CORSO DI LAUREA MAGISTRALE
(ORDINAMENTO EX D.M. 270/2004)
STORIA DAL MEDIOEVO ALL’ETÀ
CONTEMPORANEA
Tesi di Laurea
I
L RUOLO POLITICO DEI VESCOVI
FRA TARDA ANTICHITÀ E ALTO MEDIOEVO
Religione, politica, identità
Relatore
Ch. Prof. Stefano Gasparri
Laureando
Salvatore Liccardo
Matricola 817144
Anno Accademico
2011/2012
INDICE
ABBREVIAZIONI E CORPORA ... 3
INTRODUZIONE ... 5
PARTE PRIMA: L’EPISCOPATO E LE AUTORITÀ ROMANE ... 16
1.1 LA SVOLTA DI COSTANTINO ... 17
1.2 LE BASI GIURIDICHE DEL POTERE DEI VESCOVI ... 27
1.3 LE BASI ECONOMICHE DEL POTERE VESCOVILE ... 38
PARTE SECONDA: I VESCOVI E LE MASSE ... 50
2.1 L’INSORGERE DEL MOVIMENTO DONATISTA E LA NATURA DEI CIRCONCELLIONI ... 51
2.2 OTTATO DI TIMGAD E LO SCISMA DEI MASSIMIANISTI ... 63
2.3 VIOLENZA E STRATEGIE DI SOPRAVVIVENZA NEL NORD AFRICA DI AGOSTINO ... 71
2.4 L’EPISCOPATO GALLO-‐ROMANO ... 85
2.5 IL CASO DI ARLES ... 99
2.6 IL VESCOVO GERMANO E I BAGAUDI ... 112
2.7 VESCOVI E BAGAUDI IN HISPANIA ... 130
PARTE TERZA: I VESCOVI E I BARBARI ... 137
3.1 SALVIANO DI MARSIGLIA E ANIANO DI ORLÉANS: IL MONDO STA CAMBIANDO ... 138
3.2 SIDONIO APOLLINARE E LA FINE DELLA GALLIA ROMANA ... 146
3.3 IL NUOVO COSTANTINO ... 165
CONCLUSIONI ... 193
BIBLIOGRAFIA ... 200
Fonti primarie ... 200
Fonti secondarie ... 208
ABBREVIAZIONI E CORPORA
AA
Auctores Antiquissimi, 15 voll., Berolini 1877-‐
1919
C. J. Corpus Iuris Civilis, 2 voll., Berlin, 1928-‐1929
C. Th.
Theodosiani libri 16 cum constitutionibus
Sirmondianis et Leges Novellae ad
Theodosianum pertinentes, Berolini 1905
CCL Corpus Christianorum, serie latina,
Turnholti 1953-‐
CIL Corpus inscriptionum latinarum, Berolini
1863-‐ CISAM
Centro italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto 1954-‐
CSEL
Corpus scriptorum ecclesiasticorum
latinorum, Vindobonae, 1866-‐
Epistolae
Epistolae, 8 voll., Berolini 1887-‐1939
MGH
Monumenta Germaniae historica
PG
Patrologia graeca, a cura di J. P. Migne,
Parisiis 1857-‐1886
PL
Patrologia latina, a cura di J. P. Migne,
Parisiis 1844-‐1864
PLRE
A. H. M. Jones – J. R. Martindale – J. Morris,
Prosopography of the later Roman Empire,
Cambridge 1971-‐
SC
Sources chrétiennes, Paris 1941-‐
SRM
Scriptores rerum Merovingicarum,
Hannover-‐Lipsiae 1884-‐1951
INTRODUZIONE
La presente ricerca intende analizzare il fenomeno della Cristianizzazione sottolineandone le implicazioni politiche e culturali. Al fine di interpretare il Cristianesimo come strumento di creazione di nuove identità fra età antica e medioevo sarà necessario ripercorrere le vicende di alcuni uomini di Chiesa che, sebbene in modi differenti, contribuirono alla costruzione di un nuovo immaginario collettivo, di una nuova idea di mondo e di popolo1. Prima ancora del ruolo, diremmo culturale, che questi uomini svolsero, sarà più semplice ricordare il loro ruolo politico, la loro crescente influenza negli affari pubblici. Quello che si va costruendo fra IV, V e VI secolo è un nuovo mondo, ma prima ancora sono nuovi i suoi interpreti politici, i suoi padroni e i suoi interlocutori.
Gli ecclesiastici, in particolar modo i vescovi, acquisirono tuttavia solo progressivamente una maggiore influenza nelle questioni mondane. Ancora sul finire del IV secolo il diritto d’asilo, che le chiese erano in grado di fornire a coloro che vi si rifugiavano, specie se questi erano perseguitati dal fisco, non era affatto garantito, ed era anzi limitato da leggi scrupolose2. Fare appello al vescovo per la risoluzione di tali questioni non era sinonimo di sicuro successo poiché l’attività politica di questi, più che sancita da norme apposite, era frutto dell’autorità personale e delle capacità diplomatiche del singolo episcopo. In sintesi “non c’era nessuna garanzia che il vescovo avrebbe avuto successo.”3 A riprova di ciò basterà citare il caso del condannato Cresconio che cercò protezione presso Sant’Ambrogio. Sebbene Ambrogio fosse un personaggio molto influente, tanto da
