• Non ci sono risultati.

Il Bilancio Sociale delle Organizzazioni No-Profit. La Fondazione Vodafone Italia.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il Bilancio Sociale delle Organizzazioni No-Profit. La Fondazione Vodafone Italia."

Copied!
172
0
0

Testo completo

(1)

INDICE

INTRODUZIONE………...pag.5

CAPITOLO I: IL SETTORE NO-PROFIT.

1.1. Terzo settore e No-Profit: definizione e aspetti economico-aziendali...……..pag.9

1.2. Gli elementi caratterizzanti delle aziende no-profit………...pag.11

1.2.1. Le associazioni riconosciute e non riconosciute………..pag.12

1.2.2. Le fondazioni………...pag.14

1.2.3. Le organizzazioni di volontariato………pag.17

1.2.4. Le organizzazioni governative e non governative………...pag.17

1.2.5. Il concetto di azienda no-profit………pag.19

1.3. L’identità aziendale………pag.21

1.3.1. La storia e l’assetto istituzionale: da dove veniamo e come siamo

strutturati?...pag.22

1.3.2. La missione: perché esistiamo?...pag.23

1.3.3. I valori di riferimento: in cosa crediamo?...pag.24

1.3.4. La visione: cosa vorremmo ottenere?...pag.25

1.4. Il concetto di economicità nelle organizzazioni no-profit……….pag.27

1.4.1. Dalla gestione finanziaria alla gestione solidale………..pag.29

1.4.2. Il divieto di distribuzione degli utili………....pag.31

1.4.3. L’autonomia economico-finanziaria e le condizioni di equilibrio nelle

ONP...pag.34

(2)

CAPITOLO II: IL BILANCIO SOCIALE.

2.1. La responsabilità sociale………pag.43

2.1.1. Responsabilità sociale: significato, oggetto

e visioni di riferimento……….pag.44

2.1.2. I presupposti della responsabilità sociale……….pag.46

2.1.3. L’evoluzione della responsabilità sociale………pag.48

2.2. La rendicontazione e comunicazione sociale……….pag.53

2.2.1. La comunicazione dell’impresa socialmente responsabile………..pag.54

2.2.2. La teoria del valore come presupposto logico

della “triple bottom line”……….pag.56

2.2.3. Lo stakeholder reporting………..pag.58

2.2.4. Il concetto di valenza della rendicontazione sociale………pag.60

2.2.5. Identificazione e classificazione delle valenze………pag.61

2.3. Il Bilancio sociale………..pag.63

2.3.1. Il Bilancio sociale: obiettivi, motivazioni………pag.64

2.3.2. La nascita del Bilancio sociale e gli sviluppi futuri……….pag.66

2.3.3. Classificazione del Bilancio sociale………....pag.69

2.3.4. Modelli e standard di riferimento………....pag.70

2.3.4.1. Il modello London Banchmarking Group………..pag.71

2.3.4.2. Il modello IBS: gestione responsabile per lo sviluppo

sostenibile...pag.73

2.3.4.3. Il modello Comunità&Impresa………..pag.74

2.3.4.4. Il modello Social AccountAbility 8000 (SA8000)………pag.75

2.3.4.5. Il modello AccountAbility 1000………pag.76

(3)

CAPITOLO III: IL BILANCIO SOCIALE NEL SETTORE NO-PROFIT. 3.1. La rendicontazione sociale per il settore no-profit: struttura e contenuto.

Dal Bilancio sociale al Bilancio di missione……….pag.79

3.2. Identità delle aziende no-profit………...pag.82

3.3. Riclassificazione dei dati contabili………...pag.86

3.3.1. Le aziende no-profit di “erogazione”………...pag.88

3.3.1.1. Analisi e struttura delle entrate………...pag.89

3.3.1.2. Analisi e struttura della spesa………...pag.90

3.3.1.3. Prospetto informativo sul patrimonio………...pag.96

3.3.2. Le aziende no-profit di “produzione”………...pag.98

3.3.2.1. Analisi dei proventi………...pag.98

3.3.2.2. Analisi degli oneri………...pag.98

3.3.2.3. Analisi del contributo dei volontari………...pag.99

3.3.2.4. Prospetto informativo sulla situazione patrimoniale e

sul patrimonio………...pag.99

3.4. Relazione sociale………..pag.101

3.4.1. La matrice stakeholder/attività………...pag.103

3.4.2. Il controllo di gestione nelle ONP: Gli indicatori monetari e non

monetari………....pag.112

3.4.3. Proposte di miglioramento del bilancio sociale………...pag.116

CASO PRATICO: LA FONDAZIONE VODAFONE ITALIA.

(4)

4.3. Riclassificazione dei dati contabili: Il Nostro Bilancio………....pag.133 4.4. La relazione sociale………..pag.140 CONCLUSIONI………...pag.145 BIBLIOGRAFIA………...pag.147 SITOGRAFIA………pag.149 4

(5)

INTRODUZIONE

Il settore no-profit sta trovando, negli ultimi anni, uno sviluppo sempre maggiore, incontrando un vasto appoggio da parte dell’opinione pubblica in funzione dei benefici che apporta alla società in termini di welfare, e non solo. Le organizzazioni che fanno parte del no-profit hanno in comune l’impegno ad unire fabbisogni sociali e fabbisogni economici, contribuendo di frequente a colmare anche fabbisogni provenienti dall’ambiente in cui sono inserite.

Sono ormai migliaia le organizzazioni che operano nell’ambito del no-profit svolgendo attività economiche, senza finalità di lucro, che spaziano, tra le altre, dalle cure agli anziani, all’assistenza per individui svantaggiati, ad attività sportive. Per tali organizzazioni, un fattore di assoluto rilievo è rappresentato dal lavoro prestato gratuitamente da privati cittadini, tanto che, sovente, il settore no-profit viene, impropriamente, identificato con il termine “volontariato”. Peraltro, non è inusuale leggere o sentire sui media altri appellativi, quali “terzo settore” o “società civile”, che si riferiscono all’eterogeneo insieme delle

organizzazioni no-profit.

Gli stessi studi di economia aziendale presentano definizioni differenti del termine no-profit, tanto che la stessa grafia del termine non è sempre la medesima. Tale confusione con riferimento al settore no-profit è legata al fatto che tradizionalmente gli studi di economia aziendale si sono concentrati sull’analisi dell’amministrazione delle aziende di produzione, tralasciando, o comunque trattando solo marginalmente, le implicazioni derivanti dall’amministrazione di un’organizzazione priva di finalità lucrative.

Negli ultimi decenni tale situazione è profondamente mutata, a seguito della sempre maggior rilevanza che le organizzazioni no-profit ricoprono in ambito economico e sociale. In particolare, la riforma del sistema di welfare ha comportato, e sta tuttora comportando, una sempre maggiore devoluzione di funzioni da parte dello Stato italiano nei confronti di enti privati. In tale contesto, le organizzazioni no-profit, in funzione delle loro finalità non lucrative, svolgono un ruolo fondamentale nel farsi carico di attività aventi finalità sociali e precedentemente svolte da pubbliche amministrazioni. Il processo di devoluzione di funzioni da parte dello Stato nei confronti di enti privati si fonda sul principio di sussidiarietà, recentemente riconosciuto quale principio costituzionale.

(6)

Il ruolo sempre più significativo che le organizzazioni no-profit svolgono, sia a livello economico, sia dal punto di vista sociale, comporta una maggiore attenzione alle modalità con cui tali organizzazioni sono amministrate da parte di tutti i soggetti che intrattengono relazioni con le stesse (i cosiddetti “stakeholder”). In realtà, l'intera comunità dei cittadini ha interesse a conoscere le modalità di gestione delle organizzazioni no-profit e i relativi risultati, in considerazione delle agevolazioni fiscali di cui tali organizzazioni fruiscono. Tali agevolazioni fiscali comportano, infatti, minori entrate fiscali per l’erario e si configurano quindi come un “investimento” effettuato dallo Stato in favore della collettività.

