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Consulenza rianimatoria in Pronto Soccorso: valutazione della capacità di indirizzo del percorso clinico

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Academic year: 2021

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PREFAZIONE...3

CAPITOLO 1 ...5

L’EMERGENZA SANITARIA E L’ORGANIZZAZIONE STRUTTURALE-FUNZIONALE DI UN PRONTO SOCCORSO...5

Il concetto di “emergenza” ...5

Criteri organizzativi delle emergenze e delle urgenze in campo sanitario ...7

Gli standard dei servizi di pronto soccorso in Italia: il Pronto Soccorso di base ...12

CAPITOLO 2 ...14

IL TRIAGE...14

Introduzione...14

Storia...14

Obiettivi del Triage...15

Il processo di Triage ...15

Valutazione sulla porta ...16

Raccolta dati ...19

Modalità di comportamento per applicazione dei codici di gravità ...25

Definizione dei codici...26

Parametri vitali ...29

CAPITOLO 3 ...31

LINEE GUIDA PER IL RICOVERO IN TERAPIA INTENSIVA...31

Introduzione...31

La salute del paziente ...33

Le cure di fine vita e l’Anestesista Rianimatore: raccomandazioni SIAARTI ...35

CAPITOLO 4 ...40

VALUTAZIONE DEL PAZIENTE CRITICO: SCORES DI GRAVITÀ...40

Introduzione...40

Valutazione clinica dei parametri ...40

Gli SDI: storia ed evoluzione ...42

Usi ed abusi ...47

Gli svantaggi...49

Conclusioni...50

CAPITOLO 5 ...51

L’INCERTEZZA DEGLI SCORES DI VALUTAZIONE...51

Introduzione...51

I modelli matematici e la predizione dell’outcome ...52

La selezione dei pazienti e la predizione dell’outcome...53

Gli scores di gravità e le loro limitazioni pratiche...54

La raccolta dati ...55

L’adattamento, la convalidazione, l’accuratezza e i concetti di calibrazione e di discriminazione...56

Le valutazioni della disfunzione organica ...59

Inutilità medica ...60

Conclusioni...61

CAPITOLO 6 ...62

IL SAPS III: DALLA VALUTAZIONE DEL PAZIENTE ALLA VALUTAZIONE DELL’UNITÀ DI TERAPIA INTENSIVA...62

Introduzione...62

Materiali, metodi e raccolta dati ...64

Discussione...69

Lo sviluppo di un modello prognostico al momento dell’ammissione in UTI...73

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Conclusioni...78

OBIETTIVI ...83

MATERIALE...84

ANALISI DEI DATI...93

RISULTATI ...93

CONCLUSIONI ...102

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PREFAZIONE

In Pronto Soccorso giungono pazienti critici, con compromissione delle funzioni vitali, e pazienti stabili, senza alterazioni dei parametri vitali. I pazienti che giungono al DEU,siano essi critici o stabili, vengono valutati all’ingresso e viene attribuito un codice colore (rosso,giallo,verde o bianco) in base alla gravità della condizione clinica. Grazie a questa tecnica definita Triage, viene data la priorità ai pazienti gravi, che non possono attendere, mentre i pazienti meno gravi e senza alterazioni dei parametri vitali, devono attendere la disponibilità dello staff medico-infermieristico impegnato ad assistere pazienti più gravi.. Inoltre, sempre con il metodo del Triage, si può assicurare una valutazione continua dei parametri vitali dei pazienti in attesa così da intervenire in caso di un peggioramento delle condizioni. Quindi, si può dire, che il paziente, anche se in sala d’attesa, è comunque sempre sotto controllo.

L’organizzazione funzionale di un Pronto Soccorso prevede che, all’arrivo di un paziente, venga richiesta una consulenza specialistica in base al problema clinico: se, per esempio, il paziente si reca al PS per un dolore toracico insorto improvvisamente, i medici del DEU richiederanno la consulenza cardiologia, come d’altronde, se il paziente presenta un’occlusione intestinale,verrà richiesta quella chirurgica. Per quanto riguarda la consulenza rianimatoria, che è l’oggetto di studio di questa tesi, questa, non viene richiesta seguendo dei protocolli scritti specifici ma i medici DEU la richiedono ogni qualvolta la ritengano opportuna; nell’anno 2006,al PS dell ‘ospedale Santa Chiara di Pisa, la consulenza rianimatoria è stata richiesta per un totale di 233 pazienti. I casi che hanno richiesto la consulenza sono stati i più disparati: dalle condizioni più gravi come, ad esempio, arresti-cardiocircolatori, politraumi, stati di coma cerebrale e di shock a quelle meno gravi come

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sedazione per pazienti da sottoporre a esami strumentali quali TAC, RMN, terapia iperbarica per malattia da decompressione, ricerca di accessi venosi, posizionamento di CVC, controllo del dolore.

Inoltre la consulenza è stata richiesta anche per valutare la necessità di ricoverare o meno il paziente in Terapia Intensiva: il rianimatore, basandosi sull’età, sulla presenza di eventuali importanti co-morbidità, sulla diagnosi di ammissione in PS e sulle alterazioni di parametri vitali, deve essere in grado di capire se il ricovero in ambiente intensivo, possa davvero portare dei benefici al paziente stesso oppure se, essendo troppo grave, sarebbe un ricovero dispendioso da parte del sistema sanitario e inutile per il paziente stesso e deve saper valutare se il paziente è in condizioni tali da non richiedere il supporto intensivo in quanto i suoi parametri sono stabili .

La valutazione globale del paziente da parte del medico può essere anche supportata dagli “scores” di gravità che forniscono una “misura”della gravità del paziente basandosi su diverse variabili fisiologiche e cliniche e che in generale si sono rilevati utili per la ricerca clinica, per il confronto tra malati in esame e malati del sistema di controllo, per il confronto tra la mortalità predetta e osservata ma anche per la verifica della qualità delle cure prestate.

In particolare, in questa tesi è stato preso in esame il Saps III dei pazienti esaminati ; nel caso di un paziente ricoverato in un reparto ordinario perché ritenuto, inizialmente, in condizioni stabili e che poi invece è andato incontro a exitus, il valore del Saps III sarebbe stato di ausilio? Avrebbe cioè permesso di non commettere un errore di giudizio clinico e, di conseguenza, di indirizzare adeguatamente il percorso clinico?

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CAPITOLO 1

L’EMERGENZA SANITARIA E L’ORGANIZZAZIONE

STRUTTURALE-FUNZIONALE DI UN PRONTO SOCCORSO

Il concetto di “emergenza”

L’emergenza sanitaria rappresenta una situazione clinica nella quale i soggetti coinvolti rischiano di perdere la vita o una funzione d’organo in tempi estremamente brevi.

Una situazione di emergenza medica impone, quindi , la necessità di effettuare un intervento di soccorso che sia estremamente veloce e metodologicamente adeguato e che può essere tale solo se programmato e preparato in modo opportuno.

La velocità dell’intervento è indispensabile al fine di ridurre al massimo possibile il tempo che intercorre tra l’insorgenza di un evento e il soccorso;l’appropriatezza metodologica dell’intervento è indispensabile al fine sia di raggiungere l’obiettivo finale di un soccorso sia di non vanificare l’utilizzo integrato di tutte le risorse umane, professionali e tecnologiche. In risposta a tali complesse esigenze, anche in Italia è stato realizzato un Macrosistema

integrato per la gestione dell’Emergenza Sanitaria, previsto dal Sistema Sanitario Nazionale, la cui concezione è ispirata alle esperienze nazionali e straniere. Questo Sistema

risponde a una complessa organizzazione , cui si accede gratuitamente attraverso il numero telefonico “118”.

Il Sistema ha il suo fulcro in una Centrale Operativa la quale attiva immediatamente la prima risposta sanitaria sul territorio ad una situazione di emergenza.

In questo modo è possibile realizzare una perfetta integrazione tra assistenza territoriale ed assistenza ospedaliera nelle sue diverse articolazioni.

