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Progettazione e sintesi di derivati indolici e benzimidazolici quali potenziali inibitori della proteina MICAL 2

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Corso di Laurea Magistrale in Chimica e Tecnologia

Farmaceutiche

Tesi di Laurea

PROGETTAZIONE E SINTESI DI DERIVATI INDOLICI E

BENZIMIDAZOLICI QUALI POTENZIALI INIBITORI DELLA

PROTEINA MICAL 2

Relatori: Candidata:

Prof.ssa Sabrina Taliani Giulia Menichini

Dott.ssa Elisabetta Barresi

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INTRODUZIONE ... 4

1. IL TUMORE- GENERALITA’ ... 5

1.1 MODALITA’ DI INSORGENZA DEI TUMORI ... 8

1.2 TERAPIE ANTICANCRO ... 14

2. LA FAMIGLIA DI PROTEINE MICAL ... 19

2.1 STRUTTURE DELLE PROTEINE MICAL ... 21

2.2 MICAL 2 ... 24

INTRODUZIONE ALLA PARTE SPERIMENTALE ... 39

PARTE SPERIMENTALE ... 48

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1. IL TUMORE- GENERALITA’

Il cancro è la seconda causa di morte nei paesi industrializzati, dopo le malattie cardiovascolari. L'aumento della longevità e la riduzione delle morti provenienti da altre gravi malattie, danno ai tumori più tempo per svilupparsi, per questo sono parzialmente coinvolti nell'aumento dell'incidenza del cancro nel XX secolo. [1] I tumori, o neoplasie, sono malattie caratterizzate da una crescita cellulare incontrollata e da alterazioni funzionali, o più spesso strutturali, come le mutazioni. [2]

Gli effetti provocati dalle mutazioni cancerogene sono:

a. acquisizione dell’autonomia moltiplicativa per sopravvenuta incapacità a sottostare ai meccanismi regolatori della proliferazione cellulare;

b. riduzione o perdita della capacità differenziativa;

c. riduzione o perdita della possibilità̀ di andare incontro a morte cellulare programmata.

La massa tumorale presenta quindi un numero di cellule che si moltiplicano ed un minor numero di esse che muore facendo sì che, quelle che sopravvivono, continuino a moltiplicarsi espandendosi in maniera incontrollata.

Le mutazioni responsabili della formazione del tumore coinvolgono tre diverse classi di geni:

 Oncogeni: sono sequenze genomiche direttamente coinvolte nella trasformazione neoplastica; la loro sovraespressione, o la modifica funzionale, alterano la funzione regolatoria delle proteine coinvolte nella crescita cellulare. Le mutazioni, che comprendono questi geni, fanno sì che solo una singola copia del gene mutato sia sufficiente per l’azione oncogenica poiché possiedono un fenotipo di tipo dominante.

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 Geni della soppressione tumorale: sono geni recessivi, quindi, entrambe le coppie alleliche devono essere mutate per la perdita della loro funzione. Sono coinvolte nella delezione genica o nel silenziamento del gene che determina l’inattivazione dello stesso.

 Geni mutati: la loro espressione serve per mantenere l’integrità e stabilità genomica, modificazioni molecolari di essi portano ad aumentare la possibilità di mutazioni negli altri geni coinvolti in oncogenesi.

I tumori possono essere classificati in tumori benigni e in tumori maligni (Fig. 1), a seconda delle caratteristiche morfologiche, dei metodi di crescita e del comportamento nei confronti dei tessuti confinanti dell’organismo.

I tumori benigni sono costituiti da cellule che mantengono quasi inalterate le caratteristiche morfologiche e funzionali in confronto a quelle normali, possiedono una capsula fibrosa ed hanno una autonomia moltiplicativa in quanto non rispondono ai meccanismi regolatori di proliferazione cellulare. Sono caratterizzati

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da uno sviluppo di tipo espansivo che comprime le cellule senza disintegrarle [2]. Una volta asportati non abbiamo recidive.

I tumori maligni sono costituiti da cellule che appaiono morfologicamente e funzionalmente diverse da quelle normali, sono generalmente più pericolosi poiché invadono i tessuti e si diffondono in siti lontani dal luogo d’origine (le metastasi che promuovono la formazione di tumori secondari). I tumori maligni, infatti, possono permeare i vasi sanguigni e linfatici e nonostante la rimozione chirurgica è possibile una recidiva nella stessa posizione anatomica.

I più diffusi tra questi tipi di tumori sono i carcinomi (neoplasie che traggono origine dagli epiteli), più frequenti dei sarcomi (costituiti da tessuto connettivo) e delle emoblastosi; questo probabilmente perché l’epitelio della pelle, delle mucose o degli organi parenchimatosi è più esposto ai fattori nocivi dell’ambiente.

Differiscono da quelli benigni per le seguenti caratteristiche: a. non sono incapsulati rispetto ai tessuti circostanti;

b. il tessuto in crescita irregolare non differisce molto nella forma dal tessuto iniziale;

c. il tessuto cancerogeno cresce in maniera autonoma senza inibizioni (in maniera infiltrativa) e con azione distruttiva;

d. il tessuto cancerogeno può immettere cellule tumorali nelle vie linfatiche ed ematiche; queste cellule si localizzano su altri organi e tessuti provocando tumori secondari (metastasi);

e. sono recidivi cioè si può avere la riformazione del tessuto cancerogeno nel sito d’origine dopo l’asportazione chirurgica.

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1.1 MODALITA’ DI INSORGENZA DEI TUMORI

Le modalità di insorgenza dei tumori non sono ancora note, infatti la maggior parte delle neoplasie degli individui adulti insorge spontaneamente in risposta ad uno stimolo sconosciuto. Tuttavia, anche se può colpire persone di qualsiasi età, le persone anziane sono più soggette a sviluppare cellule tumorali a causa dei danni cellulari e alle mutazioni che si sono accumulate nel tempo. Inoltre il sesso, l’età, la razza, gli squilibri ormonali e la predisposizione genetica alle mutazioni, possono portare alla comparsa di cellule neoplastiche, definendo i così detti fattori intrinseci ovvero fattori che vengono trasmessi dai genitori alla progenie. Viceversa cause esterne come il fumo, l’inquinamento atmosferico, la vita sedentaria, il consumo eccessivo di alcool, gli agenti fisici, le sostanze chimiche ed i virus oncogeni, sono chiamati fattori estrinseci cioè dovuti all’esposizione con agenti carcinogeni ambientali.

L’alterazione di base in una cellula cancerosa consiste in una modifica della struttura o dell’espressione di uno o più̀ geni che sono quelli coinvolti nella regolazione del ciclo cellulare, tra cui:

a. proto-oncogeni: famiglia di geni che codificano per proteine coinvolte nei meccanismi fondamentali del ciclo cellulare; quando sono attivati in modo sregolato diventano oncogeni (geni, che se attivati, possono causare la trasformazione di una cellula normale in una tumorale);

b. anti-oncogeni o geni inibitori tumorali: arrestano il ciclo cellulare (Rb, p-53, NF-1, BRCA-NF-1, BRCA-2);

c. geni coinvolti nei meccanismi di riparazione del DNA;

d. geni coinvolti nell’indirizzare la cellula verso il processo apoptotico (p-53, blc2); e. geni coinvolti nei processi di adesione cellulare.

Gli Agenti Fisici considerati cancerogeni sono: 1. Radiazioni ultraviolette

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3. Corpi estranei

1) Le radiazioni ultraviolette della luce solare, o di fonti artificiali, sembra siano coinvolte nei tumori della pelle (etio-patogenesi). I raggi UV si dividono in UV-A (da 400 nm a 315 nm), UV-B (da 315 nm a 280 nm) e UV-C (da 280 nm a 10 nm). Il potere oncogenico dei raggi UV è stato dimostrato per radiazioni di lunghezza d’onda compresa fra 290 e 320 nm, poiché sono capaci di indurre mutazioni genetiche delle cellule che vengono colpite; i risultati di queste mutazioni possono essere un’inattivazione degli enzimi, un’alterazione della divisione cellulare, mutagenesi, morte cellulare (necrosi) e cancro. 2) Le radiazioni ionizzanti, X e γ, sono fattori di rischio per i tumori solidi

(polmoni e leucemia); hanno una azione tossica diretta, infatti, in seguito all’assorbimento, possono portare da una rottura dei filamenti di DNA (di uno o di entrambi i filamenti) a distorsioni e rotture delle basi con conseguente morte cellulare o mutazioni. La loro azione tossica diretta è esplicata dal trasferimento di energia che viene assorbita all’acqua che si trova nelle cellule, provocando la formazione e liberazione di radicali liberi con conseguente danno ossidativo. [2]

3) Numerosi e vari sarcomi sono stati indotti nei roditori a seguito dell’impianto di materiali inerti (pellicole di plastica o metalliche fibre varie ecc..) ovvero di corpi estranei . Questi tipi di tumori sono particolarmente specie-specifici, per esempio i topi sono molto sensibili alla cancerogenesi da corpo estraneo a differenza dell’uomo che si è dimostrato piuttosto resistente.