E’ in questo contesto che si inserisce l’importanza dell’individuazione di metodologie moderne in grado, da un lato, di misurare i risultati della gestione delle organizzazioni no-profit, dall’altro, di far fronte alla crescente richiesta di trasparenza e capacità di rendicontazione. Considerando che i metodi tradizionali si basano essenzialmente sul reddito d’esercizio, e su elaborazioni dello stesso, quale misura della nuova ricchezza prodotta dalla gestione nel corso di un determinato lasso temporale, nelle organizzazioni no-profit il reddito d’esercizio non rappresenta una grandezza significativa dell’utilità prodotta dalla gestione, in quanto i beni e servizi prodotti sono solitamente ceduti senza il riconoscimento di un prezzo o, comunque, il prezzo di cessione non è correlato all’utilità propria dei beni ceduti.

Il presente lavoro di tesi è nato quindi dall’intento di analizzare la Responsabilità Sociale delle imprese, intesa come manifestazione della volontà delle grandi, piccole e medie imprese di gestire efficacemente le problematiche d'impatto sociale ed etico al loro interno e nelle zone di attività, concentrando l’attenzione sulle organizzazioni che indirizzano i loro utili interamente agli scopi organizzativi (ONP). Lo strumento che permette di soddisfare le esigenze informative di tutti gli stakeholder in termini di scelte, delle attività, dei risultati e dell’impiego delle risorse in un dato periodo, dando la possibilità ai portatori d’interesse di crearsi un proprio giudizio sulle modalità in attuazione della missione, è il Bilancio sociale.

Ci si è infatti resi conto che nessuno può operare focalizzandosi solo ed esclusivamente sul proprio business. Ogni organizzazione assume precise responsabilità nei confronti di tutta le persone coinvolte, anche soltanto indirettamente, dalla propria azione.

Nell’affrontare il tema di come un’organizzazione no-profit dirige la sua gestione alla responsabilità sociale, ho ritenuto indispensabile isolare, nel primo capitolo, l’analisi del Terzo settore, come complesso di istituzioni che si collocano tra lo Stato e mercato, passando in rassegna gli aspetti caratterizzanti le diverse tipologie di aggregazione di tali istituzioni, e

(7)

nello specifico poi gli aspetti economico-aziendali e quelli relativi alle modalità di reperimento dei fondi necessari per i fini gestionali di tali organizzazioni.

L’attenzione si è spostata poi sul tema portante della presente trattazione, e cioè il Bilancio sociale; tale strumento è stato esaminato nel suo complesso come mezzo integrativo di conoscenza e di valutazione dell’attività aziendale, come espressione dell’impegno profuso in termini di responsabilità sociale.

Il terzo capitolo tratta nel dettaglio la modalità di redazione del Bilancio sociale nelle organizzazioni no-profit, in termini di struttura e contenuto di tale documento, con particolare riguardo alla riclassificazione dei dati contabili, percependo le sottili differenze nelle aziende di erogazione e in quelle di produzione; ho ritenuto di particolare importanza approfondire l’analisi degli indicatori monetari e non monetari, che favoriscono una maggiore comprensibilità delle strategie perseguite e delle politiche adottate.

Un capitolo a se stante, definito Caso Pratico, è stato dedicato a “Fondazione Vodafone Italia”, che a mio parere, mediante la propria rendicontazione sociale, riesce con successo a chiarire la mission e quindi gli obiettivi che un’organizzazione no-profit si pone di raggiungere.

(8)

CAPITOLO I

Il Terzo settore

“Un gruppo di persone che condivide un obiettivo comune può raggiungere l’impossibile1

1.1. Terzo settore e No-Profit: definizione e aspetti economico-aziendali. 1

1

cit. Anonimo

(9)

Il terzo settore è quel complesso di istituzioni che all'interno del sistema economico si collocan tra lo Stato e il mercato, ma non sono riconducibili né all’uno né all’altro; sono cioè soggetti organizzativi di natura privata ma volti alla produzione di beni e servizi a destinazione pubblica o collettiva (cooperative sociali, associazioni di promozione sociale, associazioni di volontariato, organizzazioni non governative, ONLUS, ecc.).

Il terzo settore (TS) si differenzia dal Primo, lo Stato, che eroga beni e servizi pubblici, e dal Secondo, il mercato o settore for profit, che produce beni privati, e va a colmare quell'area tra Stato e Mercato nella quale si offrono servizi, si scambiano beni relazionali, si forniscono risposte a bisogni personali o a categorie deboli secondo approcci che non sono originariamente connotati dagli strumenti tipici del mercato.

Il fenomeno studiato non si presta ad essere ricondotto a semplici e definitivi schemi definitori trattandosi di una realtà sociale, economica e culturale in continua evoluzione. La prima definizione si ritrova in Europa a partire dalla metà degli anni settanta; fu usata per la prima volta nel rapporto “Un progetto per l'Europa” in ambito comunitario nel 1978 assegnando al Terzo settore una posizione che lo separa concettualmente dallo Stato e dal Mercato, favorendo l'equiparazione dei tre settori a livello di società complessiva. È anche un fenomeno economico (non un insieme di forme organizzative extra-economiche, come inizialmente sostenuto). Le organizzazioni del Terzo Settore forniscono al benessere della società un contributo non inferiore, anche se di natura diversa, da quello di Stato e Mercato. In Italia il termine si è diffuso verso la fine degli anni ottanta e, anche se non tipico del nostro contesto culturale, ha convogliato su di sé l'interesse degli studiosi che si occupano delle organizzazioni non profit (ONP). Proprio il tema del non profit fu oggetto dei primi studi da parte degli economisti, volti a individuare classificazioni di questo fenomeno, a conferirgli una piena dignità nell'analisi economica, a studiarne il ruolo all'interno del sistema di Welfare2.

La legislazione italiana ha finora disciplinato alcuni aspetti del Terzo Settore ma non li ha definiti unitariamente dal punto di vista giuridico. Esistono differenti definizioni attribuite al no-profit riconducibili ai diversi ambiti disciplinari, tuttavia studi recenti hanno evidenziato 2

2

Lo Stato sociale è una caratteristica dello Stato che si fonda sul principio di uguaglianza sostanziale, da cui deriva la finalità di ridurre le disuguaglianze sociali. In senso ampio, per Stato sociale si indica anche il sistema normativo con il quale lo Stato traduce in atti concreti tale finalità; in questa accezione si parla di welfare state (stato del benessere tradotto letteralmente dall'inglese, detto

(10)

delle caratteristiche comuni che definiscono i criteri ai quali dovrebbe sottostare l’organizzazione operante nel terzo settore:

• l'assenza di distribuzione dei profitti;

• l'avere natura giuridica privata (anche se alcune organizzazioni, come le IPAB, hanno ancora un forte controllo pubblico);

• il disporre di un atto di costituzione formale oggetto di un contratto formalizzato o di un accordo esplicito fra gli aderenti;

• l'essere basata sull’autogoverno;

• il disporre di una certa quota di lavoro volontario;

• l'essere un'organizzazione con una base democratica (elezione delle cariche e partecipazione effettiva degli aderenti).

La crescita del settore ha contribuito a sviluppare la coscienza aziendale delle aziende che vi operano, facendo sentire più la necessità di utilizzare ed accrescere l’attenzione verso

l’utilizzo degli strumenti tipici delle aziende classiche.

Nelle strutture di maggiori dimensioni si è quindi iniziato ad utilizzare strumenti aziendali di programmazione e di controllo per garantire una maggiore economicità, efficienza e ed efficacia delle aziende stesse. Quindi, pur non avendo scopo di lucro, devono comunque assicurare che la gestione sia economicamente equilibrata e corretta per garantire la sopravvivenza dell’azienda ed un buon livello di competitività sul mercato. A ciò va aggiunta la costante necessità di assicurare la massima trasparenza nella gestione in quanto anche queste imprese si trovano ad interloquire con una pluralità di soggetti con esigenze, aspettative ed interessi differenti. A tale scopo è importante comprendere l’importanza dell’utilizzo degli strumenti di gestione e di controllo. La struttura gestionale delle aziende no-profit presenta molte analogie con quelle delle aziende di servizi, e proprio ciò ha permesso la traslazione degli strumenti di controllo da queste già utilizzate.