Il Macrosistema di Gestione dell’Emergenza Sanitaria si compone , schematicamente , delle seguenti componenti funzionali:

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 CENTRALI OPERATIVE: queste strutture sono in grado di disciplinare le molteplici modalità di soccorso sul territorio in risposta a qualsiasi tipologia di chiamata e di coordinare l’azione delle varie strutture sanitarie esistenti sul territorio ogni qualvolta esse siano coinvolte nella gestione di una situazione di emergenza medica. La Centrale Operativa rappresenta quindi il “ cervello “ del sistema di risposta ad una emergenza sanitaria ed articola la fase extraospedaliera ( intervento sulla scena della emergeànza e trasporto del paziente ) con la fase ospedaliera del soccorso.

 UNITA’ MOBILI DI SOCCORSO DI BASE E AVANZATO: rappresentano il braccio operativo della Centrale, e sono costituite da mezzi su gomma come le ambulanze e le automediche e da mezzi di soccorso rapido speciali come le eliambulanze.

 PUNTI DI PRIMO INTERVENTO: fissi o mobili, situati in aree decentrate del territorio.

 PRONTO SOCCORSO ATTIVI: localizzati in sedi ospedaliere specifiche, di minore impegno organizzativo.

 I DIPARTIMENTI DI EMERGENZA DI I° e II° LIVELLO: specifiche strutture ospedaliere attrezzate per gestire in ambito multidisciplinare, ad alto livello qualitativo, qualsiasi problematica medico-chirurgica propria dell’emergenza sanitaria. Alla sede ospedaliera compete:

• completa stabilizzazione del paziente critico attraverso l’impiego integrato di tutti i mezzi, le risorse terapeutiche e diagnostiche ed i moduli funzionali necessari che

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costituiscono “ l’area critica”: Pronto Soccorso-Medicina e Chirurgia di

Accettazione e di Urgenza, Sale Operatorie, Unità di Terapia Intensiva, Diagnostica per Immagini, Centro Trasfusionale, Laboratorio Analisi;

• la cura definitiva del paziente, nell’ambito della specialità nosologicamente competente.

Criteri organizzativi delle emergenze e delle urgenze in campo sanitario

Come termine adatto ad indicare l’insieme di strutture, mezzi e personale designati ad intervenire sul malato acuto, si utilizza quello di Dipartimento di Emergenza e Urgenza ,che viene indicato con la sigla D.E.U. o quello di Dipartimento di Emergenza e

Accettazione, indicato con la sigla D.E.A.

Per “dipartimento” si intende un modello organizzativo di funzioni ospedaliere ed extra-ospedaliere che hanno come scopo il trattamento delle urgenze e delle emergenze sanitarie nel territorio di competenza; il dipartimento si costituisce su schemi operativi di interdisciplinarietà fra le attività medico-chirurgiche di base e quelle attività specialistiche coinvolte per frequenza e continuità nelle problematiche del soccorso urgente.

Compiti del DEU

Il DEU ha compiti di assistenza, di didattica e di ricerca. Le situazioni che richiedono interventi sanitari adeguati possono essere individuate:

- Emergenze o urgenze indifferibili ( 2-5% ) - Urgenze differibili ( 30-60% )

- Non urgenze o pseudourgenze o urgenze soggettive ( 40-70%) Quindi saranno compiti del DEU:

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- Diagnosi e trattamento delle urgenze pertinenti - Ricovero mirato dei pazienti urgenti

- Trattamento sintomatico delle urgenze soggettive

Fasi dell’emergenza e dell’urgenza

L’organizzazione dell’Emergenza e dell’Urgenza in campo sanitario, si articola in due fasi: 1) Fase extra ospedaliera

2) Fase ospedaliera

La fase extra ospedaliera inizia attraverso il numero unico di chiamata telefonica dell’emergenza 118 oppure attraverso l’accesso diretto ai Centri Operativi di Servizio.

Alla fase extra ospedaliera appartengono diverse strutture:

a) Centri Operativi di Servizio

Sono strutture che hanno la possibilità di assicurare la prima assistenza e l’azione di filtro; sono collegate funzionalmente con la centrale operativa.

b) Servizio di primo soccorso e trasporto pazienti urgenti

E’ costituto dall’insieme dei mezzi e del personale che permette il trasporto semplice od assistito dalla sede di insorgenza dell’emergenza alle strutture del DEU più competente per la patologia in atto.

c) Enti od istituzioni collegati a particolari emergenze - Protezione civile

- CRI

- Vigili del fuoco - Carabinieri

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- Forze armate - Polizia

La fase extra ospedaliera prevede, in base a specifiche indicazioni della programmazione regionale, il collegamento con associazioni di volontariato.

I medici della fase extra ospedaliera sono coinvolti in diversi compiti: - Attività nelle sottostazioni di servizio

- Attività nel servizio di trasporto di pazienti infermi - Attività di coordinamento dell’emergenza territoriale - Attività presso la centrale operativa

- Attività di primo soccorso “intramoenia” presso ospedali sede di DEU

La fase ospedaliera si articola secondo tre livelli diversi di organizzazione della struttura ospedaliera:

- Ospedali senza DEU

- Ospedali con DEU di primo livello - Ospedali con DEU di secondo livello

La giusta destinazione del paziente in emergenza o in urgenza, articolata nelle tre fasi ospedaliere prima indicate, deve avvenire secondo criteri ( protocolli e “scoring” ) in rapporto alla situazione critica del paziente finalizzata al livello di competenza del DEU.

Per quanto riguarda gli ospedali senza DEU, questi devono garantire: • prestazioni diagnostiche e terapeutiche di prima istanza

• efficienti collegamenti con il servizio di Emergenza Territoriale • trasporto protetto verso i DEU di riferimento

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Per quanto riguarda gli ospedali con DEU di primo livello, questi sono caratterizzati dalla capacità di risposta poli-specialistica, con servizi di base e servizi specialistici intermedi (ortopedia e traumatologia, neurologia, urologia, otorinolaringoiatria, cardiologia, psichiatria….).

I DEU di primo livello hanno il compito di coordinamento dell’emergenza e delle urgenze sul loro bacini d’utenza, compresi gli ospedali senza DEU che si trovano nel territorio di loro competenza.

Negli ospedali sede di DEU di primo livello, le attività di Pronto Soccorso sono espletate da un organico medico autonomo del servizio di Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso.

Gli organici di Chirurgia Generale, di Anestesia e Rianimazione e delle U.O. specialistiche che fanno parte del DEU, devono essere adeguati ai fini di garantire tempestivamente ed in qualsiasi momento la loro prestazione professionale nell’area di Pronto Soccorso, secondo indicazioni di carattere clinico-statistico.

Nei DEU di primo livello, alle attività di soccorso collaborano i medici dell’emergenza territoriale e vi afferiscono, in caso di bisogno, tutte le competenze specialistiche dell’ospedale.

La strutturazione logistica e strumentale deve essere adeguata alle finalità del dipartimento e gli elementi essenziali sono:

• servizi di Diagnostica Strumentale • servizi di laboratorio

• Centro Trasfusionale

• idoneo numero di posti letto per l’osservazione e il trattamento indifferibile.

Per quanto riguarda i DEU di secondo livello, questi sono caratterizzati dalla competenza multi-disciplinare ed in particolare dalla presenza delle alte specializzazioni come

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neurochirurgia, chirurgia toracica, cardiochirurgia, chirurgia vascolare, chirurgia maxillo-facciale, dialisi, centro ustionati….

Sono identificabili negli ospedali multizonali, comprensoriali, tutti quelli sede di Facoltà di Medicina e Chirurgia.

Oltre ai compiti istituzionali, i DEU di secondo livello dovranno presiedere a : • coordinamento sui propri bacini d’utenza

• collegamento funzionale con i DEU di primo livello per le competenze delle alte specializzazioni

• valutazione e raccolta per le donazioni d’organo • didattica e ricerca

• raccolta dati per valutazione di qualità

Nei DEU di secondo livello sono nuclei portanti le Unità Operative di:

Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso, Chirurgia d’Urgenza, Anestesia e Rianimazione. E’ indispensabile la presenza di una struttura ed un organico di Anestesia e Rianimazione nello stesso edificio del Pronto Soccorso per assicurare, tempestivamente, una competenza specialistica

Ai tre organici sopra menzionati compete l’organizzazione e l’espletamento delle funzioni di Pronto Soccorso già previste per gli ospedali senza DEU, oltre quelle proprie del DEU di primo livello; è indispensabile che la strutturazione logistica e strumentale sia adeguata alle finalità che sono previste per il DEU di secondo livello, per cui sono elementi essenziali gli stessi dei DEU di primo livello.

