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Arcaismi, argot e oralità nella chanson intellectuelle di Georges Brassens

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Academic year: 2021

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Direzione

Claudio Vinti e Lorella Martinelli Comitato di Direzione

Viviana Agostini-Ouafi (Université de Caen) Brigitte Battel (Università di Cassino) Leonardo Casalino (Université Grenoble Alpes)

Sandro Gentili (Università di Perugia) Astrid Guillaume (Université Paris III Sorbonne)

Charles Le Blanc (Università di Ottawa) Lorella Martinelli (Università di Chieti-Pescara)

Ugo Perolino (Università di Chieti-Pescara) Loredana Trovato (Università di Enna)

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I saggi pubblicati nel presente volume sono stati sottoposti a un processo di double blind peer review che ne attesta la validità scientifica Collana: TESTI E RICERCHE

Studi di cultura francese e italiana A cura di

Ugo Perolino (Università di Chieti-Pescara) Lorella Martinelli (Università di Chieti-Pescara) Alessandro Giacone (Université Grenoble Alpes) Marco Maffioletti (Université Grenoble Alpes) Titolo: Francia e Italia (1956-1967)

Lingua, letteratura, cultura ISBN: 978-88-6344-420-9

© Copyright by

Casa Editrice Rocco Carabba srl Lanciano, 2016

Printed in Italy Con il Patrocinio di:

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(1956-1967)

Lingua, letteratura, cultura

a cura di

Ugo Perolino, Lorella Martinelli Alessandro Giacone, Marco Maffioletti

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Lorella Martinelli

Quel gesto: il piede sulla sedia, la chitarra imbracciata come durante una serata tra amici, e il filo di un motivo malinconico − un’aria semplicissima − a sottolineare ritmo e parole. Il mito Brassens1 costituisce un paradigma

estetico di grande rilevanza e prolificità, variamente ricodificato in tutte le forme di espressione artistica: letteratura, cinema, teatro, senza dimenticare, ovviamente, la storia della canzone francese (e non solo)2. La sua scrittura

poetica ignora intenzionalmente luoghi e momenti dell’engagement3 e si

1 Come ha sottolineato il linguista L.-J. Calvet, lo chansonnier rappresenta una «gloire

nationale, un monument qui […] semble quasiment interdit de critique», un’icona che ha generato una vera e propria mythologie Brassens (Georges Brassens, Paris, Lieu Com-mun, 1991, p. 148). I testi di Brassens a cui si farà riferimento nel presente lavoro sono racchiusi nell’opera integrale G. Brassens, Elle est à toi cette chanson…, coffret de 15 CD accompagné d’un livret de 52 pages, Universal, 2006.

2 L’eredità musicale di Brassens è vasta e significativa e valica i confini nazionali. Diversi artisti

italiani ne hanno seguito la lezione poetica e musicale: Fabrizio De André, abituato a leggere fin da adolescente i poeti francesi, lo considerò un maestro di musica e di anarchia. A De André si deve la diffusione di alcuni brani tradotti che hanno conservato l’anima del testo e l’atmosfera delle storie; Nanni Svampa e Mario Mascioli hanno dedicato alla musica dello

chansonnier gran parte della loro vita artistica, traducendo tutte le canzoni, re-interpretandole

e facendole proprie, con risultati di altissimo livello. Le traduzioni di Amodei sono meno sistematiche (se ne contano una ventina, tra l’altro mai incise), ma la lezione di Brassens è stata raccolta fedelmente sia nei tratti stilistici, sia negli aspetti interpretativi (Cfr. M. Conenna, «Dissolvenze incrociate. Canzoni e traduzioni di Brassens», in Tradurre la canzone d’autore, a cura di G. Garzone e L. Schena, Bologna, CLUEB, 2000, pp. 153-165).

3 Nell’arco della sua carriera, Georges Brassens ha assistito alla nascita della Francia moderna: dal

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rivolge alla vita quotidiana – le tenerezze degli amanti sulle panchine dei parchi, un brivido di sole sulla spiaggia di Sète, dove volle essere seppellito − nei suoi momenti più inavvertiti. Sul piano tematico ed espressivo la tradizione di riferimento, anarchica, è quella degli umoristi da Villon a Corbière, da cui eredita l’arte della dissonanza e il gusto del pastiche. Timido, irriverente, iconoclasta, Georges Brassens è stato l’icona di una stagione vitale, una brezza che sfiora la pelle dei vent’anni.

La sua sorprendente attualità rispetto ad altri interpreti della «chanson intellectuelle»4 è dovuta senza dubbio al carattere malinconico di uno

chansonnier imbarazzato dal successo e in fondo a disagio davanti alle

telecamere5. Nella società francese degli anni Cinquanta e Sessanta6 l’opera

4 Nel secondo dopoguerra nella capitale francese fiorisce la chanson poétique o chanson

intellectuelle formata da una generazione di interprètes – Félix Leclerc, Léo Ferré − che

sono al tempo stesso auteurs e compositeurs. Il loro intento è quello di rinnovare le modalità espressive della canzone portandola a livelli stilistici significativi e fondando una tradizione “letteraria” e autoriale che avrà importanti sviluppi non soltanto in Francia. Cfr. P. Benhamou, Interview avec Georges Brassens, «The French Review», XLVI, 6, May 1973, p. 1129; si veda inoltre la prima parte dello studio di L. Hantrais, Le vocabulaire

de Georges Brassens, Paris, Klincksieck, 1976.

5 Per il suo temperamento riservato, lo chansonnier sembra intimidito dall’esibizione

davanti al pubblico. Per alcuni anni Brassens scriverà le sue canzoni pensando che saranno interpretate da altri e in seguito, raggiunto il successo, manterrà un garbato distacco dai miti della notorietà e dalle lusinghe della cultura di massa. Come racconta ne Les Trompettes de la renommée, un testo come altri ricco di suggestioni autobiografiche: «Je vivais à l’écart de la place publique,/Serein, contemplatif, ténébreux, bucolique…/ Refusant d’acquitter la rançon de la gloir?,/Sur mon brin de laurier je dormais comme un loir». CD 7 (Les Trompettes de la renommée, 1961-1962).