(11)

1.2. Gli elementi caratterizzanti delle aziende no-profit.

In tali contesti aziendali, l’obiettivo principale dell’attività aziendale non è di mero carattere economico, bensì di tipo sociale, nel quale la prevalenza dei ricavi sui costi e la massimizzazione del reddito costituiscono un aspetto secondario nel raggiungimento della mission aziendale. La finalità prevalente delle organizzazioni no-profit è il soddisfacimento diretto di bisogni socialmente rilevanti (assistenziali, ricreativi, culturali, di natura ideale etc.).

I principali fattori di tipicità individuabili nell’elemento patrimoniale e nella finalità perseguita, diversamente accumunati tra loro, possono dare origine a forme associative diverse, ognuna caratterizzata da specifici aspetti economici, patrimoniali e giuridici. Comunque siano associati i diversi elementi caratterizzanti, l’organismo no-profit che ne deriva presenta le stesse tipicità di un’azienda, intesa come sistema di relazioni, diretta al perseguimento della propria mission, proprio come le aziende con finalità lucrative.

Anche per gli enti no-profit si pone il problema dell’organizzazione interna tra le varie tipologie di risorse messe a disposizione utilizzate nell’ambito del processo produttivo del bene o servizio, della creazione di un adeguato flusso di informazioni, sia per esigenze interne sia rivolto ai soggetti interessati posti esternamente all’azienda.

Tutti questi aspetti si riflettono sulla creazione dell’attività gestionale, che consenta con l’ausilio delle proprie risorse, il perseguimento della finalità istituzionale, individuata nella soddisfazione dei bisogni dell’utente, e di controllo di gestione al fine di verificare i risultati raggiunti in termini di efficacia ed efficienza, finanziaria, patrimoniale ed economica, e non ultima sociale.

La finalità di interesse sociale perseguita dalle organizzazioni senza scopo di lucro assume importanza prevalente che influenza in modo determinante la combinazione di tutti gli elementi costitutivi e vincola i comportamenti aziendali e relazionali dell’azienda stessa. Infatti questi enti pongono in secondo piano l’aspetto economico rispetto all’aspetto sociale dell’attività svolta, ma tengono comunque ben presente che devono agire in condizioni di economicità, affinché siano in grado di garantire durevolezza e continuità all’azienda e al

(12)

servizio prestato3. Solo trasmettendo all’esterno l’immagine di solidità, l’azienda si garantisce la sopravvivenza attraverso le varie fonti di finanziamento ricevute dai soggetti esterni.

E’ proprio per la combinazione di tutti questi elementi che il legislatore ha elaborato diverse forme giuridiche ognuna delle quali combina l’aspetto patrimoniale, sociale della responsabilità verso i terzi in modo diverso, in relazione alla particolare finalità che si intende perseguire4.

1.2.1. Le associazioni riconosciute e non riconosciute.

3 3

Il punto 1 dell’art 2324-bis del cod. civ. recita “la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività, nonché tenendo conto della funzione economica dell’elemento dell’attivo o del passivo considerato”. Questo vuol dire che le valutazioni delle poste di bilancio devono essere eseguite in ipotesi di normale funzionamento, azienda come entità atta a durare nel tempo escludendo quindi ipotesi di liquidazione o di cessione; si deve tener presenti le presumibili evoluzioni della

gestione e i programmi operativi ai quali parteciperanno i beni che sono oggetto di valutazione.

4 4

Nel presente lavoro saranno esaminate le aziende no-profit secondo una classificazione basata sulla forma giuridica.

(13)

Nell'ordinamento giuridicoitaliano5, l'associazione è una delle forme aggregative riconosciute dalla legge, che ne tutela la libertà costitutiva e le forme di attività. L'associazione ha base personale ed è costituita da almeno due persone che perseguano uno scopo comune legittimo, non essendo il patrimonio un elemento essenziale.

La principale caratteristica di queste organizzazioni è il non essere dotate di personalità giuridica, con la conseguente responsabilità verso i terzi di coloro che operano per conto dell’associazione.

Per creare un’associazione non riconosciuta è sufficiente un semplice accordo tra gli associati che danno vita al contratto di associazione, denominato atto costitutivo, che potrebbe consistere anche in un semplice accordo verbale.

Tuttavia, per ragioni di funzionamento, l’associazione “deve” costituirsi per mezzo di un contratto scritto che contenga l’atto costitutivo, in cui vengono fissati gli elementi principali, quali lo scopo, le condizioni per, l’ammissione degli associati, le regole sull’ordinamento interno e sull’amministrazione, lo statuto.

La Costituzione italiana, all'articolo 18, riconosce ad ogni singolo individuo il diritto di associarsi in organismi collettivi dalle svariate finalità. "...i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente senza autorizzazione per fini che non sono vietati dalla legge".

5 5

Art. 36 c.c. “L'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati. Le dette associazioni possono stare in giudizio nella persona di coloro ai quali, secondo questi accordi, è conferita la presidenza o la direzione”.

Art. 37 c.c. “I contributi degli associati e i beni acquisiti con questi contributi costituiscono il fondo comune dell'associazione. Finché questa dura, i singoli associati non possono chiedere la divisione del fondo comune, né pretendere la quota in caso di recesso.”

Art. 38 c.c. “Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l'associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidamente le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione.

(14)

L'ordinamento italiano identifica nel codice civile due principali categorie nei quali ricondurre le associazioni:

1. associazioni riconosciute come persone giuridiche 2. associazioni non riconosciute come persone giuridiche.

L’elemento che caratterizza le associazioni riconosciute, distinguendole da quelle non riconosciute, è appunto i riconoscimento da parte dello Stato; si tratta di un atto discrezionale della pubblica amministrazione concesso mediante decreto dell’autorità governativa competente. Condizione necessaria per ottenere tale atto è che l’azienda venga costituita tramite un atto pubblico e che dimostri di possedere patrimonio sufficiente in relazione all’oggetto sociale ed idoneo ad offrire adeguata tutela ai terzi contraenti con l’associazione stessa6.

Tale riconoscimento comporta l’acquisizione della personalità giuridica e di conseguenza il beneficio della limitazione della responsabilità al patrimonio dell’associazione con completa autonomia dell’associazione rispetto a quello degli associati e degli amministratori (autonomia patrimoniale perfetta7). Da ciò si comprende che l’elemento essenziale per ottenere il riconoscimento è l’esistenza di mezzi patrimoniali sufficienti a garanzia dei creditori dell’associazione stessa. Anche se il patrimonio costituisce l’elemento iniziale che garantisce i terzi della solvibilità dell’organizzazione con cui hanno operato, deve essere 6

6

L’art. 14 c.c. prevede l’atto pubblico come fora necessaria per l’atto costitutivo di un’associazione che richiede il riconoscimento.

7 7

Il patrimonio dei componenti è separato da quello dell'ente e che delle obbligazioni risponde sempre e soltanto il patrimonio dell'ente e non quello degli associati. Inoltre i creditori dei soci non possono aggredire il patrimonio dell'ente. L'autonomia patrimoniale perfetta esiste per le persone giuridiche, associazioni riconosciute e società di capitali.

(15)

comunque integrato con ulteriori risorse finanziarie, reperite non solo all’inizio, ma soprattutto durante il corso di vita nell’azienda.

I mezzi finanziari necessari per garantire la sopravvivenza dell’ente e per lo svolgimento dell’attività sono reperiti principalmente attraverso i contributi degli associati, anche attraverso attività commerciali mirate alla raccolta di fondi. Assume particolare importanza la tutela degli interessi dei terzi, attuata attraverso la creazione di un sistema organizzativo strutturato, che preveda al suo interno flussi di informazioni a tutti i livelli e verso l’esterno e un sistema di controllo gestionale che consenta di verificare il grado efficienza e di efficacia raggiunto dalla gestione aziendale.

Solo operando in questo modo, nel rispetto del principio della trasparenza della gestione, l’azienda ottiene sempre maggiore credibilità e conseguentemente reperisce sempre maggiori risorse finanziarie.

L’associazione si estingue per svariati motivi previsti dalla legge quali il raggiungimento dello scopo sociale o l’impossibilità di raggiungerlo, il venir meno degli associati, la dichiarazione di nullità del contratto associativo oppure la revoca del riconoscimento qualora l’associazione fosse destinata ad operare solo come ente riconosciuto.