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Gli standard dei servizi di pronto soccorso in Italia: il Pronto Soccorso di base

I servizi di Pronto Soccorso sono il fulcro dell’emergenza sanitaria e ad esso si recano ogni anno 25-30 milioni di persone in Italia.

Il Pronto Soccorso è:

• presidio di diagnosi, cura e coordinamento

• risorsa specialistica di rapido accesso che nell’emergenza diventa polispecialistica • esercita come accettazione sanitaria la selezione sulle patologie da trattare in ambiente

protetto o da riaffilare alla medicina di base

• è un servizio che deve restare in pre-allarme continuo, quindi deve essere dotato di risorse compatibili con la necessità di far fronte alle varie richieste.

L’istituzione dei Dipartimenti di Emergenza è prevista negli ospedali che possiedono adeguate strutture diagnostiche e terapeutiche; nei DEU il servizio di Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso deve essere dotato di un numero di posti letto pari al 3% del totale e di questi, almeno il 20%, deve essere dotato di apparecchi di monitoraggio dei parametri vitali per i pazienti critici e per i trattamenti indifferibili.

Nei DEU di primo livello si prevede:

• Medici: organico autonomo di Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso

• Infermieri Professionali: devono garantire adeguata presenza sia nelle sale visita che in degenza

• Ausiliari socio-sanitari

Funzioni essenziali del servizio di Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso 24h/24: • triage degli accessi esterni

• sorveglianza dei pazienti in attesa di decisione (filtro) • funzione di accettazione finalizzata alle urgenze

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• dimissione diretta entro le 24-72h dei pazienti con patologia di rapida risoluzione • trasferimento nelle divisioni di degenza medico-chirurgiche o nelle terapie intensive • compiti di didattica e di aggiornamento per il personale in formazione

• partecipazione a corsi di aggiornamento e formazione obbligatori con cadenza annuale.

Nei DEU di secondo livello, il servizio di Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso, riassume tutte le competenze riportate sopra, e in particolare, se è prevista la presenza della Divisione di Chirurgia d’Urgenza, si avvale della collaborazione dei medici appartenenti a varie divisioni come Anestesia e Rianimazione, UTIC, Traumatologia, Centro Ustionati, Unità Spinale…..

Per quanto riguarda il personale medico di DEU di secondo livello, questo è composto da: personale medico che fa parte dell’ organico autonomo coordinato da un Primario con compiti di Pronto Soccorso, Accettazione-filtro ed Osservazione e trattamento dei degenti dell’area. I medici sono formati alle esecuzioni delle manovre di rianimazione cardio-respiratoria ed all’assistenza in urgenza chirurgo-traumatologica, coadiuvati dagli specialisti.

E’ prevista la presenza obbligatoria e continua nell’ospedale dei seguenti specialisti:

Anestesista-Rianimatore, Chirurgo, Ortopedico-Traumatologo, Cardiologo, Radiologo, Laboratorista, Pediatra, Ginecologo. Altri specialisti sono funzionalmente integrati nell’area. I servizi diagnostici devono assicurare la loro disponibilità 24 ore su 24.

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CAPITOLO 2

IL TRIAGE

Introduzione

Il Triage è una metodica che permette di identificare in Pronto Soccorso ( PS ) le priorità dei pazienti che hanno bisogno di un intervento immediato e quindi distinguerli, da quelli che possono attendere, in quanto la loro patologia non comporta un rischio di vita .La possibilità di poter selezionare in P.S. gli utenti che vi affluiscono attribuendo una priorità di accesso in base alla gravità, permette di offrire un miglior servizio sia per il cittadino che per l'operatore sanitario; ciò allo scopo di ridurre il sovraffollamento del P.S. dando priorità alla gravità della patologia.

In Italia un cittadino su due si rivolge al P.S. almeno una volta all'anno e, per il futuro, si prevede un ulteriore aumento dell'incidenza.

L'introduzione della funzione di Triage operata alla porta in P.S. da Infermieri Professionali, non è la sola risposta al problema del sovraffollamento, ma può contribuire a mantenere l'efficienza di queste strutture a fronte di un sovraccarico di lavoro causato dall'eccessiva richiesta dell'utenza.

Storia

L'origine del termine Triage è francese, la sua radice linguistica è il verbo "trier" che significa raccogliere, scegliere, selezionare, da cui trierer significa " colui che sceglie".

Nell'uso inglese la parola Triage significa " assortire secondo la qualità".

Dalla sua origine d'Oltralpe ha avuto un'applicazione internazionale con un sviluppo piuttosto casuale arrivando anche in Italia.

Nonostante la connessione recente con la terminologia propria dei Dipartimenti di Emergenza, il triage ha una lunga storia.

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Nel contesto sanitario si pensa che abbia avuto origine dall'esigenza di classificare i feriti sui campi di battaglia e l'invenzione della tecnica del triage viene comunemente attribuita al francese Dominique Larrey, capo chirurgo della Guardia Imperiale di Napoleone che ne elaborò le prime regole e fu il primo ad utilizzare questo termine con il significato moderno. Sempre durante l'attività militare francese la parola triage fu usata nel contesto di "Hospital de Triage" ovvero ospedale di smistamento. I due conflitti mondiali hanno portato a un perfezionamento del triage fino a introdurlo nella corrente organizzazione dell'emergenza civile come terremoti, alluvioni, catastrofi e qualsiasi situazione dove vi possano essere un numero elevato di feriti.

Obiettivi del Triage

Gli obiettivi che si prefigge la funzione di triage in Pronto Soccorso sono: • Assicurare una immediata assistenza al paziente che giunge in emergenza;

• Codificare i casi non urgenti in base alla tecnica adottata dalla struttura ( codici, sigle); • Indirizzare i pazienti ad ambulatori di competenza specialistica ( oculista, otorino…); • Ridurre i tempi di attesa;

• Lenire lo stato di sofferenza del paziente e dei parenti, mediante un intervento sollecito e professionalmente qualificato, migliorando nel contempo, anche il livello di soddisfazione dell'utente.

Il processo di Triage

Il Triage è alla base del processo di nursing e del processo decisionale; il processo di nursing è impostato su 4 punti fondamentali:

1. Raccolta dei dati 2. Pianificazione 3. Attuazione 4. Valutazione

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Il Triage è un insieme molto complesso ed articolato di attività che hanno come fine ultimo quello di attribuire il codice di gravità ( decisione di triage ) per ogni utente che accede al Pronto Soccorso, identificando immediatamente i pazienti in pericolo di vita. Se la pianificazione e gli interventi sono basati su dati non esatti o mal interpretati, o addirittura incompleti, vi possono essere risultati a rischio per il paziente.

Per ridurre la morbilità e la mortalità, è essenziale che tutti i pazienti siano valutati da un Infermiere Professionale appositamente formato riguardo segni e sintomi o condizioni pericolose per la vita e che sia in grado di effettuare con competenza e rapidità un'efficace valutazione.

Il processo di Triage è utilizzato per definire le priorità e i bisogni di assistenza in emergenza; processo si compone pertanto di aspetti di metodo scientifico, ragionamento diagnostico e riflessione critica, così come di stile personale ed esperienza pratica.

Questa valutazione di un paziente giunto in Pronto Soccorso, è basata sulla storia dell'evento e sulle condizioni cliniche del paziente stesso.

Come prima accennato, le componenti principali della funzione di Triage sono sovrapponibili al problem solving:

1. valutazione " sulla porta" 2. raccolta dati

3. decisione di triage 4. rivalutazione

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Il Triage comincia quando si osserva il paziente entrare in Pronto Soccorso e si basa sulla prima valutazione dell'aspetto generale per cercare problemi che richiedano interventi immediati.

La valutazione rapida comprende:  A = pervietà delle vie aeree  B = respiro

 C = circolo

 D = deficit neurologici o alterazioni dello stato di coscienza

I parametri indicati in A,B e C sono considerati " VITALI " e la loro compromissione mette in pericolo immediato di vita e richiede un soccorso tempestivo.

Questa scala in letteratura è conosciuta anche come " l' A-B-C-D della valutazione sulla porta"; infatti deriva dalla terminologia anglosassone dove:

A = sta per Airway, cioè vie aeree; B = sta per Breathing, cioè respirazione; C = sta per Circulation, cioè circolazione; D = sta per Disability, cioè deficit neurologici.

