Indice
Introduzione ... 3
Capitolo 1: Legislazione italiana in materia di immigrazione ... 5
1.1 Evoluzione della legislazione in materia di immigrazione: dagli anni ‟70 al 1996 ... 5
1.2 Il Testo Unico sull‟immigrazione del 1998 ... 10
1.3 La legge “Bossi - Fini” ... 13
1.4 La sanatoria del 2002 ... 19
1.5 Gli sviluppi recenti ... 20
Capitolo 2: Lavoratori immigrati in Italia e politiche sindacali ... 23
2.1 I lavoratori stranieri in Italia nel 2011 secondo il Terzo Rapporto Annuale immigrati ... 23
2.2 Condizioni occupazionali dei lavoratori stranieri... 27
2.3 Lavoro immigrato e crisi economica ... 36
2.4 Il lavoro come strumento di integrazione ... 39
Capitolo 3: Gli immigrati in Toscana e in provincia di Pisa ... 40
3.1 Il fenomeno migratorio in Toscana ... 40
3.2 Indicatori di integrazione a Pisa e provincia ... 46
3.3 Integrazione: dati e percezioni... 52
Capitolo 4: Immigrazione e sindacato ... 57
4.1 Immigrazione e sindacato in Europa ... 57
4.2 Il ruolo dei sindacati italiani nel mercato del lavoro immigrato ... 59
4.3 La sindacalizzazione degli immigrati in Italia ... 63
4.4 Rischi infortunistici e precarietà ... 65
4.5 Servizi agli immigrati e problemi aperti ... 70
4.6 Una sintesi teorica ... 76
Capitolo 5: Gli immigrati visti dal sindacato, lo studio dell’ IRES Toscana . 78 5.1 Immigrazione in Toscana: uno studio della CGIL ... 78
5.2 Indagine tra i delegati e i funzionari partecipanti al congresso della Camera del Lavoro di Firenze (aprile 2010) ... 79
5.4 Le relazioni lavorative in azienda e la condizione dei dipendenti italiani e
stranieri ... 84
5.5 Dati a confronto ... 88
Capitolo 6: Commento delle testimonianze ... 93
6.1 Introduzione ... 93
6.2 Rapporti nelle aziende tra lavoratori italiani e stranieri ... 94
6.3 Problemi specifici della manodopera straniera ... 101
6.4 Il ruolo dei sindacati ... 107
Conclusioni ... 114 Appendice ... 119 Luca Calastri ... 119 Marcello Casati ... 122 Paolo Centamore ... 127 Gabriele Gerini ... 131 Abedin Osmani ... 138
Danilo Rocca della Cruz ... 142
Bibliografia ... 148
Documenti e paper ... 150
Riferimenti Legislativi ... 152
Sitografia ... 153
Introduzione
Il presente elaborato indaga il rapporto che intercorre tra il sindacato italiano e i lavoratori immigrati residenti nel nostro paese.
Il possesso di lavoro regolare è posto dalla legislazione come uno dei requisiti fondamentali per l‟ingresso in Italia degli immigrati extra-comunitari, è lecito pensare quindi che il processo di inserimento nella società si origini proprio da esso. Il luogo di lavoro inoltre rappresenta uno dei primi momenti di socialità per i nuovi arrivati, dove l‟immigrato si interfaccia col datore di lavoro, coi colleghi e col sindacato. Quest‟ultimo si configura così come una delle prime istituzioni in grado di offrire assistenza e valutare da vicino le problematiche che i nuovi lavoratori incontrano nel nostro paese. La tesi vuole quindi essere un contributo conoscitivo su un tema per ora poco trattato; la bibliografia in merito infatti è piuttosto scarsa, forse perché l‟immigrazione nel nostro paese è stata più volte legata ai temi della criminalità e della clandestinità, e meno frequentemente si è scelto di indagare gli effetti sociali ed economici che la presenza di manodopera immigrata ha comportato. La volontà che ha animato la stesura dell‟elaborato è stata di mettere a fuoco con pragmaticità e realismo le relazioni e i problemi che si riscontrano nei luoghi di lavoro e come questi rispecchino e influiscano sull‟inserimento sociale dell‟immigrato. Rifuggendo dai sensazionalismi dei media e della politica, si vuole pertanto porre l‟attenzione del lettore sugli aspetti concreti che emergono sul lavoro e sul territorio in presenza di lavoratori stranieri. Proprio dalla concretezza e da un‟ attenta analisi dei dati riguardanti il fenomeno si possono delineare possibili vie per un‟ efficace processo di integrazione.
Probabilmente, se il dibattito sull‟immigrazione è stato trattato prevalentemente in un‟ottica emergenziale e sensazionalistica, si deve anche ad un atteggiamento tardivo ed ambiguo della politica. I vari provvedimenti che si sono susseguiti a partire dagli anni Settanta in poi sono riportati nel capitolo primo, che offre quindi la cornice entro cui inquadrare tutto l‟elaborato. Il quadro legislativo di cui l'Italia si è dotata appare piuttosto lacunoso e non del tutto adatto per favorire l'inserimento lavorativo dei migranti. Soprattutto all‟inizio, davanti alle risposte poco adeguate che i vari governi hanno dato negli anni, sono intervenuti sull'argomento il mondo dell‟associazionismo cattolico e quello sindacale. Prima di osservare le dinamiche intercorse negli anni tra sindacato e immigrati, i capitoli due e tre presentano l‟analisi dei dati della presenza straniera, in Italia e in Toscana. Tramite un attento studio dei dati relativi alle condizioni
occupazionali, si vuole offrire al lettore gli strumenti per l‟analisi più sociologica della situazione lavorativa dei migranti.
Il quarto capitolo vuole essere un riassunto del lungo percorso che i sindacati italiani hanno intrapreso per portare la questione migratoria all‟attenzione del dibattito politico. L‟approccio dei sindacati italiani si caratterizza come del tutto peculiare, se confrontato con altre esperienze europee. Difatti, l‟atteggiamento adottato è stato in prima battuta di accoglienza e assistenza incondizionata ai nuovi lavoratori, contrariamente a quanto successo in Germania o nei Paesi Bassi, che dovettero confrontarsi con i lavoratori immigrati ben prima del nostro paese. Sebbene i sindacati siano stati tra le prime istituzioni ad accorgersi che le ondate migratorie non sarebbero state un fatto episodico, ma una nuova caratteristica della società italiana, le risposte che vennero date per la gestione del fenomeno non furono del tutto omogenee. Alcuni sindacati optarono inizialmente per incanalare i migranti in strutture apposite, altri non fecero distinzioni, e solo successivamente si decise per il trattamento parificato agli altri lavoratori.
La tesi in oggetto si pone l‟obiettivo quindi di chiarire quale trattamento sia oggi riservato ai migranti nel sindacato e quale sia il ruolo di quest‟ultimo nel promuovere il loro inserimento lavorativo e sociale. Per questo scopo sono state condotte interviste aperte a sei sindacalisti operanti in quelle categorie con più forte presenza immigrata sul territorio pisano e fiorentino. I temi trattati prendono le mosse da quelli proposti da una recente ricerca dell‟IRES di Firenze, condotta da Alberto Tassinari e riportata nel libro “Oltre le appartenenze. Immigrazione straniera e CGIL”. Lo studio è particolarmente utile per il nostro lavoro in quanto rappresenta l‟unico caso di ricerca su questi temi in Toscana e raccoglie un ingente numero di dati. Visto il valore di questo contributo, si è scelto di riassumerlo e riportare nel capitolo quinto i principali risultati emersi.
Il sesto capitolo presenta la parte empirica della ricerca, con il commento alle testimonianze raccolte, filtrate attraverso l‟analisi dei principali argomenti emersi: le relazioni sul lavoro tra italiani e immigrati, i problemi specifici della manodopera straniera e, infine, un‟ampia riflessione sul ruolo del sindacato nei confronti dei migranti, secondo l' esperienza personale degli intervistati
Capitolo 1: Legislazione italiana in materia di immigrazione
1.1 Evoluzione della legislazione in materia di immigrazione: dagli
anni ’70 al 1996
Dopo secoli di emigrazione, l‟Italia negli anni ‟70 inizia a conoscere fenomeni di immigrazione più rilevanti rispetto agli anni precedente. Le cause sono da rintracciarsi in primo luogo nel boom economico che aveva notevolmente avvicinato il nostro Paese al resto dell‟Europa, in termini sia economici sia di benessere sociale. Per la prima volta calava il numero degli italiani che espatriavano: dal 1973 agli anni 2000 le partenze sono state tra le 40 mila e le 90 mila all‟anno e molti italiani stavano rientrando dall‟estero. Nel frattempo dai paesi in via di sviluppo e da quelli poveri provenivano flussi migratori, si trattava di migranti alla ricerca di un lavoro e di condizioni di vita migliori.Come sottolineato da Einaudi, è importante precisare che <<l‟ insufficienza statistica ritarda tuttora la percezione della vera cronologia delle trasformazioni dell‟Italia in paese di immigrazione, cominicata negli anni Sessanta con il boom economico>>1. L‟immigrazione italiana risulta per tutti gli anni ‟70 e parte degli anni ‟80 un argomento confuso, che le istituzioni non sono riuscite a gestire ed incanalare. L‟Italia non era pronta ad accogliere fenomeni di immigrazione di massa e neanche si trovarono istituzioni atte alla selezione efficace di lavoratori stranieri, come era avvenuto in Francia2. La gestione dell‟immigrazione era lasciata ad iniziative private di associazioni o di piccole organizzazioni che oscillavano tra la speculazione e propositi caritatevoli e solidaristici. Grazie al benessere economico e sociale raggiunto dai cittadini italiani, si erano create mansioni poco appetibili per gli italiani, per motivi economici e condizioni lavorative. Migliaia di stranieri giungevano in Italia pronti a sostituire la popolazione locale in settori come l‟agricoltura, l‟industria e il lavoro domestico.