I Virus Oncogeni

La capacità dei virus oncogeni di produrre affezioni nell’uomo è molto dibattuta. I virus oncogeni a DNA contengono due tipi di geni: quelli per gli eventi precoci (integrazione e replicazione del DNA virale) e quelli per gli eventi tardivi (sintesi proteine virali capside e assemblamento del virone).

In una infezione virale normale, tutto il ciclo produttivo del virus viene completato con la formazione di numerosi vironi con conseguente lisi cellulare e liberazione

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delle particelle virali; nella trasformazione neoplasica invece avvengono solamente i così detti eventi precoci come l’integrazione del DNA nel genoma cellulare e la codifica di proteine che hanno un ruolo importante nella trasformazione di uno o più geni virali.

I virus a DNA esplicano la loro azione legandosi e inattivando delle proteine prodotte dai geni soppressori tumorali (p-53 e retinoblastoma), oppure si può avere l’attivazione di prodotti genetici di proto-oncogeni attivatori (polioma virus). [3] I virus oncogeni a RNA (retrovirus) costituiscono un gruppo eterogeneo di virus umani ed animali che, tranne per i virus HIV (HIV1 e HIV2), non sono associati ad alcuna patologia infettiva; questi producono molti tumori nell’animale (tumore mammario nel topo, leucemia e sarcomi), mentre nell’uomo determinano un tipo di leucemia acuta a cellule T osservata in Giappone e nei Caraibi, sostenuta principalmente dal virus HTLV-I e raramente da un secondo virus HTLV- II. I retrovirus sono costituiti da una doppia copia di un filamento di RNA a singola catena, che durante la replicazione virale viene trascritto dalla trascrittasi inversa e integrato nel genoma, rimanendo per sempre nel DNA cellulare, replicandosi con esso e rilasciando virus per gemmazione. Questi virus possono dividersi in 3 classi: a trasformazione lenta, a trasformazione veloce e i virus umani HTLV-I e HLTV-II. [3]

Sostanze chimiche

Le sostanze cancerogene che possono provocare cancro sia nell’uomo che negli animali, si dividono in tre classi principali:

 cancerogeni ad azione indiretta o procancerogeni: idrocarburi aromatici policiclici (PAH), azocomposti, nitrosocomposti, sostanze naturali, idrocarburi alogenati, sostanze varie e farmaci. Queste sostanze devono essere metabolizzate nella cellula a cancerogeni;

 cancerogeni ad azione diretta: metalli, sostanze spontaneamente alchilanti;  cancerogeni non genotossici: asbesto, fibrati. [4]

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Cancerogeni ad azione indiretta:

1. Idrocarburi aromatici policiclici (PAH)

Sono omocicli derivati dal fenantrene, antracene e pirene e di base non sono agenti cancerogeni ma i loro derivati, caratterizzati da sostituenti come gruppi metilici o anelli benzenici, ad esempio il benzopirene, dibenzo-antracene e 1,4-dimetilfenantrene (Fig.2, strutture 1, 2, 3 rispettivamente), presentano attività cancerogena.

I derivati del fluorene, del fluorantrene e dell’acridina sono anch’essi eterocicli che di base non sono cancerogeni, mentre i loro derivati (benzofluorantrene) presentano attività cancerogena. (Fig.3, strutture 4 e 5 rispettivamente).

4 5

Fig.3

Sono sostanze insolubili in acqua e solubili nei lipidi, passano facilmente attraverso le membrane cellulari. Si trovano nel fumo di sigaretta, nei derivati del petrolio in seguito a combustione, negli scarichi delle automobili, nel fumo prodotto dagli

H3C

CH3

1 2

3 Fig.2

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impianti di riscaldamento a gasolio o a carbone, nei fumi delle industrie, nel catrame, nella fuliggine, nella combustione di materie organiche.

Nell’uomo i tumori indotti da queste sostanze si sviluppano a carico della cute, dell’apparato respiratorio e dell’apparato gastro-enterico. I PAH sono procancerogeni e diventano cancerogeni se le cellule sono in grado di metabolizzarli; il composto attivo è un epossido, che essendo instabile tende ad unirsi con grosse molecole nucleofile come il DNA, le proteine e i lipidi [4].

2. Ammine aromatiche

Sono derivati dell’anilina e del diammino-difenil-metano, che non sono cancerogeni. A differenza degli idrocarburi policiclici, le ammine aromatiche non agiscono nel punto d’ingresso dell’organismo ma soprattutto nelle vie di eliminazione producendo carcinomi della vescica. Queste richiedono un lungo tempo d’azione (fino a 20 anni), sono precedute da manifestazioni precancerose (papillomatosi vescicale) e per agire devono prima venir metabolizzate dai sistemi microsomiali epatici in N-idrossi derivati.

3. Azocomposti

Gli azocomposti sono dei coloranti per i quali è stata dimostrata la cancerogenicità sugli animali. Tra questi abbiamo il rosso scarlatto che contiene la molecola procancerogena 4-ammino-azotoluene e il dimetil-ammino-azobenzene (DAB) (Fig.4 composti 6 e 7). CH3 N N CH3 N N HO 6 N N N CH3 CH3 7 Fig.4

Danno tumori al fegato, dove sono metabolizzati a composti attivi con l’introduzione di un gruppo ossidrilico e con la coniugazione con acido solforico.

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Si dividono in:  nitrosammine;  dinitrosammine;  nitrosammidi

Sono composti solubili in acqua e quindi diffondono facilmente attraverso i liquidi biologici dando tumori a quasi tutti gli organi.

5. Aflatossine

Sono sostanze prodotte del fungo Aspergillus flavus, che contamina le derrate alimentari, e vengono metabolizzate nelle cellule a epossidi che si possono legare al DNA formando addotti, oppure possono essere attivati attraverso l’enzima epossido idrossilasi e coniugati con il glutatione.

Cancerogeni ad azione diretta: 1. Composti metallici

Molti metalli o composti metallici possono indurre il cancro (arsenico, ferro, cromo..), anche se il meccanismo con il quale lo fanno non è ancora noto. I cationi bivalenti possono interagire con le basi del DNA o con i gruppi fosfato. I tumori indotti dall’arsenico sono i più diffusi tra gli agricoltori, in quanto esposti a insetticidi, che presentano una maggiore incidenza a sviluppare tumori della pelle, per contatto diretto, o polmonari, per inalazione. [4]

2. Composti alchilanti

Sono sostanze capaci di cedere gruppi alchilici ad altri composti ; non richiedono attivazione metabolica ma vengono attivate metabolicamente a composti alchilanti. I meccanismi d’azione variano se sono monofunzionali (alchilazione di specifiche basi di DNA) o polifunzionali (ponti intramolecolari tra catene di DNA).

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L’asbesto o amianto ha una struttura a fibre costituite da catene di silicati con presenza di ferro, magnesio o calcio ed è stato ampiamente utilizzato per le sue proprietà ignifughe come impasto per cemento, costruzioni di navi ecc..

L’asbesto può indurre tumore:

- direttamente: induce stimolazione di sintesi proteica, sintesi di prostaglandine e dell’attivatore del plasminogeno danneggiando il citoscheletro cellulare oppure penetrando nel nucleo.

- indirettamente: viene fagocitato dai macrofagi che liberano enzimi lisosomiali e specie reattive dell’ossigeno causando inattivazione degli enzimi, denaturazione di proteine e danno agli acidi nucleici.

1.2 TERAPIE ANTICANCRO

Le terapie attualmente usate per il trattamento del cancro sono: ❖ Chirurgia

❖ Radioterapia ❖ Chemioterapia

Le terapie sono diverse a seconda dei tipi di tumori e in base allo stadio in cui il tumore si trova.

La chirurgia è il trattamento più appropriato per i tumori solidi ed è utilizzato per rimuovere la massa tumorale e i tessuti circostanti ad essa che possono contenere residui di cellule tumorali, ma questo può anche facilitare la diffusione delle metastasi spostando le cellule neoplasiche.

La radioterapia è utilizzata come terapia primaria per i tumori locali e può essere utilizzata in associazione alle altre due terapie sopra citate, riducendo così la possibilità di recidive. Distrugge le cellule tumorali, ma con conseguente danno alle

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cellule normali che circondano la massa neoplastica, anche se queste hanno una capacità riparativa.