Quindi l'obiettivo del Triage sulla porta è ovviamente quello di identificare i pazienti che accedono al Pronto Soccorso in pericolo di vita, farsi un'idea generale delle condizioni e ottenere quelle informazioni necessarie a mirare il processo di triage rispetto al flusso di pazienti.

Gli elementi raccolti attraverso la tecnica di triage " sulla porta " che possono indicare un'emergenza sono:

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• Rumori respiratori anormali ( stridori, sibili) • Difficoltà nel parlare

• Salivazione eccessiva o difficoltà a controllare le secrezioni

 B: respiro

• Segni cutanei alterati ( cianosi, pallore ) • Tachipnea, bradipnea o periodi di apnea

• Utilizzo dei muscoli accessori alla respirazione • Sibili udibili

 C: circolo

• Segni cutanei alterati ( pallore, rossore, presenza di chiazze ) • Evidente emorragia incontrollabile

 D: deficit neurologici o alterazioni dello stato di coscienza • Alterazioni dello stato di coscienza

• Diminuita capacità di interazione con l'ambiente • Incapacità di riconoscere i familiari

• Irritabilità insolita

• Diminuita risposta agli stimoli o al dolore • Tono muscolare flaccido o iperattivo

Le valutazioni rilevate nella valutazione primaria o nella valutazione sulla porta possono essere pericolose per la vita. Se si rilevano anormalità bisogna procedere immediatamente ad un'ulteriore e più approfondita valutazione o agire subito.

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Raccolta dati

VALUTAZIONE SOGGETTI VA

Dopo la valutazione " sulla porta " comincia la raccolta dei dati soggettivi ed oggettivi e anche se molti elementi sono in realtà attuati simultaneamente, verranno esposti in dettaglio separatamente per un migliore comprensione.

La valutazione soggettiva viene effettuata attraverso lo strumento dell'intervista al fine di determinare:

• Sintomo principale • Evento presente • Dolore

• Sintomi associati • Storia medica passata

SINTOMO PRINCIPALE

Il sintomo principale è il problema di salute dominante che ha indotto il paziente a rivolgersi al Pronto Soccorso: si tratta di una dichiarazione molto breve che descrive il motivo per cui si è richiesta una visita d'urgenza.

L'obiettivo è quello di raccogliere la storia dell'evento in modo più chiaro possibile e questo comincia con l'individuazione del sintomo principale.

L'esplicitazione del sintomo principale è di fondamentale importanza in quanto consente di mirare il seguito dell'intervista e la successiva valutazione oggettiva ad un più specifico ambito.

E' necessario individuare nel paziente con diversi problemi quello principale o il più urgente per cui è necessaria una visita e, anche se il sintomo principale è vago e apparentemente insignificante, non si deve escludere una possibile emergenza fino a che la valutazione non è completata.

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Le informazioni soggettive da raccogliere devono comprendere un minimo standard con analisi della sintomatologia:

• Circostanze dell'evento e ora di insorgenza dei sintomi • Dislocazione del problema

• Descrizione del problema ( natura, caratteristiche, gravità ed effetti sul paziente) • Meccanismo del trauma

• Progressione dei sintomi dall'insorgenza all'arrivo in Pronto Soccorso

• Trattamento effettuato prima dell'arrivo in Pronto Soccorso e risposta verificatasi

Uno dei sintomi più frequenti per cui la popolazione si reca al Prono Soccorso è il dolore di cui è fondamentale indagare forma , localizzazione, irradiazione, tempo d'insorgenza e presenza di sintomi associati.

Questi elementi sono importanti per la decisione di triage. Il dolore può inoltre mascherare altri importanti sintomi e distogliere l'attenzione del paziente da altri importanti eventi.

Alcuni pazienti possono presentare una maggiore tolleranza o una diminuita percezione del dolore come ad esempio nei pazienti con alterazione dello stato di coscienza in seguito ad abuso di alcool o sostanze stupefacenti.

Il riconoscimento del dolore attraverso la valutazione è fondamentale per costruire un rapporto di fiducia tra paziente e staff del Pronto Soccorso.

SINTOMI ASSOCIATI

Nel Triage è fondamentale raccogliere l'eventuale presenza di sintomi associati al sintomo principale in quanto ci possono indirizzare verso una corretta diagnosi; altri dati importanti, secondo le circostanze, da raccogliere sono:

• Ultima mestruazione

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• Eventuale terapia assunta • Allergie a farmaci

Una anamnesi accurata con una precisa valutazione diminuisce il margine di errore ed è un ottimo aiuto per l’I.P. e per il Medico di sala visita che accolgono il paziente dopo il triage.

VALUTAZIONE OGGETTIVA

La valutazione oggettiva si compone dell’esame fisico e della documentazione. Consiste in dati osservati ( es. come appare il paziente), in dati misurati ( es. parametri vitali ) e dati ricercati ( es. esame localizzato) L’I.P. di triage deve valutare ed assegnare un codice di gravità ad ogni paziente in un tempo molto limitato e a tal proposito occorre ricordare alcuni principi generali:

• cercare sempre di visualizzare direttamente l’area corporea interessata dal sintomo principale

• verificare bilateralmente gli elementi rilevanti nella valutazione e comparare con i range di normalità o con i valori base del paziente.

• nel caso di valore dubbio rivolgersi al paziente per chiedere se il valore riscontrato rientra nella sua normalità.

La raccolta dati della valutazione oggettiva,deve partire prima dal distretto corporeo interessato dal sintomo principale ed in seguito estendersi agli altri.

Rilevazione dei parametri vitali

Una valutazione facile che può essere attuata immediatamente è la palpazione del polso radiale:

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• si instaura un contatto con il paziente e questo è molto importante perché in questa maniera l’utente si sente preso in considerazione come “persona”.

L’esame fisico comincia sempre con una rapida valutazione dell’ ABCD che, nell’area di triade, è più dettagliata di quella “sulla porta”.

La valutazione “sulla porta” è principalmente visiva, mentre la oggettiva comprende anche l’esame fisico più accurato con l’indagine dei segni specifici come, ad esempio, lo scoprire il torace per osservare i movimenti della gabbia toracica.

Alla valutazione oggettiva gli elementi che possono indicare un’emergenza o un’urgenza sono:

A= vie aeree  rumori respiratori anormali ( stridori,sibili )  decubito preferito anormale

 impossibilità al parlare

 scialorrea o difficoltà nell’eliminazione delle secrezioni  disfagia

 dinamica respiratoria anormale

B= respiro  cute fredda,sudata,cianotica o scura

 tachipnea,bradipnea o periodi di apnea

 utilizzo dei muscoli accessori della respirazione  suoni respiratori diminuiti o assenti

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C= circolo

 tachicardia,bradicardia,assenza o irregolarità del polso  cute fredda o calda,pallida,marezzata,arrossata

 ritardo del riempimento capillare  polso flebile

 ipotensione

 emorragia evidente

D= deficit neurologici  alterato livello di coscienza

 basso punteggio della scala di Glasgow GCS  diminuità capacità di interazione con l’ambiente  incapacità di riconoscere i familiari

 irritabilità insolita

 diminuita risposta allo stimolo doloroso  tono muscolare flaccido o iperattivo

 pupille anisocoriche,non reattive o deformi.

La Glasgow Coma Scale può essere ottimamente utilizzata come elemento predittivo sui traumi, ma i parametri di cui si compone sono estremamente utili anche per valutare lo stato neurologico dei pazienti non traumatizzati.

DECISIONE DI TRIAGE

Il terzo punto del processo di triage è la decisione del codice da applicare al paziente che ne determina la gravità.

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L’applicazione del codice di gravità non è definitiva, ma come si vedrà in seguito sarà soggetta ad una valutazione e quindi può variare in qualunque momento: infatti l’ Infermiere di triade può determinare appunto in qualsiasi momento se il paziente necessita di cure immediate e, a questo punto, il restante processo di valutazione viene sospeso e si deve provvedere a trasferire immediatamente il paziente nelle sale da visita.

RIVALUTAZIONE

Ultimo punto, ma non meno importante del processo di triage, è la rivalutazione del paziente. Infatti ,dopo la decisione di triage, la maggior parte dei pazienti viene indirizzata alla Sala Attesa dove i tempi di attesa per la visita possono essere anche molto lunghi.