6 La natura schiva dello chansonnier si discosta dagli schemi degli idoli acclamati nei

music-halls parigini che si presentavano al pubblico con piroette, inchini e facili rime, quasi a

voler ritrovare la spensieratezza perduta durante il conflitto mondiale: «Alla Francia del dopoguerra, abituata alla semplice canzone guillerette o alle scene spoglie e travagliate della chanson engagée, Brassens porta qualcosa di nuovo: un rifiuto totale dello show-biz, del gioco scenico e delle consumate astuzie d’attore; un viaggio intorno all’uomo senza

déchirement, senza toni esistenziali né travagli di sorta». L. Bonato, «Georges Brassens,

il vizio e la virtù», in Georges Brassens. Lingua, poesia, interpretazioni, Atti del Convegno Internazionale tenutosi a Milano il 3-4 dicembre 1991, a cura di Mirella Conenna, introduzione di Sergio Zoppi, Fasano, Schena, 1998, pp. 118-119.

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di Brassens si rivela di forte rottura rispetto alle convenzioni vigenti ; i suoi testi, caratterizzati da un’ironia maliziosa, ricca di toni goliardici, comici e caricaturali, generarono scandalo nel pubblico benpensante8. Le

immagini sovversive e anticonformiste, gli atteggiamenti di paradossale provocazione, l’uso dell’invettiva contro determinate classi e figure sociali, non sono mai scompagnati da un impulso giocoso, che si esprime nel gusto della parodia e della deformazione comica9. È sempre presente, inoltre,

il contrappunto di un’umanità dolente, una forte pietas e fratellanza nei 7 L’anti-divo accede al mondo delle vedettes con un atteggiamento e un repertorio

musi-cale che sovverte i canoni del tempo: «Surtout à une époque où la démagogie domine la scène, ou les artistes de variétés déversent sur leur public des kilos de sourires aseptisés, s’acharnant à montrer combien ils sont à l’aise, combien ils sont heureux d’être là, Bras-sens détonne. Il a, sur scène, des airs d’animal pris au piège, traqué, il transpire à grosses gouttes, jette parfois par-dessus son épaule un regard furtif vers Pierre Nicolas qui, der-rière, l’accompagne à la basse, où vers les coulisses où se tiennent les copains, comme pour demander du secours». L.-J. Calvet, Georges Brassens, cit., p. 159.

8 Anche i detrattori dello chansonnier intuirono il senso di profonda umanità e le idee

pacifiste che trasparivano dai suoi testi: «Ceux qui le rejettent prennent vite la mesure de sa popularité, cèdent à son sourire, se laissent séduire par un répertoire où la fleur bleue et les bons sentiments sont moins absents que les premières apparitions le faisaient craindre. La presse n’est plus qu’éloges, il fait bientôt presque l’unanimité. Les opinions négatives publiquement exprimées sur Georges Brassens, après l’affirmation de son succès sont rares» (D. Agid, Brassens, Reims Édition Dominique Fradet, 2008, p. 39).

9 Tra i bersagli preferiti da Brassens, i rappresentanti della legge occupano un posto di

pri-mo piano. In Hécatombe, CD 1 (La mauvaise réputation, 1952-1953), le forze dell’ordine, intervenute per sedare una rissa fra massaie, soccombono à «grands coups de mamelles». L’invettiva contro i gendarmes diventa ancora più accesa e ironica quando le robuste signore progettano come mossa risolutiva, l’evirazione: «Leur auraient même coupé les choses/Par bonheur, ils n’en avaient pas!». In un’altra canzone, divertita e dissacratoria, Le Gorille del 1952, lo chansonnier grida il proprio no alle pene feroci e alle ingiustizie nei confronti della povera gente innocente. Brassens canta di donne che sbirciano il sesso di un gorilla che evade dalla gabbia per liberarsi del pesante fardello della verginità. Tra le grida della folla che fugge al celebre refrain «Gare au Gorille!» si attardano soltanto un giudice vestito con la toga e una veccha signora lusingata di poter essere ancora oggetto di desiderio sessuale. L’epilogo esprime la condanna della pena capitale prevista dal diritto francese di quegli anni: il gorilla afferra il magistrato per un orecchio e lo trascina in un bosco, mentre la vittima, oggetto di

viol, piange e invoca l’aiuto materno: «Car le juge au moment suprême,/Criait: “Maman!”

pleurait beaucoup,/Comme l’homme auquel, le jour même,/Il avait fait trancher le cou./ Gare au gorille!» CD 1 (La mauvaise réputation, 1952-1953).

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confronti degli umili e degli emarginati come traspare da canzoni quali

La mauvaise herbe10, Chanson pour l’Auvergnat11, Le mauvais sujet repenti12.

Con Brassens la canzone popolare diventa “testo”13, momento poetico

e strumento di denuncia14. Il suo immaginario si popola di simboliche

allusioni, di passaggi rivelatori, di arguti richiami e citazioni stravolte, di figure letterarie emblematiche che ritroviamo delicatamente intessute nelle maglie delle chansons più famose. L’ispirazione è nutrita e temperata da uno studio profondo e da un meticoloso lavoro di composizione e «ri-scrittura»15 in un intreccio sapiente di culture savante e culture populaire. Il fil

10 CD 2 (Les amoureux des bancs publics, 1953-1954). 11 CD 3 (Chanson pour l’Auvergnat, 1954-1956). 12 CD 2 (Les amoureux des bancs publics, 1953-1954).

13 La necessità di ri-creare un contatto diretto con il pubblico attraverso un genere più

popolare rispetto alla culture savante quale la canzone, si deve ad alcuni poeti di matrice surrealista che si cimentarono nella composizione di opere destinate a essere cantate. Si pensi, ad esempio, alla raccolta di poesie Paroles di Jacques Prévert (1946), o alle speri-mentazioni del francese parlato in Zazie dans le métro di Queneau (1959).

