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 Niños de Rusia. L’invio dei minori spagnoli in Unione Sovietica durante la guerra civile

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Carocci editore

Solidarietà antiche e moderne

Un percorso storico

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1a edizione, dicembre 2017 © copyright 2017 by Carocci editore S.p.A., Roma Realizzazione editoriale: Studio Agostini, Roma

Finito di stampare nel dicembre 2017 da Grafiche VD srl, Città di Castello (PG)

isbn 978-88-430-9076-1 Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633)

Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno

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Introduzione. La solidarietà: un fondamento della civiltà 7 di Pierpaolo Merlin

Forme di solidarietà nelle comunità rurali del Medioevo: terre di uso comunitario e patti agrari collettivi 13 di Francesco Panero

Le confratrie tardomedievali nell’arco alpino nordoccidentale 21 di Alberto Sciascia

Coesioni politiche nel sistema spagnolo: Napoli in soccorso di

Milano (1637-43) 37

di Giuseppe Foscari

La Compagnia dell’Umiltà di Torino: devozione e solidarietà in età

moderna e contemporanea 55

di Anna Cantaluppi e Blythe Alice Raviola

Sulle strade del Levante. Solidarietà, ospitalità e libertà di

mo-vimento 69 di Paolo Gerbaldo

La vita e la pittura di Francesco Lojacono: una sola forma di

pa-triottismo 87 di Anna Ciotta

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La solidarietà tra popoli e garibaldini. Le spedizioni in terra

ot-tomana 101 di Emanuela Locci

Niños de Rusia. L’invio dei minori spagnoli in Unione Sovietica

durante la guerra civile 115

di Marco Novarino

«Verso una nuova vita». L’assistenza ai profughi nell’Italia

post-bellica (1945-56) 135

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L’invio dei minori spagnoli

in Unione Sovietica durante la guerra civile

di

Marco Novarino*

Il Novecento è stato il secolo nel quale l’infanzia ha maggiormente sofferto gli ef-fetti degli eventi bellici. Molti bambini, in particolare quelli nati negli anni Trenta e all’inizio degli anni Quaranta, vissero quasi interamente la loro infanzia in un contesto di violenza e morte generata dalla “guerra totale” che coinvolse la popola-zione civile, anche se residente in luoghi lontani dai fronti militari.

Questa situazione, già di per sé drammatica e sconvolgente, si aggravò in con-testi di guerra civile, conflitti caratterizzati da un alto tasso di violenza dettato da sentimenti di vendetta, a volte ancestrali, nei confronti della fazione nemica. In ta-le quadro di fondo, la vicenda dei bambini e adota-lescenti evacuati dalla Spagna du-rante la guerra civile1 attraverso un imponente sforzo solidaristico internazionale

rappresenta un esempio paradigmatico.

In particolare l’esperienza dei cosiddetti niños de Rusia – espressione utilizzata

a partire dagli anni Ottanta per definire i bambini che furono accolti dall’Unione Sovietica a partire dal 19372 assume un ulteriore carattere di drammaticità e

sof-ferenza, perché per la maggioranza di loro la fine della guerra non coincise con il rimpatrio ma, al contrario, con un coinvolgimento nel Secondo conflitto mondia-le in seguito all’invasione dell’Unione Sovietica da parte delmondia-le truppe naziste. Suc-cessivamente, sia le vite di chi rimase sia quelle di coloro che rientrarono in Spagna furono profondamente segnate dalla Guerra fredda.

In questo caso più che di evacuazione si può parlare di vero e proprio esilio, inquadrabile in quell’imponente esodo forzato provocato dalla guerra civile, quan-do, tra il luglio 1936 e il marzo 1939, si svilupparono movimenti migratori compo-* Ricercatore, docente di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Lingue e Letterature straniere e Culture moderne dell’Università di Torino.

1. Sulla guerra civile spagnola, limitandoci ai testi in lingua italiana, cfr. Bennassar (2006); Broué, Temine (1962); Browne (2000); Jackson (1967); Preston (1999); Ranzato (2004); Thomas

(1963); Tuñon de Lara (1976); Vilar (1988).

2. Sulle espressioni niños de la guerra e in particolare niños de Rusia cfr. Devillard, Pazos,

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sti da decine di migliaia di persone che dovettero abbandonare la Spagna a seguito degli eventi bellici (cfr. Rubio, 1979).

1

L’assistenza umanitaria internazionale

nei confronti dei minori spagnoli

La continua avanzata dell’esercito nazionalista, guidato dal generale Francisco Franco, provocò un enorme spostamento interno di popolazione, con conseguen-te allestimento da parconseguen-te del governo repubblicano di infrastrutture per sosconseguen-tenere le primarie esigenze degli sfollati.

Contemporaneamente si produssero i primi flussi di esiliati oltre la frontiera pirenaica. Il primo di questi ebbe luogo nell’estate del 1936, immediatamente dopo la sollevazione nazionalista, a seguito della caduta della provincia di Guipùzcoa, nei Paesi Baschi. Nei primi giorni di settembre cadde Irùn dopo una resistenza di-sperata; stessa sorte toccò a San Sebastian, il 15 di settembre, e circa 15.000 baschi fuggirono in Francia, attraversando la frontiera o imbarcandosi per i porti france-si. Pochi giorni dopo la loro fuga, 10.000 di questi rifugiati ritornarono nella zona repubblicana, attraverso la Catalogna. Altri rientrarono nelle zone conquistate dai nazionalisti riunendosi alle proprie famiglie, mentre all’incirca 5.000 esuli rimase-ro in Francia come rifugiati di guerra.

Il secondo esodo coinvolse circa 160.000 persone e si sviluppò nel lasso di tempo immediatamente successivo alla vittoria delle truppe nazionaliste sul fronte nord nei mesi compresi tra marzo e ottobre del 1937. L’ondata più consistente si produsse do-po la caduta di Bilbao (19 luglio), di Santander (26 agosto) e delle Asturie (Gijòn fu presa il 27 ottobre) e, anche in questo caso, la destinazione finale fu la Francia.

Con la caduta del fronte di Aragona, avvenuta nella primavera del 1938, si pro-dusse la terza ondata migratoria, quando attraversarono la frontiera pirenaica circa 25.000 esuli, in maggioranza soldati che ritornarono in Catalogna per continuare la guerra (mentre le famiglie si fermarono in territorio francese). Alla fine di questi esodi il numero dei rifugiati spagnoli in Francia si aggirava sui 40.000 individui, in maggior parte bambini, donne e anziani.

Tuttavia l’esodo più massiccio, di circa 470.000 spagnoli tra soldati e popola-zione civile, avvenne al termine della guerra, tra gennaio e febbraio del 1939, con la caduta della Catalogna3. A differenza delle precedenti fughe, che riguardavano

principalmente soldati e ufficiali dell’esercito della Repubblica, funzionari del go-3. Non esistono stime esatte su quanti spagnoli attraversarono la frontiera durante i vari flussi migratori, e tra i vari studiosi che hanno affrontato il problema vi sono significative discrepanze. I dati forniti in questo saggio sono tratti da Vilar (2006, p. 32); Rubio (1977, pp. 65-114). Cfr. anche Fundación Pablo Iglesias (1989, p. 191) e Romero Samper (1996, pp. 19-107).

