

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Donizone siano derivati almeno sei testi diversi – le epitomi: canos-siana, polironiana, veronese, reggiana, parmense e vigevanese – risul-tato di quattro stesure differenti (l’epitome veronese dipende dall’epi-tome canossiana; quella vigevanese dalla parmense)30. Tutte queste operette rispettano lo schema ideato da Donizone che prevede di ri-servare ampio spazio alle vicende degli antenati della contessa, anche quando gli autori si mostrano dotti, ricorrono ad altre fonti per inte-grare il racconto e magari si fanno travolgere dalla complessità delle vicende del Regno d’Italia, moltiplicando, ad esempio, i sovrani di nome Berengario.

La singolare fortuna del poema compendiato è attestata dal terzo quarto del Duecento, quando il notaio reggino Alberto Mi-lioli copiò un’epitome – solo per questo motivo detta reggiana – nel Liber de temporibus, una cronaca universale d’autore ignoto, forse compilata da un monaco31. Tradizionalmente datate al Due-cento sono l’epitome parmense e quella canossiana, mentre ai pri-mi anni del XIV secolo risale l’epitome polironiana, nota al do-menicano Francesco Pipino che la inserì nel suo Chronicon32. Quando riusciamo a legare una delle epitomi ad un contesto pre-ciso – cioè nelle compilazioni del notaio Milioli o del domenica-no Pipidomenica-no – troviamo scritture che lasciadomenica-no la tradizione monasti-ca, l’unica che conserva la Vita di Donizone, e si collocano in ambiente urbano, accostandosi all’attenzione per la storia universa-le diffusa neluniversa-le città italiane dall’ultimo quarto del Duecento. Questo rilievo assegnato alla storia universale non contribuì solo alla fortuna dell’opera di Donizone in forma compendiata, fu – lo abbiamo già visto a proposito della compilazione di Tommaso Tosco – il volano che diffuse nella cultura cittadina bassomedieva-le l’immagine fantastica di Matilde che già si stava formando

all’i-Clermont: les “Flores historiarum” et le “Speculum gestorum mundi”, in Vincent de Beauvais: intentions et réceptions d’une oeuvre encyclopédique au Moyen Âge, a cura di M. PAULMIER

-FOUCART, S. LUSIGNAN e A. Nadeau, Paris, 1990 (= Cahiers d’études médiévales, Cahier

spécial, 4), pp. 413-437.

30. Cfr. GOLINELLI, Le origini del mito di Matilde cit. (nota 27), pp. 42-49.

31. M. GIANSANTE, Milioli, Alberto, in Dizionario biografico degli italiani, 74, Roma,

2010, pp. 497-499.

32. A. RIZZI, L’autore dell’“Epitome Polironense” e il mito della contessa Matilde di

Canos-sa nella storiografia ferrarese del Trecento e Quattrocento, in Il Principe e la Storia, a cura di T.

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PROTAGONISTA DI UN SECOLO DIMENTICATO 313

nizio del XII secolo. Spettò alle opere composte da frati minori e predicatori mettere in circolo il ritratto di questa mitica Matilde che si sovrappose a quella più “vera” raccontata da Donizone.

Possiamo scorrere qualche cronaca di frati. Il primo autore da consultare è il domenicano Martino Polono, la cui compilazione servì da fonte di riferimento per tanti cronisti cittadini sin dagli anni Settanta del Duecento. Martino ha messo in risalto il peso dell’azione politica di Matilde non con il racconto di qualche epi-sodio – salvo che per la guerra condotta da lei e dal « dux Spole-tanus Godefredus » contro i Normanni33 – ma stendendo un bre-ve passo in cui si ricordano lo scontro che contrappose la contessa all’imperatore e il lascito di tutti i suoi beni a san Pietro: copiata centinaia di volte e tradotta in volgare già nel XIII secolo questa nota fornisce i tratti della più diffusa immagine di Matilde34. Il francescano Salimbene de Adam si discosta dagli altri autori pro-venienti dagli ordini mendicanti perché lui solo conobbe e citò