1.2.2. Le fondazioni.

Le fondazioni sono un ulteriore categoria tra gli enti che operano senza scopi lucrativi, che destinano un complesso di beni organizzati al raggiungimento di uno scopo di natura ideale o

morale, ma comunque non economico.

Da ciò si evince la differenza tra tali enti a le associazioni, ovvero la prevalenza dell’elemento patrimoniale sull’elemento personale. In questo caso infatti la legge conferisce personalità giuridica non al complesso di persone, ma al complesso di beni destinati ad uno scopo.

L’atto di fondazione di tali enti può essere redatto inter vivos, ai sensi degli art. 14 e 16 c.c., ma anche per mortis causa, ossia con un testamento con cui il fondatore costituisce la fondazione, destinandole i propri beni e determinandone lo scopo.

Nell'atto costitutivo della fondazione, sia esso atto pubblico o testamento, la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza individuano due atti giuridici distinti, sebbene generalmente

(16)

• il negozio di fondazione, negozio giuridico non patrimoniale unilaterale (anche in presenza di più fondatori) con il quale il fondatore manifesta la volontà che venga ad esistenza l'ente;

• l'atto di dotazione, negozio giuridico patrimoniale unilaterale con il quale il fondatore attribuisce a tale ente il patrimonio necessario per la realizzazione del suo scopo; nel caso di costituzione con testamento, è un'istituzione di erede o legato.

L'atto costitutivo e lo statuto devono contenere la denominazione della fondazione, l'indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede, le norme sull'ordinamento e sull'amministrazione ed i criteri e le modalità di erogazione delle rendite. Possono inoltre contenere le norme relative all'estinzione della fondazione e alla devoluzione del patrimonio nonché quelle relative alla sua trasformazione.

Come si è visto, lo scopo della fondazione deve risultare dall'atto costitutivo o dallo statuto. Nulla dice il codice civile al riguardo, ma tale silenzio non è interpretato dalla dottrina maggioritaria e dalla giurisprudenza nel senso di lasciare la più ampia libertà al fondatore. Si argomenta, infatti, che i vincoli di destinazione cui viene sottoposto il patrimonio della fondazione si pongono in contrasto con i principi di libera circolazione dei beni e di libero sfruttamento delle risorse economiche, che pervadono l'ordinamento giuridico italiano. Ne segue che tali vincoli possono trovare giustificazione solo se il patrimonio è destinato ad uno scopo di pubblica utilità, con esclusione, quindi, degli scopi di utilità privata.

Nell'ordinamento italiano la fondazione acquisisce la personalità giuridica solo con il riconoscimento; in mancanza non dispone di alcuna autonomia patrimoniale, nemmeno imperfetta, a differenza dell'associazione non riconosciuta. Tuttavia, una parte della dottrina vede una fondazione non riconosciuta, dotata di una limitata autonomia patrimoniale, nel

comitato.

La fondazione, a differenza dell'associazione, non dispone di un organo come l'assemblea in grado di controllare l'operato degli amministratori e, se è il caso, sostituirli o, addirittura, deliberare un'azione di responsabilità nei loro confronti. Lo stesso organo di controllo, oltre a non essere obbligatorio, risulta meno efficace dell'omologo organo di un'associazione o società, in mancanza di un'assemblea alla quale riferire le anomalie riscontrate. Queste considerazioni hanno indotto il legislatore ad affidare la vigilanza sulle fondazioni all'autorità amministrativa ("autorità governativa" nel linguaggio del codice civile).

(17)

Bisogna inoltre sottolineare il fatto che l’art. 28 del c.c. prevede che, nel caso in cui sia esaurito lo scopo, sia divenuto impossibile o di scarsa utilità, oppure il patrimonio sia divenuto insufficiente, l’autorità governativa può valutare di trasformare la fondazione, anziché estinguerla, rispettando più possibile le volontà fondazionali. In caso, invece, di estinzione della fondazione, il patrimonio della stessa viene devoluto secondo quanto previsto dalle norma e dell’atto costitutivo e dello statuto ovvero, in assenza, secondo quanto disposto dall’autorità governativa, che provvederà ad attribuite i beni a enti aventi finalità analoghe8.

1.2.3. Le organizzazioni di volontariato.

Il volontariato è un’attività libera e gratuita sorta dalla spontanea volontà dei cittadini di fronte a problemi non risolti in attuazione di ideali solidaristici e di giustizia sociale (aiuto a persone in difficoltà, tutela della natura e degli animali, conservazione del patrimonio artistico e culturale). per questo motivo il volontariato si inserisce tra le attività svolte senza scopo di lucro, che non rispondono alla logica del profitto9.

8 8

Art. 31 “DEVOLUZIONE DEI BENI

1. I beni della persona giuridica, che restano dopo esaurita la liquidazione, sono devoluti in conformità dell'atto costitutivo o dello statuto.

2. Qualora questi non dispongano, se trattasi di fondazione, provvede l'autorità governativa, attribuendo i beni ad altri enti che hanno fini analoghi; se trattasi di associazione, si osservano le deliberazioni dell'assemblea che ha stabilito lo scioglimento e, quando anche queste mancano, provvede nello stesso modo l'autorità governativa.

3. I creditori che durante la liquidazione non hanno fatto valere il loro credito possono chiedere il pagamento a coloro ai quali i beni sono stati devoluti, entro l'anno dalla chiusura della liquidazione, in proporzione e nei limiti di ciò che hanno ricevuto.

Art, 32 “DEVOLUZIONE DEI BENI CON DESTINAZIONE PARTICOLARE

1. Nel caso di trasformazione o di scioglimento di un ente, al quale sono stati donati o lasciati beni con destinazione a scopo diverso da quello proprio dell' ente, l' autorità governativa devolve tali beni, con lo stesso onere, ad altre persone giuridiche che hanno fini analoghi.”

(18)

Alla stessa stregua delle fondazioni e delle associazioni, le organizzazioni di volontariato nascono per mezzo di un atto costitutivo corredato dello statuto, contenente le norme che ne regolano la vita sociale, non devono avere scopo di lucro, devono presentare democraticità della struttura, l’elettività e la gratuità delle cariche associative. Le risorse di cui l’organizzazione dispone per svolgere la propria attività sono le risorse umane a carattere volontaristico ed economiche-finanziarie10 erogate da privati, dallo Stato, da enti pubblici e privati, attraverso donazioni, lasciti, contributi, contributi degli associati, purché rappresentino un’entità marginale rispetto alle entrate complessive.

La normativa prevede espressamente l’obbligo di formazione del Bilancio con indicazione dei beni, dei lasciti, dei contributi ricevuti nonché la disciplina per l’approvazione dell’assemblea. Questo sta a significare che anche il legislatore ha sentito la necessità di fornite informazioni a terzi sostenitori sulla gestione delle risorse finanziarie e patrimoniali impiegate dagli amministratori nel raggiungimento dello scopo istituzionale.

1.2.4. Le organizzazioni governative e non governative.

Le organizzazioni non governative sono enti che nascono con lo scopo di svolgere attività di carattere sociale, dirette alo sviluppo della popolazione del Terzo Mondo, scopi spesso

trascurati dai governi11.

.

In Italia la legge quadro per il volontariato 266/91 prevede l’istituzione del Centri di Servizio per il Volontariato, che forniscono alle Organizzazioni di volontariato in modo gratuito servizi di consulenza, promozione, formazione e comunicazione.

10 1

La legge 226/1991 elenca le categorie di risorse economiche cui tali organizzazione possono fare ricorso.

11

(19)

Le attività di cooperazione svolte dalle ONG riconosciute idonee sono da considerarsi, ai fini fiscali, attività di natura non commerciale. I campi di intervento possono essere raggruppati in:

Volontariato, in cui predomina la dimensione dell’impegno personale come testimonianza sociale;

Cooperazione allo sviluppo, in cui si organizzano progetti di cooperazione a medio-breve termine o in situazioni di emergenza, per dare un contributo alla soluzione dei problemi del sottosviluppo, mediante l’invio di personale qualificato;

Sostegno tecnico-economico di partner dei Paesi in Via di Sviluppo, cofinanziando la realizzazione di microprogetti gestiti da referenti locali senza l’invio di volontari;

Realizzazione di attività di informazione ed educazione, sui temi dello sviluppo, della cooperazione internazionale e della mondialità;

Specializzate in specifici settori di intervento, che hanno acquisito una dimensione internazionale.