La chemioterapia si basa sulla somministrazione di farmaci e viene utilizzata in combinazione con altri tipi di terapie; idealmente, quindi, il farmaco antitumorale dovrebbe avere una massima tossicità sulle cellule antitumorali e nessuna tossicità sulle cellule normali circostanti la massa; tuttavia questi farmaci agiscono anche sulle cellule adiacenti.

Esistono due tipi di chemioterapia: la monochemioterapia e la polichemioterapia. La prima è utilizzata per le persone che superano i settant’anni anni di età ed è la prima scelta per i tipi di cancro alla tiroide; la seconda, più utilizzata, è l’unione di più farmaci antitumorali con l’obiettivo di migliorare l’attività terapeutica e diminuire la tossicità del singolo farmaco, attraverso una opportuna modulazione di dosaggio e tempo di somministrazione.

TERAPIE MIRATE [5]

Altri tipi di terapie che differiscono dalle precedenti sono le così dette terapie mirate. Le terapie mirate al cancro sono, talvolta, chiamate “farmaci mirati molecolarmente”, “terapie molecolari mirate” o “medicinali di precisione”.

Differiscono dalla chemioterapia standard per diversi motivi:

1. agiscono su specifici target molecolari associati al cancro, mentre la maggior parte delle chemioterapie standard agisce su tutte le cellule sia cancerose, che si dividono più rapidamente, sia su quelle sane.

2. sono progettate per interagire con uno specifico bersaglio, mentre molte chemioterapie standard sono state sviluppate solo perché in grado di uccidere le cellule.

3. sono spesso citostatiche (bloccano la proliferazione delle cellule tumorali), mentre gli agenti chemioterapici standard sono principalmente citotossici (uccidono le cellule tumorali)

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Questo tipo di terapie è attualmente in fase di sviluppo; per quanto riguarda quelle di tipo antitumorale, esse generalmente sfruttano come base scientifica le conoscenze riguardanti i geni e le proteine di persone malate, con lo scopo finale di sviluppare agenti utili alla prevenzione, diagnosi e cura della patologia cancerosa. Uno step fondamentale nello sviluppo di questo tipo di terapie è rappresentato dall’identificazione dei così detti “buoni obiettivi”, molecole/proteine/enzimi che svolgono un ruolo chiave nella crescita e nella sopravvivenza delle cellule cancerose. Un tipo di approccio è quello di studiare quali bersagli terapeutici specifiche proteine o target molecolari che siano diversamente espressi o alterati nelle cellule tumorali rispetto alle cellule sane. Le proteine che sono presenti nelle cellule tumorali, ma non in quelle normali, o che sono più abbondanti nelle cellule tumorali, potrebbero rappresentare potenziali bersagli, specialmente se sono note per essere coinvolte nella proliferazione e nella sopravvivenza delle cellule tumorali.

Una volta identificato il target, il passo successivo è quello di sviluppare una terapia mirata che agisca sull’obiettivo in modo da interferire sulla capacità di promuovere la crescita o la sopravvivenza delle cellule tumorali; un esempio potrebbe essere la riduzione dell’attività al bersaglio o impedire alla proteina target di legarsi al recettore che normalmente attiva.

Le terapie mirate utilizzano generalmente piccole molecole sviluppate per bersagli che si trovano all’interno della cellula. Queste piccole molecole vengono opportunamente selezionate con dei test su una specifica proteina bersaglio e i composti che influenzano tale bersaglio sono modificati chimicamente per produrne numerose versioni. In seguito vengono testati in vivo per determinare quali siano i più efficaci verso il target selezionato e quali abbiano minori effetti off-target.

Molte terapie mirate sono state approvate per la cura del cancro, queste includono: ❖ Le terapie ormonali che rallentano o fermano la crescita dei tumori e richiedono ormoni per svilupparsi. Queste terapie impediscono, quindi, al corpo

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di produrre ormoni e interferiscono con gli stessi; ad esempio vengono utilizzate per il cancro al seno o alla prostata.

❖ Gli inibitori della trasduzione del segnale bloccano le molecole che partecipano alla trasduzione del segnale, processo attraverso il quale la cellula risponde ai segnali dell’ambiente. Una volta che la cellula ha ricevuto un segnale specifico viene, quindi, trasmesso attraverso la cellule con reazioni biochimiche al fine di produrre risposte appropriate; in alcuni tumori, invece, le cellule maligne sono stimolate a dividersi in maniera incontrollata, senza essere stimolate da fattori esterni: gli inibitori della trasduzione del segnale interferiscono con questa segnalazione inappropriata.

❖ I modulatori dell’espressione genica modificano la funzione delle proteine che svolgono un ruolo nel controllo dell’espressione genica.

❖ Gli induttori dell’apoptosi inducono le cellule tumorali a subire un processo di morte cellulare controllata, detto apoptosi, che viene utilizzato dal corpo per liberarsi di cellule non necessarie o anormali; le cellule tumorali hanno strategie per evitare di andare incontro a morte cellulare. Gli inibitori dell’apoptosi possono aggirare queste strategie per causarne la morte.

❖ Gli inibitori dell’angiogenesi bloccano la crescita di nuovi vasi sanguigni nei tumori (angiogenesi tumorale) e, quindi, la proliferazione dei tumori stessi. I tumori, infatti, necessitano di un notevole apporto di sangue per proliferare poiché esso fornisce ossigeno e sostanze nutritive; i trattamenti che interferiscono con l’angiogenesi possono, quindi, bloccare la crescita tumorale. Alcune terapie mirate che inibiscono l’angiogenesi interferiscono con l’azione del VEGF (fattore di crescita dell’endotelio vascolare), sostanza che stimola la formazione di nuovi vasi sanguigni e quindi promuove la migrazione del tumore. Altri inibitori dell’angiogenesi interferiscono con molecole che stimolano la crescita di nuovi vasi sanguigni.

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❖ Le immunoterapie attivano il sistema immunitario per distruggere le cellule tumorali. Alcune immunoterapie si basano sull’utilizzo di anticorpi monoclonali che riconoscono specifiche molecole sulla superficie delle cellule tumorali e il legame anticorpo-cellula bersaglio determina la distruzione immunitaria delle cellule che esprimono quel bersaglio. Altri anticorpi monoclonali, invece, si legano a queste cellule per aiutarle a uccidere meglio quelle tumorali.

❖ Gli anticorpi monoclonali che trasportano cellule tossiche possono causare la morte delle cellule tumorali in modo specifico. Una volta che l’anticorpo si lega alla cellula bersaglio, la molecola tossica legata all’anticorpo, costituita da una sostanza radioattiva o da una sostanza chimica velenosa, viene assorbita dalla cellula e la uccide, non influenzando le cellule che non hanno l’obiettivo dell’anticorpo; per questo motivo questa terapia è molto specifica.

Le terapie mirate, però, sembra abbiano alcune limitazioni, tra cui la possibilità che le cellule tumorali possano diventare resistenti ad esse. La resistenza può realizzarsi in due modi: il bersaglio stesso subisce delle mutazioni e la terapia mirata non interagisce più con il target, oppure il tumore trova una nuova via per la crescita tumorale.

Per questo motivo le terapie mirate potrebbero funzionare meglio facendo una combinazione tra di loro; ad esempio uno studio recente ha rilevato che l’utilizzo di due terapie mirate, le cui azioni erano esplicate in punti diversi della via di segnalazione cellulare alterata nel melanoma dalla mutazione BRAF V600E, ha rallentato lo sviluppo e la progressione della malattia in maniera maggiore rispetto ad una terapia mirata singola[6]. Un altro approccio, altrimenti, consiste nell’utilizzare una terapia mirata in combinazione con uno o più farmaci chemioterapici tradizionali.

Si pensava che le terapie antitumorali mirate non fossero tossiche come i farmaci chemioterapici tradizionali, in quanto le cellule tumorali sono più dipendenti di target rispetto alle cellule normali; tuttavia alcuni effetti collaterali comuni sono l’epatite e altri problemi legati al fegato.

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Altri effetti indesiderati includono:

 Problemi alla pelle (eruzioni cutanee, depigmentazione dei capelli ecc..).

 Problemi alla coagulazione del sangue e guarigione delle ferite.

 Alta pressione sanguigna.

 Perforazioni gastrointestinali (raro).