14 L’antimilitarismo rappresenta uno dei punti cardine del discorso intellettuale di Brassens

nella cui posizione entra sicuramente in gioco il ricordo di vissuti personali. Come rievocherà nella canzone Le temps passé: «Dans les comptes d’apothicaires,/Vingt ans, c’est un’ somm’ de bonheur./Mes vingt ans sont morts à la guerre,/De l’autr’côté du champ d’honneur» CD 6 (Le mécréant, 1960-1961). I suoi venti anni furono segnati dalla Seconda Guerra Mondi-ale e dall’esperienza del servizio obbligatorio – imposto dagli occupanti tedeschi ai giovani francesi per sostenere la guerra del Reich – prestato in una fabbrica della BMW a Basdorf.

15 Ricordiamo che negli anni 1946-1947, prima di affermarsi come cantautore, Brassens

collaborò con il giornale militante Le Libertaire, organo pubblico della federazione anarchica francese. I suoi pamphlet rivelavano una personalità originale: il tratto dominante dei suoi scritti – che poi si ritroverà attenuato nelle sue canzoni – consisteva in un atteggiamento anticonformista e dissonante e in una satira sferzante contro ogni potere precostituito. Si veda, a tal proposito, l’articolo dell’11 octobre 1946 firmato da Brassens sotto lo pseudonimo di Géo Cédille: «Dame la Mort s’est proposé un but. /Faire rentrer dans le néant – d’où ils n’eussent pas dû sortir – tous les gendarmes de la terre. /Notre but, sublime idéal. [...] Notez bien qu’en réalité ce n’est pas son trépas par lui-même qui nous met l’allégresse au cœur mais les conséquences qu’il entraîne, parmi lesquelles celle d’amoindrir sensiblement les effets néfastes de l’autorité s’avère comme une des plus heureuses, des plus agréables» (Chroniques

pour Le Libertaire, 1946-1947), pp. 1055-1056, in G. Brassens, Œuvres complètes. Chansons, poèmes, romans, préfaces, écrits libertaires, correspondance, édition établie, présentée

et annotée par J.-P. Liégeois, Prologue de J. Prévert, Paris, Le Cherche Midi, Collection «Voix publiques», 2007. Attraverso lo humour noir e uno stile incisivo ed efficace, volto a

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rouge che lega l’intera produzione di Brassens è una tensione pre-ideologica,

disperatamente vitale e insofferente di ogni vincolo; una condizione descritta e cantata attraverso personaggi, esperienze e atmosfere ostinate e contrarie. Lo chansonnier non conosce distinzioni tra la vita e l’arte, nessun mascheramento, nessuna mistificazione; le sue canzoni esprimono un temperamento vivo che gli amici riconoscono come autentico: «Brassens? C’est un anarchiste pour rire. La vérité c’est que je ne connais pas beaucoup d’hommes aussi cordiaux, aussi humains, aussi sérieux. Certes c’est un anar, comme on dit, mais son revolver de tête ne tuera jamais personne»16.

La sua è dunque opera di divulgazione di una chiara visione della vita e del mondo: «Brassens c’est L’Auvergnat, c’est Putain de toi, c’est Hécatombe, c’est-à-dire à la fois un discours d’humanité, de tolérance et de révolte: à bas les flics et vive l’amour». Come spiegherà in un’intervista a François-René Cristiani, l’anarchia rappresenta un modus vivendi più che una politica da praticare: «C’est difficile à expliquer l’anarchie. Les anarchistes eux-mêmes ont du mal à l’expliquer. Quand j’étais au mouvement anarchiste – […] je n’ai jamais rompu avec, mais enfin je ne milite plus comme avant – chacun avait de l’anarchie une idée tout à fait personnelle. C’est d’ailleurs ce qui est exaltant, c’est qu’il n’ y a pas de véritable dogme. C’est une morale, une façon de concevoir la vie, je crois»17. L’ideologia estetica

e i gusti letterari dello chansonnier si palesano sin dalla corrispondenza (1948-1950) intrattenuta con l’amico anarchico Roger Toussenot che testimonia le linee di un temperamento già sufficientemente definito:

Les écrivains que j’ai aimés, je les ai aimés parce que [tout] ce que je trouvais chez eux, je l’avais déjà en moi et je l’ignorais: ils m’ont révélé à moi même. Et là, chez Bakounine, Kropotkine et Proudhon, j’avais trouvé cela et, ensuite, j’ai fréquenté les

dimostrare la decadenza della società moderna e del sistema politico, Brassens persegue il suo intento di salvaguardare l’uomo da ogni violenza ideologica. Cfr. M. Wilmet, Georges

Brassens libertaire, Bruxelles, Les Éperonniers, 2000, pp. 121-122.

16 J.-C. Lamy, Brassens le mécréant de Dieu, Paris, Albin Michel, 2004, p. 230.

17 Alla tavola rotonda del 6 gennaio 1969 parteciparono i tre grandi della chanson française,

Brassens, Brel e Ferré, in www.georges-brassens.com. Il testo integrale dell’intervista è stato pubblicato per la prima volta nel venticinquesimo numero di Rock and folk, nel febbraio del 1969.

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anarchistes. […] Quand j’écris quelque chose, il est très difficile de décider si j’aurais écrit la même chose, voire si j’aurais senti la même chose sans faire référence aux lectures que j’ai eues, aux événements extérieurs qui se sont passés, qui ont exercé une modification en moi. La vie intérieure a des frontières tout à fait ouvertes: n’importe qui peut pénétrer là-dedans, sans montrer de laissez-passer; on entre là-dedans comme dans un moulin18.

Le prime pubblicazioni – À la venvole, raccolta poetica del 1942, e La

lune écoute aux portes, romanzo del 1954 – delineano un universo

poetico che già prefigura la produzione matura19. L’assunzione totale

dell’esperienza artistica, che continua a tessere un filo diretto con la poesia, è sintomatica di una rivalutazione della canzone come miniera dimenticata come forma di espressione popolare, ascoltata e memorizzata da gente di ogni condizione sociale e propagata dai media verso un pubblico più vasto e indifferenziato: «La chanson, c’est pour tout le monde. Au départ, celui qui veut lire des vers doit faire le premier pas. Ce n’est pas le cas pour la chanson. Celui qui écoute une chanson est plus passif. Il y a heureusement des gens qui s’intéressent à la chanson. C’est une poésie à la portée de toutes les bourse! Les gens acceptent ce que je fais parce que je n’ai pas l’air d’un littéraire. Bien sûr que j’en suis un!»20.