1 Cf. P. Brown, Agostino d'Ippona, Torino 1971, pp. 242-‐258. 2 C. Th., IX, 45, 1,2,3.
costringere alla pubblica penitenza l’imperatore Teodosio I4, non fu in grado di difendere l’uomo. Nonostante Cresconio si fosse rifugiato in Chiesa e Ambrogio e gli altri chierici si fossero posti attorno all’uomo per impedirne l’arresto, i soldati inviati da Stilicone irruppero nell’edificio e prelevarono a forza il condannato5. Il potere dei vescovi, anche quando molto potenti, rimaneva quindi limitato. Talvolta, come nel caso citato, l’intervento degli ecclesiastici poteva essere interpretato come un ostacolo all’adempiersi delle publicae
necessitates. Solo in pochi potevano trovare sicuro asilo fra le mura delle chiese, mentre la
maggior parte dei condannati o perseguitati erano del tutto indifesi, e al clero non restava che rimettersi alla volontà delle autorità civili. A tal proposito uno sconsolato sant’Agostino scrive: “noi possiamo soltanto lamentarci, senza alcun potere per aiutarli”6.
Il potere dei vescovi era destinato tuttavia a crescere. Essi furono in particolar modo i principali interpreti e manipolatori degli interessi delle plebi cittadine e divennero in grado di controllare o di aizzare le folle. Durante il patriarcato di Cirillo “l’episcopato di Alessandria superò i limiti della sua funzione sacerdotale e acquisì potere in questioni secolari”7. Grazie ai parabalani8 Cirillo poteva disporre di una vera e propria guardia
paramilitare, che rappresentava una minaccia concreta per tutti i suoi oppositori9. Se
talvolta il vescovo poteva intraprendere una politica aggressiva, egli era più spesso il
defensor civitatis, il protettore dei poveri, e, come si legge nella Vita Germani, la guida sicura
dell’intera comunità “inter mundi procellas”10. Il vescovo divenne in pratica il principale
referente politico e amministrativo della città e “tutti i diversi servizi che oggi siamo soliti raggruppare sotto la voce “benessere pubblico” divennero sua responsabilità: assistenza ai poveri, lavori pubblici, educazione, salute pubblica, ospitalità ai viaggiatori, visite alle prigioni, riscatto dei prigionieri presso il nemico, allestimento di pubblici spettacoli e divertimenti.”11 Conosciamo, ad esempio, vescovi che finanziarono opere urbanistiche di
4 Cf. Ambrogio di Milano, De obitu Theososii, 34 (Sancti Ambrosii Episcopi Mediolanensis Opera, 18, p.235). 5 “(…) fu autorizzato dal conte Stilicone (…) l’invio di soldati per trascinare fuori di chiesa un tale Cresconio; ma il
santo vescovo con i chierici, che in quel momento erano presenti, lo circondarono per difenderlo, mentre cercava rifugio presso l’altare del Signore. Ma i soldati, che erano numerosi e i cui capi appartenevano alla setta degli ariani, prevalsero sui pochi ecclesiastici, e, strappato via Cresconio, ritornarono esultanti all’anfiteatro, lasciando alla Chiesa un grande dolore (…)”, Paolino di Milano, Vita Ambrogii, 34 (a cura di M. Navoni).
6 Agostino, Epistulae, 22*, 3.
7 Socrate Scolastico, Historia ecclesiastica, VII, 7, 4.
8 Questi erano ufficialmente infermieri al servizio dei poveri, ma a tali funzioni “socialmente utili” sommavano quelle di polizia e talvolta d’intimidazione.
9 G. Filoramo, D. Menozzi, Storia del cristianesimo, Roma-‐Bari 2006, p. 346. 10 Costanzo di Lione, Vita Germani, IV, 19.
primaria importanza come la riparazione dei ponti e degli acquedotti o la ricostruzione dei portici12, o altri che si fecero promotori di iniziative politiche presso l’autorità centrale al fine di alleggerire la pressione fiscale sulla comunità13.
La sempre più profonda crisi dell’impero permise ai vescovi di esercitare la loro nuova funzione anche al di fuori delle mura cittadine. L’influenza di Germano d’Auxerre, ad esempio, si estendeva ben al di là della sua diocesi e il vescovo gallo-‐romano venne scelto per guidare due missioni in Britannia, che allora non faceva più parte dell’impero14. Anche se il biografo del santo ricorda come il principale motivo delle missioni fosse religioso, combattere l’eresia pelagiana diffusasi sull’isola, le implicazioni politiche di tali missioni sono evidenti e tutt’altro che taciute dall’autore, che riporta persino il caso di una battaglia nella quale il vescovo guidò l’esercito dei romano-‐britanni contro gli invasori Pitti e Sassoni15 . Non più limitati dall’ipertrofico apparato statale romano, i vescovi, già
naturalmente portati ad assumere un ruolo di comando all’interno delle comunità, potevano all’occorrenza riscoprire capacità del tutto “secolari”. Le élite ecclesiastiche erano del resto formate in gran parte da membri delle famiglie aristocratiche, i quali avevano spesso percorso un’importante carriera laica prima di salire al soglio vescovile. Sidonio Apollinare, ad esempio, prima di essere scelto come vescovo di Alvernia, aveva scalato la gerarchia amministrativa dello stato fino a diventare Praefectus Urbi ed essere insignito del titolo di
patricius. Una volta divenuto vescovo, Sidonio continuò a fare politica svolgendo un ruolo
diplomatico di prim’ordine nelle delicate trattative con i re germanici16 che all’epoca si
contendevano il controllo della regione, mentre alla popolazione romana restava spesso il ruolo di “vittime designate poste in mezzo a genti fra loro rivali, troppo vicini ai Goti, guardati con sospetto dai Burgundi”17.