Per quanto riguarda l’aspetto finanziario-patrimoniale, le risorse sono ottenute da fonti private, nella forma di donazioni, ma anche attraverso campagne di raccolta fondi nella forma

di quote di adesione e contributi volontari.

Tali organizzazioni come le altre impegnate nel no-profit, sentono la necessità di garantire i sostenitori fornendo informazioni circa i vari aspetti della gestione, nell’osservanza del principio della trasparenza, e rendicontando l’attività di raccolta e di impiego di risorse finanziarie, mediante la predisposizione di bilanci ed illustrando in una reazione annuale lo stato di avanzamento dei programmi in corso e accettare controlli periodici e il grado di raggiungimento degli obiettivi.

Il criterio distintivo fondamentale tra organizzazioni governative e non è relativo alla loro composizione: membri delle prime devono essere soggetti di diritto internazionale e dunque

Tali organizzazioni sono disciplinate dalla legge 26/02/87 n. 49 “Nuova disciplina della cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo.”

(20)

stati o altre organizzazioni intergovernative; membri delle seconde sono invece singoli

individui o enti.

Il Ministero degli Affari Esteri del Governo italiano le distingue nelle due forme in base alla presenza o meno di specifici requisiti, che gli consentono di ottenere quel riconoscimento di idoneità che dà diritto ad accedere ai finanziamenti governativi per la realizzazione di progetti di cooperazione; nello specifico:

• devono avere come fine istituzionale quello di svolgere attività di cooperazione allo sviluppo in favore delle popolazioni dei Paesi in via di sviluppo;

• non devono perseguire finalità di lucro, ma destinare ogni profitto alla remunerazione di attività previste dai proprio fini istituzionali;

• non devono avere rapporti di dipendenza da enti con finalità di lucro, né essere collegate in nessun modo agli interessi di quest’ultimi;

• devono fornire adeguate garanzie per la realizzazione delle attività previste;

• devono possedere una documentata esperienza operativa e una capacità organizzativa di almeno tre anni;

• devono presentare bilanci analitici relativi all’ultimo triennio e documentare la tenuta della contabilità;

• devono presentare una relazione annuale sullo stato di avanzamento dei programmi in corso e accettare controlli periodici.

1.2.5. Il concetto di azienda no-profit.

Dopo aver esaminato le diverse istituzioni (in senso giuridico) e averne introdotto l’ambito operativo, appare ora necessario domandarci se gli organismi in questione possono configurarsi come aziende e per tale motivo, nel paragrafo seguente, cercheremo di osservare il fenomeno da un punto di vista economico-aziendale.

Infatti, “in quest’ottica si prospetta che gli istituti intesi come famiglia, impresa, enti pubblici territoriali possano allargarsi ad organizzazioni non a prevalente scopo di lucro che operano per conseguire il bene comune o bene collettivo tramite la produzione, l’erogazione, il

(21)

consumo di beni e servizi in un contesto prevalentemente di scambio (economico, meta-economico, di utilità, interno/esterno12)”.

Le tante definizioni di azienda no-profit non catturano però l’ampio spettro di questa forma di organizzazione sociale che si può presentare, come abbiamo visto, sotto differenti vesti o formule giuridiche, di volta in volta più adeguate a perseguire lo scopo sociale che non è sicuramente il profitto13.

Di conseguenza, affermiamo che l’aspetto che più contraddistingue tali istituti è la finalità e come essa viene ad essere raggiunta. Infatti, costoro prestano servizi e producono beni per conseguire obiettivi sociali attraverso logiche di tipo economico vicine a quelle dell’impresa, in quanto devono ugualmente coordinare costi e proventi, definendo e programmando la gestione. Di riflesso, appare chiaro che l’attività economica costituisce non il fine, ma il mezzo e di conseguenza alcuni illustri autori propongono la tesi che in questo caso il mezzo è costituito dall’organizzazione che assume carattere “servente”14. Ciò implica che in tali

12 1

Per approfondimenti, v.: G. FIORENTINI, Organizzazioni non profit e di volontariato, ETASLIBRI, Milano, 1992

13 1

“Il non profit stile azienda”, articolo di G. FIORENTINI sul Corriere della Sera del 10/11/2000.

14 1

Nella tipologia di aziende che stiamo considerando bisogna far proprio il concetto di un nuovo tipo di profitto “…che nasce dalle forze creatici e costruttrici dell’uomo, dal rispetto e dalla valorizzazione delle risorse umane, finanziarie ed ambientali, dalla capacità di servire economicamente bisogni che non contraddicono le esigenze di incivilimento, da un continuo accumulo e trasmissione di

(22)

istituzioni possa trovare applicazione il principio in base al quale si deve produrre più di quanto si consuma quale condizione indispensabile per operare durevolmente nel mercato; la “produzione di ricchezza”15 è condizione indispensabile e la natura degli obiettivi che devono essere raggiunti non porta a una sostituzione dell’economicità con altri scopi di carattere sociale ed etico: tutti gli obiettivi, economici e sociali, dovranno invece fondersi armonicamente. Da questo punto di vista sembra possibile passare da una configurazione gerarchica delle finalità (quale quella delle organizzazioni) ad una configurazione in cui gli obiettivi presentano una struttura circolare ed il loro perseguimento avviene in maniera simultanea attraverso l’attuazione di sinergie e complementarietà capaci di assicurare, accanto all’equilibrio economico anche un migliore benessere sociale e quindi di riflesso far ricevere un maggiore consenso per l’attività perseguita. Seguendo questa logica “le summenzionate organizzazioni, nel contesto attuale, presentano un dinamismo imprenditoriale a valenza solidale e una forte opzione di gestione delle risorse a disposizione (persone, spazio, tempo, denaro, attrezzature, relazioni, ecc.) che convergono congiuntamente in una dimensione di economicità16”. Ed è proprio in base a tale principio e a quanto precedentemente affermato

al cui arricchimento esso è prioritariamente destinato…”. Cfr., CODA, Etica ed impresa, il valore dello sviluppo, in Etica ed impresa, scelte economiche e crescita dell’uomo, CORNO (a cura di), CIS collana Uomo-impresa, 1989.

15 1

Se per le imprese il successo è dato dagli incrementi di profitto, nelle aziende non profit esso è misurato principalmente nei termini di quanti servizi l’ente produce e del modo in cui questi servizi vengono erogati ossia nella misura in cui la stessa contribuisce al benessere pubblico.

16 1

G. Fiorentini, Enti non Profit, Gli speciali di SUMMA, Summit, 1998.

(23)

che studiosi ed esperti tendono a considerare sempre più le organizzazioni non profit come vere e proprie aziende17 - le aziende non profit.

Queste entità operano su mercati popolati da soggetti in grado di pagare e si finanziano vendendo i propri prodotti ed i propri servizi a prezzi più o meno elevati: siamo dunque di fronte a vere e proprie aziende, la cui crescita dimensionale dipende dalla capacità di operare al meglio sul mercato, oltre che dalle caratteristiche della domanda. In tal senso nell’ambito della cosiddetta “gestione acquisitrice”, l’azienda non profit, pur se con modalità talvolta peculiari, persegue obiettivi tendenzialmente non dissimili da quelli propri di un azienda “orientata al profitto” cercando di ottimizzare la propria capacità strutturale per generare nel tempo elevati flussi di reddito.

In conclusione citiamo la spiegazione data da un illustre autore circa la nuova concezione del sistema azienda che lo stesso così ha definito: “…luogo dove si produca ricchezza, ma dove anche si ricentrino le relazioni di lavoro, si amplino gli spazi di partecipazione e di corresponsabilizzazione, valorizzando concretamente la persona umana18

1.3. L’identità aziendale.

17 1

E’ opportuno citare la definizione di azienda di un illustre autore che vede la stessa come un “sistema di forze economiche che sviluppa, nell’ambiente di cui è parte complementare, un processo di produzione, o di consumo, o di produzione e di consumo, a favore del soggetto economico, ed altresì degli individui che vi operano”, A.Amaduzzi, L’azienda nel suo sistema e nell’ordine delle sue rilevazioni, III edizione, UTET, Torino.