Oltre al boom economico altri due fattori hanno contributo, seppur in misura minore, a rendere l‟Italia un paese di immigrazione. In primis il calo demografico che si è verificato negli anni Settanta, che ha poi impattato sul mercato del lavoro negli anni
1
L. Einaudi, Le politche dell‟immigrazione in Italia dall‟Unità ad oggi, Bari, Editori Laterza, 2007
2 In Francia erano presenti associazioni private che reclutavano manodopera dall‟estero, come la
Sociétégénerale d‟immigration, nata nel 1924, poi sostituita nel 1945 dal governativo Office National de l‟Immigration (ONI).
Novanta. Il miglioramento generalizzato dello stile di vita ha portato alla riduzione del tasso di mortalità e prolungato l‟età media. Gli stranieri quindi rispondevano alle esigenze del mercato del lavoro che risentiva della carenze di manodopera .
Un altro fattore fu la crisi economica del 1973-74 che portò paesi di lunga tradizione di immigrazione come Gran Bretagna, Francia e Germania, a chiudere le frontiere ai cittadini non comunitari in cerca di lavoro: la maggior parte degli ingressi registrati erano in quel periodo dovuti a ricongiungimenti familiari. Inoltre l‟assetto produttivo stava cambiando sia per il progresso tecnologico, sia a causa della pratica sempre più diffusa di delocalizzare gli stabilimenti. Tuttavia gli effetti di questa chiusura rimasero molto lievi negli anni Settanta, ma si fecero sentire con più forza nel ventennio successivo. La congiuntura economica di quegli anni evidenziava altri aspetti fino ad allora poco valutati. In quel periodo si afferma la <<non casualità, ed anzi l‟interdipendenza delle relazioni di nuovo tipo che intercorrono tra mercato del lavoro, economia e società>>3. Non solo le decisioni politche, ma anche i nuovi processi economici contribuirono in misura crescente a modificare i flussi migratori, selezionandone la tipologia e la quantità
In prima battuta, in Italia, il fenomeno dell‟immigrazione fu avvertito come una problematica inerente alle dinamiche lavorative, infatti le competenze in materie furono affidate al Ministero del Lavoro, che dopo la circolare n°51 del 4 Dicembre 1963 non riuscì a gestire con efficienza i flussi migratori4. La legge imponeva tempi molto lunghi e eccessive difficoltà per il migrante, che spesso ricadeva nell‟irregolarità e nel lavoro sommerso. Si crearono infatti agenzie clandestine di reclutamento e molti entravano in Italia con visto turistico e, dopo aver trovato lavoro, presentavano una falsa richiesta dall‟estero come primo ingresso in Italia. Inoltre era complicato stabilire indisponibilità di manodopera italiana e mancavano adeguati meccanismi per consentire l‟incontro tra domanda di lavoro in Italia e disponibiltà straniera. La rigidità delle norme in vigore rese necessarie sanatorie e piccolemisure emergenziali a livello di amministrazioni locali. Nonostante ciò e la sollecitazione di sindacati e associazioni, l‟immigrazione ancora non occupava una posizione rilevante nell‟agenda politca italiana.
3 F. Calvanese, Emigrazione e politica migratoria negli anni Settanta l‟esperienza italiana ed europea,
Salerno, Pietro Laveglia Editore, 1983
4
Le legge prevedeva che il migrante avesse l‟autorizzazione al lavoro rilasciata dall‟Ufficio per il Lavoro, che era conditio sine qua non per l‟ottenimento del permesso di soggiorno. L‟autorizzazione veniva concessa previo accertamento dell‟indisponibilità di manodopera italiana a svolgere il lavoro offerto.
Nel biennio ‟77-‟78 inizia un vero dibattivo sul tema. Importanti esponenti del mondo dell‟economia si interrogarono sulle conseguenze del lavoro immigrato. Per Giorgio Foa i lavoratori immigrati, disposti a qualsiasi tipo d‟impiego anche mal pagati e precari, non avrebbero giovato <<allo sviluppo di un tessuto civile>> e metteva in guardia dall‟ <<inquinamento sociale>> che sarebbe stato causato dalle tensioni5
. La stessa preoccupazione era condivisa da Paolo Sylos Labini, per il quale i lavoratori clandestini sfruttati rappresentavano un pericoloso fattore di conflittualità sociale6. Romano Prodi riteneva invece che i lavoratori immigrati potessero essere un <<grandioso ammortizzatore di conflitti sociali>>. La stampa e la televisione iniziavano a rappresentare l‟Italia come paese d‟immigrazione, talvolta usando anche toni allarmisti. Associazioni e sindacati chiedevano alla politica una legislazione organica che potesse mettere fine alle condizioni di sfruttamento e precarietà in cui vivevano molti stranieri.
Fu così che nel 1978, sotto il governo Andreotti, il sottosegretario agli Esteri Franco Foschi presentò una relazione sull‟immigrazione al Comitato interministeriale dell‟emigrazione (non esisteva ancora un organismo specifico). Il documento presentato non esaminava con chiarezza i meccanismi dei flussi migratori e i conflitti lavorativi. Il testo proponeva di organizzare i ministeri affinchè indagassero sulle dinamiche del lavoro clandestino, le condizioni di vita dei migranti e il loro livello d‟integrazione. Tuttavia la proposta di Foschi non ebbe seguito e venne incaricato il Censis di eseguire uno studio completo e conoscitivo sulla presenza degli immigrati in Italia. Secondo il rapporto, l‟immigrazione era da considerarsi un fenomeno stabile e duraturo, atto a compensare alcune disfuzioni del mercato del lavoro causate dallo squilibrio tra aspettative dell‟offerta di lavoro e domanda7
. Grazie al Censis le cifre e le dinamiche dei flussi furono più chiare, ma non si giunse a nessuna leggefino al 1986, a causa sia dell‟instabilità politica sia di atteggiamenti contrastanti da parte della classe dirigente. Si alternavano infatti proposte più restrittive ad altre di stampo solidaristico, a seconda della pressione esercitata dal ministro di turno. A causa del persistente vuoto legislativo per anni si sono succedute sanatorie che hanno cercato di tamponare l‟aumento della clandestinità.
5 Il disperato esercito di lavoratori “neri” in L‟Avvenire, 15 Febbraio 1978 cit. in L. Einaudi, Le
politiche dell‟immigrazione in Italia dall‟Unità a oggi, Bari, Editori Laterza, 2007
6 L‟armata clandestina dei lavoratori tuttofare, un‟invasione dall‟estero in “Corriere della Sera” cit. in L
.Einaudi, Le politiche dell'immigrazione in Italia dall'Unità a oggi, Bari, Editori Laterza, 2007
7P.c.m, Comitato interministeriale per l‟emigrazione, Censis, I lavoratori stranieri in Italia, Istituto
Alla fine del 1986 venne approvata la legge numero 943, che si impegnava garantire pari diritti a tutti gli immigrati, come previsto dalla Convenzione dell‟ Organizzazione Internazionale del Lavoro8.Vennero istituite la Consulta per i problemi dei lavoratori extracomunitari e delle loro famiglie e una commissione incaricata di promuovere e monitorare gli accordi bilaterali stipulati tra il Ministero degli Esteri e i Paesi di provenienza. La legge cercava di importare in Italia i modelli di altri Paesi europei che avevano organizzato la manodopera straniera tramite appositi canali di reclutamento. Il proposito era di far incontrare domanda di lavoro italiana e offerta straniera, ma i sistemi pensati per tale scopo si concretizzavano poi in lunghi e difficili passaggi buracratici. Erano previsti censimenti mensili delle offerte di lavoro inevase in Italia, e tale compito era da parte delle commissioni regionali dell‟impiego. Gli uffici provinciali del lavoro dovevano invece verificare mensilmente l‟indisponilità degli italiani a svolgere determinati lavoro e quindi verificare la propensione degli stranieri a svolgerle. Infine fu disposta la compilazione di graduatuorie di stranieri per privilegiare i residenti rispetto a coloro che sarebbero dovuti arrivare dall‟estero.
