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La posizione di garanzia del medico nei confronto del paziente

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Giorn. It. Ost. Gin. Vol. XXVII - n. 6 Giugno 2005

La posizione di garanzia del medico nei confronti del paziente

P.F. TROPEA

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È ben noto come l'attività medica dei nostri tempi, diversamente da quella che caratterizzava la medicina tradizionale, basata sull'atto individuale del singolo operatore, si avvalga del lavoro effettuato in équipe, soprattutto nell'ambito degli interventi chirurgici e della diagnostica strumentale.

Infatti l'esistenza di molte discipline specialistiche all'interno di una struttura sanitaria consente il coinvol-gimento di molti medici afferenti a differenti reparti clinici o servizi, con ciò venendo ad essere esaltata la pluridisciplinarietà nell'espletamento di prestazioni sanitarie particolarmente complesse.

È ovvio che, nel caso dell'attività chirurgica, esiste un capo-équipe individuabile nella figura dell'operato-re, il quale si assume la responsabilità diretta dell'inter-vento e risponde non solo della sua corretta esecuzio-ne, ma anche degli esiti dell'intervento stesso. Tuttavia è altrettanto intuibile che compiti squisitamente specia-listici, come quelli dell'anestesista, rimangono affidati alla responsabilità di quest'ultimo, esulando dalla com-petenza del chirurgo, il quale evidentemente non inter-ferisce in modo specifico nelle mansioni assegnate all'anestesista.

In tal modo viene ad essere attuato quel principio che in Giurisprudenza è noto come “principio dell'affi-damento”, in virtù del quale il capo dell'équipe affida ad altro sanitario le mansioni tecniche che di quest'ulti-mo sono proprie in quanto afferenti ad una diversa specialità, il che nella pratica si traduce nel confidare sulla professionalità e sulla competenza degli altri com-ponenti dell'équipe.

L'applicazione di tale principio tuttavia può dar luogo ad interpretazioni non univoche in quanto non è sempre facile stabilire con esattezza i limiti di respon-sabilità di ciascun componente dell'équipe e soprattut-to l'esclusione della colpa di chi ha affidasoprattut-to ad altro sanitario la responsabilità del caso di cui il primo

Medico si è fatto garante. Intendiamo riferirci all'affer-mazione di una responsabilità del Primario di una struttura il quale, secondo la Giurisprudenza corrente, pur non avendo personalmente preso parte alla gestio-ne clinica di un paziente ricoverato, affidato all'opera diretta di altri sanitari, può vedersi coinvolto nell'ambi-to di un procedimennell'ambi-to giudiziario sulla base di una ipo-tetica carenza di coordinamento nel servizio ospedalie-ro a lui attribuita. Peraltospedalie-ro un'interpretazione del gene-re contrasta apertamente con le norme attualmente in vigore che stabiliscono l'esistenza di precisi ambiti di autonomia e responsabilità dei medici operanti in una struttura sanitaria e, sia pure subordinatamente alle disposizioni ricevute da parte dei medici, del personale paramedico.

Tale affermazione ha ricevuto del tutto recente-mente un preciso riscontro in un tragico caso di cui si è occupata la stampa nazionale, nel quale la respon-sabilità della morte di un ricoverato sottoposto ad un trattamento con sostanze altamente tossiche erro-neamente somministrate, ha comportato l'afferma-zione della piena responsabilità del personale infer-mieristico, con contemporanea esclusione di qualsia-si profilo di colpa profesqualsia-sionale dei medici della stes-sa struttura.

Del resto è noto che la Giurisprudenza stabilisce oggi l'esistenza di una colpa professionale non solo dei medici ma anche (nell'ambito della disciplina ostetrica) dell'ostetrica a cui dall'attuale Ordinamento vengono affidate mansioni di controllo della gestante (interpre-tazione del tracciato cardiotocografico) fino ad oggi di competenza del ginecologo. Una conferma di tale assunto ci viene proprio dalla Corte di Cassazione che, in epoca recente (Maggio 2004), ha confermato la responsabilità dell'ostetrica per non aver individuato l'esistenza di una sofferenza fetale che la cardiotoco-grafia aveva evidenziato, il che ha condotto alla morte del feto.