18 1

(24)

Per mettere gli stakeholder e il pubblico nella condizione di formare un giudizio e compiere la valutazione delle performance dell’azienda bisogna rendere possibile la comparazione tra gli assunti valoriali e strategici che informano l’attività dell’azienda e le risultanze dell’attività stessa.

E’ dunque necessario che l’esposizione di tali assunti valoriali preveda:

• l’enunciazione dei principi e valori, in modo da consentire l’interpretazione del loro significato e del modo in cui sono stati applicati ai casi concreti;

• la conseguente possibilità, da parte dei lettori, di formulare un giudizio di coerenza tra assunti valoriali e performance realizzate.

Ciò comporta che l’azienda debba esporre in modo esauriente la propria identità, costituita dal suo assetto istituzionale, dai valori di riferimento, dalla missione da realizzare, dalle strategie e dalle politiche.

1.3.1. La storia e l’assetto istituzionale: da dove veniamo e come siamo strutturati?

In caso all’esposizione degli assunti valoriali, dovranno essere forniti al lettore gli elementi conoscitivi che rendono possibile l’identificazione oggettiva dell’azienda, quali: l’assetto proprietario e l’evoluzione della governance, i principali elementi che ne definiscano la storia e l’evoluzione, la dimensione, la collocazione sul mercato e l’assetto organizzativo, che può includere l’organigramma, la descrizione della struttura, i nomi dei responsabili.

Riprendere le origini dell’organizzazione significa tener conto di quelli che sono stati i motivi di fondo che ne hanno determinato la costituzione, al fine di una continua valutazione dell’osservanza dei principi delineati dalle scelte dei fondatori. La storia fornisce il modello comportamentale trasmesso dalle generazioni precedenti, aiuta a comprendere e a condividere quegli elementi che formano la cultura dell’organizzazione.

In tale contesto si va a specificare anche l’ambito di operatività dell’organizzazione, se locale o internazionale, illustrando lo sviluppo della rete di relazioni e l’organizzazione delle varie unità operative, oltre a definire gli eventuali vincoli impliciti ed espliciti che potranno riflettersi in futuro sulla mission e sulle strategie dell’organizzazione, in relazione della stessa normativa e dell’evolversi dei bisogni della collettività di riferimento.

(25)

1.3.2. La missione: perché esistiamo?

La missione (o scopo) di un'organizzazione o impresa (la sua "dichiarazione di intenti"), è il suo scopo ultimo, la giustificazione stessa della sua esistenza, e al tempo stesso ciò che la contraddistingue da tutte le altre.

Il mission statement è il "manifesto" della missione ed è in molti sensi analogo alla visione aziendale (vision statement). Tuttavia, a differenza di questo, tende a focalizzarsi più sul presente e a fornire una guida operativa. Mentre un mission statement costituisce una guida pratica all’azione dell'organizzazione, la funzione della visione aziendale è in un certo qual modo quella di "ispirare" i soggetti coinvolti.

In alcuni casi si riduce ad uno slogan, mentre in altri è più esaustivo e pone e risolve le questioni di fondo relative all’organizzazione. In tal caso può essere visto anche come una sorta di strategia di lungo periodo.

Secondo alcuni un buon mission statement dovrebbe rispondere alle tre domande fondamentali:

• Chi siamo?

• Cosa vogliamo fare?

• Perché lo facciamo?

La missione definisce pertanto le finalità che sono alla base della ragion d’essere e della costituzione dell’azienda, nonché le modalità distintive con le quali essa interpreta il suo ruolo

nel contesto economico-sociale in cui opera.

La chiara definizione dell’ambito delle attività è alla base di una corretta definizione della missione e rappresenta il presupposto per la formulazione di corrette strategie; tramite la sua definizione l’azienda no-profit declina le finalità istituzionali, i valori che ispirano la propria azione e le modalità di relazionarsi con i diversi portatori di interesse.

(26)

Per valori d'impresa (values o core values) si intende genericamente un sistema di idee, modi di agire e attributi considerati "importanti" per se e quindi tali da informare l’azione

dell'impresa, o dell’organizzazione in genere.

Si devono rendere espliciti gli orientamenti valoriali, i principi etici e i codici deontologici effettivamente seguiti, le linee politiche e i comportamenti operativi di coloro che contribuiscono alla gestione. Benché si ritenga che la cultura e lo stile dell’azienda siano variabili e soggettivi e si riconosca il pluralismo dei valori e delle convinzioni morali, è necessario esplicitare alcuni criteri formali per assicurare che l’espressione del sistema di valori abbia significato e sia comprensibile al lettore. I requisiti formali sono:

• prescrittività: i valori affermati devono essere intesi come la guida effettiva del comportamento e dell’attività dell’azienda;

• osservanza: i valori affermati devono essere effettivamente rispettati e osservati nell’azienda;

• stabilità: i valori devono essere cogenti per una durata significativa;

• generalità: i valori devono ricoprire l’insieme delle attività e delle relazioni tra l’azienda e i suoi stakeholder;

• imparzialità: i valori affermati, se hanno validità generale, devono essere applicati in modo imparziale tra tutte le categorie di stakeholder e se riferiti ad una specifica categoria di stakeholder, in modo imparziale tra soggetti in essa compresi.

Il compito di dichiarare i valori morali e i principi ai quali si ispira l’attività dell’organizzazione è un compito riservato al vertice dell’organizzazione. Si vanno pertanto a definire quali sono le fondamenta etiche e morali che stanno al base dell’attività. L’esigenza di uguaglianza sociale, il bisogno di portare aiuto ai meno fortunati, la consapevolezza del rischio che certe pratiche possono comportare per le generazioni future, lo spirito d’associazione per fare fronte comune, o per sviluppare attività trascurate ecc., sono tutti valori fra i quale le organizzazioni no-profit trovano i fondamenti del proprio agire e della propria esistenza.

E’ questo un momento significativo per chi si accinge a preparare il proprio Bilancio sociale. Infatti la stesura di quest’ultimo è fondamentale per spiegare agli altri, non solo interni, ma anche esterni all’azienda, i principi ai quali si ispira l’azione dell’organizzazione.

(27)

Tutti, infatti, a partire dai vertici, devono diventare consapevoli dei valori e dei principi che devono guidare la realtà no-profit in questione. Valori e principi hanno sempre ispirato l’iniziativa, ma è con l’ausilio del Bilancio sociale che si è avuta la possibilità di esternarli. La dichiarazione dei valori e dei principi è quindi un atto dovuto che fa parte della correttezza e trasparenza che devono connotare questo documento.

1.3.4. La vision: cosa vorremmo ottenere?

Il termine “vision" (in italiano "Visione") viene utilizzato nell'ambito della gestione strategica d’impresa, per indicare la proiezione di uno scenario che un imprenditore vuole "vedere" nel futuro.

La Vision non è un concetto astratto, ma molto concreto poiché è proprio grazie alla "visione" di tanti imprenditori se oggi il mondo è pieno di innovazione, tecnologia e nuovi prodotti. La vision deve essere esplicitata e deve essere condivisa con l'intera organizzazione; questo è uno dei principali problemi nella definizione della stessa, poiché ancor oggi troppi imprenditori non hanno ancora compreso a fondo la sua importanza e ne sottovalutano l'impatto che ha a livello aziendale. Una vision chiara, accurata, derivante da attente riflessioni, serve a fare comprendere ai membri dell'organizzazione dove l'azienda vuole arrivare, al fine di condividerne i successi.

I sogni di imprenditori di successo hanno dato vita ad aziende leader nei loro settori.

"I cavalli dovranno sparire dalle nostre strade19".

Volendo dare una definizione dettagliata alla vision si può affermare che essa è utilizzato nella gestione strategica per indicare la proiezione di uno scenario futuro che rispecchia gli ideali, i valori e le aspirazioni di chi fissa gli obiettivi (goal-setter) e incentiva all’azione. Con il termine Vision si intende l'insieme degli obiettivi di lungo periodo che il Top Management

19 1

(28)

vuole definire per la propria azienda, comprendere anche la visione generale del mercato e l'interpretazione di lungo periodo del ruolo dell’azienda nel contesto economico e sociale.