I vescovi ebbero, poi, un peso sempre maggiore anche in campo economico. Il moltiplicarsi dei lasciti testamentari in favore delle diocesi rese molti di loro dei grandi proprietari terrieri. Alla ricchezza fondiaria alcuni episcopi aggiunsero quella finanziaria e
12 Cf. Teodoreto di Ciro, Epistulae, 81.
13 Cf. Costanzo di Lione, Vita Germani, IV, 24. 14 Cf. Costanzo di Lione, Vita Germani, III e V. 15 Cf. Costanzo di Lione, Vita Germani, III, 16-‐17.
16 Cf. J. Harries, Sidonius Apollinaris and the fall of Rome, AD 407-‐485, Oxford 1994, p. 213. 17 Sidonio Apollinare, Epistulae, III, 4.
uno di loro, Masona vescovo di Merida, fondò una banca nel 580 con lo scopo di aiutare i poveri18.
Queste le prove più evidenti del fatto che gli uomini di Chiesa ebbero un ruolo centrale negli avvenimenti che coinvolsero l’Occidente romano e la sua periferia fra IV, V e VI secolo. Ma, come affermato in apertura, quest’aspetto prettamente politico, tema della storiografia evenemenziale, non è il solo. Il ruolo giocato dagli ecclesiastici nella costruzione di una nuova identità, non soltanto quindi di un nuovo modo di far politica, è ancor più difficile da descrivere poiché ci costringe a utilizzare le fonti più diverse e spesso a leggere fra le righe di testi che si occupano d’altro. Sacerdoti, vescovi e monaci si fecero interpreti di un vero e proprio cambiamento di paradigma. Se la cultura pagana, sempre più sclerotizzata, sopravviveva in pochissimi circoli elitari, l’opera dei letterati cristiani permise il diffondersi di una nuova cultura, la quale, nonostante tramandasse molti aspetti della tradizione classica, era innervata di una nuova sensibilità sociale, legata agli obblighi di missione, che portò la Chiesa più vicina alle masse delle istituzioni precedenti e che ci permette di intravedere talvolta, sullo sfondo, brandelli di vita nascosti19.
I vescovi svolsero un ruolo attivo non solo come sostituti o concorrenti del sempre più debole potere centrale, ma si ritrovarono in prima linea nell’appoggiare o contrastare i movimenti che, dal basso, sconvolsero la società tardoantica. La Chiesa rappresentò il principale interlocutore delle masse e attraverso le sue istituzioni vennero amplificati o soffocati i sentimenti anti romani e anti aristocratici diffusi soprattutto fra i ceti meno abbienti e meno romanizzati. Se molte opere cristiane riflettono un modo di pensare vicino alle plebi cittadine e rurali20, alcuni ecclesiastici si posero persino alla guida di tali
movimenti e fornirono una ragione religiosa alla rivolta. Esemplare è il caso della Chiesa donatista in Nord Africa. Il periodo delle persecuzioni lasciò dietro di sé una profonda spaccatura all’interno delle comunità cristiane fra il partito dei lapsi e quello dei martiri. Il conflitto, nel giro di qualche anno, provocò il diffondersi di un movimento popolare opposto alla Chiesa ufficiale. All’opposizione religiosa si sommarono velocemente i tradizionali sentimenti antiromani della popolazione berbera. Nelle azioni dei donatisti, specie nelle razzie operate dai Circumcellioni ai danni dei cattolici e degli aristocratici, possiamo, infatti, riconoscere, accanto al fanatismo religioso, il risentimento etnico e sociale ben radicato fra
18 Cf. Fletcher 2000, p. 70.
19 Cf. S. Gasparri, Prima delle nazioni. Popoli, etnie e regni fra antichità e Medioevo, Roma 1997, p. 44. 20 Cf. le critiche di Sant’Ambrogio ai ricchi (Sermones, 61,13) o Salviano di Marsiglia, Il governo di Dio.
le comunità rurali della Numidia. In tali aree, lontano dalle grandi città romanizzate della costa, il secolare processo d’acculturazione delle masse non romane dovette risolversi in un sostanziale fallimento. La contestazione religiosa fornì, del resto, la principale spinta alla ribellione, tant’è che tra i principali capi del movimento troviamo il vescovo di Thamugadi, Optato. L’uditorio di Thamugadi si identificò con le prediche esaltate di Optato, il quale, grazie a tale seguito, fu in grado di esercitare un enorme potere, anche secolare, sulle comunità nordafricane e di trasformare in una vera e propria milizia le bande dei Circumcellioni. L’azione del vescovo trovò un sicuro appoggio nel comes Africae Gildone. L’autorità politica e quella ecclesiastica si posero entrambe alla testa del movimento e alle ragioni religiose si unì la forte volontà di operare una rivoluzione sociale21. Se la vicenda di
Optato rappresenta quasi un unicum in questa ricerca, egli non fu comunque il solo a essere coinvolto in movimenti di rivolta sociale.
La posizione privilegiata ricoperta dai vescovi, infatti, li pose in prima linea di fronte a tali fenomeni. San Germano d’Auxerre, ad esempio, decise di farsi carico delle rivendicazioni dei ceti subalterni dell’Armorica. Un famoso e drammatico passo della Vita Germani descrive il vescovo intento ad impedire la repressione armata comandata da un esercito di Alani federati22. L’intervento del vescovo ebbe successo e la probabile strage fu impedita. Se
le rivolte che sconvolsero la Gallia e la Spagna tardoantiche, le cosiddette bacaudae, non sembrano riflettere alcuna tensione di tipo strettamente religioso23, il caso di Germano ci
dimostra chiaramente quanto sia stato rilevante il ruolo svolto dagli ecclesiastici, specie dai vescovi, come interlocutori fra rivoltosi e autorità.