Per evitare “aggravamenti” durante l’attesa, i pazienti debbono essere rivalutati ad intervalli predefiniti o in relazione al codice di gravità assegnato o relativamente alle condizioni di salute o alla patologia presente.

Durante la rivalutazione occorre vedere se si sono verificati cambiamenti per ogni sintomo significativo verso un miglioramento o un peggioramento tali da modificare il codice di gravità.

Quindi le condizioni dei pazienti possono mutare in meglio o in peggio. Il processo di rivalutazione è essenziale per mantenere un adeguato codice di gravità ai pazienti che sono in attesa.

La rivalutazione è un processo altamente elastico che può comprendere la ripetizione del rilievo dei parametri vitali e dell’esame oggettivo così come una veloce intervista rispetto ad eventuali cambiamenti.

I tempi orientativi, salvo un peggioramento , per la rivalutazione sono: • Codice Rosso → Ingresso immediato alle sale visita

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• Codice Verde → Rivalutazione ogni 30/60 minuti • Codice Bianco → Rivalutazione a richiesta

Modalità di comportamento per applicazione dei codici di gravità

I codici usati per il triage sono:

 Codice a sigle  Codice a numeri  Codice colore

Il codice a sigle è così definito: • Estrema Urgenza ( EU ) • Urgenza Primaria ( UP ) • Urgenza Secondaria ( US) • Nessuna Urgenza ( NU )

Il codice a numero è così definito: • Codice 3: Estrema urgenza • Codice 2: Urgenza primaria • Codice 1: Urgenza secondaria • Codice 0: Nessuna urgenza.

Infine, il codice colore è così definito: • Codice Rosso: estrema urgenza • Codice Giallo: urgenza primaria • Codice Verde: urgenza secondaria • Codice Bianco: nessuna urgenza

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Fra tutte le varie metodiche di assegnazione del codice di gravità, i codici colore sono i più pratici, immediati, visivamente efficaci e meglio comprensibili anche da parte dei pazienti. Tutti i codici comunque definiscono lo stesso concetto.

Il personale di soccorso deve cercare di usare la stessa metodica di codificazione permettendo così un unico linguaggio fra gli operatori, evitando incomprensioni.

Il codice colore assegnato, si basa sull’esame oggettivo e soggettivo, sui sintomi dichiarati dal paziente ma anche sulle patologie pregresse.

Definizione dei codici

Il codice Rosso è assegnato ai pazienti in pericolo imminente di vita, cioè quando si altera in modo significativo o viene a mancare uno o più parametri vitali.

Quindi il codice Rosso viene assegnato nel:  arresto respiratorio

 arresto cardiaco

 perdita di coscienza in atto post traumatica o non  ferite penetranti del torace, collo, testa, addome ,pelvi

 politraumatizzato (paz. con più lesioni di cui almeno una minacciosa per la vita)  cefalea acuta con associati segni neurologici (stato confusionale,disartria,segni di lato

e/o meningei)

 crisi psicotica acuta (con violenza verso sé o gli altri)

 insufficienza respiratoria acuta (dispnea marcata) con rumori respiratori udibili (rantoli,sibili), cianosi (edema della glottide, corpo estraneo nelle vie respiratorie…) o frequenza respiratoria < 10 o >34 atti/minuto.

 amputazione di un arto, dita escluse

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 sanguinamenti in atto con alterazioni dei parametri vitali  una o più fratture esposte con alterazione dei parametri vitali.

Il codice Giallo viene assegnato ai pazienti con potenziale pericolo di vita e quando nelle sale visita già sono impegnati con un codice rosso:

 insufficienza respiratoria in assenza di alterazione dei parametri vitali

 dolore toracico tipico (dolore retrosternale od epigastrico irradiato al giugulo-mandibola od alle

braccia con o senza dispnea, presenza di pallore e/o sudorazione…) insorto da poche ore, ancora in atto in assenza di alterazioni dei parametri vitali

 dolore toracico atipico ma associato a dispnea e/o pallore e/o sudorazione, spontaneo o post-traumatico od in paziente cardiopatico o diabetico.

 importante dolore addominale superiore o post-traumatico in assenza di alterazioni dei parametri vitali

 recente sincope od astenia persistente associata a presenza di bradiaritmia o tachiaritmia non minacciosa rilevabile al polso radiale

 fratture esposte di un arto in assenza di sanguinamenti copiosi o alterazione dei parametri vitali

 frattura non esposta di 2 o più segmenti ossei (mani o piedi esclusi)  estese ferite lacero-contuse con sanguinamento arterioso in atto

 traumi del torace e/o addome causati da dinamica complessa senza alterazioni dei parametri vitali

 paziente neoplastico in fase terminale (diagnosi espressa sulla richiesta del medico curante) o molto sofferente per dolore neoplastico o anziano generalmente cachettico  ematemesi e melena in assenza di alterazioni dei parametri vitali

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 alterazioni dello stato di coscienza con deficit di lato, disartria, deviazione della rima buccale, in assenza di cefalea acuta e GCS >12

 cefalea acuta non accompagnata da segni neurologici in paziente non cefalalgico  epistassi massiva in atto

 febbre associata a segni meningei e/o a stato confusionale insorto dopo o contemporaneamente alla febbre

Il codice Verde viene assegnato ai pazienti che necessitano di una prestazione medica che può essere differibile, cioè a quei pazienti che non hanno compromissioni dei parametri vitali:

 traumatismi di uno o più arti, in assenza di fratture esposte e/o estese ferite sanguinanti (cioè assenza dei criteri per codice superiore di gravità).

 traumatismi del cranio in assenza di segni neurologici associati e di ferite penetranti o infossamenti della volta cranica

 traumatismi del torace o addome non associati a pallore, dispnea, sudorazione o dolore importante

 coliche addominali in assenza di vomito ripetuto, sudorazione profusa, pallore, febbre oltre i 38°C

 vomito e/o diarrea persistenti

 calo ponderale recente senza altra sintomatologia

 toracalgie atipiche non associate a sudorazione, pallore, dispnea  epistassi modeste

 corpi estranei corneali non penetranti

 cefalea, non associata a segni neurologici, in paziente cefalagico noto  emofote anamnestica

 melena pregressa in paziente asintomatica (assenza di pallore, sudorazione, dispnea, astenia)

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 vertigini (in assenza di cefalea acuta, disturbi della coscienza, segni neurologici).

Il codice Bianco viene assegnato a quei pazienti che richiedono prestazioni sanitarie che non sottendono alcuna urgenza e per le quali sono normalmente previsti percorsi alternativi extraospedalieri (medico curante, ambulatori specialistici, consultori etc…) :

 ferita superficiale unica di minima entità  febbricola persistente da diversi giorni  tonsilliti e faringiti presenti da più giorni

 dolori articolari, non traumatici, presenti da diverso tempo

 dolori articolari post traumatici ove il trauma risale a diversi giorni prima  congiuntiviti presenti da più giorni

 otalgie  odontalgie  dispepsia

 dermatiti croniche  abrasioni cutanee

 punture d’insetto non recenti e non associate ad alcun corteo sintomatologico se non il pomfo nella sede interessata

 palpitazioni soggettive  calo ponderale.

Parametri vitali

Sono considerati vitali i seguenti parametri:

1. Pressione Arteriosa Sistolica P.A.S.

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3. Frequenza Cardiaca F.C. 4. Frequenza Respiratoria F.R.

5. Stato di vigilanza G.C.S.

I parametri vitali vengono considerati compromessi quando:

P.A.S <90 o >180-220 mmHg P.A.D >130 mmHg

F.C <40-50 o >160-200 bpm G.C.S <12-13

F.R <10 o >34 atti/min

Per i parametri vitali vi è molta variabilità in questi valori.Ciò è dovuto al fatto che questi limiti non sono e non debbono essere rigidi e vanno comunque sempre correlati ad altri segni obiettivi come l’età, il sesso, malattie concomitanti ed eventuali terapie in atto.

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CAPITOLO 3

LINEE GUIDA PER IL RICOVERO IN TERAPIA INTENSIVA

Introduzione

Negli ultimi decenni l’enorme evoluzione tecnologica nei campi del monitoraggio e dell’assistenza clinica, nonché l’applicazione di protocolli farmacologici sempre più aggressivi, hanno permesso una maggiore sopravvivenza dei pazienti critici.