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verno, dirigenti politici e sindacali – la cui vita sarebbe stata in pericolo nel caso fossero caduti prigionieri dei franchisti – in questo caso la maggioranza degli esuli era composta da persone che non avevano partecipato in modo attivo alla guerra, ma che fuggivano in seguito alle notizie delle atrocità operate in modo indiscrimi-nato, in particolare dopo la presa di Barcellona, dalle truppe nazionaliste, soprat-tutto dai reparti comandati dal generale Yagüe.

Già all’inizio dell’ottobre del 1936 il governo guidato da Francisco Largo Ca-ballero creò un Comité de Refugiados, sotto il controllo del ministero della Sani-tà guidato dall’anarchica Federica Montseny con lo scopo di coordinare il lavoro di numerose organizzazioni, in buona parte controllate dai partiti e dai sindacati.

Immediatamente, si profilò il problema dell’assistenza ai bambini e agli adole-scenti nella maggior parte dei casi accompagnati da parenti ma, quotidianamente, aumentavano gli orfani o quelli che si trovavano privi dell’assistenza dei genitori, che erano impegnati sui fronti o nelle retroguardie.

Per rendere più efficaci le forme di aiuto nei confronti dei minori, questa specifica competenza venne affidata al ministero della Pubblica Istruzione di-retto dal comunista Jesús Hernández Tomás, che puntò principalmente sulla co-struzione di colonie, in larga parte ubicate in Catalogna, dove circa 50.000 bam-bini, oltre a ricevere assistenza e accoglienza, poterono continuare le attività sco-lastiche che proprio in quei mesi erano al centro di radicali riforme (cfr. Crego, 1993; Fernández Soria, 1987).

La veloce avanzata delle truppe nazionaliste, ma soprattutto l’intensificarsi dei bombardamenti su centri abitati compiuti dalle aviazioni tedesca e italiana, pro-vocarono un’importante mobilitazione di solidarietà internazionale con il fine di evacuare minori spagnoli in altri paesi. In questo progetto umanitario il governo repubblicano e il governo autonomo basco ottennero il sostegno, per quanto ri-guarda l’Europa, dei governi di Belgio, Danimarca, Francia, Regno Unito, Svizze-ra e Unione Sovietica – che accolsero un totale di circa 32.500 bambini – mentre Svezia, Norvegia e Olanda sostennero economicamente le colonie e i centri d’ac-coglienza organizzati in Spagna e Francia.

A fianco degli organismi governativi operarono numerose organizzazioni costi-tuite appositamente per l’aiuto all’infanzia spagnola. Nel novembre 1936 il sindacato social-comunista francese Confédération Générale du Travail (cgt), stipulò con il ministero spagnolo dell’Assistenza sociale la creazione di un Comité d’Accueil aux Enfants d’Espagne (caee)4, il cui obiettivo era «accueillir et héberger dans le plus

bref délai le plus grand nombre possible d’enfants espagnols que la guerre civile a 4. Il caee era presieduto da Léon Jouhaux, segretario generale della cgt, e da Victor Basch, presidente della Ligue Internationale des Droits de l’Homme. Il governo francese era rappresentato da Amós Sabrás, delegato del ministero del Lavoro e dell’Assistenza sociale. Facevano parte del di-rettivo Luis Rodríguez Guerra e Alberto Lumbreras, membri della Liga española de los derechos del hombre. Sull’attività del caee cfr. Keren (2009).

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privés d’asile ou rendus orphelins» (cfr. aa.vv., 1937). Il Comité ottenne immedia-tamente l’appoggiò della Ligue des Droits de l’Homme, dando vita a una convergen-za interclassista, resa possibile dal clima prodottosi in seguito alla vittoria del Fronte popolare nel giugno di quell’anno. Nell’arco di due anni il caee accolse e aiutò dai 7 agli 8.000 bambini spagnoli sul totale di 20.000 evacuati in Francia.

L’altra metà venne assistita da varie organizzazioni come le Secours Internatio-nal aux Femmes et Enfants de la République –costituita dal Rassemblement uni-versel pour la paix (cfr. Mazuy, 1993) nel 1936 –, la Commission d’Aide aux enfants espagnols réfugiés, la Commission internationale pour l’Aide aux enfants réfugiés en Espagne – creata a Ginevra nella primavera del 1937 da quaccheri statunitensi, inglesi e svizzeri, ma operante principalmente in Francia5 – e il Comité Catholique

d’Ac-cueil aux Enfants Basques en France (cfr. Alonso Carballés, 2002, pp. 75-84). In Belgio, paese che ospitò circa 5.000 bambini, la questione venne gestita principalmente, in campo laico, dal Parti ouvrier belge (partito socialdemocratico fondato nel 1885) (cfr. Musin-Flagothier, 1987, pp. 315-41; Santín, 1999), che con-giuntamente ad altre organizzazioni di sinistra (in particolare il Parti communiste belge e l’organizzazione Femmes prévoyantes socialistes) diede vita nel 1936 al Co-mité National pour l’Hébergement des Enfants Espagnols en Belgique, che accol-se circa la metà degli evacuati. In campo cattolico agì principalmente l’Œuvre des enfants basques, creata dal cardinale Joseph-Ernest Van Roey, arcivescovo di Ma-lines, mentre su posizioni meno connotate dal punto di vista politico e religioso s’impegnarono il Comité neutre d’assistance aux enfants espagnols, creato dalla Croce Rossa belga, la sezione belga del Office Internationale pour l’Enfance, il Grupo español por la defensa de la República (operante presso la Casa de España di Bruxelles, il centro culturale dell’ambasciata spagnola) e l’Home belgo-basque de Marchin-Lez-Huy (cfr. Legaretta, 1987, p. 276; Labajos, Vitoria García, Vitoria García, 1994; Alonso Carballés, 1998; 2003).

In Gran Bretagna operò a partire dal novembre del 1936 il National Joint Committee for Spanish Relief, organismo umanitario politicamente trasversa-le – guidato dalla duchessa di Athol, deputata del Partito conservatore, ma cono-sciuta come la “duchessa rossa” per il suo impegno nel sociale – che a partire dalla primavera del 1937 iniziò a premere sul governo Eden affinché venissero accolti bambini spagnoli provenienti dalle zone di guerra6.

A supporto di tale campagna nacque il Basque Children’s Committee, anch’es-so privo di una precisa connotazione politica o religiosa (vi collaborarono laburi-5. Contribuirono alla creazione l’American Friends Service Committee di Filadelfia, la Friends Service Council di Londra con l’appoggio del Service Civil International di Berna e l’Union Inter-nationale de Secours aux enfants di Ginevra. La Commission interInter-nationale pour l’Aide aux enfants réfugiés en Espagne era presieduta dal giudice norvegese Michael Hansson. Cfr. Duroux (2003, pp. 115-25).

6. University of Southampton Archives, Basque refugee children archives, ms 370; Papers of the Basque Children of ’37 Association uk, ms 404 a4164.