Un altro punto di difficile applicazione era quello che imponeva al datore di lavoro di fare solo richieste numeriche di lavoratori immigrati, e veniva esclusa la possibilità di fare richieste nominative, ad eccezione dei lavori domestici9. In ultima analisi, la legge non dava risposte effettive al problema dell‟immigrazione clandestina e del lavoro sommerso, dato che non c‟erano le basi per uscire dalle condizioni di clandestinità o d‟irregolarità. Una soluzione parziale al problema fu di permettere anche ai migranti disoccupati di iscriversi alle liste di collocamento, ma non era possibile rinnovare il permesso di soggiorno senza presentare un contratto di lavoro regolare. Il lavoratore immigrato e il datore di lavoro avevano fino a tre mesi di tempo per dichiarare la presenza e l‟attività e per poter procedere con la regolarizzazione. Tale normativa doveva essere vigente fino all‟aprile 1987, ma fu prolungata fino alla metà dell‟anno successivo. In breve tempo la politica dell‟immigrazione diventò una mera e artificiosa gestione, spesso poco efficace, delle regolarizzazioni.
Dal 1989 lo scenario politico mondiale cambiò notevolmente, la caduta del comunismo e la dissoluzione dell‟ex-Jugoslavia diedero vita a ingenti flussi migratori
8 <<Ogni Membro per cui la presente convenzione sia in vigore s‟impegna a rispettare i diritti
fondamentali dell‟uomo di tutti i lavoratori migranti.>> Articolo 1, Convenzione sulle migrazioni in condizioni abusive e sulla promozione della parità di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti, Convenzione sui lavoratori migranti n. 143 del 1975 dell‟O.I.L.
9Legge del 30 dicembre 1986, n. 943, Norme in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori
dall‟est Europa. Inoltre la crisi demografica degli anni ‟70 stava avendo i primi effetti sul mercato del lavoro e solo la presenza degli immigrati impedì che la popolazione calasse. I datori di lavoro, fino ad allora quasi del tutto assenti nel dibattito sull‟immigrazione, si organizzarono in gruppi di pressione per richiedere un‟efficace programmazione dei flussi migratori. Gli industriali posero solo allora il problema dato che prima le richieste dei lavoratori stranieri erano orientate su piccole e medie imprese e non su multinazionali di grande visibilità, inoltre era molto semplice assumere lavoratori clandestini, data la carenza di sanzioni punitive.
Ad accellerare il lavoro del legislatore fu la terribile vicenda di Jerry Masslo, un lavoratore sudafricano assassinato a Villa Literno il 25 agosto 198910. Sebbene non si sia trattato di un episodio motivato solo dall‟odio razziale, l‟accaduto metteva in luce il vuoto legislativo e la precarietà in cui lo Stato italiano lasciava i migranti, molti dei quali clandestini e in balia di organizzazioni criminali dalle quali venivano sfruttati tramite sistemi di capolarato. La vicenda emozionò profondamente l‟opinione pubblica e durante i funerali di Stato, chiesti dalla CGIL, erano presenti circa 200 mila persone, sia italiane che straniere. La politica comprese la necessità di legiferare sull‟immigrazione e con la Legge Martelli11
si ebbe la prima normativa organica sulla materia, oltre che la consacrazione del fenomeno come tema di rilevanza nazionale.
Il testo nasceva in primo luogo con la volontà di disciplinare la questione dei rifugiati e degli esiliati politici. In effetti la legge amplia e definisce lo status di rifugiato e il diritto di asilo politico ad esso collegato. Tuttavia l‟intera riorganizzazione del diritto d‟asilo venne rinviata alle legge successive: sarà poi ripresa dalla legge Bossi-Fini nel 2002. Sebbene la legge Martelli prevedesse interventi economici e sociali volti a favorire l‟integrazione, non fu mai proposta un‟azione radicale in tal senso, e l‟iniziativa fu lasciata a sporadici tentativi da parte del Ministero degli Affari Sociali, delle Regioni e delle amministrazioni comunali.
L‟organizzazione della programmazione annuale dei flussi era un altro punto importante della legge (art.2) e rappresentava il primo tentativo di gestione delle politiche migratorie in corrispondenza del fabbisogno del Paese. La programmazione doveva essere il risultato della concertazione tra Ministero degli Esteri, dell‟Interno e
10M. N. De Luca, Viveva da un anno e mezzo in Italia e chiedeva un mondo senza apartheid, in La
Repubblica 26 Agosto 1989
11
D.l. del 30 dicembre 1989,n. 416 coordinato con la legge di conversione n. 39 del 28 febbraio 1990 recante Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e
di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato, G.U. 30
del Bilancio e Lavoro. I parametri da seguire dovevano essere l‟andamento economico nazionale, la disponibilità finanziaria a supportare i processi di integrazione, il numero di stranieri già presenti in cerca di lavoro e lo stato delle relazioni e degli obblighi internazionali, oltre che le decisioni prese in sede comunitaria. Vennero poi introdotti sistemi di visti per i paesi da cui provenivano ingenti quantità di immigrati e implementate le misure di sicurezza alla frontiera anche tramite il respingimento di coloro che non erano provvisti di documenti ed erano già stati segnalati come pericolosi per la sicurezza dello Stato o per attività criminali. Le espulsioni furono molto difficili da applicare, sia a causa dell‟insufficienza dei mezzi economici, sia anche per l‟atteggiamento ostile a questa pratica da parte di alcuni politici e membri della società, per i quali si trattava di una lesione alla libertà personale. L‟accompagnamento forzato alla frontiera divenne così una misura puramente intimidatoria e applicata in rare occasioni.
La permanenza dello straniero sul territorio italiano venne subordinata al rilascio di un permesso di soggiorno da parte della questura o del commissariato di Pubblica Sicurezza competente per il territorio che indicava il motivo della permanenza, da esso dipendeva la durata stessa del permesso che andava da un minimo di tre mesi a un massimo di due anni. Furono introdotti diversi tipi di permessi di soggiorno, a seconda che il lavoratore fosse autonomo, dipendente o un venditore ambulante. La regolarizzazione fu concessa anche ai familiari dei lavoratori, disoccupati e richiedenti asilo.
In materia di lavoro, la legge Martelli sembrava più tesa a sanare una situazione pregressa che non a tracciare un quadro organico per il futuro, sostanziandosi in una moratoria atta a sanare le irregolarità che vedono i lavoratori stranieri più inclini, per necessità, a lavorare „in nero‟ e a salari più bassi. Nonostante il poco respiro della normativa nel suo complesso, la legge Martelli ha comunque impostato la lenta e iniziale stabilizzazione dei migranti, attraverso i primi interventi volti all‟integrazione e alla partecipazione alla vita pubblica.
1.2 Il Testo Unico sull’immigrazione del 1998
In seguito alla Legge Martelli, il tema dell‟immigrazione finì in secondo piano a causa dell‟instabilità politica. Nel 1992 venne riformatala legge sulla cittadinanza (tuttora in vigore) la quale impone allo straniero extracomunitario dieci anni di residenza
ininterrotta in territorio italiano prima di poter richiedere la cittadinanza, le tempistiche si riducono a quattro anni se il cittadino richiedente è comunitario12. La legge è molto restrittiva e pone l‟Italia in controtendenza rispetto ad altri paesi che proprio in quegli anni stavano adottando riforme per facilitare l‟acceso alla cittadinanza. Dopo tre anni, nel 1995, il governo tecnico di Lamberto Dini emanò un decreto di legge che prevedeva restrizioni alle frontiere e politiche più severe per le espulsioni, venne inoltre presentata anche una sanatoria. Dei due provvedimenti solo quest‟ultima fu attuata e si registrarono 248.000 domande di regolarizzazione, 14.000 in più rispetto alla precedente sanatoria. Il decreto legge invece non venne convertito in legge nei 60 giorni previsti e subì molte modifiche, spesso di difficile attuazione.