Navigando a vista tra le sue canzoni, non si può fare a meno di rilevare come lo stile poetico di Brassens sia caratterizzato da uno straordinario eclettismo, dovuto probabilmente alla sapiente opera di sintesi che l’autore ha messo in atto a partire dalle sue “frequentazioni musicali”. Dalla generazione di cantanti alla Trenet, al jazz delle orchestre e dei cabaret notturni che coloravano i locali parigini degli anni Cinquanta e Sessanta, è difficile classificare in modo nitido le influenze rielaborate attraverso uno stile assolutamente personale. Sia da un punto di vista 18 L. Rochard, Brassens par Brassens, Paris, Le Cherche Midi, 2005, pp.1483-1484. 19 Mirella Conenna, in un illuminante e denso saggio che analizza, tra l’altro, i titoli della

produzione poetica e romanzesca di Brassens, ha dimostrato che la trasformazione ludica delle frasi idiomatiche è un elemento creativo connaturato con la stessa scrittura dello

chansonnier, ivi compresa la produzione letteraria. (Cfr. M. Conenna, «Y’a des proverbes,

au bois de Brassens», in Georges Brassens. Lingua, poesia, interpretazioni, cit., p. 59.

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ritmico, sia da un punto di vista armonico, i suoi brani hanno una costruzione complessa, abilmente giocata su melodie memorabili che fanno da contrappunto al linguaggio ibridato da espressioni dialettali e arcaismi, denso di uno humour noir che irrora ed energizza stilemi colti e raffinati. Nel 1939, dopo essere stato coinvolto in un furto di gioielli21,

Brassens lascia definitivamente il liceo di Sète. L’anno seguente arriva a Parigi e per sbarcare il lunario trova un impiego presso l’industria Renault. Prodigo di ispirazioni e di speranze, diventa un lettore onnivoro e grazie al pianoforte della zia Antoinette, che lo ospita, Brassens inizia a comporre e a musicare poesie. Non ha tanti soldi da spendere in libri, ma frequenta assiduamente la biblioteca del XIV arrondissement e da autodidatta studia la forma, la metrica e la struttura del verso. Ricorderà quel periodo come un incontro fortuito con la grande poesia francese: «C’est à ce moment-là [...], à dix-huit ans, à mon arrivée à Paris, que j’ai rencontré les poètes par le plus grand des hasards parce que ma tante avait une bibliothèque pleine de livres et je me suis mis à lire les poètes. J’ai trouvé par chance un traité de versification là-dedans et je me suis mis à l’étudier ; et je me suis évidemment aperçu que non seulement je n’avais aucune idée mais que je ne savais pas du tout écrire, que je ne connaissais pas l’instrument dont je prétendais jouer et alors, je me suis dit que si j’avais la prétention d’écrire des chansons, il fallait au moins essayer de bien les écrire»22. Da quel

momento il suo apprendistato è lento e coscienzioso23, le annotazioni che

via via scrive sui margini dei libri documentano l’ampiezza e la passione delle sue letture. Come confiderà all’amico André Sève: «J’ai appris à faire des vers non pour les chansons mais pour une œuvre de poète»24. La sua

è una forma raffinata di canzone responsabile: responsabile nel linguaggio 21 L’episodio, ricordato nella canzone Les quatre bacheliers, CD 9 (Supplique pour être

enterré à la plage de Sète, 1966), non sarà mai chiarito del tutto, ma Brassens verrà

condan-nato a quindici giorni con la condizionale. Forse è proprio questa spiacevole circostanza a scatenare nello chansonnier l’avversione nei confronti delle forze dell’ordine e dei rappre-sentanti della legge che diventerà un motivo ricorrente nelle sue canzoni.

22 Sarà lo stesso chansonnier a raccontare in un’intervista a Louis Nucéra i suoi propositi.

Citato in J. Vassal, Georges Brassens ou la chanson d’abord, cit., p. 40.

23 Cfr. L.-J. Calvet, Georges Brassens, cit., pp. 58-60.

24 A. Sève, André Sève interroge Brassens: «Toute une vie pour la chanson», Paris, Le

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poetico-letterario, modernamente denso di citazioni, di note e di richiami; responsabile nella costruzione musicale, piacevole ma sofisticata e spesso piuttosto complessa; responsabile anche nell’interpretazione e nel culto della parola sincera, una forma così ricercata da meritare al cantautore, nel 1967, il Grand Prix de poésie de l’Académie française25. La voce

inconfondibile, originalissima di Brassens, fiorisce sul dialogo ininterrotto con gli scrittori da lui amati che risultano fondamentali per comprenderne la grammatica e la prassi creativa: essi permettono infatti di ricostruire, almeno parzialmente, una non semplice né scontata “genealogia delle fonti”. Da Villon a La Fontaine26, da Prévert a Valéry, lo chansonnier ricava

cospicui materiali linguistici di cui si dimostra interprete acuto oltre che ri-scrittore abilissimo. Il suo pensiero si muove tra antichi e moderni saccheggi che vanno dall’epopea classica al lirismo cortese per giungere fino al contemporaneo Paul Fort, cui dedicò un vero e proprio hommage27.

Queste ultime considerazioni consentono di definire il caso Brassens in una prospettiva tecnicamente circoscritta. Infatti, il rapporto che lo

chansonnier istituisce sistematicamente con le proprie fonti letterarie si

inquadra nel doppio senso di una ricodificazione che dal centro del canone – i grandi nomi della poesia francese – si muove verso la periferia con effetti di attualizzazione e di riuso allargato e popolare, particolarmente rilevanti sul piano della lingua (contaminazione e mescidazione di strati “alti” e “bassi”, poesia e argot), ma anche nel senso di un rifacimento che da un massimo di fedeltà – fino al limite della citazione o della pura e semplice “interpretazione” musicale di un testo altrui – procede attraverso 25 «S’il n’est pas certain que, dans l’histoire politique, tout finisse par des chansons, c’est par

des chansons que commence l’histoire de la poésie. Ainsi, en récompensant un de ceux que jadis on appelait ménestrels, n’avons nous pas le sentiment de céder au caprice d’une mode, mais au contraire de renouer avec une tradition qui remonte aux premiers âges de notre langue». J.-C. Lamy, Brassens le mécréant de Dieu, cit., p. 233.