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sti, liberali e conservatori, sindacalisti, esponenti delle confessioni protestanti, in particolare quaccheri, e della Chiesa cattolica) che fornì assistenza e accoglienza (allestendo oltre 100 colonie) ai quasi 4.000 niños arrivati nel porto di

Southam-pton a bordo del transatlantico “Habana” il 23 maggio 1937 (cfr. Buchanan, 1988; Arrien, 1991; Arasa, 1994; Benjamin, 2003a; 2003b; Anderson, 2017).

La Svizzera accolse 245 profughi, nonostante le misure ristrettive imposte dal governo federale. Il primo tentativo, fallito, venne portato avanti dal militante so-cialista e fondatore del gruppo Amis de l’Espagne Républicaine, André Oltrama-re (cfr. Van Dongen, 1997), che caparbiamente contattò numerose organizzazioni umanitarie, riuscendo a costituire nel febbraio 1937 il Comité neutre de Secours au Enfants d’Espagne, conosciuto in Spagna come Ayuda suiza (cfr. Schmidlin, 1999). Un altro canale venne attivato dal Comité nacional católico de acogida a los vascos – fondato per organizzare l’espatrio dei bambini baschi in Francia e tenere i rapporti tra il Partido Nacionalista Vasco e gli organismi cattolici europei – che permise l’arrivo di un gruppo inizialmente destinato in Francia (cfr. Farré, 2003).

In Danimarca il Commitee for Spanish Refugee Children accolse un centina-io di bambini, sistemandoli in due colonie situate nelle vicinanze di Copenaghen. Infine, pur non accogliendo direttamente bambini evacuati, anche in Svezia e Nor-vegia vennero creati dei comitati per raccogliere aiuti. Lo svedese Spania Komiteen, guidato dal leader socialdemocratico Georg Branting, costituì più di 400 comitati locali e stabilì un accordo con la Delegación Española para la Infancia Evacuada, cre-ata dall’ambascicre-ata a Stoccolma, per la costruzione di nuove colonie in Francia. L’o-mologo norvegese si concentrò invece sull’aiuto alle colonie ubicate a Valencia, ed entrambi furono molto attivi nell’organizzare l’invio di volontari (principalmente medici, infermieri, assistenti infantili) in Spagna e Francia (cfr. Duroux, 2003).

Un ruolo fondamentale venne svolto anche da organismi internazionali, con funzioni di assistenza generale, come la Croce rossa, il Soccorso rosso interna-zionale (sri) (cfr. Ryle, 1967; 1970) e la Solidaridad Internacional Antifascista (sia) (cfr. Cionini, 2011; Berry, 1990; Frémonti, 2017). Queste ultime due orga-nizzazioni (la prima espressione dell’Internazionale comunista, creata nel 1922, mentre la seconda fu costituita dalla Confederación Nacional del Trabajo, dalla Federación Anarquista Ibérica e dalla Federación Ibérica de Juventudes Liberta-rias nel 19377) rappresentano il tipico esempio della solidarietà con una forte

im-pronta ideologica, che nel caso dell’assistenza all’infanzia coinvolse altri organi-smi politicamente impegnati come il Comité pour l’Espagne Libre, fondato nel 1936 dal pacifista Louis Lecoin e patrocinato dal movimento anarchico francese. Tale organismo, trasformatosi nel 1937 nella sezione della sia, creerà una

colo-7. Internationaal Instituut Voor Sociale Geschiedenis, papers cnt, 36b: «Hemos constituido la Solidaridad Internacional Antifascista (sia) organismo que muy bien puede ser el vehículo que facilite un futuro engrandecimiento de nuestra central anarcosindicalista, de igual forma que el So-corro Rojo Internacional lo ha facilitado a la Internacional Comunista».

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nia per bambini in un castello requisito a Llansa, nei pressi di Girona e sul con-fine con la Francia, che inizialmente accolse 50 bambini evacuati da Madrid (cfr. Cionini, 2007). Il Soccorso rosso internazionale nello specifico dell’intervento a favore dell’infanzia nel conflitto iberico fondò l’Escuela nacional para niños anormales (Scuola nazionale per bambini mentalmente disabili) a Madrid, con 150 assistiti8.

2

L’evacuazione verso l’Unione Sovietica

Se l’opposizione popolare alla sollevazione militare del luglio 1936, che rappresen-tava la prima reazione armata all’instaurazione di una dittatura fascista, raccolse l’entusiastico appoggio da parte del movimento comunista internazionale e della popolazione dell’Unione Sovietica – che si tramutò in un immediato slancio soli-daristico attraverso l’invio di aiuti umanitari – molto più pragmatica e attenta agli equilibri internazionali fu la politica di intervento imposta da Stalin.

La dirigenza staliniana non aveva nessun interesse a esportare in Spagna un modello “sovietico” o appoggiare qualsiasi altra ipotesi rivoluzionaria, ma sempli-cemente intendeva permettere al governo repubblicano, democraticamente eletto nelle elezioni del febbraio 1936, di ristabilire la propria autorità su tutto il territo-rio. Si trattava di una linea mirante soprattutto a tranquillizzare Francia e Inghil-terra, ribadendo che la politica del “socialismo in un solo paese” non era solo uno slogan, sancendo così l’effettiva rinuncia da parte del leader sovietico alla strategia dell’esportazione della rivoluzione sovietica portata avanti negli anni Venti. Inol-tre, questo atteggiamento cauto e prudente serviva a legittimare la strategia dei ‘fronti popolari’ –avviata dall’Unione Sovietica nel 1935 durante il vii congresso dell’Internazionale comunista – ossia appoggiare e promuovere la costituzione di una coalizione di partiti e forze politiche democratiche progressiste, socialiste e comuniste in funzione antifascista, impedendo la vittoria nelle elezioni delle forze conservatrici autoritarie e portando avanti con tutti i mezzi una ferrea opposizione alla presa del potere da parte di movimenti fascisti.

Le vittorie elettorali in Spagna e in Francia di coalizioni che aderivano a tale programma convinsero Stalin di come quella tracciata fosse la strada tatticamente giusta per contenere l’espansionismo nazi-fascista. Questa nuova stagione di alle-anze significò di conseguenza, pur non rinunciando all’esaltazione del sistema so-vietico, un ridimensionamento dell’intervento nei paesi dell’Europa occidentale, e l’imposizione ai partiti aderenti all’Internazionale comunista di partecipare alla

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formazione di governi “frontisti”, rinunciando a qualsiasi azione rivoluzionaria che mettesse in discussione il sistema liberale borghese.