33. L’episodio risale al 1066 e a guidare la spedizione contro i Normanni fu Goffre-do il Barbuto, che in quel tempo era anche duca di Spoleto: vedi MARTINI OPPAVIENSIS

Chronicon pontificum et imperatorum, a cura di L. WEILAND, Hannover, 1872 (M.G.H.,

Scriptores, 22), pp. 377-475: p. 434, 17-18. Secondo Weiland quest’informazione

provie-ne dalla Vita di Alessandro II di Bosoprovie-ne, dove però non si legge che Goffredo fosse du-ca di Spoleto: cfr. Le “Liber pontifidu-calis”. Texte, introduction e commentaire, a cura di L. DUCHESNE, Paris, 1892, vol. II, p. 360, 4-17. A sua volta Bosone ha riassunto in modo

impreciso BONIZONIS EPISCOPISSUTRINI Liber ad amicum, a cura di E. DÜMMLER,

Hanno-ver, 1891 (M.G.H., Libelli de lite, I), pp. 568-620: p. 509, 8-15. La ragione della nota si coglie solo dal passo di Bonizone, in cui accanto a Goffredo il Barbuto – che non è ri-cordato come duca di Spoleto – compaiono sia Beatrice sia Matilde: quella spedizione contro i Normanni andava ricordata perché costituì la prima azione compiuta da Matil-de in difesa Matil-della Chiesa.

34. MARTINIOPPAVIENSISChronicon pontificum et imperatorum cit. (nota 33), p. 434,

18-22: « Hec Matildis fuit comitissa adeo potentissima, quod etiam cum imperatore bello durissimo congressum habuit. Que cum amplissimis possessionibus habundaret, totum patrimonium suum super altare sancti Petri optulit et hoc quod optulit adhuc usque in hodiernum diem dicitur patrimonium sancti Petri ». Ecco lo stesso passo in un volgariz-zamento fiorentino di fine Duecento: « Questa contessa Mactelda fu di tanta potentia, che collo imperadore fece molte e molte bactaglie, e ebbe più vectorie. Et ciò sappiate, ch’ell’era ricchissima donna e di gran possessioni, e tucte l’offerse alla Chiesa del beato Pietro. E chiamasi ancora al giorno d’oggi il patrimonio di San Pietro » (Cronica fiorentina

compilata nel secolo XIII, in Testi fiorentini del Dugento e dei primi del Trecento, a cura di A.

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con larghezza la Vita di Donizone35. Gli era nota anche la crona-ca di Tommaso Tosco, ma non la usò per integrare il poema con l’episodio dedicato alle nozze con Guelfo di Baviera, forse perché – come ebbe cura di specificare – egli era devoto alla contessa, un personaggio che faceva parte della sua memoria familiare36. Il do-menicano Tolomeo da Lucca a proposito di Matilde ha scritto « de qua magna dicuntur et de ipsa diffuse sunt historie », ma non ha ritenuto di ripetere quelle notizie e nella sua Historia ecclesiastica si è limitato a riportare il poco che trovava in Martino37. Neppu-re il frate pNeppu-redicatoNeppu-re Iacopo da Varazze, vescovo di Genova, ave-va letto il poema di Donizone: non bisogna farsi portare fuori strada dalla breve nota che nella sua cronaca di Genova ripercorre la genealogia matildica secondo la versione della Vita Mathildis: la ritroviamo nell’incipit dell’epitome canossiana (quella più diffusa) e forse circolò anche indipendentemente da quel testo. Egli non co-nosceva neppure la cronaca di Tommaso Tosco, ma possedeva al-tre informazioni sulle nozze di Matilde. Nelle sue pagine si rac-conta un episodio che possiamo ricondurre al primo matrimonio della contessa anche se il cronista non ricorda il nome dello sposo: questa unione si sarebbe conclusa dopo la nascita di un bambino, morto poco dopo il parto38. Dagli studi di Paolo Golinelli sappia-mo che quella leggenda ha un fondo di verità, poiché Matilde eb-be da Goffredo il Gobbo una figlia morta in fasce39, ma la tradi-zione ha caricato questo episodio luttuoso di numerosi altri detta-gli: Iacopo da Varazze sosteneva che, provati i dolori del parto, la contessa non avrebbe più voluto adempiere ai doveri coniugali e