Gli effetti collaterali di alcune terapie mirate sono stati collegati a risultati migliori per i pazienti; ad esempio le persone che erano state precedentemente trattate con inibitori della trasduzione del segnale, come erlotinib (Tarceva®) o gefitinib (Iressa®), entrambi rivolti al recettore del fattore di crescita epidermico), e che sviluppavano eruzioni cutanee, tendevano a rispondere meglio a questi farmaci rispetto a chi non avesse sviluppato questi effetti indesiderati. [7]

Allo stesso modo pazienti che sviluppano una pressione sanguigna alta mentre sono in trattamento con l’inibitore dell’angiogenesi (bevacizumab), hanno generalmente avuto esiti migliori. [8]

Le poche terapie mirate che sono state approvate per l’uso nei bambini possono sviluppare più effetti collaterali rispetto agli adulti come immunosoppressione e spermatozoi alterati. [9]

Le terapie mirate in questo caso potrebbero essere utilizzate per andare ad agire su delle proteine che sembra siano coinvolte nella proliferazione cellulare e nel progredire delle metastasi.

2. LA FAMIGLIA DI PROTEINE MICAL [10]

Poiché le cellule tumorali tendono a svilupparsi successivamente a uno stimolo che permette varie modificazioni e, quindi, mutazioni genetiche, sono state studiate le dinamiche citoscheletriche delle cellule per cercare di individuare il fattore scatenante delle metastasi tumorali. In questo ambito si contestualizzano le proteine MICAL2, anche definite “amiche dei tumori”, in quanto sono capaci di modulare diversi fattori aumentando la capacità di proliferazione cellulare e la migrazione delle cellule verso altri tessuti, promuovendo la formazione di metastasi.

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MICAL 2 fa parte di una famiglia di proteine multidominio denominate appunto MICAL (Molecule Interacting with CasL), che partecipano al controllo della dinamica citoscheletrica dell’actina grazie alla reazione di depolimerizzazione della F-actina NADPH-dipendente. Le molecole CasL sono definite proteine di docking coinvolte nelle vie di segnalazione correlate alla differenziazione delle cellule T, alla formazione delle giunzioni delle cellule, alla migrazione delle stesse in risposta all’attivazione dell’integrina e sono associate a diverse forme di cancro. [11-13] Dalla loro scoperta del 2002 [14,15] una grande quantità di lavoro si è concentrata sulla loro funzione e regolazione biologica stabilendo le caratteristiche strutturali di diversi domini isolati. Diversi studi miravano a determinare le proprietà catalitiche dei MICAL, in particolare il meccanismo dell’attività depolimerizzante della F-actina, nonché la loro modulazione da parte dei domini aggiuntivi e delle proteine integranti.

Studi iniziali svolti sulla Drosophila melanogaster hanno rilevato che MICAL interagisce con la plexina e partecipa alla guida degli assoni mediando la segnalazione repulsiva delle semaforine extracellulari [15]. Queste ricerche, in seguito, hanno portato all’identificazione di un solo gene che codifica MICAL nella

Drosophila, mentre nei vertebrati sono stati individuati tre geni che codificano per

MICAL-1,-2,-3. [14,15,16-19]

La scoperta fondamentale che la proteina è essenziale per la trasduzione della segnalazione di semaforina nella drosofila[15], e quindi, per il corretto sviluppo dei neuroni, ha stimolato una serie di studi che estendono il ruolo dei MICAL a una vasta gamma di processi che richiedono dinamiche di filamenti di actina, come, ad esempio, la formazione di giunzioni e sinapsi strette e l'organizzazione di miofilamenti (drosofila MICAL, [18] ), potatura di dendriti (MICAL-1, [20,21] ), traffico di vescicole (MICAL-3, [22] ), regolazione dell'espressione genica (MICAL-2, [23] ).

Molto recentemente, è stato dimostrato che MICAL-1 è essenziale per completare la divisione cellulare [24], ed inoltre sono state identificate proteine MICAL o

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MICAL simili nel processo di difesa dell'ospite dall'infezione da agenti patogeni o dall'infettività [25,26].

In conclusione la funzione di modulazione di questa famiglia di proteine è stata proposta come utile per prevenire, o trattare, un'ampia gamma di malattie solo in parte, parallelamente allo scopo di interferire con la segnalazione di semaforine, che stanno emergendo come importanti bersagli terapeutici [27,28,29-31]. Le isoforme di MICAL-2 trovate nelle cellule di cancro alla prostata hanno indicato un ruolo di MICAL nella progressione del tumore [32].

2.1 STRUTTURE DELLE PROTEINE MICAL

Come abbiamo detto, le analisi di sequenza hanno rivelato che le tre forme MICAL (MICAL-1, -2 e -3) nei vertebrati e la singola forma MICAL dell'organismo modello della drosofila, sono proteine multidominio. Sono molto simili tra loro rispetto alla sequenza dei domini flavoproteina, CH e LIM, mentre i segmenti interdominio e la regione C-terminale sono meno conservati. Infatti tutti le MICAL contengono una regione N-terminale con somiglianze di sequenza agli enzimi dipendenti dalla FAD delle famiglie ossidasi/monoossigenasi (residui 1-489 di MICAL-1 umana, Fig. 5). La determinazione della struttura tridimensionale del dominio di flavoproteina N-terminale MICAL-1 [33,34] ha mostrato che questo è simile alla p-idrossibenzoato idrossilasi (PHBH), il prototipo di monoossigenasi di classe A [35-38].

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Fig. 5 . Organizzazione di dominio in MICALs e schema generale del meccanismo di

reazione delle monoossigenasi flavina-dipendenti. Pannello A. Viene mostrata la

posizione dei domini in MICAL-1, -2, -3 e in drosofila MICAL (D-MICAL). Codice colore: MO, dominio simile alla monoossigenasi, residui 1-489, giallo; CH, dominio dell'omologia della calponina, 510-613, ciano; LIM, 688-756, fucsia; P, regione ricca di prolina contenente la firma PXXP (in grassetto) per il binding ai domini Src-homology domain-3 (SH3),

829-P 829-P829-PK829-P 829-PR-835, arancione; E, regione ricca di glu, residui 866-880 in MICAL-1, che è più

estesa in MICAL-3 essendo tra residui 910 e 1052, rosso; RBD, dominio vincolante di Rab identificato da Refs. [24,39]nella regione originariamente proposta per formare bobine a spirale anche denominate bMERB dal dominio bivalente MICAL / EHBP Rab binding [39] , residui 918-1067. In MICAL-2 le barre grigie chiare indicano regioni che possono anche formare strutture elicoidali secondo i precedenti confronti di sequenza [40]. I potenziali segnali di localizzazione nucleare di MICAL-2 (residui 660-681) e MICAL-3 (residui

663-683, [23]) sono mostrati in viola scuro. Pannello B: uno schema semplificato del

meccanismo di reazione delle monoossigenasi flavina-dipendenti che mostra come il coenzima flavina NAD (P) H-ridotto può reagire con l'ossigeno molecolare e formare un intermedio 4a-idroperossido, che evolve per produrre flavina ossidata e perossido di idrogeno nella reazione dell'ossidasi o del substrato idrossilato (SOH) nell'attività della

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23 monoossigenasi. La produzione di superossido è anche possibile, ma non è stata implicata nel caso di MICAL.

Nell’isoforma MICAL-1 il dominio MO mostra una somiglianza con il dominio della calponina (CH, residui ~510-613 per umani MICAL-1) e con quello LIM (residui ~ 688-756, Fig. 5). La regione C-terminale contiene un motivo PPKP Pro-rich per l'interazione con il dominio Src Homology 3 (SH3) di CasL ([14], residui 830-833 per umani MICAL-1) e una regione ricca di Glu (residui ~ 866-880 per umani MICAL-1) di funzione sconosciuta. Le regioni predefinite per formare bobine a spirale (CC) al C-terminale (residui 918-1067), hanno dimostrato essere costituite da tre α-eliche che formano una superficie piuttosto piatta e servono per il legame con le proteine Rab [24,39]. Si ritiene che la regione C-terminale sia il sito che è principalmente responsabile dell'interazione di MICAL con diverse altre proteine.

In MICAL-3 il dominio LIM è conservato sebbene sia separato dal dominio CH da un frammento di proteina più lungo rispetto alla regione equivalente in MICAL-1. Nella regione C-terminale, la regione Pro-rich è conservata. Una regione ricca di Glu è più estesa di quella di MICAL-1 (residui 910-1052) e la somiglianza tra le due isoforme è bassa.

I domini per la formazione di CC sono presenti e hanno anche dimostrato di formare il dominio con le proteine Rab [39] ed i peptidi che collegano queste regioni potenzialmente funzionali sono più lunghi rispetto a MICAL-1. Una sequenza bipartita di RKRX e KRRK (residui 663-683 di MICAL-3 umano) è stata proposta per essere un segnale di localizzazione nucleare [23] conservato anche nell’isoforma MICAL-2; infatti MICAL-3, ma non MICAL-1 è stata trovata nel nucleo delle cellule HEK293T insieme a MICAL-2[23].