Purtroppo al prolungamento della vita non sempre ha corrisposto il mantenimento della qualità della stessa a livelli accettabili; anzi, non di rado, il livello è risultato appena accettabile. Di converso, il costo delle degenze è enormemente lievitato, al punto di divenire un onere sociale difficilmente sostenibile in tutti i Paesi più economicamente avanzati. Il progressivo invecchiamento della popolazione ha, per di più, accresciuto la domanda di posti letto di Terapia Intensiva, a fronte di una disponibilità cronicamente limitata dalle risorse economiche.

Queste ragioni hanno sollevato da tempo la necessità di precise linee guida per il ricovero in UTI al fine di utilizzare al meglio quanto disponibile. Già nel 1973 Griner pubblicò come il ricovero in UTI di alcuni pazienti fosse più costoso, senza concomitante miglioramento in termini di morbilità e mortalità.

Lo stesso anno Bloom e Peterson confermarono questa osservazione e anche altri autori hanno raccolto,successivamente, analoghi risultati. Nel 1983 una National Institutes of Health Consensus Conference concluse che il ricovero in UTI riduceva morbilità e mortalità solo in un selezionato gruppo di pazienti e che, al contrario, in altri il rischio di complicanze iatrogene associate con la terapia intensiva, poteva superare ogni possibile beneficio.

In conseguenza di tali studi, si è giunti a ripartire i pazienti in tre gruppi, sulla base del rischio di morte:

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1. quelli che hanno un rischio di morte relativamente basso, per i quali il ricovero in UTI non solo non è necessario, ma è sconsigliabile per il rischio di possibili complicanze iatrogene;

2. quelli a rischio medio o medio-alto, che nelle cure intensive trovano i più vantaggiosi rapporti rischio/beneficio e costo/beneficio;

3. quelli a rischio alto o altissimo, in cui, a causa dello stato troppo avanzato della patologia, il ricovero in UTI è del tutto inutile in termini di beneficio e comporta costi altissimi e rischi ingiustificati.

Tali pazienti dovrebbero essere trattati, in alternativa, o in corsia o, meglio ancora, in speciali unità per l’assistenza al paziente terminale.

Dunque ogni sforzo deve essere fatto per identificare mediante screening di pre-ammissione quella categoria intermedia di paziente, che sola si avvantaggia del ricovero in UTI. Tuttavia i confini superiori e inferiori di questa categoria intermedia sono tutt’altro che delineati, come si vorrebbe; anzi, sono piuttosto confusi;di conseguenza non si possono dettare rigide linee guida per il ricovero in UTI, ma solo indicazioni più o meno vaghe, che lasciano al medico ampi spazi di valutazione soggettiva.

Come si può intuire, il medico resta al centro del problema, assistito dalla propria coscienza e perizia professionale; i fattori che influiscono sulla decisione del medico di sottoporre o meno un malato a cure intensive sono diversi:

⇒ stato di salute del paziente ⇒ questioni etiche e religiose

⇒ considerazioni economiche e legali

⇒ numero e disponibilità di posti letto in UTI ⇒ disponibilità di personale infermieristico ⇒ preferenze di trattamento

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⇒ capacità della UTI di fornire il livello minimo di assistenza

⇒ rischio di complicanze, in particolare quella settica da contaminazione batterica della UTI

La salute del paziente

Ovviamente il criterio più importante è la severità della malattia. Si tratta di identificare quello stato intermedio di gravità, che raccomanda il ricovero in UTI.

Poiché è possibile l’evoluzione della patologia da uno stadio di basso rischio a quello di rischio medio o oltre, è indispensabile che il medico rivaluti almeno ogni 24 hh la prognosi del paziente, al fine di cogliere il giusto momento per iniziare il trattamento intensivo.

Diversi autori hanno dimostrato come i pazienti ricoverati precocemente in UTI hanno una migliore sopravvivenza e costi più bassi di quelli ricoverati tardivamente o trasferiti da UTI di altri ospedali,i quali probabilmente soffrono di patologie in stadio più avanzato

Ciò conferma che esiste un giusto timing del ricovero, che influenza positivamente la prognosi e i costi. Nella valutazione del rischio il medico utilizza qualcuna delle numerose scale a punteggio disponibili,che valutano sulla base di uno o più dei seguenti fattori:

- patologie associate (malattie croniche, co-morbidità)

- causa fondamentale e gravità dell’indicazione al ricovero in UTI - squilibri fisiologici

- risposta alla terapia - complicanze

Alcune scale sono specifiche per la patologia, altre sono generiche e possono essere applicate ad un ampio spettro di diagnosi:

⇒ Acute Physiology and Chronic Health Evaluation ( APACHE II, APACHE III ) ⇒ Mortality Prediction Model ( MPM, MPM II )

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⇒ Simplified Acute Physiology Score ( SAPS II, III ) ⇒ Therapeutic Intervention Scoring System ( TISS ) ⇒ Critical Care Scoring System

⇒ Trauma Score

⇒ Simplified Septic Shock Score ⇒ Ventilator Score

⇒ Lung Injury Score

⇒ Computerized Severity Index

Nonostante l’ampia disponibilità, la proposta di nuovi scores è continua, a dimostrazione che nessuno di essi è ampiamente soddisfacente. Sebbene abbiano dimostrato una accettabile affidabilità per il monitoraggio clinico o per la selezione di gruppi omogenei di pazienti da arruolare in protocolli di studio, essi si sono rivelati tutti più o meno insufficienti quando applicati al singolo paziente per la valutazione del rischio di morte. In particolare essi difettano di specificità, per cui false predizioni possono condurre a negare o a sospendere trattamenti potenzialmente benefici; d’altro canto, l’introduzione di criteri idonei ad evitare i falsi positivi abbassa a tal punto la sensibilità del metodo, che solo pochissimi pazienti possono essere identificati.

Migliori risultati hanno dato gli scores specifici, che si applicano a sottogruppi di pazienti omogenei per patologia; tuttavia al momento nessuno di essi fornisce certezza nel predire la mortalità.

Anche la semplice valutazione clinica, da sola o in combinazione con l’uso di scores, non si è dimostrata accurata. Anche l’uso dell’età del paziente come fattore di rischio, è stata indagato e sebbene l’outcome del paziente anziano sia significativamente peggiore della media, l’età non si è dimostrata utile nel predire la mortalità.

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In conclusione, non disponiamo al momento di strumenti efficaci per la valutazione del rischio di morte, il che comporta il non ottimale utilizzo dei posti letto della UTI ; nuovi metodi di screening dovranno essere sviluppati e validati al fine di ottenere una più attendibile predizione di mortalità.

Le cure di fine vita e l’Anestesista Rianimatore: raccomandazioni SIAARTI

Viviamo in una società dominata dal “fare” sorretto dalla disponibilità tecnologica e in cui gli operatori sanitari vengono formati ad agire ad oltranza ; questa società tende a negare la morte e delega alla medicina la gestione della fase finale della vita. Ovviamente tutto ciò ha delle conseguenze inevitabili sulla cura del malato morente. Una delle decisioni più complesse che un medico deve assumere è la scelta di passare da un approccio mirato alla guarigione della malattia o alla risoluzione di un evento acuto ad un tipo palliativo.

Le condizioni cliniche che portano ad una tale scelta comprendono, in prevalenza, insufficienze cronico-degenerative (neurologiche,cardiorespiratorie e metaboliche) spesso coesistenti, malattie neoplastiche giunte allo stadio ultimo ma anche condizioni conseguenti all’applicazione di interventi salvavita sproporzionati per eccesso soprattutto se attuati in caso di condizioni irrecuperabili dello stato di coscienza per danni cerebrali irreversibili. In questi casi il medico non si trova più di fronte a persone malate, dove il concetto di persona malata sottende la concreta probabilità di essere in grado di prolungare la vita con una qualità giudicata accettabile dal malato stesso, ma a persone morenti cioè ad essere umani che stanno concludendo il loro ciclo vitale, che meritano un’attenzione ai loro bisogni e un’assistenza sanitaria mirata ad alleviare le sofferenze per garantire una dignitosa qualità sia della vita residua sia della morte.