Se, quindi, la vision è il "sogno" che definisce lo scopo per cui l'azienda esiste, la mission definisce il ruolo dell'azienda per attuare la Vision. La Mission è la strada che si vuole percorrere per realizzare la Vision e serve per definire le risorse che devono essere utilizzate per arrivare alla Vision. La mission aziendale deve essere allineata alla vision e deve mostrare, in modo molto più dettagliato, come si intendono raggiungere gli obiettivi descritti dalla Vision. La mission tende a focalizzarsi più sul presente e a fornire una guida operativa all’azione dell'organizzazione. Essa dovrebbe descrivere in modo chiaro e conciso il perché l'organizzazione esiste, in cosa si distingue dalle altre aziende concorrenti, i valori che ne guidano l'azione, il target a cui si rivolge, gli strumenti che utilizza, i bisogni a cui risponde, le risorse su cui fa affidamento.

L'ultimo anello di questa catena è rappresentato dalla definizione degli obiettivi, che ha origine proprio dalla preventiva definizione delle Visione e della Mission. Gli obiettivi devono avere alcune caratteristiche fondamentali. Quelli di lungo periodo esprimono i risultati che, all'interno di una determinata mission, il management aziendale si prefigge di raggiungere in un periodo compreso tra i 3 e i 5 anni, utilizzando le risorse che ha a disposizione o che intende procurarsi sul mercato. Gli obiettivi dell'azienda devono essere : chiari, possibili, identificabili, misurabili, raggiungibili e controllabili, che sono tutte caratteristiche molto simili agli obiettivi di vendita.

Se un uomo ha fatto propri gli obiettivi aziendali, vede l’intera struttura come propria, quindi rende disponibile per tutto il gruppo le sue capacità produttive e motivazionali, creando legami e sviluppando competenze. Quando un collaboratore percepisce la possibilità di realizzarsi attraverso l’azienda dove lavora, allora il suo cuore e le sue passioni saranno ben concentrate verso il successo comune.

1.4. Il concetto di economicità nelle organizzazioni no-profit.

(29)

Il principio di economicità può essere definito come quella particolare condizione di funzionamento dell’azienda che consente alla stessa di perseguire, in modo autonomo e duraturo, le finalità generali dell’istituto. Anche le aziende non-profit, come qualunque altro tipo di azienda, dovranno orientare la loro gestione al rispetto del principio di economicità, per sopravvivere in autonomia nel medio/lungo periodo, e, di conseguenza, poter continuare a realizzare i loro specifici fini istituzionali, i quali, come detto nel primo paragrafo, sono riconducibili al soddisfacimento di bisogni inappagati della collettività di riferimento. In altre parole per le aziende no-profit l’economicità rappresenta un presupposto indispensabile e un vincolo che la gestione deve rispettare per poter perseguire nel tempo e in autonomia la

specifica finalità istituzionale che si è posta.

Già a partire dagli anni ‘80, in Italia, si rende manifesta la necessità di ridurre i tassi di espansione della spesa pubblica e il bisogno di rivedere il modello di “Stato Sociale” consolidatosi nel Paese. Infatti l’alta incidenza del debito pubblico e il bisogno di migliorare la qualità, l’efficienza e la quantità di molti servizi inducono a considerare sempre più necessario il passaggio da un sistema sociale esclusivamente o prevalentemente pubblico, a

un sistema cd. misto.

L’insostenibilità dei sistemi di “Welfare” è questione piuttosto complessa e sulla quale non mancano divergenze di opinione. Certamente non possiamo trascurare alcuni aspetti che ne testimoniano le recenti difficoltà come la crescita dei costi alla quale si ricollegano i limitati incrementi di produttività, l’inefficienza provocata sia dall’assenza di competizione sia dai problemi nel controllare i comportamenti opportunistici e la crescita delle retribuzioni degli addetti.

Si devono poi considerare anche le crescenti insoddisfazioni per la qualità dei servizi pubblici offerti, per la limitata differenziazione dell’offerta stessa e per la scarsa tutela garantita alle classi sociali più deboli.

Le incertezze dei sistemi di Welfare sono inoltre accompagnate dal frequente rifiuto delle imprese di operare in alcuni mercati (servizi alla persona, ambiente, ecc.) contraddistinti da localismo, scarsa remuneratività, limitato potere d’acquisto in mano agli utenti (famiglie e bisognosi) e rischio di sovradimensionamento. Le vie seguite per affrontare questa crisi sono state di diverso orientamento. Si è ricorso ad un decentramento delle responsabilità, in materia di offerta di servizi di Welfare, dallo Stato alle amministrazioni locali soprattutto per rendere

(30)

efficienza, è stata quella di introdurre nelle unità di offerta pubbliche forme e tecniche di gestione ispirate a logiche privatistiche.

A queste risposte, non alternative ma strettamente complementari si può aggiungere una eventuale separazione fra finanziamento pubblico, ed erogazione dei servizi, affidata invece a unità di offerta private. È in quest’ultima alternativa che si può far rientrare una larga parte del settore non profit; la restante parte, invece, nasce ed opera autonomamente rispetto allo Stato e nonostante ciò fornisce ugualmente un contributo importante nel miglioramento del benessere della comunità in cui opera. Oramai possiamo dedurre che il settore non profit possegga una propria autonomia operativa ed è condivisibile l’opinione di coloro che non lo ritengono il frutto del fallimento dello Stato o del mercato; esso riveste, dunque un ruolo che non è residuale rispetto allo Stato stesso e recentemente viene considerato, con sempre maggior insistenza, come una delle alternative possibili per far fronte all’attuale problema occupazionale.

Quindi l’economia di mercato tenderà a non essere più monopolizzata solo da soggetti auto interessati che operano in base ad una razionalità economica che disconosce sentimenti morali, lasciando soltanto allo Stato di praticare la solidarietà, ma da soggetti che pur operando nel mercato saranno ispirati da principi morali che armonizzano insieme interessi individuali e benessere collettivo20.

Quindi, tornando al principio di economicità, il suo rispetto garantisce durabilità e autonomia alle aziende non for profit e si configura sia come una regola di condotta che come un obiettivo della gestione. Per durabilità si intende la continuità della attività aziendale ed essa rappresenta un’attesa comune a tutti i diversi interlocutori sociali dell’azienda non for profit. I soggetti promotori che hanno posto in vita l’istituto si attendono che perduri nel tempo, e, quindi, sia in grado, anche nel futuro, di creare valore sociale per la collettività di riferimento. Anche gli altri stakeholder dell’azienda non for profit, come, ad esempio gli utenti del

20 2

In merito, v.: Lo sviluppo del non profit e l’economia della partecipazione, intervento di A. GERIA (Componente della segreteria nazionale CISL). Documento disponibile su internet all’indirizzo: www.volontariato.it.

(31)

servizio, i soggetti finanziatori, i collaboratori d’impresa, si attendono che permanga nel tempo e sia, quindi, in grado, attraverso il suo agire, di soddisfare le loro attese e i loro bisogni sia oggi che nel futuro. Per autonomia si intende la libertà di scegliere i propri fini, le strategie per perseguirli e le proprie modalità di governo senza sottostare alla volontà di altri istituti o di altri soggetti. Per mantenere l’autonomia è necessario che l’azienda sia in grado di operare senza far sistematico ricorso a interventi di sostegno da parte di altre organizzazioni.