Il cambio politico imposto dall’Internazionale venne messo a dura prova in Spagna per vari motivi. Il primo per la presenza, con una situazione anomala ri-spetto al quadro internazionale, di un movimento libertario di massa che in alcu-ne regioni, attraverso l’anarco-sindacalista Confederación Nacional del Trabajo, rappresentava la maggioranza del proletariato contadino e operaio. Si trattava di un movimento non solo forte sindacalmente, ma anche profondamente radica-to socialmente e culturalmente, che si presentava come una forza rivoluzionaria e antagonista nei confronti di qualsiasi forma di governo sperimentata in Spagna e che quindi, dopo l’inizio della guerra civile, non solo si batteva per la sconfitta dei militari fascisti, ma mirava alla creazione di una società rivoluzionaria. D’altro canto, fin dall’inizio, il generale Franco aveva giustificato la sollevazione come un atto preventivo per neutralizzare un complotto comunista in Spagna, ma più in generale per dar vita a una crociata anticomunista, intesa come “guerra santa” in difesa della civiltà cristiana nell’intero Occidente. Questa strategia, che ottenne a partire dall’agosto del 1936 l’appoggio delle gerarchie ecclesiastiche cattoliche, an-che in seguito alle persecuzioni religiose compiute nelle prime settimane di guer-ra, costrinse l’Unione Sovietica a mantenere inizialmente un atteggiamento cauto proprio per non prestare il fianco alla propaganda nazionalista che si sforzava di accreditare il golpe, negli ambienti politici moderati e conservatori europei, come un “male minore” rispetto alla minaccia “comunista”.

Si comprende dunque, in questa situazione, l’adesione dell’Unione Sovietica al “Patto di non intervento”, siglato anche da Francia, Inghilterra, Germania e Ita-lia. Ma all’inizio dell’autunno 1936, visto il crescente impegno economico-militare delle potenze dell’Asse (saldamente unite con un trattato d’alleanza siglato nell’ot-tobre 1936) portato avanti con totale spregio degli accordi sottoscritti, Stalin de-cise di cambiare strategia, pur non rinunciando alla politica del ristabilimento in Spagna di un sistema liberal-borghese a guerra vinta.

Venne così deciso l’invio di aiuti politico-militari e di consiglieri al governo repubblicano, la formazione – con l’aiuto dei partiti comunisti aderenti all’Inter-nazionale comunista – delle Brigate internazionali e il sostegno per una mobilita-zione antifascista a livello mondiale.

In questo contesto di solidarietà antifascista, la vicenda dei quasi 3.000 bambi-ni e adolescenti accolti in Ubambi-nione Sovietica assunse immediatamente connotazio-ni diverse e specifiche rispetto all’azione umaconnotazio-nitaria di altri paesi europei.

Se le evacuazioni negli altri paesi avvennero senza clamori – i governi che ave-vano dato la loro disponibilità all’accoglienza voleave-vano infatti mantenere un’equi-distanza nel conflitto, presentandola come esclusivo atto umanitario –quelle di-rette verso i porti sovietici ebbero tutt’altro impatto. La propaganda sovietica e il Partido Comunista de España (pce) presentarono la vicenda come la più alta

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espressione dell’internazionalismo proletario (trattandosi per la stragrande mag-gioranza di figli di militanti comunisti) e antifascista.

Emblematico in questo contesto l’utilizzo della cinematografia, che riprese in vari momenti, a partire dal 1936, l’epopea dei bambini inviati nel “paese del so-cialismo”. Il primo filmato fu Salud España. En ayuda de los niños y mujeres de la heroica España (Salyút Ispanii. Na pómosch dietiam i zhénschinam gueroícheskoi Ispanii), diretto da L. Zernov per conto della Soiuzkinocronika, ente incaricato di

realizzare i notiziari sovietici, non specificatamente dedicato all’evacuazione, ma che trattava anche il dramma dei bambini in guerra. Fin dall’estate del 1936 la casa produttrice moscovita aveva inviato sul suolo iberico due dei suoi migliori cineo-peratori, Roman Karmen e Boris Makaseiev, che firmarono un documentario, in venti puntate, specificatamente dedicato alla guerra in corso, dal titolo Sobre los sucesos de España (K sovitiyam v Ispanii), girato tra il settembre 1936 e il luglio 1937.

Ma il documentario più importante e famoso rimane senza dubbio Niños españoles en la urss (Ispanskie diéti v sssr), diretto da R. Guikov e girato da

Kar-men y Makaseiev. Nel più classico stile del realismo sovietico il docuKar-mentario, del-la durata di circa 12 minuti9, si prefiggeva di inviare precisi messaggi sia al popolo

russo, sia all’opinione pubblica internazionale. L’apertura era dedicata alla conso-lidata alleanza tra la Spagna e l’Unione Sovietica, rappresentata dalla carrellata dei manifesti inneggianti alla lotta del popolo spagnolo contro il fascismo. Nelle se-quenze successive il campo era per poi lasciato agli orrori della guerra “totale”, con il bombardamento contro la popolazione enfatizzato dalle strazianti immagini di un bambino vittima di una incursione aerea e della disperazione di una madre, mentre un sottotitolo informava come «migliaia di bambini stavano per essere evacuati dalla Spagna all’urss». Ma le distruzioni di Madrid a un certo punto sfumavano e apparivano quelle di un porto non identificabile della Spagna, dove bambini e adolescenti, molti accompagnati dai loro genitori, aspettavano di imbar-carsi. Immagini nelle quali il terrore lasciava spazio a uno spaesamento silenzioso per l’imminente distacco, l’ansia e la paura per un viaggio lungo e incerto. Dopo un momento di poche frazioni di secondi, le immagini scure del porto venivano però immediatamente sostituite da una panoramica luminosa del Cremlino, cui segui-vano scene di gioia ed entusiasmo popolare alternate dai sorrisi dei piccoli spagnoli al loro arrivo nella stazione di Mosca, con i giovani del Komsomol che lanciavano ai loro “compagni” spagnoli fiori e fazzoletti rossi. Nelle scene seguenti venivano ritratte le attività quotidiane (corsi di matematica, geografia in spagnolo, lezioni di russo, lezioni di violino, esercizi fisici) svolte in un’accogliente struttura ubicata in una piccola città sul Mar Nero, Artek, con stanze ordinate, pulite e arieggiate, colme di giochi (soffermandosi su un lungo termosifone che li avrebbe difesi dal-le intemperie del lungo e freddo inverno), il tutto intervallato da musiche, canti e

9. L’intero documentario è visibile in https://www.youtube.com/watch?v=INhzVJZOoT0 (consultato il 24 luglio 2017).

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danze tradizionali spagnole e russe, interpretate dai giovani sotto lo sguardo pa-terno di un ritratto di Stalin. Gli ultimi fotogrammi proiettavano infine un treno che attraversava la Moscova, lasciando scorgere sullo sfondo le luci del Cremlino.

Dopo Niños españoles en la urss, lo stesso anno, venne prodotto dalla

Soiuzki-nocronik, con la regia di V. Soloviov y D. Astradanzev, Bienvenidos (Dobró pozhálo-vath) e dal Tsentral’naya Studija dokumental’nykh filmov di Mosca Nuevos amigos

(Nóvie továrischi), dedicato alla vita quotidiana dei bambini nella struttura di Artek,

ponendo in risalto due aspetti importanti per la propaganda sovietica: l’amicizia, che superava barriere linguistiche e culturali, tra bambini spagnoli e sovietici frutto dello spirito internazionalistico, e il rigoroso rispetto degli usi e delle tradizioni spagnole (lezioni in lingua madre, cuoco asturiano), sia per esaudire le precise richieste da par-te del governo repubblicano sia per conpar-tenere e ribatpar-tere la propaganda nazionalista, scatenata nel denunciare il fatto che “figli” della Spagna fossero ospitati in paese “co-munista”. Non a caso il documentario si concludeva non più con il ritratto di Stalin, ma con quello di Dolores Ibarruri, comunista spagnola.