26 L’opera del favolista fornisce a Brassens una lucida conoscenza della natura umana e si

rivela fondamentale per apprendere le tecniche scritturali di una canzone. Come ha so-stenuto J. Vassal, lo chansonnier ha ereditato da La Fontaine: «l’art de l’introduction, de la conduite du récit et de la concision [...] et peut-être, par dessus tout, l’art de la chute». (Georges Brassens ou la chansons d’abord, cit., p. 43).

27 La Complainte du petit cheval blanc, registrata per la prima volta nel 1952, è una

can-zone modulata sull’omonima poesia di Paul Fort fondata sulla figura dell’iterazione che conferisce al testo un andamento da filastrocca.

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molteplici strategie testuali (calco, parodia, allusione) verso forme autoriali di riscrittura.

Talora le fonti sono dichiarate, apertamente esibite, secondo una strategia di additamento che in genere assume connotazioni ironiche. È il caso di una canzone come Le vingt-deux septembre,un testo nel quale lo chansonnier irride anche le citate e romanticamente suggestive foglie morte di Prévert, elencando i sintomi del mal d’amore e i relativi dissacranti rimedi. La strofa finale:

On ne reverra plus au temps des feuilles mortes, Cette âme en peine qui me rassemble et qui porte Le deuil de chaque feuille en souvenir de vous… Que le brave Prévert et ses escargots veuillent Bien se passer de moi pour enterrer les feuilles28.

ricalca esattamente il titolo della poesia Chanson des escargots qui vont

à l’enterrement d’une feuille morte scritta da Jacques Prévert nel 1946 e

interpretata da Frères Jacques nel 1949, con l’evidente intenzione di assumere la malinconia dolciastra della stagione autunnale (les feuilles

mortes) in una luce disincantata, scostante e parodica. Oppure quando

in Misogynie à part, dà sfogo a una feroce desublimazione dell’eros araldico ed esoterico che è la cifra della poesia di Claudel mediante l’accelerazione rutilante di un registro basso, corporeo, svillaneggiante:

Ell’ m’emmerde, ell’m’emmerde, j’admets que ce Claudel Soit un homm’ de génie, un poète immortel,

J’reconnais son prestige,

Mais qu’on aille chercher dedans son œuvre pie Un aphrodisiaque, non! Ça c’est de l’utopie29.

Il rapporto con Villon si pone invece su una linea di adesione ideologica e linguistica che si spinge fino alla completa identificazione. Nel 1953

28 CD 8 (Les Copains d’abord, 1964). 29 CD 10 (La Religieuse, 1969).

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Brassens musica il testo della Ballade des dames du temps jadis , una delicata elegia sulla fragilità e caducità della bellezza paragonata alla levità delle nevi che la primavera discioglie. Negli anni successivi torna a Villon a più riprese e con appassionata fedeltà.

Nella Ballade du concours de Blois, scritta da Villon durante il soggiorno alla corte del duca Charles d’Orléans (1457-1458), il disagio esistenziale del poeta nell’inautenticità dell’ambiente cortigiano si esprime con accenti aspri e scostanti: «Je meurs de seuf auprès de la fontaine,/Chault comme un feu, et tremble dent à dent;/En mon pays suis en terre loingtaine; […] Nu comme ung ver, vestu en président; […] Puissant je suis sans force et sans pouoir, Bien recueully, debouté de chascun»;31 un’eco del sentimento di Villon sembra risuonare nella

canzone La mauvaise réputation: «Au village, sans prétention,/J’ai mauvaise réputation; /Qu’je m’démène ou qu’je reste coi,/Je passe pour un je-ne-sais-quoi»32. Brassens canta in una lingua

medievale-rinascimentale, sceglie quindi di aderire filologicamente al codice del modello, che è un codice frastagliato e démodé, sublimando così il suo gesto gagliardo di provocazione e di rivolta nei confronti di una realtà vissuta come luogo di sofferenza e di frustrazione.

L’ironia di Brassens è più tenue rispetto a quella di Villon benché rifletta lo stesso disgusto e la stessa polemica verso i commerci mondani, la corruzione dei tempi, la caduta dei valori. Da Villon lo chansonnier ha estratto, inoltre, un interessante repertorio di personaggi: figure di crepuscolarità svilita, mendicanti che si lasciano consumare nella noia, usurai e commercianti che ci forniscono un’immagine efficacemente deformata della borghesia. Ogni tempo e ogni luogo offrono l’opportunità di trasformare la propria insofferenza per regole e imposizioni in storie divertenti e dispettose, ricamando versi insolenti in un linguaggio che è perfetta sintesi di colto e popolare, volontà precisa del compositore di creare un elemento dissonante nei confronti del pensiero omologato (La mauvaise réputation33, La mauvaise herbe34). Su questo sfondo, il

30 CD1 (La Mauvaise réputation, 1952-1953).

31 F. Villon, Poésies complètes, Paris, Le Livre de poche, 1991, p. 277. 32 CD1 (La mauvaise réputation, 1952-1953).

33 Ibid.

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tema dominante per intensità e connessioni è quello della morte , non tanto nel senso veterotestamentario dell’omnia vanitas, quanto, con una buona dose di fatalismo, come figura della negazione e della nudità essenziale, che al cadere della maschera sovverte ogni ordinamento gerarchico, sottrae tragicità e solennità ai riti sociali, condanna al ridicolo ogni presunta forma di privilegio (Le Testament36, Oncle Archibald37).

