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Articolo 391-bis c.p.p.

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TITOLO VI BIS

INVESTIGAZIONI DIFENSIVE (1)

(1) Titolo inserito dall'art. 11, c. 1, l. 7 dicembre 2000, n. 397

391bis Colloquio, ricezione di dichiarazioni e assunzione di

informazioni da parte del difensore

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1. Salve le incompatibilità previste dall'articolo 197, comma 1, lettere c) e d), per acquisire notizie il difensore, il sostituto, gli investigatori privati au-torizzati o i consulenti tecnici possono conferire con le persone in grado di ri-ferire circostanze utili ai fini dell'attività investigativa. In questo caso, l'ac-quisizione delle notizie avviene attraverso un colloquio non documentato.

2. Il difensore o il sostituto possono inoltre chiedere alle persone di cui al comma 1 una dichiarazione scritta ovvero di rendere informazioni da docu-mentare secondo le modalità previste dall'articolo 391-ter.

3. In ogni caso, il difensore, il sostituto, gli investigatori privati autorizzati o i consulenti tecnici avvertono le persone indicate nel comma 1:

a) della propria qualità e dello scopo del colloquio;

b) se intendono semplicemente conferire ovvero ricevere dichiarazioni o assumere informazioni indicando, in tal caso, le modalità e la forma di do-cumentazione;

c) dell'obbligo di dichiarare se sono sottoposte ad indagini o imputate nel-lo stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collega-to;

d) della facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione; e) del divieto di rivelare le domande eventualmente formulate dalla poli-zia giudipoli-ziaria o dal pubblico ministero e le risposte date;

f) delle responsabilità penali conseguenti alla falsa dichiarazione.

4. Alle persone già sentite dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministe-ro non possono essere richieste notizie sulle domande formulate o sulle rispo-ste date.

5. Per conferire, ricevere dichiarazioni o assumere informazioni da una persona sottoposta ad indagini o imputata nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato, è dato avviso, almeno venti-quattro ore prima, al suo difensore la cui presenza è necessaria. Se la perso-na è priva di difensore, il giudice, su richiesta del difensore che procede alle investigazioni, dispone la nomina di un difensore di ufficio ai sensi dell'arti-colo 97.

5-bis. Nei procedimenti per i delitti di cui all'articolo 351, comma 1-ter, il difensore, quando assume informazioni da persone minori, si avvale dell'au-silio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile. (2)

6. Le dichiarazioni ricevute e le informazioni assunte in violazione di una delle disposizioni di cui ai commi precedenti non possono essere utilizzate.

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La violazione di tali disposizioni costituisce illecito disciplinare ed è comuni-cata dal giudice che procede all'organo titolare del potere disciplinare.

7. Per conferire, ricevere dichiarazioni o assumere informazioni da per-sona detenuta, il difensore deve munirsi di specifica autorizzazione del giudi-ce che progiudi-cede nei confronti della stessa, sentiti il suo difensore ed il pubblico ministero. Prima dell'esercizio dell'azione penale l'autorizzazione è data dal giudice per le indagini preliminari. Durante l'esecuzione della pena provvede il magistrato di sorveglianza.

8. All'assunzione di informazioni non possono assistere la persona sotto-posta alle indagini, la persona offesa e le altre parti private.

9. Il difensore o il sostituto interrompono l'assunzione di informazioni da parte della persona non imputata ovvero della persona non sottoposta ad in-dagini, qualora essa renda dichiarazioni dalle quali emergano indizi di reità a suo carico. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese.

10. Quando la persona in grado di riferire circostanze utili ai fini dell'at-tività investigativa abbia esercitato la facoltà di cui alla lettera d) del comma 3, il pubblico ministero, su richiesta del difensore, ne dispone l'audizione che fissa entro sette giorni dalla richiesta medesima. Tale disposizione non si ap-plica nei confronti delle persone sottoposte ad indagini o imputate nello stes-so procedimento e nei confronti delle perstes-sone stes-sottoposte ad indagini o impu-tate in un diverso procedimento nelle ipotesi previste dall'articolo 210. L'au-dizione si svolge alla presenza del difensore che per primo formula le do-mande. Anche con riferimento alle informazioni richieste dal difensore si applicano le disposizioni dell'articolo 362.