Il continuo tergiversare della politica, fece sì che a metà degli anni ‟90 l‟immigrazione apparisse all‟opinione pubblica come un argomento confuso e di difficile gestione, e infatti nel 1996 la volontà di rassicurare i cittadini spinse il governo Prodia intraprendere una politica di stabilizzazione. Inoltre l‟Italia doveva assolutamente attivare misure di controllo migratorio per entrare a pieno titolo nell‟accordo di Schengen, firmato sei anni prima. L‟iter legislativo della cosidetta Turco- Napolitano (dai nomi del Ministro della Solidarietà Sociale Livia Turco e dell'allora Ministro degli Interni Giorgio Napolitano)iniziò nel febbraio 1997 e durò fino all‟approvazione nel marzo del 199813
. La legge si caratterizzò come il<<tentativo piu organico e più ambizioso di ristrutturare sistematicamente la legislazione migratoria italiana>>14. Non a caso la legge mirava a diciplinare i tre aspetti cruciali delle migrazioni: riorganizzazione dei sistemi di controllo, programmazione dei flussi in arrivo e politiche di integrazione. Il permesso di soggiorno introdotto dalla normativa garantiva al migrante regolare pari dirirtticon gli italiani e soprattutto lo sottraeva dalla corsa ai continui rinnovi . I permessi di soggiorno rilasciati erano più flessibili ed erano diversificati a seconda della professione dell‟immigrato. Vi erano infatti permessi per i lavoratori autonomi, stagionali e ambulanti, inoltre l‟impiego dichiarato non era vincolante e poteva essere cambiato. Nell‟ambito della programmazione dei flussi vennero istituite le <<quote privilegiate>>, ovvero degli accordi bilaterali con i Paesi di provenienza, presso i quali venivano istituite delle liste di lavoratori nei consolati italiani. Fu elaborato un tetto massimo annuale di ingressi, sotto il quale dovevano
12
Legge del 5 febbraio 1992, n. 91, Nuove norme sulla cittadinanza G.U., n. 38, del 15 febbraio 1992
13Legge 6 marzo 1998, n. 40, Disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, G.U.
n.59, del 06 marzo 1988
rientrare anche i richiedenti di asilo e i familiari dei residenti. Uno strumento molto importante per gli ingressi dei lavoratori immigrati è stato quello dello sponsor, probabilmente il più realistico meccanismo di ingresso del lavoratore mai previsto da una legge italiana. Un cittadino italiano o straniero regolarmente residente, sulla base di tale procedura, poteva chiedere di far entrare in Italia un cittadino straniero affinchè questi potesse cercare un lavoro, garantendogli l'alloggio per un anno e la copertura per lo stesso periodo delle spese (stipulando un contratto di fidejussione o di assicurazione). Decorso l'anno lo straniero che avesse trovato un lavoro poteva rinnovare il permesso di soggiorno e sganciarsi dal suo garante, mentre quello che non avesse trovato lavoro non poteva rinnovare il permesso e doveva dunque lasciare l'Italia.
Nel decreto flussi veniva prevista una quota di ingressi sulla base di tale procedura. Per la prima volta, dunque, lo straniero non veniva in Italia avendo già un lavoro presso un datore che ufficialmente neppure lo conosceva, ma arrivava in Italia per cercare un‟occupazione, in un‟ottica di accettazione più logica delle dinamiche migratorie.
Il permesso di soggiorno per motivi di lavoro durava due anni, dopo il rinnovo cinque e successivamente si convertiva nella carta di soggiorno, che garantiva parità di diritti e accesso ai servizi della pubblica amministrazione. La perdita del lavoro non comportava la perdita del permesso di soggiorno, che dava allo straniero la possibilità di cercare un‟altra occupazione per i successivi sei mesi. Fu anche prevista una regolarizzazione15 per i lavori di collaborazione e per i contratti atipici, giustificati dalla documentaizone opportuna. Potevano usufruire della sanatoria anche gli stranieri che dimostrassero di avere un lavoro, un alloggio e nessun precedente penale. Il tetto massimo previsto era di 38.000 unità, ma questo si rivelò insufficiente, e fuori da questo limite furono concessi anche permessi per i ricongiungimenti familiari. In totale le domande furono 250.000, di cui accolte 215.000.
Tuttavia nell‟ applicazione, la legge presentava diverse lacune. La programmazione dei flussi non era efficace e i tetti erano troppo bassi e non soddisfacevano la domanda di lavoro immigrato. La macchina amministrativa era pesante e non in grado di sbrigare le pratiche per gli ingressi, i tempi delle procedure erano molto discrezionali e crearono problemi ai lavoratori immigrati. Questo portò numerosi stranieri a cadere nell‟irregolarità. La carta di soggiorno iniziò ad essere
15
Dpcm 16 ottobre 1998, Integrazione del decreto interministeriale del 24 dicembre 1997 di programmazione dei flussi di ingresso per l'anno 1998
rilasciata solo dopo il regolamento di attuazione, emanato nel novembre del 199916, e successivamente ci fu un‟altra circolare del circolare del Ministero dell‟Interno del 23 ottobre 2000 che poneva criteri eccessivamente rigidi in materia di reddito e spazi abitativi richiesti, cosicché tali condizioni furono soddisfatte da solo 20.000 stranieri17. Anche la sanatoria risentì dell‟inefficenza amminstrativa e i tempi per l‟esame delle domande (che dovevano durare solo pochi mesi) fecero ingrossare a dismisura le file davanti alle questure, e si protrassero per più di due anni. Tale lentezza è da imputare ad alcuni punti della legge, che lasciano ampio spazio all‟interpretazione e alla discrezionalità. In particolare non era indicato con esattezza in cosa dovesse consistere la dimostrazione, da parte dell‟immigrato, della propria presenza in Italia prima del 27 marzo 1998. Nel tentativo di fare luce su questo punto furono emanate molte circolari per disciplinare le procedure amministrative. Gli effetti della Turco-Napolitano durarono pochi anni, dato che è stata riformata nel 2002 dalla legge Bossi-Fini, pertanto è difficile darne una valuazione completa. Sono comunque apprezzabili: l‟istituto dello
sponsor, le misure prese contro la clandestinità e l‟incremento dei respingimenti, anche
grazie agli accordi bilaterali coi Paesi di origine e di transito.
L‟Italia, infatti, nell‟adempiere agli obblighi di Schengen, dovette anche provvedere a rinforzare le misure di espulsione, e furono creati i Centri Temporanei di Permanenza dove l‟immigrato clendestino era trattenuto fino a trenta giorni per verificarne l‟identità e le condizioni per procedere o meno al rimpatrio.
1.3 La legge “Bossi-Fini”
In seguito ai cambiamenti politici, il Testo Unico venne modificato dalla legge n. 189/2002, conosciuta altresì come “Bossi-Fini”, dall‟allora Ministro per le Riforme e la Devoluzione Umberto Bossie il Vicepremier Gianfranco Fini18. Inoltre furono promulgati la legge n. 222/2002 e il decreto legge 195/2002. In seguito a queste normative fu emanato anche il nuovo Regolamento di attuazione di modifica n. 394/99 e il D.P.R. n. 334/04. La riforma disciplina tuttora le politiche migratorie del nostro Paese.
16Regolamento di attuazione del Testo unico emanato con decreto del presidente del Consiglio dei
ministri, 4 giugno 1999, G.U. 3 novembre 1999
17 L. Einaudi, op. cit., p. 242
18 Legge 30 luglio 2002, n. 189,Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo
La volontà del legislatore fu di mediare tra il principio della libertà di movimento e la selezione degli ingressi in relazione alle esigenze del mercato del lavoro nostrano e la capacità di accoglienza. Il legislatore scelse quest‟ultima opzione e comportò un generale inasprimento delle politiche sull‟immigrazione. Non a caso i firmatari della legge erano i leader di Lega Nord (Bossi19) e Alleanza Nazionale (Fini), i due partiti che sin dagli anni ‟90 erano profondamenti avversi all‟arrivo di nuovi immigrati e principali artefici delle critiche alla Turco-Napolitano20.
Il meccanismo fondamentale di regolamentazione dell'immigrazione resta fondato sulla politica dei flussi, con la predisposizione annuale di un decreto (il c.d."decreto flussi") con il quale il Governo indica quanti cittadini stranieri possono fare ingresso in Italia per motivi di lavoro. Si ribadisce, dunque, l'ambizione di gestire il fenomeno migratorio imponendo dei limiti numerici agli ingressi. Viene mantenuta la possibilità di prevedere, in tali decreti, quote riservate a cittadini di Paesi con i quali l'Italia abbia concluso <<accordi di riammissione>>, ovvero quegli Stati che assicurano una procedura accelerata per il riconoscimento e la riammissione sul proprio territorio dei concittadini espulsi dall'Italia. Viene inoltre aggiunta la possibilità di prevedere una quota riservata anche <<ai lavoratori di origine italiana per parte di almeno uno dei genitori fino al terzo grado in linea retta di ascendenza che chieda di essere inserito in appositi elenchi tenuti dalle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane>> (art.17b). Al meccanismo della quota riservata, la nuova legge aggiunge però anche quello della <<restrizione numerica all'ingresso>>: il decreto flussi, secondo la nuova legge, prevede restrizioni all'ingresso di lavoratori provenienti da Stati che non collaborano adeguatamente nel contrasto dell'immigrazione clandestina o nella riammissione dei propri cittadini rimpatriati. In altre parole, può essere negata alla radice la possibilità di entrare in Italia al lavoratore straniero solo perché cittadino di un paese il cui Governo, a parere di quello italiano, non si impegni abbastanza nel contrasto dell'immigrazione clandestina. Il Paese che, a parere dell'Italia, non collabori nella repressione dell'emigrazione clandestina, potrebbe dunque vedersi negare sia la
19In un‟intervista pubblicata il 16 giugno 2003 dal Corriere della Sera, Umberto Bossi auspicava l‟uso dei
cannoni contro i “barconi” per combattere il fenomeno della clandestinità, disse <<voglio sentire il rombo dei cannoni>>. Le dichiarazioni provocarono l‟indignazione di molti esponenti politici, anche suoi alleati e della Chiesa cattolica, accusata da Bossi di <<aver costruito un bel giro d‟affari intorno all‟immigrazione>>.