Più spesso il riferimento al testo originale si articola per soppressioni o minime variazioni di porzioni linguistiche, segmenti di versi, sistemi rimanti; di regola, in Brassens, il raccordo con la tradizione poetica scorre su linee di abrasione che lasciano emergere una traccia graffiata sulla scorza del testo, rivelatrice di percorsi ritmico-semantici e di precise scelte lessicali. Si pensi alla formula: «Des roseaux mal pensants» (Le

grand chêne38) che è allusione maliziosa al «roseau pensant» delle Pensées di

Pascal, o ancora, per un altro crinale di illuminazioni e referenti lirici, al verso: «La mort, la mort toujours recommencée» (Mourir pour des idées39),

palese e illustre deformazione del maestro Paul Valéry, mai musicato ma di certo fonte di ispirazione: «la mer, la mer, toujours recommencée», nientemeno che da Le Cimitière marin. E così, ancora, À l’ombre des

maris40 ricalca clamorosamente Proust, À l’ombre des jeunes filles en

fleur. L’elenco, ovviamente, rischia di essere molto lungo e, di necessità,

incompleto. Qualche esempio: ne L’andropause41 il verso «Ô ne riez jamais

d’une verge qui tombe» trascrive con salace contrasto, strizzando l’occhio 35 In un’intervista rilasciata nel 1961 Brassens sottolinea la presenza quasi ininterrotta del

tema della morte che si spoglia dei suoi orpelli e delle sue lustreggiature mitiche e si degra-da, con una lucidità intrisa di patetico e di ironia, a mero dato biologico: «La mort traîne partout dans les œuvres […] et chez Villon en particulier, on rencontre la mort à chaque page. Il est possible que la prédilection que je semble avoir pour les sujets macabres me vienne de la fréquentation assidue des poètes comme Villon. […]. Peut-être que sans Vil-lon je n’aurais jamais parlé» (trasmissione «Visite au gorille» inserita nel coffret 3 DVD,

Georges Brassens, Elle est à toi cette chanson, Mercury, 2004).

36 CD 3 (Chanson pour l’Auvergnat, 1954-1956). 37 CD 4 (Je me suis fait tout petit, 1956-1957).

38 CD 9 (Supplique pour être enterré à la plage de Sète, 1966). 39 CD 11 (Fernande, 1964).

40 Ibid.

41 G. Brassens, Chansons posthumes, (1982-1996) in Œuvres complètes. Chansons, poèmes,

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a Apollinaire, un luogo di Hugo: «Oh! N’insultez jamais d’une femme qui tombe» (Les chants du crépuscule); in una delle chanson più sulfuree, S’faire

enculer42, lo stilema «La lune s’attristait» sembra essere modulato sopra un

verso di Mallarmé: «La lune s’attristait, des séraphins en pleurs» (La lune

s’attristait... ); in Honte à qui peut chanter la coppia «Honte à cet effronté

qui peut chanter pendant/Que Rome brûle, ell’ brûl’ tout l’temps» risulta dalla minima variazione di un segmento di Lamartine, «Honte à qui peut chanter pendant que Rome brûle» (À Nemésis); ed è ancora Mallarmé, evidente campione del lirismo più astratto e intellettualistico, a subire l’oltraggio di una ripetizione deformante: «Je suis hanté le rut, le rut, le rut, le rut», in Le bulletin de santé43, che rimanda senza mezzi termini a: «Je

suis hanté l’azur, l’azur, l’azur, l’azur» (L’Azur)44.

La lingua di Brassens affiancava al lato anarchico e ribelle, quello tenero e disarmato in grado di cantare l’amore o inventare atmosfere fiabesche. Il gioco delle assonanze lessicali per comporre le rime, la variazione ritmica, le melodie incalzanti che cavalcano parole talvolta stridenti o scandalose per la morale e il pudore borghesi (si pensi alle cinquanta ripetizioni della parola merde in Misoginye à part45, o l’ossessivo pornographe du fonographe del Pornographe46 appunto); e ancora l’uso del linguaggio ricco di influenze colte e il dissacrante spirito da menestrello testimoniano la grande capacità di mescolare registri linguistici e di giocare con le parole. La lingua ibrida che va dal letterario fino agli ammiccamenti del parlato o a terminologie importate direttamente dall’argot, come anche l’amore per le reliquie proverbiali, innerva lo strano impasto linguistico delle sue canzoni.

Lo chansonnier utilizza un lessico eterogeneo: i suoi testi, per riprendere una celebre immagine del poeta Tristan Corbière, rappresentano un guazzabuglio adultero di materiali ripresi ora dagli scritti più eruditi ora 42 Ivi, p. 349.

43 CD 9 (Supplique pour être enterré à la plage de Sète, 1966).

44 Per una migliore disambiguazione delle evocazioni letterarie presenti nell’opera

brassen-siana, si rimanda a M. Bracops, «“Tous les beaux parleurs de jargon”». Presenze letterarie nell’opera di Brassens», in Georges Brassens. Una cattiva reputazione, a cura di Gianfranco Brevetto, Roma, Aracne, 2007.

45 Cd 10 (La Religieuse, 1969). 46 Ibid.

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dal digue digue dondaine delle filastrocche. Come ha affermato Henri Meschonnic, esiste un’affinità «qui lie la poésie populaire et la poésie savante.[…]. La continuité qui seule une tradition culturelle a occultée et qui apparâit à certains moments plus qu’à d’autres»47.

Nell’area espressivamente non troppo marcata degli arcaismi48,

si segnalano molti sostantivi e aggettivi: «pendard», «blanc-bec», «foutriquet», «maraud», «fieffé»49. Tutta una serie di termini

destinati a sollecitare atmosfere lontane e narrazioni fiabesche: «roi», «lit mesquin», «couche à baldaquin», «promise», «princesse», «armoiries», «chaumine»50. Questo aspetto ricorre di frequente

nelle ambientazioni e nelle atmosfere delle canzoni attraverso l’impiego non solo di sostantivi e aggettivi archaïsants, ma anche di avverbi temporali che rimandano a luoghi remoti: «jadis», «d’antan», «naguère»51. A questi indicatori temporali dal sapore

villoniano si aggiungono altre forme avverbiali prevalentemente letterarie e arcaiche: «derechef», «incontinent», «tantôt», «lors», «certes», «net», «nenni»52. L’anticipazione del pronome riflessivo

47 H. Meschonnic, Critique du rythme. Anthropologie historique du langage, Lagrasse,

Éditions Verdier, 1982, p. 711.