Tuttavia, MICAL-3 si trova anche nel citoplasma dove può formare complessi con le proteine Rab [22] in modo che per questa e le altre forme MICAL la localizzazione precisa (o ri-localizzazione) nei compartimenti cellulari debba ancora essere determinata.

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MICAL-2 ha una lunghezza simile a MICAL-1, ma differisce da MICAL-1 e MICAL-3 per la mancanza della regione C-terminale.

Il dominio LIM è al C-terminale della proteina, ben separato dal dominio CH. I domini che possono consentire la formazione di bobine a spirale (o α-eliche) sono stati trovati nel segmento proteico tra i domini CH e LIM (residui 837-971 di MICAL-2 umano, [40]), ma anche nel residuo 1070- 1124 ovvero nella regione che segue il dominio LIM. Questa regione può essere responsabile del legame di Rab1 rilevato anche per MICAL-2 [16,17].

Un motivo PSPP, conservato all'interno delle proteine MICAL-2 (residui 899-902 per la specie umana), può corrispondere al motivo PXXP che è stato identificato come sito di legame al dominio SH3 in MICAL-1 e MICAL-3. Un RKRX KRRRK, segnale di localizzazione nucleare bipartito, è stato trovato anche nella posizione 660-681 di MICAL-2 umana [23]. Di conseguenza, MICAL-2 si localizza parzialmente nel nucleo delle cellule HEK293T, COS7 e HeLa dove determina i livelli di actina nucleare e, di conseguenza, modula la trascrizione dei geni (principalmente coinvolti nella differenziazione e nella motilità cellulare) sotto il controllo del siero complesso fattore di risposta (SRF)/fattore di trascrizione correlato alla miocardina (MRTF-A) [23] .

Infine l’isoforma D-MICAL è molto più lunga dei vertebrati MICAL-1, -2 e -3 a causa della diversa lunghezza delle regioni interdominio scarsamente conservate. La sua architettura generale è simile a quella di MICAL-1 e MICAL-3, ma apparentemente manca la regione ricca di Glu tra il peptide Pro-ricco e il C-terminale in cui si trovano i motivi per la formazione di CC.

2.2 MICAL 2 [41]

L’isoforma MICAL 2 è stata evidenziata in specifiche patologie soprattutto a livello dei tumori renali e gastrici; in modo particolare risulta iperespressa nei tumori allo stadio avanzato, viceversa essa risulta non essere presente o esserlo in maniera moderata negli organi sani o nei tessuti normali; la proteina, quindi, risulta trovare la sua massima espressione nei tumori in stadio avanzato aiutando in modo concreto l’avanzare della metastasi.

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Questa proteina, quindi, è in grado di influenzare i diversi fattori che permettono alle cellule tumorali di proliferare e di migrare verso altri tessuti inducendo così le metastasi, promuovendone la motilità, inducendo modificazioni morfologiche, aumentando la capacità di proliferare e il modo in cui aderiscono alle cellule sane; in quanto le proteine MICAL2 sono in grado di modificare una componente dell’ossatura della cellula ovvero la actina F del citoscheletro.

I filamenti actinici si trovano in tutte le cellule eucariotiche e come abbiamo detto sono necessari per i movimenti; la proteina principale dei filamenti è appunto l’actina presente nella forma non polimerizzata in combinazione con la profilina. Una volta dissociata da essa, le molecole di actina libere (actina G) possono associarsi tra loro per formare lunghe catene a due a due di actina F; le proteine MICAL2 promuovano la catalisi di reazioni di ossido riduzione dell’actina destabilizzando il citoscheletro della cellula.

La storia immunologica ha dimostrato che le cellule positive alla proteine MICAL2 sono cellule tumorali che si trovano all’interno di emboli non presenti nel sito delle metastasi. Si è quindi ipotizzato che l’espressione delle proteine sia “on” in una sottopopolazione di cellule tumorali primarie predisposte ad entrare in embolia per raggiungere distretti anche lontani, e poi passare allo stato “off” localizzandosi nei siti metastatici.

In conclusione, la sovra espressione delle proteine MICAL2 è associata alla progressione del cancro ed alla malattia metastatica; perciò tale proteina è un importante regolatore della transizione epiteliale e mesenchimale. Infatti in vitro il suo abbattimento ha portato da una EMT (transizione mesenchimale dell’epitelio) a una riduzione della vitalità, perdita di motilità e delle proprietà di invasione delle cellule tumorali.

Il rimodellamento del citoscheletro è un evento cruciale della progressione delle metastasi, essendo fondamentale nelle regolazioni delle proprietà cellulari, dalla proliferazione e/o differenziazione cellula-cellula, alla adesione cellula substrato capacità di motilità ed invasione delle stesse. La stretta regolazione della dinamica

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dell’actina si basa sulla attività di diverse proteine leganti l’actina che controllano la transizione dei filamenti da globulari (G) a filamentosi (F), come anche la nucleazione, il capping, il taglio, allungamento e la reticolazione dei filamenti di actina [42,43].

La capacità sorprendente di MICAL di collegare direttamente e meccanicamente la disponibilità di ossigeno con la depolimerizzazione della F-actina, quindi con la dinamica citoscheletrica, potrebbe essere estremamente importante anche per le cellule tumorali metastatiche la cui motilità è aumentata come parte della transizione da epiteliale a mesenchimale (EMT). Infatti, durante la crescita i tumori solidi sfidano i fattori micro-ambientali (ipossia, acidità, citochine infiammatorie, ecc.) stimolando le cellule tumorali a mettere in atto strategie di fuga adattive. Come abbiamo detto, la famiglia di molecole CasL(MICAL)[44,45] è implicata nella regolazione dinamica citoscheletrica dell’actina [46,47], ha una struttura unica che combina una flavoproteina N-terminale mono-ossigenasi (MO)[48,49] con altre proteine che interagiscono con i moduli dei partner citoscheletrici e di segnalazione[44,45].

Guidati da un programma genetico/epigenetico regolato, è stato visto come le cellule epiteliali perdano i marcatori epiteliali, le interazioni cellula-cellula e cellula-extracellulare e si è notato che subiscono la riorganizzazione del citoscheletro ottenendo il profilo di espressione genica, morfologica e caratteristiche funzionali delle cellule mesenchimali, e queste lasciano il sito tumorale primario per migrare verso territori metastatici [50].

Sia EMT che il suo opposto MET (mesenchimale fino alla transizione epiteliale) sono implicati nello sviluppo della patologia [50], nel MET, però, le cellule adottano caratteristiche di cellule epiteliali facendo diminuire la mobilità cellulare. Fino ad ora il coinvolgimento delle proteine MICAL nel cancro nell’uomo non era conosciuto tranne per il rapporto di varianti di splicing; infatti, erano state identificate nel cancro alla prostata[51]. Successivamente, però, è stata scoperta e pubblicata una proteina detta “MICAL-LIKE 2”, facente parte della famiglia

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MICAL; questa condivide la sequenza con MICAL2, ma senza il dominio amminoterminale monoossigenasi, trovando la sua sovraespressione nel carcinoma ovarico e quando silenziata induce il MET nelle cellule tumorali ovariche[52]. Data l’importanza delle proteine MICAL nel processo di mobilità cellulare e la totale mancanza di informazioni nel loro coinvolgimento nei tumori primari, i ricercatori hanno cercato di capire se l’attività di MICAL2 potesse in qualche modo influenzare il cancro andando a indagare sul suo possibile ruolo nel cancro epiteliale umano.

È stato visto che l’espressione di MICAL2 è variabile sia nel tessuto sano umano che nei tessuti tumorali, poiché si è notato che la proteina, a causa della sua attivazione basale, non è regolata da una attività di tipo auto-inibitoria presente sia in MICAL1 che forse in MICAL3 [53-55]; questa sua espressione non regolata potrebbe essere sufficiente per sconvolgere la funzione della proteina MICAL2, caratteristica comune ad altre proteine che rilegano i filamenti di actina e che sono coinvolte nel cancro.

Per evidenziare il ruolo della proteina nel cancro sono stati studiati i geni di questa all’interno del tumore; l’espressione dell’mRNA è variabile e quasi egualmente espresso in tutti i tessuti normali tra cui lo stomaco, il polmone ed il rene con variazioni di espressione nei diversi tipi di cancro; inoltre, sono stati riscontrati diversi valori anomali nel cancro polmonare e gastrico, che indicano diversi tipi di popolazione all’interno di ogni tipo di cancro.

Sono stati fatti ulteriori studi comparando MICAL2 con la tecnica della PCR effettuando biopsie in parallelo tra i tessuti normali e tumorali di pazienti affetti dai tre principali tumori umani: polmonare (NSCLC, cancro polmonare non a piccole cellule; AC, adenocarcinoma; SCC, carcinoma a cellule squamose), renale (ccRCC, carcinoma renale cellulare renale; pRCC, carcinoma papillare alle cellule renali) e gastrico (istotipi diffusi e intestinali).