Si è già visto che l’intervento dell’Anestesista Rianimatore viene spesso richiesto al di fuori della TI nei reparti di degenza ordinaria medica o chirurgica (RDO) o in PS con lo scopo di

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contribuire alla decisione sul grado di intensità di cure più appropriato, sia nel caso di persone affette da stati avanzati di patologie cronico-degenerative o neoplastiche, sia in presenza di patologie acute a prognosi infausta certa; quindi all’ Anestesista Rianimatore viene demandata la difficile responsabilità di riaffermare, in un contesto socio-culturale che tende a negarla, la realtà della morte come esperienza ineluttabile e parte integrante della vita. Per contro, la disponibilità e l’adozione routinaria dei supporti vitali hanno fatto sì che le cure intensive siano considerate da molti medici come un’opzione terapeutica “automatica”, soprattutto per chi ritiene più tutelante per il medico agire comunque anche praticando un approccio sproporzionato, piuttosto che accettare l’ineluttabilità della morte. In conseguenza di ciò molti medici hanno pensato che la morte del malato non fosse tanto l’inevitabile conclusione di un percorso biologico ma piuttosto il risultato dipendente da un’azione, sospensione di un trattamento vitale, o da una non-azione, non erogazione di un trattamento vitale, e quindi un evento che è collegato ad una responsabilità diretta rendendo così l’Anestesista Rianimatore riluttante all’ipotesi di limitare l’accesso alle cure intensive.

Inoltre ci sono altre ragioni che supportano questa situazione:

- l’impossibilità del malato di esercitare il proprio diritto di rifiutare o accettare i trattamenti intensivi per compromissione della capacità di comprendere e di esprimere il proprio parere, ha portato ad un ingiustificato potere dei familiari di prendere decisioni al suo posto;

- l’impreparazione dei medici a comunicare adeguatamente con i malati e le famiglie circa le decisioni di fine vita;

- l’espansione dei mezzi terapeutici e di supporto disponibili; - l’attuale inaccettabilità della morte;

- la spirale dei costi che gli ospedali devono controllare strettamente e la diretta responsabilizzazione dei medici nella gestione amministrativa dei reparti con il

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conseguente dubbio, peraltro infondato, che la decisione di limitare le cure intensive possa essere influenzata da convenienze economiche.

L’ipotesi di limitare le cure intensive in PS o nei RDO, è ancora più complessa di quanto accade in TI per diverse circostanze:

- contatto troppo breve con il malato e i familiari per creare la confidenza e la fiducia necessarie ad affrontare il tema della sopravvivenza e della morte;

- assenza di spazi protetti e dedicati;

- presenza incostante di un medico di riferimento con funzioni di supporto specifico e di raccordo;

- assenza di personale qualificato alla gestione del lutto;

- prevalenza di valutazioni soggettive e spesso contradditorie in merito alla definizione di futilità dei trattamenti (si considerano “futili” tutti i trattamenti che non possiedono la capacità di raggiungere l’obiettivo benefico per cui vengono posti in essere).

In un simile contesto operativo, la decisione di limitare le cure intensive rimane appannaggio della valutazione dei singoli medici.

Pertanto è sempre più urgente, soprattutto quando l’Anestesista Rianimatore è coinvolto nella decisione di limitare i trattamenti intensivi al di fuori della TI, poter disporre di modelli di riferimento culturali e di strumenti operativi condivisi che permettono di riconoscere la specifica condizione del malato morente, di assumere in tale contesto una decisione “giusta”, valorizzando i principi etici in gioco e praticando un approccio terapeutico orientato al trattamento dei sintomi e alla qualità della vita residua.

Le ragioni per una limitazione dei trattamenti intensivi, sono di tre ordini: 1) impossibilità del trattamento a perseguire l’obiettivo per cui è attuato

2) costatazione del fallimento di un trattamento dopo un periodo di prova per verificarne l’efficacia

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3) rifiuto da parte del malato cosciente di un determinato trattamento o rispetto di dichiarazioni precedenti.

Le “Raccomandazioni SIAARTI per l’ammissiione e la dimissione dalla TI e per la limitazione dei trattamenti in TI” affermano che quando è evidente che l’approcciio intensivo non prolunga la vita bensì procrastina un processo di morte ormai irreversibile, ad esso debba essere preferito l’approccio palliativo. Quest’ultimo diventa preponderante nella fase di abbandono dell’inavsività e dell’intensività: i trattamenti palliativi non sono intesi come alternativi a quelli intensivi ma come presa in carico globale del malato critico che si sostanzia nel controllo del dolore e degli altri sintomi, dell’attenzione agli aspetti umani, psicologici e sociali della malattia, del rapporto con i familiari, del supporto psicologico e spirituale, dell’eventuale successiva gestione del lutto.

In tutto questo discorso rientrano anche i malati molto anziani la cui aspettativa di vita, già compromessa per la presenza di malattie coesistenti, è ulteriormente ridotta a causa di patologie chirurgiche acute intercorrenti in urgenza i quali causano un ulteriore peggioramento della qualità della vita residua.

In queste circostanze di solito non vengono prese in considerazione le opzioni terapeutiche di tipo palliativo e né un eventuale approccio chirurgico alla patologia in atto ma teso alla risoluzione del sintomo piuttosto che alla guarigione; in conclusione, non si tratta di sospendere la cura e di abbandonare il malato ma di accompagnare il morente garantendone fino all’ultimo la qualità della vita: il principio di alleviare le sofferenze deve prevalere su quello di prolungare la sopravvivenza.

Appare quindi evidente che la limitazione dei trattamenti intensivi non si configura né come atto eutanasico né come abbandono del malato, bensì come appropriata espressione di una cura attenta ai suoi bisogni, ispirata ai principi bioetici di autonomia, beneficenza, non-maleficenza. A tale proposito, le “Raccomandazioni SIAARTI per l’ammissione e la

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dimissione dalla TI e per la limitazione dei trattamenti in TI”, affermano che la limitazione di provvedimenti terapeutici che abbiano come unica conseguenza il prolungamento della sopravvivenza del malato giunto al termine della vita, è lecita e doverosa da un punto di vista sia etico sia deontologico.

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CAPITOLO 4

VALUTAZIONE DEL PAZIENTE CRITICO: SCORES DI GRAVITÀ

Introduzione

Nella medicina moderna, il termine “paziente critico” esprime la situazione clinica di un malato che ha in atto o è ad elevato rischio di sviluppare insufficienze di funzioni vitali (cardiocircolatoria, respiratoria,neurologica e metabolica) tali da metterne in pericolo la vita. La valutazione clinica del paziente critico in fase acuta viene fatta sulla base di alcuni parametri di rapida valutazione:

• pressione arteriosa incruenta • frequenza cardiaca

• saturazione periferica trans-cutanea in ossigeno • stato neurologico

• temperatura auricolare • frequenza respiratoria

Valutazione clinica dei parametri

I parametri menzionati danno in pochi secondi al medico l’idea della gravità del malato, ma nessuno di questi, preso da solo, offre un quadro prognostico attendibile, né il loro monitoraggio nel tempo, esprime adeguatamente il miglioramento o il peggioramento delle diverse funzioni d’organo. Lo sforzo di ottenere parametri attendibili per la valutazione prognostica e per la valutazione dell’andamento clinico dei malati critici, si è concretizzato con la costruzione di “score di gravità” basati sull’entità del discostamento dal range di normalità di diversi parametri clinici, strumentali e laboratoristici. Dalla costatazione che

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pochi parametri, ancorché importanti di per sé, non erano però da soli sufficienti per definire gravità, prognosi ed evoluzione del malato critico, è quindi emersa l’idea di associare più parametri, in modo da aumentare la “sensibilità” e la “specificità” della valutazione: in termini statistici, la sensibilità di un parametro nel predire un evento esprime la sua capacità di predire il manifestarsi quell’evento ogni qualvolta quel parametro sia presente, mentre la “specificità” esprime la sua capacità di predire il non manifestarsi di quell’evento ogni qualvolta quel parametro non sia presente: nessun parametro da solo riesce a tenere in sé elevata sensibilità ed elevata specificità (quantomeno superiori al 90%) tali da rendere molto limitati i “falsi positivi” ( pazienti che presentano quel parametro ma che poi non manifestano l’evento) e i “falsi negativi” (pazienti che non manifestano quel parametro ma che poi manifestano l’evento), mentre la somma di più parametri può, se ben costruita, aumentare il valore predittivo.La creazione delle terapie intensive (UTI), nate per il controllo postoperatorio dei pazienti critici e in seguito rivolte ai pazienti colpiti da alterazioni acute delle funzioni vitali, ha modificato profondamente l’”outcome”dei pazienti critici. Ciò è stato reso possibile per il notevole impegno professionale da parte dello staff medico-infermieristico e per un maggior ricorso a strumenti tecnologici e a nuovi farmaci sempre più avanzati ma a costo crescente. Nel corso degli anni, è quindi via via aumentata la richiesta di accesso nelle UTI a causa dell’età avanzata

della popolazione, di individui con malattie croniche, di tecniche chirurgiche più avanzate…ma sono anche aumentati i ricoveri impropri ed è così diminuita la disponibilità di letti di degenza e sono notevolmente aumentate le spese con conseguente necessità che un maggior numero di risorse ospedaliere fossero destinate alle UTI.