48 Linda Hantrais nella sua analisi quantitativa di termini letterari e arcaici presenti nel

corpus brassensiano, ha evidenziato una «absence relative» di arcaismi e di forestierismi (Le vocabulaire de Georges Brassens, cit. p. 210). Molti titoli delle canzoni di Brassens

rimanda-no a un tempo passato, rimanda-non solo attraverso avverbi e aggettivi che ci riportarimanda-no indietro nel tempo (Le vieux Léon, La femme d’Hector, Funérailles d’antan, Le temps passé, Les amours

d’antan), ma anche attraverso la rievocazione di forme poetiche tradizionali (La ballade des cimetières, La complainte des filles de joie, Stances à un cambrioleur).

49 I lemmi elencati sono utilizzati da Brassens, nell’ordine, nelle seguenti canzoni: Le

moyenâgeux, Le temps ne fait rien à l’affaire, La femme d’Hector, La traîtresse e Le vent, Les trompettes de la renommée e Tonton Nestor.

50 Le petit joueur de fluteau, Cd 8 (Le copains d’abord, 1964).

51 I segmenti lessicali evidenziati sono presenti nelle canzoni: Les funerailles d’antan, Le

vieux Léon, Le temps ne fait rien à l’affaire, Sauf le respect que je vous dois.

52 Si tratta di un sintentico inventario lessicale per il quale si rimanda ai seguenti brani:

Tonton Nestor, Le bulletin de santé, Le Père Noël et la petite fille, Oncle Archibald, Le temps passé, Le moyenâgeux.

Tra i procedimenti sintattici archaïsants, si deve rimarcare l’impiego del passé simple, tempo og-getto di controversie tra i linguisti. Come osserva Wilmet: «Grignoté sur sa droite par le présent composé et sur sa gauche par l’«imparfait» [...], le «passé simple» devient l’enjeu de discussions

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(«elle s’alla baigner» ), l’assenza del pronome personale soggetto («un bout de cotillon lui fis»54) e l’uso del congiuntivo imperfetto

di concordanza («en priant Dieu qu’il fît du vent»55) contribuiscono

tassativamente al registro elevato e archaïsant che rappresenta, dal punto di vista assiologico, l’elemento rilevante e di più marcata letterarietà del sistema linguistico delle chansons. All’altro capo, però, sul piano dei processi legati all’oralità, con riferimento ai registri della lingua parlata e dei gerghi, si articola l’espressione di valori linguistici “bassi” cui è conferita una varia ispirazione ideologica che attiene alla dimensione creaturale, parodistica, di sovversione degli ordinamenti gerarchici e di espressione del rimosso. L’opera di Brassens attinge largamente al repertorio popolare, detentore di una originale varietà di termini familiari, talvolta grossiers, e di costruzioni tipiche del sermo vulgaris che ben convengono alla poesia cantata56.

La costruzione familiare è sempre accostata, per contatto, a riferimenti colti, citazioni latine, referenze mitologiche, letterarie e bibliche. Una contiguità sull’asse sintagmatico che crea una sorta di equilibrio, per contrasti, contrappunti, fratture rimanti, tra niveau bas e niveau élevé57.

plus politico-sentimentales que linguistiques entre conservateurs et progressistes» (M. Wilmet,

Grammaire critique du français, Bruxelles, Duculot, «Hachette Supérieur», 1997, pp. 375-376).

53 Dans l’eau de la claire fontaine, CD 7 (Les trompettes de la renommée, 1961-1962). 54 Ibid.

55 Ibid.

56 La più ricorrente è l’elisione della “e” atona: «Qu’ je m’ démène ou qu’ je reste coi» (La

mauvaise réputation), «Avant de chanter/Ma vi’, de fair’ des/Harangues» (Le vin), «Quelle

est cell’ qui, prenant modèl’» (La femme d’Hector). Questo procedimento segnala il carattere familiare della dizione, mimeticamente adattata ad un testo destinato all’esposizione orale e all’ascolto. Frequente è, inoltre, la forma ellittica del pronome “tu” («Si t’as le bec fin», Le

bistrot), il pronome “il” (egli) ridotto a “i” («I’ f’ra bon voler dans les frais bocages», La chasse aux papillons) o a “l” («L’avait donné de son vivant/Tant de bonheur à ses enfants», Grand-père). La soppressione del “ne” nella negazione a due termini è molto frequente: «J’ peux

pas trouver ça tout naturel», Le fossoyeur, «c’est pas dans les plis de mon cotillon», La chasse

aux papillons, «C’est pas tous les jours qu’elles rigolent», La complainte des filles de joie.

57 Le isotopie semantiche delle canzoni vengono sviluppate accostando registri differenti,

che assolvono talvolta a funzioni di didascalia: se i riferimenti mitologici non rientrano nel bagaglio culturale dell’ascoltatore, quest’ultimo potrà comunque dedurne il senso gra-zie all’espressione familiare.

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In questo meccanismo rientrano anche le frasi proverbiali e i modi di dire che rinviano alla tradizione popolare, spesso inseriti in testi dal sistema metrico impeccabile e accostati a termini desueti, allusioni letterarie e riferimenti mitologici, con effetti inaspettati, spesso di grande comicità: «Il déguisement di proverbi in un testo letterario si ripresenta nelle varie epoche con tecniche molto simili tanto da avanzare l’ipotesi che camuffare proverbi sia un poncif burlesco, e da isolare una “metodologia” grazie alla messa in evidenza di risultati comparabili»58. Brassens ricorre alle risorse della lingua familiare, con

variazioni e mescidazioni argotiques, che meglio connotano i vari tipi descritti. L’ubriacone è visto come un soûlaud59 ma anche come un

pochard60, un sac à vin61; la canzone Grand-père è particolarmente ricca

di espressioni familiari:

Grand-pèr’ suivait en chantant La route qui mène à cent ans. La mort lui fit, au coin d’un bois, L’ coup du pèr’ François.

L’avait donné de son vivant Tant de bonheur à ses enfants Qu’on fit, pour lui en savoir gré, Tout pour l’enterrer.