In 27 pazienti affetti da NSCLC (11 AC 16 SCC) è stata trovata una ipoespressione di MICAL2 nei tumori primari SCC rispetto a AC; è stato quindi ipotizzato che

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SCC sia meno invasivo rispetto ad AC. Nel pRCC MICAL2 era altamente o moderatamente iperespressa in 6 pazienti su 8 (75% figura 6 A), invece in 36 campioni primari di ccRCC sono state trovate le proteine MICAL2 sovra espresse nei pazienti che presentavano metastasi rispetto ai pazienti senza metastasi (p<0.05 figura 6B).

Le tre tipologie di GC [56]:

1) intestinale: le cellule tumorali sono lentamente in crescita, ben differenziate formando una ghiandola tubulare a struttura papillare.

2) diffuse: le cellule tumorali sono più aggressive hanno una scarsa differenziazione con tendenza a diffondersi

3) misti: hanno caratteristiche crescenti comuni a entrambi e diffuse aritmie intestinali.

In 30 campioni di GC MICAL2 è stato trovato sovraespresso nel sottotipo “diffuse” rispetto agli altri due sottotipi (p<0.01 figura 6C).

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Fig. 6: analisi dell'espressione genica QRT-PCR di MICAL2 nei tumori polmonari, renali e

dello stomaco. (A) Espressione deregolata di MICAL2 in NSCLC (cerchi, N = 26), pRCC (quadrati, N = 8), ccRCC (triangoli, N = 36) e GC (diamanti, N = 29). Nei pazienti con NSCLC (10 AC e 16 SCC), MICAL2 è sottoespresso in SCC (cerchi aperti, N = 16) rispetto ai pazienti con AC (cerchi spessi, N = 10). (B) Il livello di mRNA di MICAL2 nei campioni ccRCC (N = 36), contro la mucosa normale, era più alto nei pazienti con metastasi (triangoli) in contrasto con quelli senza (cerchi). (C) In GC (N = 29), MICAL2 era sovraespresso in tipo Diffuse (triangoli) rispetto a campioni di tipo intestinale o misto (cerchi). In tutti i grafici, le linee orizzontali indicano media e SEM. * p ≤ 0,05, ** p ≤ 0,01, *** p ≤ 0,001 (test non parametrico di Mann-Whitney).

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30 Nel complesso QRT-PCR ha mostrato una up-regulation di MICAL2 all’interno di tumori maligni differenziati e aggressivi renali, polmonari e gastrici associati a metastasi rispetto ai tessuti normali.

Nei pazienti con ccRCC la sovraespressione era, quindi, associata a metastasi (Fig.

6); tutte le osservazioni fatte fino a ora mostrano che le proteine MICAL2

rappresentano una “firma” genica che specificatamente caratterizza i tumori di alta qualità portatori di marcatori mesenchimali (EMT) [57]. Tali proteine una volta posizionate sul sito metastatico vengono quindi disattivate e si verifica il MET. Studi precedenti hanno dimostrato come la perdita di marcatori epiteliali (come la E-caderina) e il guadagno di marcatori mesenchimali (come ad esempio il Vimentin) possono promuovere intravasazioni e le prime fasi della metastasi; la successiva riepitelizzazione è necessaria per la proliferazione delle cellule disseminate nei siti metastatici [58,59].

L’espressione di MICAL potrebbe essere relativamente bassa rispetto all’intera massa tumorale, ma le cellule interessate sono dotate di un fenotipo “mobile” e invasivo che si muove ai lati del tumore non proliferando in situ. In questo modo MICAL2 è, probabilmente, attivato da stimoli specifici nell’ambiente del cancro e la sua espressione viene disattivata nel sito metastatico dopo che ha accompagnato e sostenuto la migrazione delle cellule cancerogene; questo consente il MET e la ripresa della proliferazione.

È stato notato che sia Vimentin che CTNNB1 (noti marcatori mesenchimali), quando sono sovra espressi o accumulati all’interno del citoplasma (nello stesso modo in cui le cellule tumorali esprimono MICAL2), sono, in realtà, noti premonitori di metastasi ematogene nel cancro umano [60, 61].

Sulla base delle informazioni di altri membri della famiglia MICAL [54,62-63], MICAL2 potrebbe partecipare alla trattazione vescicolare necessaria per il trasferimento dei recettori di superfice cellulare. Inoltre, l’espressione di MICAL2 è stata ricostituita mediante trasfezione del cDNA nelle cellule MIC2-KD e si è

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notato che dal fenotipo epiteliale si passava al così detto fenotipo mesenchimale; questo ha suggerito che l’espressione o la ri espressione di MICAL2 è sufficiente per indurre EMT nelle cellule epiteliali.

Complessivamente tutte le popolazioni di cellule MIC2-KD, che sono generate da diverse tipologie di cellule tumorali, sono risultate in vitro meno aderenti (Fig. 7), meno in grado di migrare (Fig. 8) e di invadere (Fig. 9) 2D e 3D in linea con il fenotipo MET. La migrazione delle cellule richiede la polarità direzionale, cosa che manca alle cellule del tipo MIC2-KD nei dosaggi 2D e 3D, suggerendo così che nel tumore sia l’over espressione endogena di MICAL2 a promuovere l’invasione.

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Fig. 7: la scomparsa di MICAL2 riduce la vitalità delle cellule tumorali e l'adesione

in vitro. Le cellule MIC2-KD hanno mostrato una vitalità significativamente ridotta

rispetto alle rispettive cellule (A) 786-O e (B) MERO-14 WT e CTRL. MIC2-KD ha ridotto l'adesione di KD2 e KD14 (33%, (C) e KDM1 (30%), (D) cellule sul collagene di tipo I. Test di Anova unidirezionale e test post-hoc di Tukey Multiple Comparison., linee orizzontali indicano media e SEM: non significativo. * p ≤ 0,05, ** p ≤ 0,01, *** p ≤ 0,001

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Fig.8 : l'abbattimento di MICAL2 in vitro riduce la motilità delle cellule CCRCC

786-O. (A) Test di migrazione transwell: le cellule MIC2-KD non sono state in grado di attraversare le membrane dei pori da 10 μm delle camere blind-well, anche in presenza di FBS al 10%. Pannello inferiore: risultato di un esperimento rappresentativo. (B) Tracce di una singola cellula del test delle 15 ore di chemochinesi: le cellule KD2 e KD14 percorrono una distanza estremamente breve. Immediatezza (C) e Velocità (D), indicatori di movimento orientato, sono stati ridotti. (E) (F) -actina colorazione con falloidina. Barra della scala: 20 μm. Ingrandimento inserto: 3,7X. (F), l'intensità della fluorescenza derivata dalla colorazione con falloidina è misurata per 2 μm attraverso il bordo della cella; le distanze negative sono intese dal lato esterno del contorno verso il lato interno della cella. Il picco particolare dell'intensità della fluorescenza, che si verifica entro i primi μm di distanza dal bordo anteriore dei lamellipodi nelle cellule di riferimento, è stato perso nelle cellule KD2 e KD14. A, C e D: test Anova a una via e test post-hoc di Tukey Multiple Comparison. In tutti i grafici, le linee orizzontali indicano media e SEM. N.s.: non significativo. *p ≤ 0,05, ** p ≤ 0,01, *** p ≤ 0,001.

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Fig.9: l'abbattimento di MICAL2 riduce fortemente le proprietà di invasione 3D

delle cellule cancerogene. (A) Risultato rappresentativo del saggio di invasione sferoidale 3D. (B) KDM4 ha mostrato una ridotta attività di invasione. (C) A destra: risultato rappresentativo di analisi 3D verticali. Test Anova one-way e test post-hoc di Tukey's Multiple Comparison. In tutti i grafici, le linee orizzontali indicano media e SEM. N.s.: non significativo. * p ≤ 0, 05** p ≤ 0, 01, *** p ≤ 0, 001.

Molte volte nei tumori metastatici sono stati trovati enzimi che, in diversi modi, modificano i filamenti di actina; questo evento non innesca automaticamente il cancro, ma può essere un fattore di promozione di esso, in quanto la normalizzazione dell’espressione può reintegrare il fenotipo metastatico [64]. Inoltre, le proteine MICAL possono influenzare la modificazione cellulare attraverso la generazione di ROS (Reactive Oxigen Species) come secondi messaggeri [65] che hanno di per se effetti pro-metastatici e pro-neoangiogenici. Abbiamo detto che le proteine MICAL mostrano un dominio Mono-Ossigenasi N-terminale, questo si lega al FAD e utilizza il coenzima NADPH nelle reazioni di ossido-riduzione per ossidare direttamente le proteine del substrato e le molecole di segnalazione e/o produrre ROS [46, 48,49].