Tuttavia sul fronte opposto, non pochi vescovi decisero, per ragione di ceto e d’interesse, di appoggiare le rivendicazioni dei possessores e dell’autorità centrale. Fra questi ci fu il vescovo Leone di Terazona, il quale nel 449 venne per tale ragione trucidato dai
congregati di Basilio, capo delle bacaudae di Spagna. Oltre al vescovo, i ribelli uccisero anche
i barbari federati che, come nel caso degli Alani fermati da Germano, erano stati inviati dalle autorità romane con lo scopo di reprimere la rivolta. L’uccisione di un vescovo per mano dei rivoltosi può farci immaginare che, sebbene in misura minore rispetto al movimento donatista, anche nelle bacaudae sia sotteso un elemento religioso. Questo elemento sarebbe
21 Cf. W. Frend, The Donatist Church. A Movement of Protest in Roman North Africa, Oxford 1971, pp. 208-‐226. 22 Cf. “primum precem supplicem fundit, deinde increpat differentem, ad extremum manu iniecta, freni habenas inaudit atque in eo universum sistit exercitum”, Costanzo di Lione, Vita Germani, IV, 28.
rappresentato dalla repressione che la Chiesa cattolica attuò contro l’eresia priscillianista. Questa eresia si era diffusa in Gallia meridionale e Spagna, attecchendo soprattutto nelle aree meno romanizzate della Galizia, ed era stata condannata dalla Chiesa ufficiale solo due anni prima dell’uccisione del vescovo Leone24.
Se non tutti gli ecclesiastici si trovarono direttamente coinvolti in movimenti politici, è certo che molti di loro furono protagonisti nella lotta contro i sopravvissuti riti pagani, ancora ben radicati nelle campagne, e nel difficile processo che portò i popoli barbari ad approdare, spesso attraverso l’eresia ariana, dal paganesimo al cristianesimo. Gli uomini e le donne che si recavano in chiesa credevano di sapere in cosa consistesse la vita cristiana, ma erano ancora legati a tradizioni pagane. Inveterata nelle menti del tempo era la doppia morale che condannava le donne adultere, ma non faceva altrettanto per i mariti o l’idea secondo la quale in casa propria ogni uomo fosse libero di fare ciò che voleva, anche vivere in concubinato25, senza essere tacciato per questo di depravazione. La paura dell’Inferno o
del Giudizio Universale erano sentimenti comuni tra gli uomini dell’epoca, ma la vita di tutti i giorni continuava a scorrere come prima, regolata dagli strumenti tradizionali dell’astrologia e della magia. Al fine di sradicare tali usanze e di preservare l’unità dei fedeli, i vescovi dell’epoca tentarono di identificarsi con la loro comunità e di sollecitare questa a identificarsi con essi. I cristiani di Ippona ascoltavano in piedi la predica di Agostino, il quale sapeva incantare il proprio uditorio con sottili giochi di parole, ma era soprattutto interessato a far giungere con immediatezza il contenuto del messaggio cristiano. La necessità di farsi sentire e soprattutto capire da chi ascoltava la predica fu la principale preoccupazione degli oratori cristiani, come testimoniato dai sermoni di Cesario di Arles scritti in un latino schietto e ricco di volgarismi 26. Lo scopo di questa nuova evangelizzazione era quello di creare un nuovo immaginario collettivo e un nuovo sistema di valori non più solo superficialmente cristiano.
Tuttavia, nonostante gli sforzi, la voce dei vescovi, più forte in città, restò ancora a lungo inascoltata nella campagna, dove sopravvivevano riti ancestrali, come l’adorazione di alberi o di fonti sacre, il ricorso a pratiche divinatorie o le feste in occasione delle Calende di
24 S. Mazzarino, Si può parlare di rivoluzione sociale alla fine del mondo antico?, in «CISAM» 9 (1962), pp. 436-‐ 445.
25 Esperienza che visse, del resto, lo stesso Agostino.
26 Cf. A. Vaccari, Volgarismi notevoli nel latino di Casario di Arles, in «Archivum latinitatis medii aevi» 17 (1942), pp. 135-‐148.