Et l’on courut à toutes jam - Bes quérir une bière, mais... Comme on était légers d’argent, Le marchand nous reçut à bras fermés. «Chez l’épicier, pas d’argent, pas d’épices,

Chez la belle Suzon, pas d’argent, pas de cuisse... 62

[…]

58 Cfr. M. Conenna, «Y’a des proverbes, au bois de Brassens», in Georges Brassens. Lingua,

poesia, interpretazioni, cit. p. 60.

59 La fille à cent sous, CD 6 (Le mécreant, 1960-1961). 60 Le grand Pan, CD 8 (Les copains d’abord, 1964). 61 Ibid.

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È la storia – in un contesto familiare e popolare che si scontra con la società e le istituzioni – del funerale di un vecchio patriarca, buono e generoso con figli e nipoti, che muore centenario, improvvisamente. I parenti vogliono onorare la sua sepoltura con una bella cerimonia, ma a causa delle ristrettezze economiche ottengono una serie di rifiuti, dal venditore di bare al vicario, che ricordano come senza soldi non si possa ottenere nulla.

La chiave del testo risiede nella metafora popolaresca dell’agguato, nella manovra malandrina e beffarda innescata dall’espressione «faire à quelqu’un le coup du Père François»63 che significa letteralmente

«prenderlo alla sprovvista» («strozzarlo da dietro»). D’altronde, la grande traditrice, e la suprema beffa, è la morte che colpisce alle spalle, inavvertitamente. Ma la morte in Brassens ha sempre sembianze umane e poco di fatale. Nella canzone ci sembra quasi di vederla, «au coin d’un bois», mentre attende Grand-père che va per la sua strada. Il tessuto di locuzioni familiari insiste sul socioletto dei malfattori, designa l’aggressione che consiste nel bloccare la vittima sorprendendola alle spalle. Seguono immagini che rappresentano la corsa affrettata per la «quête d’une bière». Il movimento ascensionale reso dal passé simple e dal ritmo saltellante della musica introduce la risposta negativa del marchand alle richieste della famiglia64.

63 Dictionnaire d’expressions et locutions, sous la direction d’A. Rey et S. Chantreau, Le

Robert, 2007. Secondo Rey e Chantreau, l’espressione potrebbe essere modulata sul re-gionalismo “faire Saint-François”, «jeu d’enfant consistant à se mettre sur le dos pour marquer l’empreinte du corps».

64 Il testo contiene un inventario delle idiosincrasie e prassi espressive di Brassens. Lo

chanson-nier attinge sistematicamente, rinnovandolo, al patrimonio linguistico popolare. L’espressione

à «bras ouverts» è variata con il suo antonimo, «fermés», che sancisce l’esito negativo della richiesta e introduce un ritornello ritmato dalla ripetizione della negazione “pas”. I termini “épice” e “cuisse” conferiscono al lessico tutto il suo senso concreto, semanticamente denso. Attraverso il défigement, l’attesa che un’espressione familiare crea nell’ascoltatore è come ribal-tata dalla comparsa di un termine fuori registro. La novità apporribal-tata innesca il meccanismo della polisemia. L’intervento creativo dell’autore chiama, secondo Chandillou, il fruitore a una «réévaluation des données qui, ni immédiate ni assurée, reste entièrement gagée sur la présomption de cohérence et le soupçon d’ambiguïté» J.-F. Chandillou, «Un prêt à chanter: la locution défigée», in AA. VV., Gide aux miroirs. Le roman du XXsiècle, mélanges offerts à

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Brassens è stato anche poeta d’amore, nei versi di canzoni irte e giocose («J’étais chien méchant, elle m’a fait manger /Dans sa menotte /J’avais de dents de loup, je les ai changées /Pour de quenottes», Je me

suis fait tout petit65), con uno sguardo malinconico sempre rivestito

di humour e tenerezza. La chanson intellectuelle, attraverso la sua mediazione e il suo esempio, vivrà sul contrappunto di registri “alti” e “bassi”, impastando voci letterarie e colte con entrate lessicali di

argot, espressioni familiari, locuzioni parlate. Questa forma nuova,

dunque, nata per esprimere le inquietudini di un’età difficile – gli anni Cinquanta e Sessanta, colmi di rigenerate speranze e di incertezze, paure, rivolte consumate o soltanto immaginate – troverà il suo naturale equilibrio nella costante osmosi di tradizione e innovazione, ricerca poetica e sregolatezza espressiva, sul filo di una disperata vitalità cui Brassens ha prestato iconicamente la sua voce e il suo carisma.

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Introduzione

Francia e Italia (1956-1967). Lingua, letteratura, cultura

Lorella Martinelli

Le cinéma. L’Italie. L’Alfa Romeo. Le Mépris. Jean-Luc Godard et l’Italie (1956-1967)

Claudio Vinti

Chiaromonte tra Malraux e Moravia

Ugo Perolino

Arcaismi, argot e oralità nella chanson intellectuelle di Georges Brassens

Lorella Martinelli

Jean-Louis Bory critique du cinéma italien dans la revue «Arts» des premières années 1960

Erik Pesenti Rossi

La réception de l’œuvre cinématographique de Federico Fellini en France dans les années 1950-1960

Caroline Masoch

Trasformare le Erinni in Eumenidi: Fortini, il Surrealismo e la cultura francese Francesco Diaco 5 13 27 39 57 81 91

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Giorgio Caproni, le traduzioni, la cultura francese

Fabrizio Miliucci

La televisione in Francia e in Italia: politica, cultura e società 1958-1967

Raffaello A. Doro

Les échanges artistiques entre la France et l’Italie: 1956 un tournant?

Caroline Pane

Arbasino a Parigi: un’avventura intellettuale

Nunzia D’Antuono

Postfazione

Alessandro Giacone e Marco Maffioletti

Nota biografica dei curatori Nota biografica degli autori

131 145 173 191 205 207 209

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Finito di stampare nel mese di settembre 2016 da Bibliografica

Castel Frentano (Ch) per conto della

Casa Editrice Rocco Carabba srl Lanciano Variante Frentana C.da Gaeta, 37

Tel. e Fax 0872.717250 www.editricecarabba.it [email protected]

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