35. Cronica fratris Salimbene de Adam Ordinis Minorum, a cura di O. HOLDER-EGGER,

Hannover-Leipzig (M.G.H., Scriptores, 32), pp. 355-357. Holder-Egger riteneva che il fra-te conoscesse anche l’epitome reggiana trascritta da Alberto Milioli (ibid., p. 378, nota 3).

36. Ibid., p. 378, 12-15: « Certe tres mulieres sunt michi valde amabiles, que forte ab aliis non reputantur, scilicet Hélena Constantini mater, Galla Placidia mater Valentiniani im-peratoris et comitissa Matildis »; e ibid., p. 38, 10 per il rimando alla memoria familiare.

37. THOLOMEUS LUCENSIS, Historia ecclesiastica nova, a cura di O. CLAVOUT, Hannover,

2009 (M.G.H., Scriptores, 39), p. 439, 17-21. Tolomeo ha poi ricordato anche in que-st’opera la morte di Matilde nell’incendio che bruciò Firenze: ibid., p. 459, 17-460, 1.

38. IACOPO DAVARAGINE, Cronaca di Genova dalle origini al MCCXCVII, a cura di G.

MONLEONE, II, Roma, 1941 (Fonti per la storia d’Italia, 84-86), pp. 290-291.

39. P. GOLINELLI, Frassinoro: un crocevia del monachesimo europeo nel periodo della lotta per

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PROTAGONISTA DI UN SECOLO DIMENTICATO 315

pertanto si sarebbe separata dal marito40. Qualche anno dopo il domenicano milanese Galvano Fiamma riprese le pagine di Iacopo e vi aggiunse una truce continuazione: quando Goffredo – ma neanche in questa cronaca si riporta il nome dello sposo di cui si dice solo che era un nobile conte – cercò di riprendersi la moglie, Matilde gli marciò contro con un esercito e lo uccise in battaglia con un colpo d’ascia41. Trovano così esponenziale amplificazione le voci che volevano la contessa mandante dell’omicidio di Gof-fredo e che circolarono subito a ridosso della morte violenta del duca e già Landolfo Seniore aveva raccolto. Anche in questo caso, come in quello relativo al matrimonio con Guelfo, è possibile ri-conoscere nelle stesure due e trecentesche la traccia di tematiche elaborate negli ambienti gregoriani al tempo di Matilde: i racconti costruiti intorno ai matrimoni della contessa sembrano, infatti, ri-conducibili a un filone più generale al quale appartengono la leg-genda delle caste nozze dell’imperatore Enrico II e altri episodi su cui ha richiamato l’attenzione Georges Duby42. Perduto il loro si-gnificato originale, i racconti delle sfortunate nozze della contessa, sempre chiusi da una rassicurante nota che ribadiva i legami di Matil-de con san Pietro, diventano solo episodi come gli altri che i cronisti riportano nelle loro compilazioni. Ma l’esistenza di personaggi che si chiamassero Goffredo duca di Lorena oppure Guelfo duca di Baviera rimase di fatto ignota a questi cronisti: solo Arnolfo di Milano sapeva che Matilde si era sposata con Goffredo il Gobbo43.

La vita coniugale della contessa non esaurisce l’aneddotica che la riguarda. Tommaso Tosco era a conoscenza del solo matrimonio con

40. Questo episodio compare anche nell’epitome veronese, dove si aggiunge che Matilde aveva sposato uno dei suoi nobili cavalieri. Cfr. Antica vita della contessa Matilde

di Canossa tratta da un antico codice ms, a cura di G. G. ORTI, Verona, 1834, prima di un

ritratto di Matilde si legge che « Mathildis ista comitissa quendam nobilem ex militibus suis in maritum accepit. De quo concepit et peperit filium qui parum supervivens, diem obiit. Ipsa autem propter dolorem partus amplius virum conoscere noluit, sed factus est inimicus eiusdem » (p. 11).