gennaio27. Le gerarchie ecclesiastiche cercarono l’appoggio dell’aristocrazia per estirpare queste usanze, accusando di connivenza tutti i proprietari che non impedivano ai propri coloni di adorare gli idoli28. Questi erano, almeno “sulla carta”, cristiani, dal momento che spesso avevano ricevuto il battesimo, ma in seguito erano tornati ai riti pagani adorando gli idoli, cioè avevano continuato a vivere come i loro padri e antenati, semplicemente “ut mos rusticorum habet”29. In un mondo notoriamente conservativo come quello contadino la figura di riferimento, specie quando avveniva qualcosa d’inspiegabile come una disgrazia inattesa, era ancora l’ariolus e non il sacerdote. Sorde alle trasformazioni culturali, le masse rurali vivevano spesso anche ai margini del sistema economico della società tardoantica, nel quale era riconosciuto alla città il ruolo di centro di raccolta, ridistribuzione e sfruttamento delle ricchezze. Era in campagna che si svolgeva la vita dei più poveri fra i poveri, le cui esistenze scorrevano silenziose e spesso inosservate anche dalle gerarchie ecclesiastiche più vicine agli interessi delle plebi cittadine. Tale era la miseria dei contadini che Martino di Tours riconobbe nella triste figura di un guardiano di porci l’alter ego vivente di Adamo vestito di pelli e scacciato dal Paradiso30. Al di fuori delle cinte murarie, si perdevano le
tracce della ricchezza cittadina e lo scenario era dominato da uno squallore assoluto, come testimoniato da un episodio tratto dalla biografia di san Germano d’Auxerre, il quale lasciatosi alle spalle l’opulentissima civitas di Milano fu immediatamente circondato dai mendicanti31. Diviso dall’ambiente cittadino da un solco così profondo, il mondo contadino
fu accumunato a quello barbarico, verso il quale i ceti dominanti romani nutrivano analoghi sentimenti di estraneità. Sebbene piuttosto fantasiosa, l’etimologia del termine barbarus proposta da Cassiodoro è in questo senso esplicativa:
“Barbarus autem a barba et rure dictus est, quod numquam in urbe vixerit, sed semper ut fera in agris habitasse noscantur.”32
27 Cf. Martino di Braga, De correctione rusticorum. 28 Cf. Massimo di Torino, Sermones.
29 Gregorio di Tours, De miraculi Sancti Martini Episcopi, I, 26 (PL, 71); cf. J. Kitchen, Saints, Doctors, and
Soothsayers. The Dynamics of Healing in Gregory of Tours's De Virtutibus Sancti Martini, in «Florilegium» 12
(1993), pp. 15-‐32.
30 Cf. Sulpicio Severo, Dialogi, II, 10.
31 Cf. Costanzo di Lione, Vita Germani, VI, 33.
Dal punto di vista religioso l’arrivo nell’Occidente romano delle popolazioni barbariche produsse una commistione fra le tradizioni germaniche e il sostrato pagano delle campagne. Anche quando le élite dei popoli invasori avevano da tempo abbracciato la fede cristiana, sopravvivevano fra le fila dei nuovi arrivati i culti guerrieri, fra i quali spiccava quello del dio Wotan. In un caso, quello della Britannia sud-‐orientale, l’arrivo dei barbari, specificatamente dei Sassoni e degli Angli, allora totalmente pagani, provocò nell’area l’abbandono della religione cristiana. La regione dovette, quindi, per volere di Gregorio Magno, essere rievangelizzata da Agostino, detto in seguito “di Canterbury”, nel 597.
Questo caso rappresenta, tuttavia, un’eccezione. I nuovi arrivati costituivano, infatti, una piccolissima percentuale della popolazione e di norma vennero, sebbene dopo un lungo e tortuoso processo, integrati nella comunità cattolica e in molte delle strutture socio-‐ economiche preesistenti. Il principale ostacolo a questo processo fu rappresentato dall’eresia ariana che, grazie innanzitutto all’opera del vescovo ariano Ulfila, si era diffusa fin dal IV secolo fra le file delle aristocrazie germaniche. La fede ariana divenne probabilmente un elemento identitario per le minoranze barbariche che erano contrarie all’assimilazione. I re barbari attuarono una politica a difesa della chiesa ariana con l’intento di ostacolare, se non quello di estirpare, la Chiesa ufficiale. Sebbene le fonti a nostra disposizione, quasi esclusivamente di parte cattolica, tendano probabilmente a ingigantire gli atti vessatori, per le istituzioni cattoliche fu difficile mantenere il controllo delle proprie diocesi33 che, nel caso
del Nord Africa, furono oggetto di una vera e propria persecuzione sancita da editti regali34.
L’azione incessante di alcuni vescovi molto influenti, come Avito di Vienne o Leandro di Siviglia, riuscì, tuttavia, a spingere le élite barbariche ad abbandonare l’arianesimo in favore del cattolicesimo. Una volta che i barbari ebbero abbandonato l’eresia, il processo d’integrazione con la popolazione autoctona poté avere finalmente successo e furono proprio gli autori cristiani a creare le basi ideologiche del potere dei nuovi re e a fornire le giustificazioni religiose indispensabili alla costruzione delle diverse identità “nazionali” che andavano formandosi all’indomani della caduta dell’impero romano. Anche se la presa di coscienza etnica riportò alla luce, riadattandole, antiche tradizioni precristiane, come le leggende celtiche, gli ecclesiastici furono fra gli artefici della rielaborazione di un passato e soprattutto di un futuro, talvolta di un destino, pienamente cristiano per i popoli europei. I Romano-‐Britanni del racconto di Gildas hanno tutte le caratteristiche del popolo eletto e la
33 Cf. Sidonio Apollinare, Epistulae, VII, 6.
parola patria non coincide più con l’impero ma descrive la sola Britannia35; al centro della cronaca di Giovanni di Biclaro ci sono le vicende dei re visigoti, mentre i romani d’Oriente che occupavano Cordoba sono chiamati semplicemente hostes36; Gregorio di Tours, infine, scrisse una Storia dei Franchi in dieci libri37, nella quale sono descritte le imprese del popolo dei franchi ed è posto l’accento sulla loro rapida e convinta conversione.