Anche se questi due ultimi filmati ebbero una minor diffusione in Unione So-vietica rispetto a Ispanskie deti v sssr, l’impatto complessivo sulla società sovietica

fu notevole, trasformando quei bambini e adolescenti, e i loro accompagnatori, in figure quasi leggendarie, testimonianza vivente dell’arroganza fascista (Encinas Moral, 2008, p. 10). Tutti e tre i documentari vennero doppiati in spagnolo e pro-iettati nei territori controllati dalla Repubblica.

Fin dai primi mesi del conflitto, le autorità sovietiche cominciarono a pren-dere in considerazione la possibilità di accogliere bambini evacuati dalle zone di guerra, dando la priorità agli orfani. In cinque occasioni, tra l’inizio di settembre e la metà dell’ottobre 1936, il Comitato centrale del Partito comunista dell’Unione Sovietica (pcus) discusse sulle modalità di aiuto all’infanzia spagnola10 .

A proposito dell’accoglienza, il 22 novembre 1936 il membro del segretariato del Comitato esecutivo dell’Internazionale comunista (ceic), Dmitrii Manuilsky, in seguito alle segnalazioni provenienti da comunisti italiani che combattevano sul fronte di Madrid, inviò una lettera a Stalin con la richiesta di concedere un “tem-poraneo asilo”, fin quando la Repubblica non avesse vinto la guerra, a un numero imprecisato di bambini spagnoli:

In relazione – scriveva Manuilsky – al fatto che molti combattenti di una brigata interna-zionale che combatte vicino a Madrid sono caduti, lasciando dei figli orfani, i compagni italiani segnalano la questione del trasferimento di questi bambini in Unione Sovietica. Si-curamente tale questione sarà sollevata anche da altre sezioni della Komintern. So che nel nostro paese ci sono molte famiglie sovietiche che sarebbero felici di prendere con sé questi

10. Rossiiskii Gosudarstvennyi Arkhiv Sotsial’no-politicheskoi Istorii (Archivio di Stato russo di storia sociale e politica, d’ora in avanti rgaspi), f. 17, op. 3, d. 980, 981, 982 e 983.

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orfani. Se avrò il suo assenso per questa questione, darò l’indicazione al sri di organizzare il trasferimento dei bambini in Unione Sovietica11.

Questa richiesta venne preceduta da un’intensa campagna giornalistica, con edi-toriali apparsi a partire dalla metà di settembre sulla “Pravda,” su “Izvestiia” e su “Literaturnaia gazeta”, tutti favorevoli all’accoglienza12. Contemporaneamente, il

nuovo ambasciatore della Repubblica spagnola a Mosca, il socialista Manuel Pa-scua, dichiarava che il suo governo aveva ricevuto segnali da parte di quello sovie-tico sulla disponibilità per una temporanea ospitalità13.

Non si hanno tracce di una risposta di Stalin alla lettera di Manuilsky, ma un’ulteriore pressione fu esercitata il 20 dicembre dal comandante in capo dell’Ar-mata Rossa, Kliment Efremovič Voroshilov, che propose di selezionare uno dei migliori orfanotrofi di Mosca e adattarlo per accogliere un centinaio di orfani spa-gnoli, affidando la questione al Narodnyj komissariat prosveščenija (Narkompros – Commissariato del popolo per l’istruzione)14.

Vista la delicatezza del tema, Stalin pensò di coinvolgere lo stesso Voroshilov nell’esecuzione del progetto e il 3 gennaio 1937 il Politburo del pcus, con il decreto n. 45/67, incaricò la Razvedupravleniia Krasnoi Armii (Servizi segreti dell’Armata rossa) di allestire case per la specifica accoglienza dei bambini spagnoli15.

Se nella questione venne amministrativamente coinvolto l’apparato militare sovietico, anche gli organismi internazionali parteciparono all’iniziativa. Nello stesso periodo in cui Manuilsky contattava Stalin, la Mezhdunarodnaia Organi-zatsiia Pomoshchi Revoliutsioneram (mopr – sezione sovietica dell’Organizza-zione internazionale per l’aiuto ai rivoluzionari conosciuta come Soccorso rosso internazionale) – fondata nel 1922 dal Comintern per l’aiuto materiale e l’assisten-za morale ai prigionieri politici incarcerati nei paesi capitalistici – iniziò la proce-dura per la creazione di una casa per l’accoglienza di niños vicino a Mosca16.

Non era la prima volta che il mopr si occupava di bambini ospitati in Unione Sovietica. Già nel 1930 aveva costruito una casa d’accoglienza per figli di comunisti non sovietici, conosciuta come la “Casa internazionale dei bambini”, che fino al 1936 aveva alloggiato circa 160 minori, tra cui i figli di Dolores Ibárruri, Amaya e Rubén Ruiz Ibárruri – arrivati a Mosca nel 1935, dopo che la madre era stata arrestata in

se-11. rgaspi, Lettera di Dmitrii Manuilskii a Stalin, f. 17, op. 120, d. 266, l. 85. Riportato anche in Elpátievsky (2008, p. 103).

12. “Pravda”, 15, 17, e 19 settembre 1936; “Izvestiia”, 18 settembre e 9 ottobre 1936; “Literaturnaia gazeta”, 6 ottobre 1936. 

13. Archivo Histórico Nacional (Madrid), Lettera di Marcelino Pascua, 22 ottobre 1936, Diver-sos. Marcelino Pascua, Leg. 2. Exp. 9-4.

14. Rossiiskii Gosudarstvennyi Voennyi Arkhiv (Archivio militare dello Stato Russo, d’ora in avanti rgva), Lettera di Voroshilov a Stalin, 20 dicembre 1936, f. 33987, op. 3, d. 853, l. 72.

15. rgva, f. 33987, op. 3, d. 853, l. 72; rgaspi, f. 17, op. 3, d. 983, l. 67.

16. Gosudarstvennyi Arkhiv Rossiiskoi Federazii (Archivio di Stato della Federazione Russa, d’ora in avanti garf), f. 8265, op. 1, ed. kr. 100, l. 102-103.

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guito all’insurrezione delle Asturie dell’ottobre 1934 – e la figlia adottiva del coman-dante dell’aeronautica militare repubblicana Ignacio Hidalgo de Cisneros, Luli17.

Anche il ceic si occupò più volte del problema e nell’ottobre del 1937 indicò come prioritario predisporre «al più presto possibile l’evacuazione della popola-zione civile dalle Asturie (bambini, donne, anziani), perché nelle Asturie scarseg-gia il cibo e vi sono numerosi profughi […]. È necessario organizzare l’accoglienza alla popolazione evacuata con l’aiuto dei sindacati e delle organizzazioni democra-tiche in ogni paese»18.