I ROS in generale, e l'H2O2 in particolare, sono associati all'induzione e al

sostentamento dell'EMT [66]. Pertanto, sono stati fatti esperimenti per testare l'ipotesi che la riduzione di MICAL2 potesse influenzare la produzione di ROS. Le linee cellulari non trattate (786-O WT), quelle transfettate con un plasmide di controllo (CTRL), i cloni MIC2-KD ottenuti dalla transfezione di un singolo plasmide (KD2) e quelli ottenuti dalla transfezione simultanea di tre plasmidi (KD14), sono stati trattati per 30 minuti con 25 µM di 2',7'-diclorodiidrofluoresceina diacetato (H2DCFDA), e una sonda ROS, che permea all’interno della cellula, e viene convertita nel fluorescente 2',7'-diclorodiidrofluoresceina (H2DCF) grazie alla reazione di ossidazione all’interno

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di essa. Le cellule sono state poi riprese dal vivo con un microscopio a fluorescenza per rilevare la fluorescenza H2DCF (Fig 10).

Fig.10: MICAL2 è implicato nella produzione di specie di ossigeno radicale (ROS) nelle

cellule tumorali. (A) Livelli di ROS rilevabili erano presenti nelle cellule WT e CTRL, al contrario è stata trovata una riduzione da tre a quattro volte della fluorescenza H2DCF nelle linee clonali MIC2-KD. (Test Anova unidirezionale e test post-hoc di Tukey Multiple Comparison: linee orizzontali indicano media e SEM: non significativo. * P ≤ 0, 05, ** p ≤ 0, 01, *** p ≤ 0, 001). (B) micrografie rappresentative che mostrano la fluorescenza H2DCF nelle celle 786-O WT, CTRL, KD2 e KD14 (sinistra) e maschera binaria create in ImageJ applicando una soglia, per visualizzare i contorni delle celle (a destra).

Una riduzione di fluorescenza da 3 a 4 volte del H2DCF è stata trovata nelle linee clonali MIC2-KD. È stato concluso che l'attività di MICAL2 partecipa alla produzione di ROS, in accordo con la letteratura attuale, che mostra un aumento del livello degli stessi in maniera dipendente da MICAL2 nelle cellule HeLa

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(cellule tumorali provenienti dalla cervice uterina) che sovraesprimono MICAL2 [67].

Quindi analisi dei dati del cancro umano e analisi in vitro ci suggeriscono che le proteine MICAL2 rappresentano un marker di malattia metastatica che promuove la migrazione e l’invasione dei tessuti tumorali epiteliali. Per questo motivo MICAL2 potrebbe rappresentare un nuovo target per prevenire l’invasione e la metastasi dei tumori epiteliali.

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INTRODUZIONE ALLA

PARTE SPERIMENTALE

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I tumori, o neoplasie, sono malattie caratterizzate da una crescita cellulare incontrollata e da alterazioni funzionali, o più spesso strutturali, come le mutazioni. La massa tumorale presenta un numero di cellule che si moltiplicano ed un minor numero di esse che muore facendo sì che, quelle che sopravvivono, continuino a moltiplicarsi espandendosi in maniera incontrollata.

Oltre alle cure tradizionali vi sono numerosi approcci terapeutici in fase di sviluppo; una delle strategie più promettenti è quella che prevede di studiare quali bersagli terapeutici, specifiche proteine o target molecolari, che sono diversamente espressi o alterati nelle cellule tumorali rispetto a quelle sane; spesso si tratta di elementi chiave di pathways coinvolti nella proliferazione e nella sopravvivenza delle cellule tumorali.

In questo contesto si inserisce la famiglia delle proteine MICAL (Molecule Interacting with CasL), scoperta nel 2002, di cui si riconoscono nei vertebrati tre isoforme:

-MICAL-1, espressa a livello citoplasmatico ed importante per completare la divisione cellulare;

-MICAL-2 espressa principalmente a livello nucleare; -MICAL-3 espressa a livello nucleare e citoplasmatico.

Queste proteine svolgono un ruolo chiave nel controllo della dinamica citoscheletrica dell’actina grazie alla reazione di depolimerizzazione della F-actina, processo NADPH-dipendente.

I filamenti actinici si trovano in tutte le cellule eucariotiche e sono necessari per i movimenti. La proteina principale dei filamenti è appunto l’actina presente nella forma non polimerizzata in combinazione con la profillina. Una volta dissociate da essa, le molecole di actina libere (G-actina) possono associarsi tra loro per formare lunghe catene a due a due di F-actina.

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La funzione di modulazione della famiglia di queste proteine MICAL è stata quindi proposta come utile strumento per prevenire, o trattare, un'ampia gamma di malattie.

L’isoforma MICAL2 è coinvolta nella progressione del cancro in quanto promuove la catalisi di reazioni di ossido riduzione dell’actina tramite destabilizzazione del citoscheletro cellulare; in particolare risulta iperespressa nei tumori allo stadio avanzato, viceversa risulta non essere presente o esserlo in maniera moderata negli organi sani o nei tessuti normali.

Le cellule positive a MICAL2 si trovano all’interno di emboli non presenti nel sito delle metastasi; in particolare MICAL2 si trova in uno stato “on” in una sottopopolazione di cellule tumorali primarie predisposte ad entrare in embolia per raggiungere distretti anche lontani, per poi passare in uno stato “off” localizzandosi nei siti metastatici.

Inoltre, la sovraespressione di MICAL2 risulta associata alla progressione del cancro in quanto il suo silenziamento/inibizione in vitro determina una riduzione della vitalità, perdita di motilità e delle proprietà di invasione delle cellule tumorali. [68] Nell’ambito di un progetto volto a identificare potenziali inibitori della proteina MICAL2, utili per combattere la proliferazione tumorale, è stato identificato quale composto lead il derivato CCG-1423, attivo sull’espressione delle proteine Rho GTPasi, una famiglia di piccole proteine che agiscono come interruttori molecolari su molte vie di segnalazione.

Recentemente, l'actina è emersa come un importante regolatore dell'espressione genica. L'actina nucleare svolge un ruolo chiave nel rimodellamento della cromatina, nell'elaborazione del pre-mRNA e nella trascrizione. Inoltre, lo "stato" del citoscheletro di actina viene utilizzato come intermedio di segnalazione dai pathway MKL1/SRF (leucemia megacarioblastica 1/fattore di trascrizione), che culminano rispettivamente nella regolazione trascrizionale dei geni citoscheletrici e promotori della crescita.

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In altre parole, la funzione di MKL1 dipende dalla polimerizzazione dell'actina mediata dalla proteina Rho, che porta alla dissociazione dalla G-actina e alla traslocazione nucleare di MKL1. Libero da G-actina, MKL1 può legare il fattore di trascrizione SRF e stimolare la trascrizione. [69]

Rho GTPases può quindi regolare l'espressione genica controllando sia la dinamica citoplasmatica che quella nucleare dell'actina.

CCG-1423

La segnalazione attraverso la famiglia Rho GTPasi, risulta inoltre implicata nella trascrizione genica, e quindi correlata alla patogenesi del cancro. [70]

Studi recenti hanno identificato un meccanismo per l'attivazione della trascrizione del gene che non coinvolge la regolazione delle vie citosoliche dell'actina, ma coinvolge i livelli di actina nucleare, a loro volta regolati dalla proteina MICAL2, identificandola così come mediatore fisiologico di segnalazione SRF/MKL1 in diversi tipi di cellule.

La capacità di MICAL-2 di depolimerizzare la F-actina nucleare suggerisce un aumento dei livelli di G-actina nucleare, e di conseguenza una diminuzione dei livelli di MKL1 nel nucleo. Tuttavia, è stato osservato l'effetto opposto: l'espressione di MICAL-2 porta ad un aumento dei livelli nucleari di MKL1 ed a una riduzione dei livelli complessivi di G-actina nucleare.

Ulteriori studi hanno dimostrato MICAL-2 come target di CCG-1423, inibitore della segnalazione SRF/ MKL1, in risposta all'attivazione di Rho. Inoltre è stato

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osservato che gli effetti prodotti da CCG-1423 sulla localizzazione MKL1 e sull’espressione di SRF/ MKL1 sono simili a quelli dalla sua capacità di inibire MICAL-2. Infatti, CCG-1423 inibisce MICAL-2 con una potenza simile a quella con cui blocca la segnalazione SRF/MKL1 nelle cellule [71]. Queste due attività risultano quindi correlate; infatti un analogo di CCG-1423 che è risultato privo di attività su SRF/MKL1, ha dimostrato una mancata inibizione verso MICAL2. Sulla base di questi studi, nel corso di questa tesi sperimentale sono state progettate e sintetizzate delle piccole molecole che rappresentano modifiche strutturali del derivato lead CCG-1423: lo scopo è quello di ottenere composti potenzialmente in grado di inibire MICAL 2 e la trascrizione genica di SRF/MKL1.