41. GALVANEUSFLAMMAORDINISPREDICATORUM, Chronicon maius, a cura di A. CERUTI,

Torino, 1869 (Miscellanea di storia italiana, 7), pp. 506-773: pp. 622-623.

42. G. DUBY, Il cavaliere la donna il prete. Il matrimonio nella Francia feudale,

Mila-no,1992.

43. ARNOLFO DIMILANO, Liber gestorum recentium cit. (nota 8), p. 158, 20-23 (= libro

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Guelfo e quindi ignorava la nascita di un figlio della contessa, sapeva però che la madre di Matilde era una principessa bizantina che un giovane cavaliere lombardo aveva rapito e portato in Italia; l’impera-tore – nessuno dei tre personaggi ha un nome – ritrovò la figlia e il genero che si erano rifugiati presso il vescovo di Reggio Emilia e li colmò di beni – appunto i beni dei Canossa – grazie ai quali in se-guito Matilde avrebbe potuto fondare e dotare monasteri e chiese44. Anche in questo caso la novella raccontata dal francescano è nota perché fu volgarizzata da Villani arrivando così ai commentatori della Divina commedia45. Ma pure questa leggenda non ha origine in To-scana e probabilmente, come quella sulle nozze con Guelfo, Tom-maso l’aveva appresa a Pavia, sua città d’origine, oppure in Lombar-dia: il frate, che lamentava la carenza di cronache fiorentine, dedicò molte note alla storia lombarda del XII secolo, rivelando così la pro-venienza delle sue fonti.

La somiglianza di questa novelletta con la leggenda delle origi-ni degli Aleramici – tanto palese da avere indotto nel Quattrocen-to il Boiardo ad affermare che le due principesse fossero sorelle46 – rende verosimile individuare il suo luogo d’origine nell’Italia settentrionale. Nel caso della leggenda aleramica, riportata dal cro-nista domenicano Iacopo d’Acqui verso il 1330 e nota anche – ma con significative varianti – a Galvano Fiamma, la nobilissima fan-ciulla sedotta da un cavaliere lombardo progenitore della dinastia piemontese non è figlia dell’imperatore d’Oriente ma del suo omologo germanico, di cui si riferisce il nome Ottone (VI per Ia-copo, III secondo Galvano). E anche nella tradizione aleramica ri-copre un ruolo di rilievo un vescovo, quello d’Alba, presso il quale i due giovani sposi – Aleramo e la principessa di cui non si ricorda il nome – trovarono rifugio47. Resta ancora da osservare

44. THOMASTUSCUS, Gesta imperatorum et pontificum cit. (nota 5), p. 499.

45. Sulla memoria di Beatrice di Canossa ha raccolto molto materiale E. GOEZ,

Bea-trix von Canossa und Tuszien. Eine Untersuchung zur Geschichte des XI Jahrhunderts,

Sigma-ringen, 1995, pp. 165-191, in particolare pp. 177-178.

46. RIZZI, L’autore dell’“Epitome Polironense” cit. (nota 32) p. 192, con una lunga

cita-zione dal volgarizzamento della Historia imperiale di Riccobaldo dovuto a Matteo Maria Boiardo dal quale si evince che al traduttore era nota nei dettagli la leggenda aleramica.

47. Cfr. M. ZABBIA, La « Cronica imaginis mundi » di Iacopo d’Acqui nella cultura

storio-grafica del Trecento, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, 113/2 (2015), pp. 281-314: pp.