11. Il difensore, in alternativa all'audizione di cui al comma 10, può chie-dere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimo-nianza o all'esame della persona che abbia esercitato la facoltà di cui alla let-tera d) del comma 3, anche al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 392, comma 1.

(1) Articolo inserito dall'art. 11, c. 1, l. 7 dicembre 2000, n. 397, che ha inserito l'intero Ti-tolo VI-bis.

(2) Comma inserito dall'art. 5, c. 1, lett. f), L. 1 ottobre 2012, n. 172.

SOMMARIO: I. Le diverse forme di contatto con le persone informate sui fatti. - II. Limiti soggettivi e ambito di operatività della norma. - III. Il "contatto" con la fonte di prova. - IV. Gli avvertimenti: a) le modalità di verbalizzazione. - V. (Se-gue) b) i singoli avvertimenti. - VI. Lo svolgimento dell'atto. - VII. L’esame di persone minorenni - VIII. La qualifica del difensore verbalizzante. - IX. I rimedi contro il rifiuto del dichiarante di non rispondere o di non rendere la dichiarazio-ne: a) la richiesta di audizione dinanzi al p.m. - X. (Segue) b) la richiesta di inci-dente probatorio.

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I. Le diverse forme di contatto con le persone informate sui fatti. 1

Il codice, come interpolato dalla l. 7 dicembre 2000, n. 347, contempla tre diverse modalità di contatto tra gli organi dell’investigazione privata e le “persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa”: il colloquio, la ricezione di dichiarazioni e l’assunzione di informazioni.

Fermo restando che tutte le forme di contatto presentano, come comune denomi-natore, un rapporto bilaterale - tra richiedente e destinatario - ed un obiettivo di carattere generale - rappresentato dal chiaro intento di acquisire notizie utili per la conduzione delle stesse indagini difensive e per la determinazione delle conse-guenti strategie – “mentre il secondo e il terzo” - ha fatto notare fin da subito la dottrina – “costituiscono la tipizzazione di attività formali, destinate ad una even-tuale valenza procedimentale (dunque ad essere in senso proprio atti del procedi-mento), come emerge dalla prevista loro documentazione mediante verbale, il primo […] configura […] una attività investigativa del tutto informale” [FRIGO

(39) 206].

Un significativo elemento di differenziazione tra le diverse forme di contatto co-noscitivo funzionale all’acquisizione di elementi dichiarativi è riscontrabile sotto il profilo della legittimazione soggettiva, dal momento che, mentre il colloquio può avere come interlocutore della persona informata qualsivoglia soggetto dell’investigazione privata, ossia il difensore, il sostituto, gli investigatori ed i consulenti tecnici, il ricorso agli strumenti acquisitivi formalizzati è riservato in via esclusiva al difensore ed al sostituto. Il legislatore della riforma ha adottato, dunque, una soluzione parcellizzata, nell’ambito della quale la disciplina della documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni prevista dall’art. 391 ter e che contempla, quali soggetti chiamati rispettivamente all’autenticazione della sottoscrizione del dichiarante ed alla documentazione delle informazioni, esclusi-vamente il difensore o il sostituto – fatta salva la facoltà di avvalersi, ai fini della materiale redazione del verbale, di persone di loro fiducia – sembra costituire, in-sieme al rilievo procedimentale attribuito alle correlative risultanze, la giustifica-zione dell’opgiustifica-zione restrittiva in punto di poteri acquisitivi da fonti dichiarative. Il colloquio informale è costruito dall’art. 391 bis c. 1 come un atto finalizzato all’acquisizione di notizie e sostanziantesi nel “conferire con le persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa”.