L’opera degli autori ecclesiastici e, in modo ancora maggiore, della propaganda carolingia e pontificia di VIII secolo, ci restituisce un’immagine delle origini del potere franco piuttosto lontana dalla realtà. Se, infatti, regioni diplomatiche spinsero gli storiografi successivi a descrivere il passato franco come il logico e naturale precedente all’alleanza con il papato, le fonti coeve narrano delle brutalità della conquista e del persistere dei riti pagani fra la popolazione franca. Quanto la storia dei Franchi sia stata rielaborata al fine di fare di questo popolo una “nazione imperiale”38 risulterà chiaro dal paragone fra il cosiddetto
“prologo lungo” della Legge salica e quanto narrato da Procopio di Cesarea. Nel prologo, che rappresenta uno degli esempi più coerenti della rielaborazione in senso cristiano del passato franco, si legge:
“L’illustre popolo dei Franchi, creato da Dio stesso, (…) convertito alla fede cattolica, immune all’eresia; quando ancora era invischiato nel rito barbarico, per ispirazione di Dio ricercava la chiave della sapienza (…)”39
Procopio, fonte risalente al VI secolo, narrando la discesa in Italia di un esercito di Franchi agli ordini del re Teodeberto, scrive:
“(…) i Franchi catturarono tutte le donne e i bambini dei Goti che si trovavano là e li sacrificarono, gettandone i corpi nel fiume, come primizie di guerra. Questi barbari, infatti, pur essendosi convertiti al cristianesimo,
35 Cf. F. Kerlouegan, Le de excidio Britanniae de Gildas. Les destinees de la culture latine dans l'ile de Bretagne au
6. Siecle, Paris 1987.
36 Cf. Giovanni di Biclaro, Chronica (MGH, AA, XI, 2, a. 572). 37 Cf. Gregorio di Tours, Historiarum libri decem.
38 Cf. Gasparri 1997, pp. 185-‐187.
39 Così come gli autori cristiani, fra tutti Eusebio di Cesarea, si erano affannati a cercare d’interpretare in senso cristiano quanto detto e fatto da Costantino e dalla sua famiglia, prima della battaglia di ponte Milvio, così venne fatto per la storia dei Franchi.
conservano molte usanze della loro precedente religione, e fanno ancora sacrifici umani e praticano altri riti barbarici con cui ricavano profezie.”40
Secondo lo storico bizantino i Franchi non avevano per nulla abbandonato le loro usanze pagane, ma essi ricorrevano ancora a sacrifici umani, fatto che, scrive lo storico nelle righe successive, terrorizzò i “meno” barbari Ostrogoti, i quali alla vista di tali riti si diedero alla fuga. Ampi strati della popolazione franca rimasero quindi pagani per gran parte del VI secolo, come dimostrato anche dalle biografie dei santi franchi e gallo-‐romani del tempo, tenacemente impegnati a sradicare questi usi. Se in Aquitania e nella Gallia meridionale la conquista franca non determinò l’abbandono degli usi romani, né della cultura cristiana, nelle aree nordorientali essa provocò la quasi scomparsa delle strutture ecclesiastiche. San Nicezio, ad esempio, sotto il patronato di Teodorico I, venne inviato presso Treviri al fine di restaurarne la comunità cristiana, mentre San Gallo, vescovo di Clermont e zio di Gregorio di Tours, rischiò di essere linciato dai fedeli pagani per aver dato fuoco a un tempio pagano nei pressi di Colonia, prima di essere salvato dall’intervento del re41.
Gli esempi appena citati, se dimostrano la persistenza degli antichi usi germanici presso i Franchi, testimoniano anche la simbiosi nella quale si trovavano, in età merovingia, l’istituzione ecclesiastica e quella civile42. Alle origini di questo fenomeno, antecedente della
grande costruzione politico-‐culturale carolingia, si pone la conversione di Clodoveo. L’analisi di questo evento costituirà l’ultimo capitolo di questa ricerca, poiché tale atto segna in modo evidente il passaggio da un’era a un’altra. Con il battesimo di Clodoveo, avvenuto in una data compresa fra il 496 e il 506, si sancì, infatti, l’alleanza fra la monarchia franca, divenuta cattolica, e le gerarchie ecclesiastiche. Il re, spinto dalle preghiere della regina consorte Clotilde e convinto dalla vittoria riportata sugli Alamanni, avvenuta soltanto dopo aver invocato l’aiuto di Cristo, “s’avvicinò al lavacro come un nuovo Costantino”43. Il potere di Clodoveo, in precedenza esclusivamente tribale, cioè basato sul riconoscimento da parte degli uomini in armi, ebbe allora un’approvazione ufficiale da parte delle istituzioni ecclesiastiche e poté così trasformarsi in un vero e proprio potere territoriale. L’organizzazione ecclesiastica fornì al re gli strumenti necessari per rapportarsi alle
40 Procopio, De bello gothico, II, 25.
41 Cf. Gregorio di Tours, Vitae Patrum, VI, 2.
42 Cf. G. Tabacco, Sperimentazioni del potere nell’alto medioevo, Torino 1993, pp. 45-‐50. 43 Gregorio di Tours, Historiarum libri decem, II, 31.
popolazioni locali, mentre gli intellettuali cristiani crearono le giustificazioni religiose al potere monarchico. Andava così costituendosi un nuovo ordine nel quale si poteva credere di realizzare il detto di Salomone secondo il quale “cor regis in manu Dei est”44.
44 Proverbi, 21, 1; testo citato anche in Leggi longobarde, Prologo di Liutprando, anno 1 (713), cf. C. Azzara, S. Gasparri, Le leggi dei Longobardi, Roma 2005.