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PROTAGONISTA DI UN SECOLO DIMENTICATO 317

che il notaio Riccobaldo da Ferrara verso l’anno 1300 conosceva una variante di questo capitolo della leggenda matildica in cui si diceva che la madre di Matilde – il notaio non ne conosceva il nome – era figlia dell’imperatore tedesco Enrico (III riteneva Ric-cobaldo) e che era stata sedotta da un cavaliere di nome Bonifa-cio, il quale – secondo quanto narrato solo nel Compendium – ve-niva da Lucca. Anche in questo caso i due giovani trovarono rifu-gio presso un vescovo (non si specifica di quale città) e una volta raggiunti dall’imperatore ottennero larghissimi beni48. Senza sof-fermarsi più a lungo su questo episodio, possiamo chiudere dicen-do che le due varianti della leggenda – quella di Tommaso, stesa verso il 1280, e quella di Riccobaldo, scritta vent’anni dopo – hanno così tanti particolari in comune da poter essere considerate il frutto della rielaborazione del medesimo testo, ma presentano anche differenze tali da escludere una dipendenza diretta del no-taio dal francescano. Anzi non possiamo scartare l’ipotesi che Ricco-baldo tramandi la versione più antica come sembrano indicare sia la maggiore somiglianza con la parallela leggenda aleramica (in entrambi i testi si ricorda il nome del cavaliere e non quello della principessa), sia la presenza nelle pagine del ferrarese di elementi verosimili che non tornano in quelle di Tommaso, visto che Beatrice di Lorena po-teva essere ricordata come figlia dell’imperatore perché fu allevata a corte ai tempi di Corrado II, predecessore di Enrico III (mentre po-trebbe essere un topos il rimando a Ottone nella leggenda aleramica, poiché fu una tendenza diffusa nelle cronache bassomedievali colloca-re l’origine delle più illustri famiglie al tempo degli Ottoni49). Nelle compilazioni di Riccobaldo non si trova alcun cenno ai matrimoni

48. L’episodio compare in tutte le compilazioni di Riccobaldo: la versione più ampia è in RICOBALDI FERRARIENSIS Compendium Romanae historiae, a cura di A. T. HANKEY,

Roma, 1984 (Fonti per la storia d’Italia, 108), vol. II, pp. 713-714 (= libro XI, cap. 61); in RICCOBALDO DA FERRARA, Pomerium Ravennatis ecclesie, edizione digitale a cura di G.

ZANELLA, Cremona, 2001, p. 43 (= IV. 91. 4); e in RICOBALDI FERRARIENSIS Compilatio

chronologica, a cura di A. T. HANKEY, Roma, 2000 (Fonti per la storia d’Italia. Rerum

Ita-licarum scriptores, 4), p. 158, non si specifica l’origine lucchese di Bonifacio Il passo è

sta-to analizzasta-to da RIZZI, L’autore dell’“Epitome Polironense” cit. (nota 32), pp. 184-186,

se-condo cui Riccobaldo dipende da Tommaso Tosco, opinione che non trova conferma nell’analisi dei testi proposta in questa sede.

49. Giunsero in Toscana al tempo di Ottone I i Guidi e gli Uberti secondo quanto narra GIOVANNIVILLANI, Nuova cronica cit. (nota 5), p. 161 (= libro V, cap. I).

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della contessa: è quindi probabile che gli episodi relativi alle nozze tra Bonifacio e Beatrice e ai matrimoni di Matilde con Goffredo prima e Guelfo poi circolassero indipendentemente l’uno dagli altri.