20 Riferendosi alla Turco-Napolitano, il leghista Luca Bagliani sostenne in aula che <<presto il
Parlamento avrà decine di delegati eletti dalle tribù che non si attribuisce nessuna difesa delle nostre genti contro il dilagare del crimine, della violenza, degli stupri e degli omicidi>>. Le dichiarazioni sono contenute nell‟ articolo “Immigrati, nuova sanatoria. È rissa in aula tra Lega e il Ccd. L‟intesa sui
possibilità di esportare regolarmente manodopera, sia gli aiuti allo sviluppo, con la fatale conseguenza di aumentare il flusso di lavoratori che emigrano clandestinamente.
Altra novità introdotta dalla legge Bossi-Fini consiste nell'indicazione di un termine per la definizione del decreto flussi (il 30 novembre dell'anno precedente a quello cui il decreto si riferisce), e nella previsione che, in caso di necessità, ulteriori decreti possano essere adottati nel corso dell'anno. Mentre la legge Turco-Napolitano imponeva, anche se in modo non chiaro nelle sua applicazione pratica, che in caso di mancata pubblicazione del decreto flussi si provvedesse sulla base del decreto dell'anno precedente, la nuova legge prevede che il Presidente del Consiglio possa - e non debba - adottare un decreto transitorio, nei limiti delle quote stabilite per l'anno precedente. Diventa così possibile che il decreto di programmazione non venga neppure adottato, con la conseguenza di bloccare per un anno la possibilità di ingresso regolare per lavoro. Il decreto flussi dovrà, inoltre, prevedere una suddivisione delle quote <<per regioni e per bacini provinciali di utenza>>; alla sua predisposizione potranno partecipare le Regioni, trasmettendo entro il 30 novembre un rapporto sulla presenza e sulla condizione dei cittadini stranieri nel territorio regionale, con l‟ indicazione dei <<flussi sostenibili in rapporto alla capacità di assorbimento del tessuto sociale e produttivo>>. Il decreto flussi può dunque prevedere pochi posti, o escludere del tutto gli ingressi, verso le regioni che non trasmettono il rapporto, ovvero che abbiano previsto un ridotto "flusso sostenibile".
La legge Bossi-Fini si limita, dunque, a registrare la capacità di assorbimento del tessuto produttivo e sociale come dato, senza porsi l'obiettivo di agire sulle dinamiche d‟integrazione. A tal proposito Colombo e Sciortino fanno notare come la legge sia <<sicuramente meno radicale di quanto la retorica dei proponenti potrebbe far pensare (…) la maggioranza ha dovuto fare i conti con vincoli che derivano sia dall‟ordinamento costituzionale e dalle convenzioni internazionali sottoscritte dal paese, sia con il compresso di interessi e di valori espressi da segmenti significativi della società italiana>>.21
Restano fuori dalla programmazione annuale alcune categorie di lavoratori: i lavoratori dello spettacolo, dirigenti o personale altamente specializzato di società aventi sedi o filiali in Italia. A queste figure veniva aggiunta quella degli infermieri professionali assunti presso strutture sanitarie pubbliche e private. Il soggiorno in Italia
di tali lavoratori è però autorizzato solo per un tempo determinato, trascorso il quale dovranno tornare nel loro Paese.
Come già previsto dalle precedenti leggi sull'immigrazione, prima di entrare in Italia il cittadino straniero deve ottenere dall‟ Ambasciata o dal Consolato italiano nel Paese di origine o residenza il rilascio di un visto di ingresso, salvo che faccia ingresso in Italia per un soggiorno per turismo. Con il rilascio del visto di ingresso deve anche essere consegnato allo straniero una comunicazione scritta che illustri i diritti e i doveri dello straniero relativi all'ingresso ed al soggiorno in Italia. Si prevede, inoltre, che il provvedimento con il quale l'autorità diplomatica o consolare neghi il rilascio del visto per turismo non debba essere reso noto. In questo modo lo straniero cui sia stato negato il visto turistico è posto nell' impossibilità di conoscere i motivi del diniego, e sostanzialmente di proporre ricorso.
Per quanto riguarda le procedure di ingresso, la legge Bossi-Fini conferma, per i lavoratori subordinati non stagionali, la prevalenza del meccanismo della chiamata nominativa. Questo meccanismo, però, si presta facilmente ad essere raggirato: non è realisticamente credibile che un datore di lavoro voglia assumere una persona che risiede all'estero, che non conosce e che non ha mai lavorato per lui, è evidente che nella gran parte dei casi il datore assumerà lo straniero in nero, dopo il suo ingresso clandestino o dopo il suo ingresso regolare per turismo simulando poi la chiamata dall‟estero. Oltre ai motivi di esclusione dal rilascio del visto già previsti dalla legge in vigore (mancanza dei requisiti, motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato italiano o di uno dei Paesi Schengen), sono esclusi dal rilascio del visto anche tutti gli stranieri che abbiano riportato condanna penale. La legge, comunque, non distingue né tra le diverse tipologie d'ingresso, né in relazione alla gravità e/o al numero dei reati commessi. Una volta acquisita la richiesta del datore di lavoro, questa viene comunicata a tutti i centri per l‟ impiego d'Italia e resa pubblica; entro venti giorni ogni lavoratore italiano o comunitario può richiedere di occupare il posto in luogo del cittadino straniero. Ciò che non pare ancora chiaro è se il datore, in presenza di una domanda di un lavoratore italiano, possa comunque decidere di assumere il lavoratore straniero, oppure debba assumere il lavoratore italiano.
La Bossi-Fini ha anche abolito il meccanismo dello sponsor istituito dalla Turco-Napolitano, eliminando così quello che è stato forse il sistema più logico per regolare gli ingressi per lavoro. Al posto della procedura di sponsor vengono introdotti i "titoli di prelazione": le organizzazioni nazionali degli imprenditori, dei datori di lavoro o dei
lavoratori, le associazioni operanti nel settore dell'immigrazione da almeno tre anni, e determinate organizzazioni internazionali, possono, nell'ambito di programmi approvati dal Ministro del Lavoro e dal Ministro dell'Istruzione, prevedere attività di istruzione e formazione professionale nei Paesi di origine. Gli stranieri che abbiano partecipato a tali attività possono iscriversi in apposite liste; il datore di lavoro italiano che voglia assumere un cittadino straniero, ma non ne abbia conoscenza diretta, può chiedere di assumere, e dunque far entrare in Italia, un cittadino straniero iscritto in tale lista. Al fine di rispettare le esigenze del mercato del lavoro italiano, viene istituito il “contratto di soggiorno”, un accordo tra il datore di lavoro e il dipendente extracomunitario, che viene firmato e depositato presso lo sportello unico per l‟immigrazione della provincia di residenza del datore di lavoro.22
Il permesso di soggiorno in questo caso dura tanto quanto la durata del lavoro. Il datore si impegna inoltre a garantire al lavoratore immigrato un alloggio e a pagare le spese per il rientro in patria. Tuttavia il contratto di soggiorno non è una novità della nuova legge, ma disposizioni molto simili erano contenute nella normativa precedente, che prevedeva oltre che l‟autorizzazione al lavoro, la documentazione sull‟alloggio garantito dal datore.