In particolare, abbiamo rivolto la nostra attenzione ai derivati di formula generale I e II. Come si può vedere dalla Fig.11 entrambe le serie mantengono il gruppo 3,5-bis(trifluorometil)benzenico di CCG-1423, ma presentano un nucleo indolico o benzimidazolico che dovrebbe mimare, con una maggiore rigidità strutturale, la porzione p-clorofenilamminocarbonilica del composto lead. Infine, un linker di lunghezza variabile contenente funzioni ammidiche è inserito a collegare i due nuclei aromatici in modo da consentire uno studio più approfondito delle relazioni struttura-attività.

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44 Fig. 11

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45 SCHEMA 1 N H X Cl O OH N H X Cl O NH CF3 F3C

i

i: 3,5 bis (trifluorometil)benizilammina, HBTU, NEt3, DMF

8: X = CH 9: X = N

La procedura sintetica utilizzata per la sintesi dei composti 8 e 9 è schematizzata nello schema 1. Questa prevede la iniziale condensazione dell’opportuno acido carbossilico (5-cloroindolo-2-carbossilico o 6-clorobenzimidazolo-2-carbossilico) con la 3,5 bis(trifluorometil)benzilammina in DMF, in presenza di HBTU

(N,N,N′,N′-tetrametil-O-(1H-benzotriazol-1-il)esafluorofosfato di uranio) come

agente condensante e trietilammina. La miscela risultante viene lasciata in agitazione a temperatura ambiente per tutta la notte e in seguito versata in ghiaccio. I composti 8 e 9 sono ottenuti per filtrazione a pressione ridotta e infine purificati per cristallizzazione dall’opportuno solvente (toluene o EtOH/acqua).

(46)

46 SCHEMA 2 N H X Cl O OH NH X Cl O NH (CH2)n N H

ii

N H X Cl O NH (CH2)n NH2 N H X Cl O NH (CH2)n NH O CF3 F3C

iii

iv

ii: N-Boc-alchilendiammina, HBTU,NEt3,DMF

iii: TFA, DCM

iv: acido 3,5-bis trifluorometil-carbossilico, TBTU, DIPEA, DMF

O O CH3 CH3 CH3 10-13 10, 14, 18 :n =2, X = N 11, 15, 19 :n =4, X = N 12, 16, 20 :n =2, X = CH 13, 17, 21:n =4, X = CH 14-17 18-21

Lo schema 2 descrive la procedura sintetica seguita per l’ottenimento dei derivati

18-21. Il primo step consiste nella condensazione dell’opportuno acido

(5-cloroindolo-2-carbossilico o 6-clorobenzimidazolo-2-carbossilico) con l’opportuna

N-Boc-alchilendiammina (N-Boc-etilendiammina o N-Boc-butilendiammina) in

DMF anidra, in presenza dell’agente condensante HBTU (N,N,N′,N′-Tetrametil-O-(1H-benzotriazol-1-il)esafluorofosfato di uranio) e trietilammina. La miscela risultante viene lasciata in agitazione a temperatura ambiente per tutta la notte e in seguito versata in ghiaccio. I composti 10-13 vengono filtrati a pressione ridotta e infine purificati per cristallizzazione dall’opportuno solvente (toluene o EtOH/acqua).

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47

I derivati 10-13 sono in seguito idrolizzati per trattamento con acido trifluoroacetico per circa 4 ore in diclorometano, controllando l’andamento della reazione con TLC. Al termine, il solvente viene evaporato a pressione ridotta. Al residuo ottenuto viene aggiunto ghiaccio e la soluzione è alcalinizzata con NaOH 3M fino a pH=10, ed estratta con etile acetato. Dopo essiccamento su MgSO4, la fase organica viene

evaporata a pressione ridotta. Si ottengono così con buona resa i composti 14-17, che risultano sufficientemente puri per essere utilizzati come tali nella reazione successiva.

I derivati amminici 14-17 sono fatti reagire con acido 3,5 bis(trifluorometil)carbossilico in DMF anidra, utilizzando come agente condensante TBTU e DIPEA in bagno di ghiaccio. La miscela risultante è lasciata sotto agitazione a temperatura ambiente per 24 ore in seguito versata in ghiaccio. I composti finali 18-21 sono ottenuti per filtrazione a pressione ridotta ed infine purificati mediante cristallizzazione dall’opportuno solvente (toluene o EtOH/ acqua).

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MATERIALI E METODI

Se non diversamente specificato, tutti i solventi ed i reagenti utilizzati per la sintesi sono stati acquistati dalle ditte fornitrici e sono stati utilizzati senza ulteriore purificazione.

Come agente essiccante è stato utilizzato il solfato di magnesio.

L’evaporazione dei solventi è stata effettuata sottovuoto utilizzando l’evaporatore ruotante.

Le rese (%) si riferiscono a composti cromatograficamente e spettroscopicamente (1H-NMR) omogenei.

Le reazioni sono state monitorate mediante cromatografia su strato sottile (T.L.C.) realizzate su foglio di alluminio ricoperto di silice (MERK 60 F-254, spessore 0.2 mm).

Per le colonne cromatografiche è stato utilizzato il gel di silice 60 (230-400 mesh). Gli spettri di risonanza magnetica del protone (1H-NMR) sono stati eseguiti in una soluzione di dimetilsolfossido esa-deuterato (DMSO-d6) con uno spettrometro Brucker-400 (400-MHz) utilizzando (CH3)4Si (TMS) come standard interno. La presenza di protoni scambiabili è stata confermata tramite acqua deuterata (D2O).

I punti di fusione sono stati determinati con un apparecchio di Reichert Kӧfler e non sono stati corretti.

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50 Procedura generale per la sintesi dei derivati 8 e 9

Ad una soluzione dell’opportuno acido carbossilico (5-cloroindolo-2-carbossilico o 6 clorobenzimidazolo-2-acidocarbossilico) (0,0010 mol) in 1,5 ml di DMF anidra sono aggiunti di trietilammina (0,15 ml, 0.0011 mol), (N,N,N′,N′-Tetrametil-O-(1H-benzotriazol-1-il)esafluorofosfato di uranio) HBTU (417 mg, 0,0011 mol) e 3,5 bis(trifluorometil)benzilammina (267 mg, 0,0011 mol). La miscela risultante è lasciata in agitazione a temperatura ambiente per tutta la notte (analisi TLC, miscela eluente: AcOEt: Etere di petrolio 30-60 °C in vari rapporti). Successivamente tale soluzione è aggiunta goccia a goccia ad un becker contenente ghiaccio e il precipitato ottenuto viene filtrato a pressione ridotta. Infine i composti ottenuti sono purificati mediante cristallizzazione da opportuno solvente.

N-(3,5-bis(trifluorometil)benzil)-5-cloro-1H-indolo-2-carbammide (8). Resa: 48%; p.f.: 239-241 °C; toluene; 1H-NMR (DMSO-d 6, δ ppm): 11.89 (s, 1H); 9.30 (t, 1H, J=6.0 Hz); 8.05-8.03 (m, 3H); 7.74 (d, 1H, J= 2.0 Hz); 7.43 (d, 1H, J= 8.8 Hz); 7.21-7.17 (m, 2H); 4.69 (d, 2H, J= 6.0 Hz). 13C-NMR (DMSO-d 6, δ ppm): 161.59, 143.60, 135.41, 133.05, 131.16, 130.83, 128.67, 128.55, 125.19, 124.78, 124.11, 122.48, 121.16, 114.40, 102.98, 42.09. N-(3,5-bis(trifluorometil)benzil)-5-cloro-1H-benzo[d]imidazolo-2-carbammide

(9). Resa: 40 %; p.f.: 202-205°C; etanolo, acqua;

1H-NMR (DMSO-d 6, δ ppm): 13.51 (s, 1H); 9.81 (t, 1H, J=5.8 Hz); 8.08-8.02 (m, 3H); 7.82-7.52 (m, 2H); 7.35-7.33 (m, 1H); 4.68 (d, 2H, J= 6.0 Hz). 13C-NMR (DMSO-d 6, δ ppm): 159.30, 143.06, 131.11, 130.78, 130.46, 130.13, 128.88, 125.18, 122.47, 121.30, 121.27, 121.23, 42.18.

Riferimenti

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