Questa presa di posizione dell’Internazionale comunista è confermata nelle memorie del ministro dell’Istruzione Hernández Tomás pubblicate nel 1954:

Cuando la guerra comenzó a agravarse en el norte de España, la urss nos hizo la oferta de estar dispuesta a recibir a unos cuantos millares de hijos de combatientes para salvarles de los horrores de los bombardeos y para educarles convenientemente. Yo era entonces Ministro de Educación Publica y organicé la salida de varias expediciones de niños de am-bos sexos, haciéndoles acompañar de profesores españoles para facilitar la educación en el propio idioma. Estaba convencido de que era una verdadera suerte la de aquellos niños, tanto al alejarles de los riesgos de la guerra civil como de poder ser educados en el país del socialismo (Hernández Tomás, 1954, p. 329).

La caduta del governo di Largo Caballero dopo le tragiche giornate del maggio 1937 e la nascita del governo guidato da Juan Negrin con l’accorpamento dei mi-nisteri della Sanità e dell’Educazione pubblica affidati al comunista Hernández Tomás, principale fautore delle dimissioni di Largo Caballero e dell’estromissione dei ministri anarchici, comportarono un’accelerazione dell’evacuazione dei niños

verso l’Unione Sovietica, dopo che una prima partenza era stata organizzata dal porto di Valencia il 21 marzo 1937. Si trattò di un evento – anche se sostanzialmente modesto dal punto di vista numerico, essendo composto da soli 72 bambini sfollati e provenienti da Madrid, Valencia, Alicante, Malaga e Almeria19 – di notevole

riso-nanza, soprattutto per via della propaganda nazionalista. Imbarcati sulla nave spa-gnola “Cabo de Palos”, arrivarono a Yalta sul mar Nero alla fine di una settimana di navigazione e, dopo aver trascorso cinque mesi in una colonia estiva ad Artek, vennero inviati a Mosca per inaugurare la prima casa dei bambini spagnoli, come documentato in Ispanskie deti v sssr20.

17. Sulla “Casa internazionale dei bambini”, veda garf, f. 8265, op. 1, ed. kr. 100, l. 276. 18. rgaspi, f. 495, op. 18, del. 1225, l. 95.

19. Informe del Inspector de Primera Enseñanza Antonio Ballestreros conservato in Centro Documental de la Memoria Histórica di Salamanca (d’ora in avanti cdmh) Sección Politico-Social, Barcelona, carpeta 82. Secondo alcune testimonianze raccolte da Dorothy Legarreta (1984), questa spedizione venne preceduta da una partenza, quattro giorni prima, dal porto di Cartagena verso Odessa di 21 bambini, figli di piloti e ufficiali iscritti al pce.

20. In Ispanskie deti v sssr non è chiaro se le sequenze che si riferiscono all’imbarco sono state

(16)

Quando la notizia divenne pubblica – attraverso ampi articoli pubblicati dal-la “Pravda” e daldal-la “Komsomol’skaia Pravda”21 – il quotidiano “abc” di Siviglia, il

giornale con maggior tiratura nella zona “nazionalista” affermò:

Conviene insistir, para que las crueldades rojas estén bien grabadas en todos los cerebros y, a la hora de la paz, no nos enternezcamos en demasía con la suerte de los pobres vencidos, en las normas inhumanas que los rojos observan con la fidelidad que les caracteriza. Una de ellas – de la cual no se habrá escrito bastante – es la deportación de niños españoles a los países donde los rojos gozan de predicamento parcial o integral. Como a nosotros nos gu-sta atestiguar con documentos del enemigo, hemos de citar a este respecto a la Pravda, cuya

rojez nos parece que es definitivamente seria. Pues bien, la Pravda, en su número del

pri-mero de este mes, ha publicado una información acerca de los inocentes chavales españoles que a Rusia – país delicioso – han sido desterrados y los cuales se encuentran en Crimea, al cuidado de los mejores jefes del campo, gente indicadísima, seguramente, para suplir con creces los vehementes y amorosos cuidados de la madre, perdida quizás para siempre por aquellas tiernas víctimas de los negros designios de Moscú22.

A queste accuse la stampa repubblicana controbatté affermando come l’evacuazio-ne «de los niños» non fosse da considerarsi una sconfitta, ma anzi servisse a

pre-parare le condizioni per la vittoria finale. Tutti coloro che non erano in grado di fornire un aiuto sul fronte e nelle retrovie dovevano essere allontanati in zone più sicure, meglio se all’estero23.

La seconda evacuazione, con la partenza di circa 1.500 tra bambini e adole-scenti, fu imponente per via della rapida conquista delle forze nazionaliste della Biscaglia, e fu voluta dal pce, che esercitò forti pressioni su Negrin e sul governo repubblicano. La propaganda sovietica diede all’evento una forte visibilità, anche per comunicare all’opinione pubblica internazionale che le partenze erano il risul-tato della recrudescenza della guerra “totale” messa in atto dai nazionalisti e dai loro alleati nazi-fascisti, attraverso il bombardamento su popolazioni civili.

Di fatto si trattò del prologo del secondo grande esodo della guerra civile – che come abbiamo visto coinvolse circa 160.000 persone – e fu organizzato dal Depar-tamento de Asistencia Social del Gobierno Vasco, diretto dal socialista Juan Gra-cia, dal Partido Comunista de Euskadi – Euskadiko Partidu Komunista (pce-epk) e da membri del Socorro Rojo Internacional.

Il peso principale dell’organizzazione cadde sulle spalle del pce-epk24, che a

partire dal 1937 aveva, come nel resto della Spagna era avvenuto per il pce, aumen-filmato sembra che i bambini una volta sbarcati fossero stati trasferiti prima a Mosca e poi ad Artek, per ritornare infine nella capitale sovietica.

21. “Pravda” e “Komsomol’skaia Pravda” del 1° aprile 1937. 22. La deportación de niños por los rojos, in “abc”, 22 aprile 1937.

23. “Boletín del Norte”, Gijón, 3 e 7 settembre 1937.

24. Il pce-epk venne fondato nel giugno del 1935 con il seguente programma «La constitución del Partido Comunista de Euskadi es pues, la confirmación de la política de liberación nacional y

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so-tato notevolmente la propria forza, sia per il fatto che gestiva sul territorio gli aiuti provenienti dall’Unione Sovietica, sia per la sua politica moderata e a favore di un ristabilimento delle istituzioni repubblicane in caso di vittoria. Una linea politica priva di risvolti rivoluzionari, che attirò la simpatia e l’adesione in massa della clas-se media.

Nello specifico caso basco, il partito aveva avuto uno straordinario sviluppo, dai 200 militanti del 1932 ai più dei 20.000 del 1937, di cui molti erano cattolici e con forti sentimenti di appartenenza alla nazione basca25. Questo fece sì che le

ri-chieste di garanzia presentate dal governo basco per una salvaguardia dell’identità etnica e culturale dei bambini evacuati, non solo rispetto a usi e costumi del paese ospitante, ma anche riguardo ai piccoli provenienti da altre regioni spagnole, ve-nissero appoggiate dal partito. Regole che però, all’atto pratico, stentarono a essere applicate nelle strutture sovietiche.