In questi ultimi anni il rapporto tra risorse offerte dal sistema sanitario e richieste di accesso in UTI, è diminuito drammaticamente per cui è stata avvertita da più parti l’esigenza di creare degli strumenti di valutazione complementari al giudizio clinico per quantificare lo stato di gravità dei pazienti critici, poterne derivare una predizione di esito e cercare

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un’ottimizzazione del rapporto costo-risultato ( valutazione della performance sanitaria). Si è visto infatti che accanto a quei pazienti che avrebbero beneficiato o che potevano beneficiare dell’UTI, esisteva una categoria di pazienti che non avrebbero beneficiato della stessa o perché non critici o perché troppo gravi e quindi il loro ricovero in UTI oltre che inutile, avrebbe pregiudicato la possibilità di cure per altri pazienti critici. A partire dalla fine degli anni ’70, vennero sviluppati dei sistemi di gravità di malattia ( S.D.I. Severity Disease Indexes) basati sulla somma di punteggi “pesati” di alcune variabili: fisiologiche, cliniche, età, tipo di ammissione, malattie concomitanti ecc… raccolte all’ingresso o durante le prime 24 hh di degenza del paziente in UTI con l’intendimento non solo di stimare la gravità, ma anche per essere di complemento al giudizio clinico e prevedere la probabilità di rischio di morte dei pazienti critici. La scelta delle variabili fisiologiche fu delegata ad un “team” di esperti che non solo operò una selezione di quelle ritenute più importanti, ma dette loro anche un “peso”. Questi indici si sono rilevati molto utili come strumenti di informazione per la ricerca clinica, confronto tra le caratteristiche dei pazienti trattati e di quelli di controllo, confronto tra la mortalità predetta e quella osservata ma anche verifica della qualità delle cure prestate, di audit medico all’interno della stessa UTI e tra varie UTI.

Gli SDI: storia ed evoluzione

Gli indici prognostici si formano in due modi:

1. sommando e “pesando” i valori delle variabili fisiologiche e fattori collaterali come malattie croniche,età, categoria diagnostica o tipologia del paziente, ammissione medica o chirurgica, tipo di procedura ( d’urgenza o d’elezione) ecc…. scelte da un consenso di esperti e attribuendogli una percentuale di probabilità di rischio in maniera direttamente proporzionale (SAPS I)

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2. creando dagli stessi valori un algoritmo matematico che indichi la suddetta probabilità in maniera indiretta (SAPS II, APACHE II e III)

3. elaborando direttamente un’equazione di regressione lineare in cui i diversi valori delle patologie scelte, rappresentano i coefficienti dei fattori di dette equazioni.

Il primo punteggio sistematico apparve nel 1973 e venne chiamato TISS (Therapeutic Intervention System Score) creato con lo scopo di verificare il carico di lavoro del personale delle UTI,quantificando alcune delle procedure (monitoraggio, somministrazioni di farmaci…) più comuni ma di diverso “peso”, e dell’attività quotidiana in UTI, connesse alla gravità della malattia. Esso comprendeva 70 items (76 nella seconda versione) come farmaci, procedure, diagnostica inavasiva, suddivisi in quattro capitoli con punteggi da 1 a 4, conteggiati una sola volta al giorno. Questo punteggio permetteva secondariamente di avere una base per giustificare il rapporto letti/infermieri e un’approssimazione delle risorse (costi) impiegate.

Il difetto di questo sistema era che una condotta più “aggressiva” di uno staff rispetto ad un altro portava in alto il punteggio TISS, il che se da un lato giustificava il maggior costo di un ricovero, rendeva anche il paziente “più grave” rispetto a quello curato in un’altra UTI con un minor punteggio di TISS ed identico risultato.Esso è stato modificato negli anni ’80 ed infine ridotto a 28 items nell 1996, conservando la stessa capacità di quantificazione.

Uno dei primi sistemi di gravità a punteggio di malattia è stato il Glasgow Coma Scale GCS creato per il trauma cranico e che esprime, in termini numerici, il grado di depressione funzionale del Sistema Nervoso Centrale. Il punteggio massimo è 15, che corrisponde alla condizione migliore, quello minimo è 3, che corrisponde alla condizione peggiore.

La scala è così ripartita: fino a 4 punti per l’apertura degli occhi, fino a 6 punti per la migliore risposta motoria, fino a 5 punti per la risposta verbale.

Strettamente legato alle caratteristiche clinico-strumentali del paziente, fu l’APS (AcutePhhysiology Score), da cui sono derivati gran parte dei sistemi basati sui punteggi di

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gravità. L’APS contava 34 items, ma non faceva riferimento alla patologia cronica collaterale; partendo dall’APS, nel 1981 fu creato il primo di una famiglia di SDI, basati su un database di sviluppo e di controllo vastissimo e fu chiamato APACHE (Acute Physiology And Chronic Health Evaluation). In realtà questa prima versione comprendeva l’APS più una classificazione dello stato preesistente del paziente indicato con la lettera A, se in buone condizioni, e con la lettera D se in condizioni critiche.

La seconda versione (1985) prese anche in considerazione l’età del paziente diventando così Acute Physiology Age Chronic Health Evaluation, cioè APACHE II. Questo sistema ha avuto e ha tutt’ora un larghissimo impiego, è semplice da calcolare dato che gli items dell’APS sono solo 12 dati fisiologici di base più: età, G.C.S. e malattie croniche. Il punteggio massimo è 71; i valori sono come per tutti i sistemi di gravità quelli peggiori che vengono registrati entro le prime 24 hh di degenza in UTI. Da esso può essere derivata una equazione di regressione lineare di uso pubblico che permette di risalire alla probabilità di rischio per il paziente scegliendo per l’esito una variabile binaria come la mortalità. Nel ‘91 è stato realizzato l’APACHE III con 14 items di APS ed un punteggio massimo di 299. Malgrado che l’estensione del punteggio permetta di pesare meglio la gravità, il fatto che la equazione suddetta non sia di uso pubblico, ne ha limitato la diffusione tanto che l’Apache II è tutt’ora lo SDI più diffuso nel mondo anglosassone e da esso sono derivati, pur modificati, gli scores come l’OFS (Organ Failure System) e l’SSS (Sick Score System). Nel 1984 è arrivata la risposta europea agli americani, uno SDI semplificato: il SAPS I dove la S sta per Simplifield; aveva 14 items e secondo gli autori poteva essere compilato da una nurse in 5 minuti, con scarsa possibilità di errori data la sua semplicità. Il punteggio massimo era 56 e non prevedeva un’equazione predittiva di rischio ma si affidava ai totali dei punteggi per le inferenze.

Nel 1993 è stata realizzata la seconda versione, il SAPS II, modificato perché include 12 items di tipo APS più i punteggi dovuti alla diagnosi d’ammissione, più quelli dovuti alla

Figura

Fig 1: Distribuzione dello score di ammissione SAPS 3 nel database SAPS 3.
Fig.  2:Rapporto  fra  lo  score  di  ammissione  SAPS  3  e  le  rispettive  probabilità  di  mortalità
Fig. 3:Tasso di mortalità osservata/attesa nei vari paesi.
Fig. 1:Pazienti sottoposti a consulenza rianimatoria in Pronto Soccorso

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