In generale, la legge mira a rafforzare il binomio lavoro-permesso di soggiorno, dove il primo è conditio sine qua non per l‟ottenimento del secondo. Tale legame però può essere poco efficace. In genere si emigra alla ricerca di un lavoro, di condizioni di vita migliori da trovare una volta arrivati regolarmente nel paese di immigrazione. Sulla base di quali presupposti un datore di lavoro può spingersi a garantire alloggio, impiego e ritorno in patria ad un immigrato mai visto e conosciuto? Come già anticipato,tale meccanismo da luogo ad ampio margine di raggiro della legge dove l‟immigrato finge di arrivare per turismo in Italia, cercando un lavoro e con la speranza di convertire il visto turistico in un contratto di soggiorno oppure, il clandestino cerca di farsi mettere in regola e, se ci riesce, simula poi un primo arrivo nel nostro Paese. Le perplessità su questo punto sono anche di origine economiche e sono ben rappresentate dalle parole di Pugliese: <<Il contratto di soggiorno è la negazione di ciò che il buon senso (o un
22Lo Sportello Unico per l‟Immigrazione è stato istituito, in base all'art. 18 della legge Bossi Fini(che
modifica l'articolo 22 della Turco-Napolitano), presso ogni Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo, e sarà competente per le procedure che riguardano il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro e di famiglia. Lo Sportello Unico per l‟Immigrazione (UTG), le cui funzioni fino all‟ entrate in vigore del regolamento di attuazione (2005) sono state svolte dalle Direzioni Provinciali del Lavoro, è diretto da un dirigente della carriera prefettizia o da un dirigente della Direzione provinciale del Lavoro ed è composto da un rappresentante della Prefettura, uno della DPL e uno appartenente alla Polizia di Stato.
minimo di esperienza sul campo) riesce a vedere (…) la stabilità occupazionale oggi èrara, mentre si afferma la consuetudine di passare da un lavoro all‟altro (…) per questo appare incredibile e folle vincolare il permesso di soggiorno a un‟occupazione stabile”23
.In quegli anni, in tutta Europa la domanda di lavoro si traduceva nella richiesta di lavoratori precari e temporanei. La Bossi-Fini si mantiene comunque entro i limiti imposti dalla convenzione OIL n. 143/1975, per la quale la perdita dell‟occupazione non può da sola comportare la perdita del permesso di soggiorno. In Italia all‟immigrato, sono concessi sei mesi per ricercare un nuovo impiego.
Anche per la durata dei permessi di soggiorno la riforma ha condizioni più stringenti. Se la Turco-Napolitano non distingueva tra permesso di soggiorno per lavoro dipendente determinato o indeterminato e il limite era di due anni con possibilità di rinnovarli fino al doppio del tempo del permesso iniziale, adesso è di un anno per un lavoro a tempo determinato e il rinnovo è di uguale durata. Per l‟ottenimento della carta di soggiorno, sono ora necessari dai 5 ai 6 anni.
La Bossi-Fini non ha eliminato, né diminuito gli sbarchi clandestini, la cui gestione è quasi sempre di carattere emergenziale. Nel 2005, qualche anno dopo l‟entrata in vigore della legge,un lasso di tempo sufficiente per apprezzarne i risultati, un rapporto dell‟ ONU identifica nell‟economia sotterranea e l‟offerta di posti di lavoro al nero <<la principale causa dell‟immigrazione clandestina in Italia>>24
. Secondo la relatrice Gabriella Rodriguez Pizarro è necessario perseguire adeguatamente coloro che sfruttano i lavoratori irregolari. A destare preoccupazione sono anche i continui cambiamenti delle leggi sull‟immigrazione, che non garantiscono un politica stabile e impongono un‟attenzione maggiore affinchèsiano conformi al rispetto dei diritti umani e dei trattati ratificati dall‟Italia.
La legge Bossi-Fini ha fatto della lotta alla clandestinità una priorità, ma rischia di penalizzare fortemente i lavoratori immigrati regolari. Le direttive europee25 sull‟immigrazione hanno sempre indicato nell‟integrazione e nella salvaguardia dei diritti la strada corretta per gestire il fenomeno. La volontà di scoraggiare
23 Pugliese è professore ordinario di Sociologia del Lavoro presso La Sapienza di Roma e Direttore
dell‟Istituto Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali del Cnr. Queste parole sono tratte dal suo intervento alla giornata di studi "Lavoro, migranti e nuova cittadinanza” svoltasi il 9 dicembre 2003 presso l‟Università Roma Tre.
24 L‟Onu critica la Bossi-Fini, 14 Marzo 2005 in Progetto MeltingPot Europa, www.meltingpot.org 25 Si veda ad esempio Il Consiglio di Tampere del 1999 <<L'Unione europea deve garantire l'equo
trattamento dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio degli Stati membri. Una politica di integrazione più incisiva dovrebbe mirare a garantire loro diritti e obblighi analoghi a quelli dei cittadini dell'UE. Essa dovrebbe inoltre rafforzare la non discriminazione nella vita economica, sociale e culturale e prevedere l'elaborazione di misure contro il razzismo e la xenofobia.>>(art.18)
l‟immigrazione e la presenza stabile dei migranti nel nostro Paese è stata la base della Bossi-Fini, una legge che ha trattato il fenomeno migratorio solo come un problema di ordine pubblico. A causa dei continui rinnovi e delle molte garanzie che lo straniero è costretto a dare per rimanere in Italia, questi sembra essere stritolato dalla macchina burocratica, con il conseguente rischio di cadere nella condizione di irregolarità
1.4 La sanatoria del 2002
La legge n.189/2002 è stata lapiù grande regolarizzazione mai avvenuta in Europa, ci furono infatti 705.000 domande, di cui 646.000 accolte secondo l‟ISTAT.26 La sanatoria era rivolta agli immigrati irregolari che <<erano stati impiegati irregolarmente in attività di assistenza a componenti della famiglia affetti da patologie o handicap che ne limitavano l‟autosufficienza>> e chi aveva un <<lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare>> (art. 33). Successivamente, con il decreto legge n.195 del 9novembre 2002, la normativa si rivolse anche ai lavoratori stranieri irregolari delle imprese. La messa in regola era comunque a carico del datore di lavoro. L‟ ingente numero di “sanati”27
fu un importante segnale per valutare la consistenza del lavoro immigrato e in generale, per la prima volta, la presenza effettiva degli stranieri in Italia. Grazie alla presenza massiccia di romeni, ucraini e albanesi, la regolarizzazione riguardò soprattuto immigrati europei, che erano in totale 380.000. Per la prima volta gli immigrati del Vecchio Continente superavano gli africani, complice il fatto che molti di loro entravano per motivi turistici (un periodo di tre mesi, che non necessitava del visto), ma in realtà cercavano lavoro, cadendo poi nell‟irregolarità allo scadere dei tre mesi “di vacanza”. In totale dopo la regolarizzazione gli immigrati erano 2,5 milioni, e ovviamente questo aveva impattato anche sulle dinamiche del lavoro. Infatti anche se si avvertivano le prime battute d‟arresto alla crescita economica28, l‟occupazione
continuava a salire, proprio grazie all‟ emersione degli immigrati fino ad allora irregolari. Gli immigrati rappresentavano larga parte dei nuovi assunti e inziarono così le prime indagini sui lavori da essi svolti. In primo luogo fu chiara la rilevanza del ruolo delle badanti straniere nelle famiglie italiane: dinnanzi a un Welfare State che faticava a
26 Istituto nazionale di statistica, Gli stranieri in Italia: gli effetti dell‟ultima regolarizzazione Stima al 1°
gennaio 2005, 15 dicembre 2005, www.istat.it
27Questa espressione si deve al titolo del libro (a cura di) A. Colombo e G. Sciortino, I sommersi e i
sanati. La regolarizzazione degli immigrati in Italia, Bologna, il Mulino, 2004
fronteggiare l‟invecchiamento della popolazione, i cittadini si erano organizzati privatamente trovando nelle donne immigrate (in particolare rumene ed ucraine) una soluzione economica ed efficace per la cura della famiglia, soprattuto per gli anziani. Gli uomini stranieri erano impiegati in lavori in maggioranza manuali: nell‟agricoltura e nell‟industria, in particolare nell‟edilizia in senso stretto. La profonda segmentazione del mercato del lavoro immigrato ha evidenziato anche le differenze di genere: a seconda dell‟etnia si ritrovava la maggioranza femminile o maschile, in relazione alla professione svolta. Queste tematiche verranno opportunamente analizzate nel prossimo capitolo, con i dati aggiornati al 2012.