PARTE PRIMA: L’EPISCOPATO E LE
AUTORITÀ ROMANE
1.1 LA SVOLTA DI COSTANTINO
Una ricerca che si pone come obiettivo quello di tracciare un quadro, per quanto incompleto, dei rapporti fra religione e politica in età tardoantica e altomedievale non può prescindere da un’analisi della vicenda politica di Costantino. Se scegliere da dove iniziare è il primo ostacolo che si pone di fronte ad ogni ricercatore, la biografia di Costantino rappresenta di certo, in questo caso, la più convincente, se non l’unica soluzione. Questo non soltanto per l’importanza della famosa visione che Costantino ebbe, secondo le fonti45, alla vigilia della battaglia sul ponte Milvio o per le conseguenze delle deliberazioni prese durante il suo incontro con Licinio nel 313, che tradizionalmente si ricordano con il nome di editto di Milano46, ma soprattutto perché, come recita la celebre definizione di Santo
Mazzarino, egli fu “il più violento rivoluzionario della storia romana”47. L’intera avventura politica di Costantino segna un indubbio punto di svolta nella storia romana.
Come ogni vicenda politica e biografica però, anche la vita di Costantino è disseminata di eventi contrastanti, di repentine accelerate e brusche frenate, di decise innovazioni e scelte pienamente in sintonia con le più antiche tradizioni. Più che i tratti del vero innovatore, in Costantino si riconoscono l’abilità politica e il tempismo, che gli permisero di tramutare in duraturo successo politico progetti e schemi mentali non nuovi ai
45 Cf. Lattanzio, De mortibus persecutorum, 44, 3-‐5; Eusebio di Cesarea, Vita Constantini, I, 25-‐30.
46 Cf. Lattanzio, De mortibus persecutorum, 43, 2 ss.; Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica, X, 5, 2-‐14. 47 S. Mazzarino, L’impero romano, Bari 1973, p. 694.
suoi predecessori, ma che nessuno di loro era stato in grado di portare a compimento con uguale successo e acume.
Tralasciando le fasi iniziali della sua ascesa al potere, è il sogno o la “visione ad occhi aperti” che Costantino ebbe poche ore prima dello scontro decisivo con Massenzio a prestarsi facilmente come iconografico inizio di questa ricerca. Raffigurata da Piero della Francesca come una specie di Annunciazione laica o politica48, la visione segnò un punto di non ritorno nella biografia di Costantino e prefigurò la successiva politica filocristiana dell’imperatore, sebbene, a detta delle fonti, non si sia trattato di certo del primo intervento soprannaturale che decise le sorti dell’esercito romano49. Nonostante la straordinarietà di quest’ultimo evento, fu il cosiddetto editto di Milano del 313 ad avere le maggiori conseguenze sullo sviluppo della storia dell’Occidente. Anch’esso però non rappresentava un’assoluta novità: non fu infatti la prima deliberazione atta a garantire la tolleranza in materia religiosa ma, almeno dal punto di vista formale, fu concepito come un’integrazione del precedente editto emanato da Galerio50. Nel testo dell’editto gli imperatori mantenevano
una posizione sostanzialmente neutrale nei confronti del Cristianesimo: a tutti, cristiani e non, era lasciata libertà di scelta in materia religiosa, senza che fosse sancita la superiorità del Dio cristiano, ma, come si deduce dalla dichiarazione d’intenti in prima persona contenuta in una circolare destinata ai governatori provinciali all’indomani dell’accordo, Costantino e Licinio decisero di concedere libertà di culto affinché “qualunque divinità ci sia nella sede celeste, questa possa essere soddisfatta ed essere benevola nei nostri confronti”51.
Il primo obiettivo perseguito da Costantino e Licinio fu dunque il raggiungimento della pace religiosa52, la quale avrebbe favorito il ristabilimento di un ordine pubblico fortemente
compromesso da un decennio di persecuzioni.
Ben presto, tuttavia, Costantino cominciò a promuovere una politica apertamente favorevole al Cristianesimo che, specie quando si trovò a combattere contro Licinio per il dominio assoluto dell’impero, divenne un vero e proprio strumento al servizio della sua propaganda. Sebbene l’utilizzo in senso politico della religione non fosse un fatto nuovo per
48 L’affresco del Sogno di Costantino, che ha come pendant l’Annunciazione, si trova nel ciclo pittorico raffigurante le Storie della vera Croce nella cappella maggiore, specificatamente a destra della finestra, nella basilica di San Francesco ad Arezzo (1458-‐1466).
49 Vd. l’episodio della “pioggia miracolosa” avvenuto durante la campagna contro i Quadi rappresentato dalla scena n. 16 della colonna di Marco Aurelio e narrato da Cassio Dione, Historia romana, LXXII, 8-‐9. L’episodio è stato successivamente cristianizzato da Tertulliano, Apologeticum, V, 6.
50 L’editto, che risale al 30 aprile del 311, aveva segnato la fine delle persecuzioni. 51 Lattanzio, De mortibus persecutorum, 48, 3.
l’epoca53, Costantino fu il primo a strumentalizzare senza esitazione e con successo la fede cattolica a tale scopo e ad inaugurare, in chiave cristiana, l’intreccio inestricabile fra religiosità e progetto politico, fra istituzione ecclesiastica ed istituzione civile.
E’ opportuno comunque sottolineare che, se tale integrazione fu possibile, il merito non è da ascriversi esclusivamente alla politica di Costantino. I privilegi che l’imperatore accordò alla Chiesa, che andavano dalla restituzione dei beni confiscati durante le persecuzioni54, logica conseguenza di quanto deciso a Milano, fino alla straordinaria esenzione per gli ecclesiastici dagli oneri dei munera civilia55, riservarono alla Chiesa una posizione privilegiata all’interno dello Stato; ma fu soprattutto l’intraprendenza e il carisma di alcuni ecclesiastici a fare in modo che questi provvedimenti si tramutassero per i vescovi in un effettivo ruolo di leadership56. E’ in quest’ottica che si possono leggere alcuni canoni dei primi concili successivi all’editto di Milano. Da questi primi sinodi, infatti, si ricava l’immagine di una gerarchia pronta a dismettere i panni della setta perseguitata e ad assumere quelli del gruppo di potere.