Come ha già notato l’editrice di Riccobaldo, questo capitolo della leggenda matildica nella versione trasmessa dal Compendium ricompare nell’Epitome polironense, quella che sappiamo essere nota anche a Francesco Pipino, il quale conosceva ed utilizzò le opere del notaio ferrarese50. Nel testo dell’epitome la versione di Donizo-ne è accostata a quella leggendaria – « est tamen aliquorum opinio » ha scritto il compendiatore – perché l’autore, mentre riassumeva la Vita Mathildis, ritenne opportuno integrarla con altre informazioni ri-portate da fonti autorevoli51. In particolare fu la questione dei matri-moni della contessa ad attrarre l’attenzione dell’epitomatore il quale per questo tema non si limitò a colmare il silenzio di Donizone, ma interruppe l’ordine della narrazione che gli veniva dal poema per re-digere un apposito lungo capitolo costruito accostando fonti diverse secondo la tecnica dei compilatori52. Egli non conosceva la cronaca di Tommaso Tosco e neppure da altre testimonianze gli era noto il matrimonio di Matilde con Guelfo di Baviera. Aveva invece letto la cronaca di Genova di Iacopo da Varazze ed era a conoscenza del pri-mo matripri-monio della contessa, terminato dopo la nascita di un figlio: egli inoltre ha affermato di sapere da Landolfo di San Paolo che il marito di Matilde si chiamava Goffredo e, fraintendendo un’infida nota di Martino Polono, ha affermato che costui sarebbe stato duca di Spoleto53. Infine da Landolfo Seniore – qui chiamato Dazio, co-me in tante opere di quel tempo – aveva ricavato le notizie relative a Gigone, divenuto in questa ricostruzione il secondo marito della contessa, di cui l’epitomatore ha ricordato solo l’assassinio in una latrina.

50. Cfr. M. ZABBIA, Pipino, Francesco, in Dizionario biografico degli italiani, 83, Roma,

in corso di stampa.

51. L’Epitome polironense è edita da L. Simeoni in appendice a Vita Mathildis comitissae cit. (nota 16), pp. 111-127. Il passo sulle nozze dei genitori di Matilde, in cui si dice che Bonifacio era di Lucca, si legge ibid., p. 117, 33-41.

52. Ibid., pp. 118, 30-119, 30.

53. Ma nella cronaca di Landolfo di San Paolo non è menzionato Goffredo il Gob-bo. L’unica cronaca milanese che ne riporta il nome – ricordando anche le circostanze della sua morte – è quella di Arnolfo (cfr. sopra nota 43 e testo corrispondente). Per il passo di Martino Polono cfr. sopra nota 33 e testo corrispondente.

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Fu Francesco Pipino l’autore di quest’epitome? Il domenicano bolognese ne avrebbe avuto gli strumenti, ma le caratteristiche della sua opera invitano a valutare con cautela tale ipotesi perché in nessun altro luogo del Chronicon di Francesco compare un’altra opera in forma compendiata. Nelle pagine che precedono l’epito-me della Vita Mathildis egli ha riportato alcune notizie relative a Matilde e a Bonifacio di Canossa ricavandole dalle cronache di Arnolfo e Landolfo Seniore, secondo una prassi che ricorre in tut-ta la sua opera, fortemente debitrice della tradizione storiografica milanese. Poi ha inserito il lungo riassunto del poema di Donizo-ne che gli ha permesso di integrare con notizie relative alla storia italiana il suo testo che in queste pagine dipende principalmente dallo Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais54. Non ci si al-lontana forse dal vero se si ipotizza che, copiando l’epitome, il domenicano si accorse che quanto stava scrivendo non trovava conferma in altre opere che gli erano note e quindi stese il solo capitolo dedicato ai matrimoni della contessa.

Resta da aggiungere che la contemporanea diffusione nei medesi-mi ambienti delle epitomedesi-mi di Donizone e degli aneddoti leggendari sembra essersi svolta parallelamente (con la sola eccezione dell’epito-me polironiana e di quella veronese): i compilatori, infatti, non co-noscevano la Vita Mathildis nella versione originale e neppure nella forma del compendio. Contrariamente a quanto è stato affermato an-che di recente Riccobaldo non sapeva dell’esistenza di Donizone e della sua opera. In effetti nel Compendium riccobaldiano compare un certo Diodicionis che dedicò un libro a Matilde, e anche nel Pomerium edito da Gabriele Zanella si legge un passo analogo: ma quell’autore è in realtà Bonizone da Sutri e l’opera di cui si parla è il Liber ad ami-cum. In questo caso non c’è margine di dubbio: già la Hankey ha os-servato che il passo di Riccobaldo dipende dalla Legenda aurea del do-menicano genovese Iacopo da Varazze55; e il più recente editore della Legenda ha identificato con precisione i passi del Liber ad amicum a cui il vescovo genovese si riferiva56. La breve storia universale

rac-54. Il ricorso alle cronache milanesi nelle note del Chronicon che procedono il testo del-l’epitome è stato rilevato da RIZZI, L’autore dell’“Epitome Polironense” cit. (nota 32), p. 188.