1.4.1. Dalla gestione finanziaria alla gestione solidale.

La gestione finanziaria consiste nelle operazioni di acquisizione, rimborso e remunerazione dei debiti di finanziamento negoziati per coprire il fabbisogno finanziario aziendale. Il campo d’analisi, quindi, pone l’attenzione sull’intrecciarsi di esborsi ed entrate di denaro che in forma ciclica si manifestano nella cassa ponendosi come obiettivo principale il mantenimento della solvibilità (intesa come capacità di disporre prontamente di mezzi di pagamento per far fronte agli impegni assunti)21. È importante evidenziare che gli istituti e gli organi che presiedono al funzionamento della gestione stessa non vanno considerati avulsi all’intero sistema ma bensì componenti essenziali ed intrinseci all’intera funzione. Da ciò si deduce l’importanza che viene ad assumere, nell’economia dell’impresa, la gestione della finanza e, quindi, la funzione finanziaria, funzione che dev’essere delegata agli organi manageriali in modo tale che possano esplicare un attento ed efficace controllo e cercare idonee soluzioni affinché sia garantito l’equilibrio finanziario e, quindi quello economico e patrimoniale, dell’impresa. Quindi in prima approssimazione potremmo affermare che il “management finanziario” riguarda la gestione delle risorse di capitale e cioè la sua dinamica viene a consacrarsi in ogni decisione rivolta a provviste ed impieghi di capitale nel rispetto della sua composizione qualitativa e dei suoi limiti quantitativi22

21 2

F. Vasta – G. Di Giacomo, “Analisi della gestione d’impresa”, (2 ed.), GRAFICHE SCUDERI S.A.S., MESSINA, 1992.

(32)

Nella logica su cui vertono i paradigmi delle aziende non profit potremmo affermare che affinché si possa perseguire una giusta remunerazione dell’investimento solidale ed etico occorre l’esistenza di un management appositamente dedicato. La dottrina prevalente tende a definirlo management solidale in quanto presenta peculiarità simili a quello tradizionale, ma anche specifiche di settore. Per quanto riguarda coloro che espletano materialmente tale funzione, con specifico riguardo alle aziende non profit, alcuni illustri autori più che manager tendono a definirli “animatori”: in quanto soggetti capaci di una relazionalità altissima, in grado di animare, appunto le iniziative che via via vengono intraprese. Fra le caratteristiche che contraddistinguono codesta figura professionale notiamo:

• cultura di economicità da aggiungere a quella economica;

• propensione al coinvolgimento alternato e progressivo: ove si distinguono i momenti a valenza e condivisione fortemente emotiva dai momenti di razionalità gestionale che è il presupposto per il progredire del non profit. Infatti uno dei massimi esperti in gestione di realtà no-profit, parla spesso della difficoltà di trovare sul mercato figure che accomunano “due anime”, quella del profitto e quella del talento solidale;

• crescita della capacità di seduzione intesa come abilità a trasmettere agli altri le motivazioni a collaborare, ad aiutare e a condividere le azioni di sostegno sulle quali è fondata l’attività operativa dell’ONP;

• gestione finanziaria sia in termini di nuove modalità di forme di finanziamento per l’azienda non profit sia in termini di impieghi coerenti con i fini efficaci nei risultati.

È importante, comunque, sottolineare che il più delle volte, nelle ONP, coloro che ricoprono cariche manageriali sono dei volontari ed è proprio per questo che le azioni di quest’ultimi

22 2

Da ciò ne discende una prima definizione di “funzione finanziaria” e cioè che essa consiste nel provvedere tempestivamente, secondo principi di convenienza, alle necessità di capitale che la combinazione via via presenta.

(33)

non possono definirsi “professionali”, perché il volontariato non è costituito da soggetti altamente qualificati e forse non lo sarà mai. E poi è gente consapevole di svolgere un’attività per niente gratificante, e questo è un altro fattore determinante. Da una recente indagine fatta negli Stati Uniti è emerso che i migliori manager aziendali sono proprio quelli che hanno avuto o che hanno un’esperienza di volontariato in quanto si relazionano meglio con gli altri, perché offrono più spazio alle proprie motivazioni ideali e hanno conoscenze più dirette della realtà e dei bisogni della gente.

Alla luce di quanto esposto appare chiaro che le no-profit dovranno ricorrere, nei casi più delicati, a consulenze esterne proprio perché incapaci di coltivarle nel proprio interno. Il manager esterno, tuttavia, permette ad una ONP di non essere autoreferente costringendola a guardarsi in maniera più obiettiva o come dicono autori ed esperti più “laica”. Ma anche se da quest’ultimi possano derivare dei benefici occorre, affinché l’ostacolo sia superato, trovare un’adeguata soluzione. Il nodo della questione può essere sciolto attraverso un metodo abbastanza semplice ma non facile da attivare al proprio interno: la formazione. Infatti è da quest’ultima che dipenderà il futuro del Terzo Settore e del volontariato in generale23.

Alcuni sostengono che ciò che contraddistingue il management tradizionale da quello solidale è la motivazione che spinge quest’ultimo. Infatti il tema della motivazione è di grande attualità poiché è proprio su questo fattore che si gioca, e si giocherà la sopravvivenza di qualsiasi azienda, anche di quelle for profit.

1.4.2. Il divieto di distribuzione degli utili.

Da una significativa indagine condotta da illustri studiosi24 si è evidenziato un importante aspetto che contraddistingue le aziende no-profit dalle tradizionali unità economiche

23 2

Il WWF organizza continuamente corsi di formazione manageriale sia per la struttura interna, lo staff stipendiato, sia per gli attivisti, e si avvale, infatti, della consulenza gratuita di manager esterni per bisogni particolari dell’associazione.

(34)

individuandone gli aspetti più distintivi. Secondo gli stessi ”si definiscono non profit, nel loro basilare carattere legale–strutturale, quelle organizzazioni private, formalmente costituite, a cui è fatto divieto di distribuire un residuo monetario”. Invece, secondo un altro punto di vista è più corretto parlare di “divieto di distribuzione esplicita degli utili in forma monetaria25”. Proprio per questo, da un punto di vista economico–aziendale, è preferibile pensare a codeste aziende come imprese di solidarietà che integrano il profitto gestionale con il non profitto istituzionale e finalistico. “Infatti esse reinvestono i propri utili o surplus prodotti nell’azienda stessa senza distribuire ai soci e agli appartenenti all’azienda gli eventuali “dividendi”; in una dimensione di rimunerazione “virtuale” degli investimenti che essi hanno effettuato in termini di tempo, finanziamenti, donazioni patrimoniali e quant’altro26”.

24 2

E. James, R. Ackerman, The non profit enterprise in market economies, Harwood Academy Publisher, CHUR, Svizzera.

25 2

Infatti, secondo B. GUI si parla di distribuzione esplicita in quanto esistono forme implicite di distribuzione del residuo potenziale, prima fra tutte la manovra dei prezzi d’acquisto degli input o di vendita degli output. Quest’ultima rappresenta, ad esempio, la principale forma di distribuzione ai membri del residuo potenziale in molte cooperative (sia tra utenti che tra produttori), in cui la distribuzione esplicita degli utili non è affatto praticata o è del tutto secondaria. Tale metodo non è escluso neanche nelle organizzazioni non profit. Da Le organizzazioni produttive private senza fine di lucro. Un inquadramento concettuale, in “Economia Pubblica”, n° 4/5, 1980.

26 2

G. Fiorentini, Enti non Profit, Gli speciali di SUMMA, Summit, 1998.

Figura

Tabella n. 2. Prospetto di riclassificazione della spesa.
Tabella n. 3. ‘‘Tavola’’ della ricchezza distribuita.
Tabella n. 4. Analisi per aree gestionali.
Tabella n. 5. Prospetto informativo sul patrimonio - Situazione attività e passività                         al termine dell’anno.
+6

Riferimenti

Documenti correlati

In ogni caso, alla luce dell’attenzione che svariate organizzazioni dello sport dilettantistico manifestano nei confronti dell’inclusione nel terzo settore, ciò che

Il presente documento muove dalla Terza Edizione del Convegno Nazionale sulla Ricerca Indipendente, dal titolo “Globalizzazione e competitività: una sfida per la ricerca

i punti principali dell’appello ai Francesi. Si poneva come vindice: è un invito ai Francesi perché cessino dall’uc- cidersi a vicenda per preparare l’edifizio della tirannia su

Unioncamere (2003), I modelli di responsabilità sociale nelle imprese italiane, Milano, Angeli.. (2004), Responsabilità sociale d’impresa e globalizzazione, Angeli,

La gestione delle risorse umane nelle organizzazioni no profit, Fondazione Sodalitas-HayGroup, Milano.. 

L’azienda, nella successiva edizione del Bilancio Sociale, terra` conto dei commenti e dei suggerimenti ricevuti dagli stakeholder al fine di aumentare la completezza, la traspa-

13 Massimo Bucciantini, Italo Calvino e la scienza.. di signi cazione al di là dello spazio della singola opera: costruendo cioè non geometrie all’interno delle opere, ma

Nel terzo capitolo tradotto, viene fatto riferimento a questo contrasto altre due volte: la prima quando Mi Jiazhen racconta a Yang Xiaobei, appena arrivato dal