1.5 Gli sviluppi recenti
Negli ultimi anni l‟argomento dell‟immigrazione sembra essere passato in secondo piano, salvo poi riaccendersi all‟indomani delle periodiche tragedie del mare29
, ovvero in occasioni di tentativi di sbarchi clandestini sulle coste italiane. La percezione, è quella che immigrazione nel nostro paese, stia diventando sinonimo di mera gestione degli sbarchi e dei clandestini. In realtà negli anni ci sono stati altri provvedimenti, ma soprattutto di natura amministrativa, a cui i media e il dibattito politico hanno dato ben poco risalto. Dopo la proposta di legge Amato- Ferrero del 200730 del Governo Prodi di centrosinistra, che non venne mai approvata, non ci sono state proposte significative, complice anche l‟instabilità politica del Paese. La legge proposta dagli allora Ministro dell‟interno (Giuliano Amato) e dal Ministro per la Solidarietà Sociale (Paolo Ferrero) faceva perno su tre punti cardine: razionalizzare l‟immigrazione regolare, promuovere l‟integrazione e scoraggiare l‟illegalità. Attorno a questi obiettivi era organizzato l‟insieme di norme riguardanti l‟entrata e il soggiorno in Italia. Secondo il disegno di legge la programmazione doveva essere triennale, anziché annuale come previsto dalla Bossi-Fini, vi erano inoltre meccanismi per snellire il peso della burocrazia sulla varie pratiche, veniva ripristinato l‟istituto dello sponsor e eliminato il contratto di soggiorno . Queste sono alcune dellemisure che la legge avrebbe introdotto. Il disegno di legge fu
29L‟utima sciagura, nonché la più grande è stata quella di Lampedusa del 3 ottobre 2013, Lampedusa, la
più grande tragedia del mare: centinaia di morti,in www.sole24ore.it, 3 ottobre 2013
30Disegno di legge delega al Governo per la modifica della disciplina dell‟immigrazione e delle norme
osteggiato dai fautori della Bossi-Fini31, ma raccolse anche critiche positive32. A più riprese si sono avvicendate varie sanatorie: quella del 200933 aveva lo scopo di far emergere dal lavoro nero presso le famiglie italiane le colf e le badanti, ormai figure professionali molto richieste. Secondo i dati diffusi dal Ministero degli Interni,a fronte di 295.126 domande presentate, sono 215.255 quelle accolte, mentre, oltre a 2.671 rinunce, si registrano 32.376 rigetti.34
E ancora, nel 2012 è stata varata una sanatoria ad opera del Governo Monti, passata con decreto Interministeriale del 29 Giugno 2012. I Ministeri coinvolti sono stati dell‟Interno, del Lavoro e delle Politiche Sociali, per la Cooperazione Internazionale e l‟Integrazione e il Ministero dell‟Economia e delle Finanze. La regolarizzazione è stata valida per i datori che si autodenunciassero e che quindi avessero alle proprie dipendenze un lavoratore straniero full time irregolare o clandestino, il quale fosse presente in Italia ininterrottamente dal 31 dicembre 2011. Il provvedimento interessava lavoratori quali colf, badanti, e quindi tutti i lavoratori dipendenti. Il permesso di soggiorno è stato accordato anche al clandestino che dovesse denunciare il suo sfruttatore . Tra il 15 settembre e il 15 ottobre 2012 (termine ultimo della presentazione delle domande) sono state presentate circa 135.000 domande35. I numeri sono stati ben al di sotto delle aspettative governative che, come ricorda Fulvia Colombini della CGIL, <<aveva previsto dalle 3 alle 400.000 richieste>>36.
Tornando alla questione prettamente legislativa si possono trarre alcune conclusioni sugli effetti delle regolarizzazioni degli ultimi anni. Ambrosini37 rintraccia nelle sanatorie diversi tratti peculiari. Anzitutto, il carattere collettivo e di massa mentre in molti Paesi europei le regolarizzazioni sono provvedimenti individuali, legati ad una residenza prolungato, valutati caso per caso. La seconda caratteristica è la ricorrenza
31
Roberto Calderoli di Lega Nord nonché vice-presidente del Senato, definì la legge un “obbrobio” e propose un referendum abrogativo qualora le legge fosse approvata. In Immigrazione, il Cdm approva la
riforma della Bossi-Fini, in www.larepubblica.it, 28 giugno 2007
32 A. Rivera, Una buona legge ma poco coraggiosa, in Il Manifesto, 26 aprile 2007, Comunicato stampa
ARCI, DDL Amato-Ferrero. Positiva l‟approvazione del Cdm. Ora approvare le modifiche, www.arci.it, 28 giugno 2007
33 Legge 102/2009 con la conversione del Dl Anticrisi n. 78/2009,Disposizioni relative alla Dichiarazione
di attività di assistenza e di sostegno alle famiglie
34
Sanatoria 2009 - Oltre 30.000 rigetti, la grande maggiornanza immotivati, 10 febbraio 2011 in
www.meltingpot.org
35Ministero dell‟Interno, Dichiarazione di Emersione 2012, 17 ottobre 2012
36L. Galeazzi, M. Portanova, Sanatoria flop, solo 105 mila richiesta. Boom sospetto di colf e badanti, 15
ottobre 2012 in www.ilfattoquotidiano.it
37 M. Ambrosini, Da braccia a persone. Ambiguità e precarietà di un processo di affrancamento, in M.
Barbagli, A. Colombo, G. Sciortino, I sommersi e i sanati. Le regolarizzazioni degli immigrati in Italia, Bologna, Il Mulino, 2004, pp. 139-165
periodica, in quindici anni ce ne sono state cinque. Se si considerano poi, quelle del 2009 e del 2012 si arriva a contarne sette in venticinque anni. Questo può avere effetti distorsivi sulle aspettative di chi decide di emigrare e vede l‟ Italia come un paese in cui è possibile entrare illegalmente, lavorare nell‟economia sommersa e poi nel giro di pochi anni ottenere un permesso di soggiorno. Le grandi dimensioni raggiunte da ogni sanatoria evidenziano come per la maggior parte degli immigrati oggi presenti, l‟ingresso sia avvenuto in modo irregolare e come <<il passaggio attraverso un periodo di soggiorno illegale e lavoro sommerso sia un tratto quasi normale del percorso dei migranti>>38. Infine l‟alta discrezionalità nell‟esame delle pratiche, tratto rilevato anche da Colombo e Sciortino, appare un ostacolo dato che genera difficoltà interpretative. Secondo i due Autori tutta la legislazione italiana sull‟immigrazione ha rifiutato la politica attiva degli ingressi e ha tentato di procrastinare il più possibile la stabilizzazione degli stranieri nel nostro Paese.
Un simile atteggiamento non dovrebbe sorprendere, perché è comune a tutti i paesi che devono gestire i primi flussi immigratori. Anche le altre nazioni europee come la Francia e la Germania tardarono a loro tempo a mettere in atto politiche concrete di gestione del fenomeno, tanto che molto spesso gli immigrati venivano lasciati in condizioni di precarietà per scongiurarne la permanenza; i tentativi di integrazione erano molto blandi, cosicché risultavano sempre svantaggiati rispetto ai nativi. Comprendere e gestire gli spostamenti dei migranti richiede quindi molto tempo e numerosi sforzi, anche volti a contenere il conflitto sociale. Ciò che appare anomalo, nel quadro della politica italiana, è ben sintetizzato da Colombo e Sciortino che infatti sottolineano: <<la pervicacia con la quale il sistema politico italiano(…) ha agito e agisce non al fine di gestire tale transizione bensì nel prolungare sino allo sfinimento la cecità e l‟impreparazione iniziale>>39
.
38 A. Colombo, G. Sciortino, op.cit., p.70 39 A. Colombo, G. Sciortino,op.cit., p.73
Capitolo 2: Lavoratori immigrati in Italia e politiche sindacali
2.1 I lavoratori stranieri in Italia nel 2011 secondo il Terzo Rapporto
Annuale immigrati
40Il terzo rapporto annuale sull‟immigrazione, aggiornato al 2013, risulta particolarmente utile per un‟analisi completa dell‟argomento in esame, dato che presenta dati attinenti la presenza straniera in Italia, con particolare riguardo alla realtà lavorativa. Il dossier riporta i dati elaborati dell‟ ISTAT aggiornati al luglio 2013, riguardanti sia il versante socio-demografico sia le condizioni occupazionali degli stranieri.
La popolazione straniera in Europa è di circa 34 milioni, e il 13% di questi risiede in Italia. Ormai in tutto il Vecchio Continente i processi di immigrazione hanno avuto forte impatto sulla struttura sociale del Paese ospitante, la crescita della popolazione è infatti dovuta quasi interamente agli immigrati. Tuttavia, nel bienno 2011-2012 si assiste ad un rallentamento della crescita demografica europea, che si attesta allo 0,2% per la popolazione totale, mentre per quella straniera al 3,2%.
Nel caso dell‟Italia, tra il 2004 e il 2012 gli immigrati sono passati da 1.990.159 a 4.825.573, la variazione è stata quindi del 142%, contro un aumento del 5% dellla popolazione locale. La ridotta crescita dei residenti e il significativo aumento della componente straniera fa pensare a una funzione di sostituzione o comunque di risposta a una domanda di lavoro ancora inevasa. Cosiderando solo i non comunitari, al 1° gennaio 2012, questi sono 3.637.72441. Le etnie prevalenti sono, in ordine: marocchina, albanese, cinese, ucraina e filippina.
40Direzione Generale dell‟immigrazione e delle Politiche di Integrazione ,Terzo rapporto annuale-Gli
immigrati nel mercato del lavoro in Italia, luglio 2013
Grafico 2.1Cittadini non comunitari regolarmente presenti per area geografica, al 1° gennaio 2012 (valori percentuali sul totale della popolazione straniera)
A livello territoriale il 65,8% degli immigrati risiede al Nord, il 22,6% al Centro e il restante 11,6% nel Mezzogiorno. In generale, per tutti i paesi di provenienza dei cittadini non comunitari la regione di residenza prevalente è la Lombardia, ad eccezione dei moldavi, che registrano la quota più alta in Veneto (il26,7%), e dei tunisini, la cui maggioranza si colloca in Emilia Romagna (il 23,1%).