Durante la compilazione delle liste, la componente ideologica – nel caso dei par-tenti per l’Unione Sovietica naturalmente comunista e in parte anche socialista – eb-be un ruolo importante.

Già all’inizio dell’aprile 1937, la Federación de Juventudes Socialistas Unifica-das de Euzkadi aveva ottenuto dal Departamento de Asistencia Social l’autorizza-zione a evacuare 500 minori. Los niños vennero scelti attraverso i dati trasmessi dai

comitati locali del pce-epk, soprattutto in quelle zone dove vi era una forte pre-senza comunista, come le aree industrializzate del basso Nervión, in particolare Bilbao, e la zona mineraria della Vizcaya26.

Il 13 giugno, una settimana prima della caduta di Bilbao, partì la seconda, e la più numerosa, spedizione di niños verso il porto di Leningrado. Già dal giorno

precedente tutti coloro che dovevano essere imbarcati sul transatlantico “Haba-na” vennero radunati nel porto di Santurce (Bilbao). Erano in totale circa 4.500 bambini, e di questi 1.495 vennero sbarcati a Bordeaux e immediatamente re-imbarcati sulla nave francese “Sontay” – insieme a 72 insegnanti, educatori, assi-cial de nuestro Partido hermano de España y de la Internacional Comunista. El Congreso Nacional del Partido Comunista de Euskadi reconoce plenamente la existencia de la nacionalidad vasca, ex-presada en la comunidad de idioma, territorio, homogeneidad étnica, cultura y sobre todo, en la vo-luntad decidida de la mayoría del país, que lucha por sus derechos nacionales frente al imperialismo español que lo sojuzga en combinación con la burguesía vasca y los grandes propietarios de Euskadi. El Partido fundamenta su existencia en la lucha por la Autodeterminación de Euskadi y muestra su apoyo y solidaridad con la lucha por la independencia de Cataluña, Galicia y Marruecos, pueblos oprimidos por el imperialismo español» (Resolución sobre las tareas del Partido Comunista de Euska-di, in “Boletín Interior del Comité Provincial de Vizcaya del Partido Comunista”, 7 luglio 1935).

25. “Euskadi roja” del 6 febbraio 1937 affermava: «Así mismo entendemos que son obligaciones del Frente Popular de Euzkadi defender la libertad religiosa, guardando el máximo respeto para las creencias espirituales de nuestros conciudadanos, salvaguardando la integridad de los templos» (cit. anche in Ramón Garai, 2008, p. 190).

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stenti e due medici – con destinazione Leningrado, dove arrivarono dopo circa una settimana di navigazione.

La maggioranza di loro aveva tra i cinque e i tredici anni di età (cfr. Devillard, Pazos, Castillo, Medina, 2001, pp. 231 ss.) e le numerose testimonianze – raccolte dopo la fine della dittatura franchista o tramite le lettere inviate ai genitori non appena giunti in Unione Sovietica27 – concordavano nel descrivere le difficoltà del

viaggio per la scarsa qualità del cibo, la scomodità dell’alloggiamento e il senso di paura e di sconforto generalizzato. Nonostante l’orrore della guerra e dei bombar-damenti subiti, per molti di loro questo era il primo distacco dalle famiglie. In tutti l’immagine dei genitori che piangevano e li salutavano mentre la nave si allontana-va dal porto era il primo ricordo del viaggio. Paura, pianti, tentativi a Bordeaux di nascondersi per ritornare in Spagna, la presenza di un equipaggio cinese – e quindi la difficoltà di comunicazione che naturalmente non agevolava la traversata – co-stituirono altri elementi emergenti in tutte le testimonianze. Altrettanta uniformi-tà di ricordi riguardava la calorosa accoglienza ricevuta nel porto di Leningrado, dove «allí encontraron confort, calor, cariño, esperanza» (Pérez, 1977; ora anche in Alted Vigil, Nicolás Marín, González Martell, 1999, p. 51).

Naturalmente, la notizia dell’arrivo del “Sontay”, festosamente salutato dalla popolazione leningradese, ebbe un forte impatto mediatico sia in Unione Sovieti-ca sia nel resto del mondo, grazie anche al ruolo svolto dalla propaganda sovietiSovieti-ca (cfr. “Pravda”, 25 giugno 1937). Secondo la testimonianza di un adolescente che all’epoca dello sbarco aveva tredici anni, furono ricevuti come eroi di guerra che avevano compiuto chissà quali epiche imprese28.

Secondo un’altra testimonianza, vennero accolti dalla banda musicale dei pio-nieri sovietici e los niños risposero «cantando la Internacional e Himno de Riego

con el puño en alto»29. Si tratta di fonti da utilizzare con cautela, vista la giovane

età degli autori e il momento emotivamente particolare in cui le notizie vennero redatte. Occorre però sottolineare come anche le poche testimonianze degli ac-compagnatori confermino un’entusiastica accoglienza:

Al llegar a Leningrado – scrisse una delle assistenti – nos hicieron un recibimiento apo-teósico había una estación de embarque, una muchedumbre imponente con las banderas,

27. Di particolare interesse sono quelle riportate in, Zafra, Criego, Heredia (1989, pp. 101-34); Alted Vigil, Nicolás Marín, González Martell (1999, pp. 280-99) e nel documentario Los niños de Rusia, di Jaime Camino, prodotto da tvc, tve, TibidaboFilms, Vía Digital, Wanda Visión, 2001,

Spagna, durata 93 minuti.

28. Testimonianza di Emiliano Aza Ocaña in cdmh, Sección Político-Social, lettera da Odes-sa del 31 gennaio 1938, ps Santander «O» 51/7 ora anche in Alted Vigil, Nicolás Marín, González Martell (1999, p. 55).

29. Lettera non firmata e conservata presso il cdmh, Sección Político-Social e ora riprodotta in Zafra, Criego, Heredia (1989, p. 44).

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banda de música, los pioneros uniformados y números de la «Guardia Roja». Nos sacaron más películas que a Marlene Dietrich30.

L’intera operazione avvenne sotto il vigile controllo dei servizi segreti dell’Armata Rossa, come si desume dall’informativa inviata dal generale Jan Berzin a Voroshilov:

In accordo con le vostre direttive, i servizi dell’Armata Rossa hanno sorvegliato la raccol-ta e il trasporto di 1.500 bambini spagnoli [...]. Il 21 giugno 1937, i bambini sono arrivati nel porto di Leningrado a bordo della nave francese Sontay. Insieme con il Commissa-riato del Popolo per la Salute Pubblica (Narkomzdrav), abbiamo predisposto il seguente programma: i bambini saranno portati a scuole appositamente allestite in Leningrado per essere sottoposti a esami medici e saranno separati in gruppi secondo criteri d’età. [...] Ciascun gruppo verrà scortato da un nostro rappresentante che sarà anche il respon-sabile durante gli spostamenti31.