Tuttavia, il principio dell'affidamento non deve costituire per il medico un comodo alibi utile a scarica-re su altri sanitari la scarica-responsabilità di un evento danno-so per il paziente. Infatti, in numerose pronunce, la Corte di Cassazione ha sottolineato che, ove sia

dimo-Ospedali Riuniti di Reggio Calabria Divisione di Ginecologia ed Ostetricia (Primario: P.F. Tropea)

Pervenuto in Redazione: Gennaio 2005 © Copyright 2005, CIC Edizioni Internazionali, Roma

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strata la condotta colposa di un medico che con il suo operato ha posto le premesse per il verificarsi di un evento dannoso, quest'ultimo non può essere ricon-dotto in via esclusiva alla condotta di altri sanitari suc-cedutisi all'opera del primo medico. In pratica, se “colui il quale si affida ad altro sanitario (secondo il principio dell'affidamento) sia già in colpa per aver violato determinate norme precauzionali o per aver omesso determinate condotte e ciò nonostante confidi che altri che gli succede nella stessa posizione di garan-zia elimini la violazione o ponga rimedio alla omissio-ne, non potrà invocare legittimamente l'affidamento nel comportamento altrui” (Cassazione Sez. IV, aprile 2003). Pertanto, in tal caso “se, anche per l'omissione del successore, si produca l'evento che una certa azione avrebbe dovuto o potuto impedire, l'evento stesso avrà due antecedenti causali, non potendo il secondo confi-gurarsi come fatto eccezionale sopravvenuto, suffi-ciente da solo a produrre l'evento (Cassazione Sez. IV, ottobre 1998).

Tale interpretazione nell'applicazione del principio dell'affidamento ha trovato autorevole riscontro in una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione (Sez. IV n. 4739, marzo 2005) nella quale viene affermato che il medico che ha affidato al personale infermieristi-co il infermieristi-controllo post-operatorio di un paziente, era già da considerare titolare di una colpa professionale in quanto non aveva informato gli infermieri del rischio che il caso presentava, il che avrebbe comportato l'ado-zione di particolari accorgimenti nello specifico caso.

Strettamente connessa a quanto sopra accennato, risulta altresì la definizione del rapporto che si instaura tra medico e paziente nel momento in cui quest'ultimo affida al sanitario la propria salute richiedendo a suo favore una prestazione sanitaria. Infatti, nell'instaurarsi di tale rapporto, il medico assume una “posizione di garanzia” che, a parere dei giudici, è espressione del-l'obbligo di solidarietà previsto dalla Costituzione agli art. 2 e 32 (Cassazione Sez. IV n. 4638, marzo 2000). Questa posizione di garanzia viene trasmessa al

perso-nale sanitario che il responsabile del trattamento medi-co che ha assunto l'onere della prestazione ritenga ido-neo, ma proprio nell'atto del trasferimento di tale com-pito, il capo-équipe si assume la responsabilità di una scelta del personale adeguato al compito affidatogli (eventuale culpa in eligendo).

Comunque, la posizione di garanzia assunta dal medico nei riguardi del paziente, obbliga il sanitario ad effettuare una prestazione che non si limiti alla sempli-ce e corretta esecuzione di un intervento chirurgico, ma che si estende alla sorveglianza del decorso post-operatorio e all'affidamento dell'assistenza successiva all'intervento a personale qualificato.

La pronuncia della Cassazione cui facciamo riferi-mento nella presente nota, si sofferma ad analizzare anche i compiti organizzativi che incombono al capo dell'équipe operatoria quale titolare della posizione di garanzia, nel senso che viene addebitata all'imprudenza del chirurgo l'effettuazione di un intervento particolar-mente impegnativo nel tardo pomeriggio, cioè in una fase della giornata in cui, per comune esperienza, il per-sonale medico e paramedico può far fronte alle emer-genze con minore tempestività ed efficienza rispetto alle altre ore della giornata.

In pratica si conferma in pieno quanto in preceden-za affermato dalla Suprema Corte in altra circostanpreceden-za (Cassazione Civ., Sez. III, n. 3492, marzo 2002) circa l'obbligo del chirurgo di seguire personalmente il decorso post-operatorio del paziente da lui operato, controllando la corretta esecuzione delle indicazioni terapeutiche stabilite ed il regolare andamento dei parametri vitali relativi al paziente stesso.

Le autorevoli pronunce giurisprudenziali che abbiamo commentato nella presente nota debbono valere di monito per gli operatori sanitari che, facendo leva con orgogliosa sicurezza sulle proprie capacità tec-niche, ritengono felicemente concluso il proprio com-pito assistenziale con l'esecuzione dell'intervento chi-rurgico, senza avvertire la necessità di assistere il paziente anche in fase post-operatoria.

P.F.Tropea

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