55. RICOBALDIFERRARIENSISCompendium cit. (nota 48), p. 713 (= cap. 60).

56. Cfr. IACOPO DAVARAZZE, Legenda aurea, a cura di G. P. MAGGIONI, Firenze, 1998,

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contata dal Liber ad amicum in effetti ebbe una certa circolazione e Ia-copo da Varazze che nella Legenda inserì anche una sintesi di storia universale, conobbe l’opera di Bonizone.

A dispetto della diffusione che verso la fine del Duecento rimise in circolo il poema di Donizone, gli storici attivi nella prima metà del Trecento – anche quando erano dotti e bene informati come Riccobaldo e Galvano – nelle loro opere accolsero la versione mera-vigliosa della vita di Matilde. Le voci sul conto della contessa e dei suoi sfortunati matrimoni che circolavano già dall’inizio del XII seco-lo, colpirono l’attenzione degli storici dei secoli successivi, sempre propensi a registrare nelle loro opere i mirabilia, più delle questioni sollevate dall’eredità matildica o del gran numero di fondazioni reli-giose la cui origine era legata all’iniziativa della contessa. Così facendo essi accolsero tradizioni diverse, elementi di un repertorio matildico che aveva preso forma stabile nel Duecento. Ma perché questi fatti meravigliosi potessero essere accolti nelle pagine di scrittori dotti e di storici seri, capaci di vagliare con spirito critico le loro fonti, bisogna-va che del secolo XI nulla si sapesse. Per tornare al quesito di Nardi con cui ho iniziato: della Matilde della storia Dante non sapeva nulla; dell’altra Matilde, quella della tradizione, avrà avuto invece notizia forse sin dal tempo in cui viveva a Firenze dove negli anni della sua giovinezza scriveva Tommaso Tosco e la cronaca di Martino già cir-colava in volgare. Ma quanto poco l’energica Matilde ritratta da quei frati somiglia alla donna che raccoglie fiori nel paradiso terrestre e canta come un’innamorata. Come avviene tante volte con Dante « la vera sentenza non si può vedere se l’autore non la conta », quindi – seguendo l’assennato consiglio di Benedetto Croce – non voglio pro-seguire su questa strada57. Ci basti notare che per i contemporanei di Dante Matelda era Matilde, la famosa contessa. L’impatto della cronaca di Giovanni Villani sulla cultura storiografica trecentesca ha segnato anche in questo caso – come in tanti altri58 –

l’inter-57. B. CROCE, La poesia di Dante, Bari, 1920, p. 5 per la citazione (che riprende un

passo del Convivio) e pp. 14-15 per qualche osservazione su Matelda (cito dalla ottava edizione, Bari, 1956).

58. Il V libro della Nuova cronica costituisce la messa a punto del passato cittadino che ha segnato con maggiore profondità la memoria dei fiorentini. Mi limito a riportare un esempio interessante. Alcuni commentatori della Commedia hanno ritenuto che l’impe-ratore di nome Corrado che compare nel canto di Cacciaguida sia Corrado II (e non

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pretazione del passato che servì ai primi lettori di Dante per com-prendere la Commedia.

come vorrebbe la cronologia Corrado III): questo fraintendimento credo dipenda dal fatto che Villani ha collocato al tempo di quel sovrano l’origine delle più antiche fami-glie fiorentine, tra le quali si volevano contare gli Alighieri: cfr. la voce redazionale

Cor-rado II, in Enciclopedia dantesca, II, Roma, 1970, p. 218, dove si riporta che Pietro di

Dante, Francesco di Bartolo da Buti e il più recente Cristoforo Landino hanno identifi-cato « lo ’mperador Currado » con Corrado II.

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