La terza evacuazione prese corpo durante l’agosto 1937, in seguito all’offensiva na-zionalista che portò alla conquista di Santander e della Cantabria da parte del-le brigate navarrine e della quarta divisione “Littorio” dell’italiano Corpo truppe volontarie, comandata dal generale Annibale Bergonzoli. Quando apparve chiaro che l’intero nord della Spagna sarebbe stato conquistato e si sarebbe replicato lo scenario avvenuto pochi mesi prima nei Paesi Baschi, l’Unione Sovietica si offrì di accogliere altri 1.000 bambini.

Il rapido evolversi degli eventi bellici e la caduta di Santander portarono alla dissoluzione della Junta Delegada en el norte creata dalla Repubblica spagnola e l’intera organizzazione dell’evacuazione venne svolta dal Consejo Provincial de Asturias y León. In una situazione di forte disordine diffuso, venne stabilito di adottare il seguente criterio: prima i figli dei combattenti morti in combattimenti e ospitati in orfanatrofi, poi orfani non accolti in centri d’assistenza e, infine, bam-bini i cui genitori erano ancora viventi.

La selezione venne effettuata rapidamente ma le direttive non furono rispetta-te. Il 24 settembre 1937, una nave francese imbarcava nel porto di El Musel (Gijón) circa 1.100 niños (numero superiore a quello imposto da Mosca, visto che il console

sovietico a Gijón di sua iniziativa accolse altri 100 bambini, in massima parte figli di militanti comunisti impegnati sui fronti) provenienti principalmente dalla Can-tabria e dalle Asturie, ma anche dai Paesi Baschi, accompagnati da 40 educatori già impiegati negli orfanatrofi da cui provenivano la maggioranza dei passeggeri.

30. Lettera di Ángeles Pérez, ausiliare sulla nave “Sontay”, inviata da Odessa il 29 giugno e ripro-dotta in Zafra, Criego, Heredia (1989, p. 111). Cfr. anche il resoconto pubblicato sulla “Leningradska-ia Pravda”, del 21 giugno 1937.

31. rgva, informativa del gen. Jan Berzin a Voroshilov del 21 giugno 1937, f. 33987, op. 3, del. 949, l. 10.

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La navigazione fu più complicata della precedente spedizione perché la na-ve, diretta a Bordeaux, venne intercettata dall’incrociatore nazionalista “Almi-rante Cervera” e dovette dirigersi verso il porto di Saint Nazare. Nel porto fran-cese la maggioranza dei passeggeri venne trasferita sull’imbarcazione sovietica “Kooperatsiia”, che li condusse a Londra, da dove si imbarcarono sulla “Feliks Dzerzhinsky”, natante battente bandiera sovietica. Le scene di tristezza e dolo-re viste nelle spedizioni pdolo-recedenti si ripeterono anche nel porto asturiano e le condizioni del viaggio furono più dure. Infatti, invece del solo giorno di navi-gazione previsto, l’avvistamento del “Cervera” costrinse a una navinavi-gazione più lunga, con la conseguente penuria di acqua e cibo. La situazione migliorò con il trasferimento sulle navi sovietiche, e i passeggeri furono accolti dai «compañe-ros rusos que con tanto amor nos trataban», nonostante la diversità delle lingue fosse un problema (Álvarez Morán, 1999, p. 57). Le migliori condizioni di vita attenuarono lo sconforto iniziale e il 4 ottobre, giorno dell’arrivo a Leningrado, si ripeterono le scene di calorosa accoglienza descritte nella precedente spedizio-ne (cfr. “Izvestiia”, 4 ottobre 1937).

Le ultime evacuazioni avvennero verso il termine della guerra in una situa-zione in cui ormai lo scenario diplomatico internazionale, dopo gli accordi di Monaco, era mutato e la propaganda sovietica era molto meno attenta alla que-stione dei niños españoles.

Seconda una testimonianza raccolta dal settimanale “Mundo Obrero” nel 1988, nell’autunno del 1938, piccoli gruppi – per lo più composti da figli di aviatori e mi-litari repubblicani o di quadri comunisti – provenienti dalla base aerea di San Javier (Murcia), da Cartagena e da varie zone dell’Aragona e delle Catalogna (per un totale di 300 bambini) vennero riuniti a Barcellona e, tramite un viaggio in autobus e poi in treno, raggiunsero il porto di Le Havre. Ancora una volta vennero imbarcati sulla “Dzerzhinsky”, giungendo a Leningrado nei primi giorni di novembre32.

La stampa sovietica diede invece notizia di altri due, numericamente picco-li, arrivi nel porto di Leningrado: il primo, il 12 giugno, con 74 passeggeri im-barcati sulla nave “Mariia Ulianova”33, mentre il secondo avvenne il 6 dicembre

nuovamente con la “Dzerzhinskii”, che trasportò 117 tra bambini, adolescenti e accompagnatori34.

Sommando tutte le spedizioni (contando anche quella partita da Cartagena il 17 marzo 1937 e gli 87 bambini che arrivarono in Unione Sovietica nel 1939 dalla Francia con i loro genitori35), le fonti più accreditate indicano in 2.895 il numero

32. Los niños de Moscú. Intrevista a Jorge Prado Fernández, in “Mundo Obrero”, 30 maggio

1988.

33. “Pravda”, 13 giugno 1938.

34. “Pravda”, 7 dicembre 1938. Cfr. anche Kowalsky (2004, p. 247).

35. Relazione presentata dalla direzione del pce al Comitato centrale del pcus e alla Croce Rossa sovietica il 28 febbraio 1953 in Archivo del Partido Comunista de España, caja “Emigración politica”, 98/3.

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di bambini e adolescenti trasferiti in Unione Sovietica36 all’interno di un totale di

circa 4.300 spagnoli che scelsero come terra d’esilio l’Unione Sovietica37.

Di questi, circa la metà abbandonò il paese in periodi successivi e non solo per rientrare in Spagna; il 4% circa morì combattendo nella “Grande guerra patriotti-ca” contro l’invasione nazista. Alla data del 10 marzo 1986 circa il 20% era decedu-to, mentre il 25% viveva in Unione Sovietica38, ancora legato, a distanza di mezzo

secolo, al paese d’origine e consapevole di essere stato protagonista e testimone di una delle pagine più drammatiche del Novecento.

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36. Alted Vigil, Nicolás Marín, González Martell (1999, p. 44); Zafra, Criego, Heredia (1989, p. 50); Castillo Rodríguez (1999, p. 58); Ibáñez Ortega (2012, p. 943). A questo numero occorre aggiun-gere i quasi quattrocento accompagnatori adulti.

37.Il dato di 7.251 espatriati in Unione Sovietica contenuto nell’ «Informe sobre la labor desar-rollada hasta la fecha para la repatriación de menores» (Informativa sull’attività svolta fino alla data odierna per il rimpatrio di minori) del novembre 1949 e diffuso dalla Segreteria Generale della fet e della jons (in Archivo General de la Administración, 15.01, caja 254) è ritenuto volutamente gonfia-to dalle augonfia-torità franchiste. Cfr. Nicolás Marín (2003, p. 60).

38. Secondo dati contenuti negli archivi del Centro Español di Mosca nel 2004 erano ancora residenti nei territorio della passata Unione Sovietica 239 niños de Rusia.

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