Tappa rilevante, in questo percorso, sembra essere il canone n. 3 del concilio di Arles, il quale recita: “De his qui arma proiciunt in pace, placuit abstineri eos a communione”57; è
dunque, secondo quanto stabilito dai vescovi, comminata la scomunica per chi diserta dall’esercito romano. Nonostante, secondo la lettera del testo, la pena fosse prevista solo in tempo di pace, il canone segnò un profondo cambiamento nei rapporti fra Chiesa e Stato e un deciso allontanamento, almeno a livello delle alte gerarchie, dal tradizionale antimilitarismo cristiano, che aveva trovato in Tertulliano il suo più strenuo sostenitore58. Se
l’accettazione della guerra come stato normale, e talvolta giusto, della storia segnava una concessione della Chiesa a favore degli interessi secolari, il crescente attivismo da parte dei vescovi finì in compenso per costituire una sorta di stato all’interno dello Stato. Le gerarchie ecclesiastiche rappresentavano un’organizzazione retta da un radicato senso della disciplina e animata da un profondo spirito di corpo59 e i canoni n. 7 e 8, sempre del concilio di Arles, rappresentano, sotto forma di decisione conciliare, quanto appena descritto. In essi è
53 “(…) il presupposto ideologico alla base della tetrarchia era indiscutibilmente teocratico.”, Marcone 2002, p. 174.
54 Cf. Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica, X, 5, 15-‐17.
55 Cf. C. Th., XVI, 2, 2; Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica, X, 7, 1-‐2.
56 Cf. H.A. Drake, Constantine and the Bishops. The Politics of Intolerance, Baltimore 2002. 57 Concilio di Arles (314), 3 (CCL 148, p. 9).
58 Cf. Tertulliano, De Corona; F. Cardini, Alle radici della cavalleria medievale, Firenze 1981, pp. 171-‐242. 59 Cf. A. Wardman, Religion and Statecraft among the Romans, Baltimore 1982, p. 148.
delineata la cosiddetta cura episcopi, cioè la tutela che i vescovi avevano il diritto di esercitare nei confronti dei fedeli chiamati a ricoprire cariche pubbliche. Più che di tutela sarebbe più opportuno parlare in questo caso di controllo, perché non solo i fedeli erano tenuti a informare della loro elezione il loro vescovo con una lettera, ma essi erano passibili di scomunica nel caso in cui avessero agito “contra disciplinam”60. I canoni di Arles furono emanati in un mondo ancora prevalentemente pagano e per questo la loro portata fu inizialmente limitata, ma, con la progressiva diffusione del Cristianesimo, il potere riservato ai vescovi assunse un peso determinante.
Questi concili ci restituiscono un’immagine nuova delle gerarchie ed anche dell’intera comunità cristiana. Agli inizi del IV secolo c’erano cristiani anche fra le fila dei ceti dirigenti cittadini così come fra i proprietari terrieri; era possibile, quindi, che proprietari cristiani avessero schiavi pagani alle proprie dipendenze. A loro era indirizzato il canone n. 41 del concilio di Elvira, che imponeva ai proprietari il dovere di estirpare l’idolatria fra gli schiavi, pena l’esclusione dalla Chiesa. Pagani e cristiani si trovavano spesso a occupare spazi contigui all’interno della città. Gli ufficiali cristiani erano costretti ad onorare, nell’esercizio delle cariche pubbliche, quegli usi pagani che ancora innervavano l’amministrazione civile dell’impero, ed erano per questo allontanati dalla Chiesa durante il loro mandato61. Si
trattava, tuttavia, di scomuniche “a tempo”, che dimostrano quanto sia lontano il periodo delle persecuzioni e dello scontro frontale con lo Stato romano.
Tornando al piano della cosiddetta storia evenemenziale, mentre Costantino andava intensificando il numero e l’importanza dei simboli cristiani nel proprio messaggio politico, Licinio si muoveva in direzione opposta. Con il probabile scopo di differenziarsi dal collega d’Occidente, con il quale lo scontro era diventato ormai inevitabile, Licinio rimaneva ancorato ai dettami dell’editto di Milano ed anzi attuava una serie di provvedimenti in sintonia con la politica tetrarchica, al fine di affermare la centralità dello Stato e la rigida subordinazione ad esso della religione. In piena sintonia con questi ideali, Licinio decise di riutilizzare la denominazione di Iovius e di trasferire la propria sede a Nicomedia, già residenza di Diocleziano62. Se la politica conservatrice di Licinio incontrava il favore degli
60 Concilio di Arles (314), 7 (CCL 148, p. 10).
61 Cf. Concilio di Elvira (306 circa), 56; cf. S. Laeuchli, Power and Sexuality. The Emergence of Canon Law at the
Synod of Elvira, Philadelphia 1972.
62 R. Cristofoli, Religione e strumentalizzazione politica. Costantino e la propaganda contro Licinio, in R. Lizzi Testa, G. Bonamente (a c. di), Istituzioni, Carismi ed Esercizio del Potere, IV-‐VI Secolo d.C. Bari 2010, pp. 155-‐ 170.