Tabella 2.1–Cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti, prime 10 posizioni per regione di insediamento al 1° gennaio 2012 per classe di età (valori percentuali)
RIPARTIZIONE
GEOGRAFICA Marocco Albania
Cina,Rep.
Popolare Ucraina Filippine Moldova India Tunisia Egitto Perù Altri paesi
Totale NORD 373.051 303.861 161.339 117.262 79.924 113.399 99.515 77.419 96.826 72.813 898.526 2.393.935 Piemonte 70.923 45.753 17.747 9.324 5.417 10.857 3.741 6.553 6.687 13.906 70.268 261.176 Valle d'Aosta 2.564 1.006 250 232 29 273 99 606 43 115 1.304 6.521 Lombardia 123.533 102.577 61.140 47.533 52.453 22.881 54.367 25.389 80.973 46.302 356.986 974.134 Trentino A. A. 9.074 12.971 2.299 3.832 365 3.884 1.853 3.189 309 1.338 33.214 72.328 Veneto 66.094 43.514 39.246 16.414 6.473 39.339 16.907 7.780 1.159 1.954 187.319 426.199 Friuli V. G. 4.479 13.477 3.654 5.037 856 2.474 2.428 1.577 363 265 56.668 91.278 Liguria 14.761 21.882 4.211 4.244 1.373 1.988 1.562 4.018 2.200 5.026 47.449 108.714 Emilia Romagna 81.623 62.681 32.792 30.646 12.958 31.703 18.558 28.307 5.092 3.907 145.318 453.585 CENTRO 70.758 133.589 83.220 45.645 58.307 29.581 32.838 21.817 18.845 32.907 295.140 822.647 Toscana 30.789 69.605 46.054 11.051 12.104 5.767 5.833 5.845 2.800 10.130 84.170 284.148 Umbria 10.397 16.294 2.407 4.887 1.706 2.973 1.577 1.749 219 2.081 21.418 65.708 Marche 15.864 22.210 13.738 5.552 1.625 4.921 4.407 6.434 338 2.736 46.690 124.515 Lazio 13.708 25.480 21.021 24.155 42.872 15.920 21.021 7.789 15.488 17.960 142.862 348.276 MEZZOGIORNO 62.560 54.045 33.011 60.875 14.151 4.539 12.811 23.359 1.474 2.127 152.190 421.142 Abruzzo 6.532 13.754 5.493 3.948 626 797 565 893 203 356 18.911 52.078 Molise 1.123 798 243 479 25 141 401 130 23 13 1.178 4.554 Campania 15.688 6.601 10.584 43.037 3.593 1.870 4.175 3.134 350 1.055 51.877 141.964 Puglia 8.020 22.429 4.357 2.699 1.363 485 2.154 2.145 246 196 20.800 64.894 Basilicata 1.483 1.665 899 844 52 143 699 443 42 16 1.345 7.631 Calabria 12.278 2.590 2.457 6.099 2.416 677 3.192 589 146 71 11.072 41.587 Sicilia 12.754 5.612 6.010 1.786 4.610 249 1.283 15.365 357 206 37.926 86.158 Sardegna 4.682 596 2.968 1.983 1.466 177 342 660 107 214 9.081 22.276 ITALIA 506.369 491.495 277.570 223.782 152.382 147.519 145.164 122.595 117.145 107.847 1.345.856 3.637.724
Per quanto riguarda i dati di genere le cifre si equivalgono: 1.837.032 uomini e 1.800.642 donne, la componente femminile è prevalente per l‟Ucraina e la Moldavia, mentre rimane un‟esigua minoranza per il Nord Africa. I minori rappresentano invece il 23,9% della popolazione immigrata in Italia. La tabella sottostante indica un quadro di sintesi della composizione demografica dei cittadini extracomunitari residenti in Italia.
Tabella 2.2Cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti. Indicatori per cittadinanza al 1° gennaio 2011 e al 1° gennaio 2012
Da rilevare è che circa la metà dei cittadini immigrati regolarmenti presenti è in possesso di un permesso di soggiorno a tempo indeterminato, in particolare i cittadini albanesi, marocchini e tunisini sono quelli che hanno il permesso di lungo periodo. Tale
PAESI DI CITTADI-NANZA Totale Donne Minori Soggiornanti di lungo periodo 1°regione Valori % Valori % Valori %
2012 Marocco 506.369 43,5 30,4 61,4 Lombardia (24,4%) Albania 491.495 47,1 27,3 62,9 Lombardia (20,9%) Cinese, 277.570 48,7 26,3 39,0 Lombardia (22,0%) Ucraina 223.782 80,0 9,1 44,2 Lombardia (21,2%) Filippine 152.382 58,0 21,6 47,4 Lombardia (34,4%) Moldova 147.519 67,1 17,0 33,2 Veneto (26,7%) India 145.164 36,6 24,0 50,6 Lombardia (37,4%) Tunisia 122.595 36,0 30,8 60,9 Emilia-Romagna (23,1%) Egitto 117.145 29,1 30,4 57,1 Lombardia (69,1%) Perù 107.847 60,5 19,3 46,7 Lombardia (42,9%)
Altri paesi 1.345.856 48,3 22,3 50,7 Lombardia (26,5%) Totale 3.637.724 49,5 23,9 52,1 Lombardia (26,8%) 2011 Marocco 501.610 41,9 27,7 55,8 Lombardia (24,3%) Albania 483.219 45,6 25,0 56,8 Lombardia (20,4%) Cinese, 274.417 48,2 21,5 31,1 Lombardia (21,2%) Ucraina 218.099 81,1 7,0 37,5 Lombardia (21,4%) Moldova 142.583 68,0 14,6 27,3 Veneto (27,4%) India 142.565 34,7 20,7 43,9 Lombardia (38,9%) Filippine 136.597 58,7 18,2 42,2 Lombardia (21,4%) Tunisia 116.651 34,7 28,8 56,4 Emilia-Romagna (23,8%) Egitto 110.171 27,6 28,9 50,8 Lombardia (69,8%) Bangladesh 103.285 27,9 22,4 49,3 Lazio (21,9%)
Altri paesi 1.306.865 49,4 18,4 44,8 Lombardia (28,4%) Totale 3.536.062 48,4 21,5 46,3 Lombardia (26,6%)
dato è importante perché la presenza duratura in Italia significa condizioni legali stabili per la permanenza , prima fra tutte il lavoro. In questo modo si limita il rischio di cadere nell‟irregolarità e quindi l‟obbligo di rimpatrio. I permessi di soggiorno temporanei necessitano della periodica dimostrazione di possedere ancora tutti i requisiti necessari per il rinnovo e in anni di crisi si è conseguentemente più esposti. In Italia, alla fine del 2011, oltre al metà (52,1%) dei soggiornanti non comunitari è titolare di un permesso di durata illimitata 42.
Tabella 2.3 Indicatore di soggiorno stabile: graduatoria delle grandi aree (2011) FONTE: CNEL – Centro Studi e Ricerche IDOS. Elaborazioni su dati Istat/Ministero dell‟Interno
N°
ord. Area
Totale soggiornanti
di cui con pds di durata illimitata
Valore
trasformato intensità Fascia
v.a. v.a. %
1 NORD EST 1.043.390 596.415 57,2 100,0 Massima
2 NORD OVEST 1.350.545 733.161 54,3 85,0
3 CENTRO 822.647 399.391 48,5 55,2 Media
4 SUD 312.708 125.891 40,3 12,0 Minima
5 ISOLE 108.434 41.365 38,1 1,0
ITALIA 3.637.724 1.896.223 52,1
Un altro aspetto da notare è che gli immigrati, una volta arrivati nel nostro Paese, continuano a spostarsi andando ad accresce la mobilità interna, tanto che risulta un progressivo sviluppo del fenomeno degli ultimi dieci anni. Ovviamente larga parte degli spostamenti è da imputare ai cittadini italiani, ma la quota riguardante gli stranieri è in aumento (più 10% dal 2002 al 2011). Le comunità che si spostano sono quelle più numerose: romeni, marocchini, albanesi, cinesi ed ucraini compongono il 55% dei movimenti.
2.2 Condizioni occupazionali dei lavoratori stranieri
La crisi economica ha prodotto nell‟ultimo triennio un rilevante ridimensionamento dei livelli occupazionali. Tale fenomeno ha impattato anche sulla forza lavoro straniera che, in genere, ha tassi di occupazione più alta rispetto a quella italiana. La popolazione straniera in età da lavoro (dai 15 anni in poi) è di quasi 4 milioni di individui e più del 50% ha cittadinanza extracomunitaria. Le comunità con più forza lavoro sono gli
42Consiglio Nazionale dell‟Economia e del Lavoro e Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Indici