La dottrina ha evidenziato come il colloquio sia stato concepito come un’attività del tutto informale - al punto che non è prescritto, sebbene non vietato [KALB

(49) 245] alcun obbligo di documentazione delle notizie riferite dalla persona in-tervistata - e deritualizzata - secondo alcuni, infatti, il contatto potrebbe avvenire anche a prescindere da un incontro fisico, quindi anche a mezzo del telefono o mediante il ricorso ad altre vie telematiche di comunicazione [FURGIUELE (40) 157] - che non si pone in un rapporto di alternatività rispetto alla dichiarazione scritta o all’assunzione di informazioni, ma si atteggia a presupposto di esse,

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do-vendo servire, in altre parole, per valutare esistenza, portata e rilevanza del patri-monio cognitivo attribuito alla persona interpellata.

Non va dimenticato, infatti, che l’attività d’investigazione difensiva è finalizzata ad acquisire elementi probatori a favore della persona assistita dal difensore pro-cedente ed è ragionevole ritenere che i soggetti legittimati al compimento di essa, trovandosi di fronte ad una persona che il colloquio evidenzia non essere a cono-scenza di dati rilevanti ai fini investigativi, eviteranno di sviluppare ulteriormente il rapporto acquisitivo. Si tratta, dunque, di uno strumento dotato di rilievo inter-no, funzionale all’organizzazione dell’eventuale, futura attività investigativa a va-lenza procedimentale, essendo ovvio che, qualora il contatto informale dovesse produrre, in conformità con quanto astrattamente ipotizzato in sede di predisposi-zione del programma investigativo difensivo, risultanze favorevoli alla posipredisposi-zione dell’assistito, il difensore ed il sostituto si attiveranno al fine di instaurare un suc-cessivo momento acquisitivo che, potendo assumere la forma dell’assunzione di informazioni ovvero della ricezione di una dichiarazione, sarà produttivo di e-lementi i quali, ritualmente documentati, saranno suscettibili di impiego nel pro-sieguo dell’iter procedimentale.

2

I due atti, equivalenti sotto il profilo della funzione, si distinguono sul piano dell’assetto strutturale poiché, mentre il primo è gestito dal soggetto procedente e si sviluppa secondo una dinamica che fa seguire alla domanda di questi una ri-sposta da parte della persona intervistata, il secondo presenta una connotazione strettamente unilaterale dal momento che, posto un determinato tema, il contenu-to informativo dell’atcontenu-to è interamente prodotcontenu-to dal dichiarante, in assenza di qual-siasi interferenza esterna [VENTURA (105) 64], ed assume veste procedimentale soltanto grazie all’intervento documentativo successivo del difensore.

La dichiarazione scritta costituisce, infatti, una “dichiarazione di scienza prove-niente dalla persona informata sui fatti, nella quale essa riferisce, in forma univo-ca ed unilaterale, le circostanze di cui è a conoscenza utili all’attività di indagine difensiva” [DI MAIO (29) 217]. Logicamente preceduta da un colloquio informale - in questo caso finalizzato, altresì, ad esporre in via preventiva contenuto e limiti della successiva attività acquisitiva – “[o]pportuno sarebbe […] che la dichiara-zione fosse preparata autonomamente dalla persona informata; in modo separato e del tutto indipendente dalla presenza del difensore o dei suoi ausiliari, anche so-lo per precludere il “sospetto” che, in qualche modo, si tratti di una dichiarazione condizionata o peggio “pilotata” in funzione delle ragioni e degli interessi della difesa” [DI MAIO (29) 218].

Secondo parte della dottrina [KALB (49)251], invece, la dichiarazione potrebbe essere scritta anche da un terzo sotto dettatura del dichiarante – dichiarazione c.d. “eterografa” – possibilità che altri circoscrivono, però, alla sola ipotesi in cui la persona informata abbia difficoltà ad esporre in forma scritta ciò che sa per evi-denti limiti culturali o tecnici [VENTURA (105)136]. La stesura personale della dichiarazione è, comunque, da preferire in quanto garantisce la massima

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genuini-tà dell’esposizione, mentre è certamente da sconsigliare un’elaborazione diretta da parte del difensore stesso, circostanza idonea ad ingenerare il sospetto della ri-conduzione a questi del contenuto informativo dell’atto [VENTURA (105)136]. L’assunzione di informazioni, al contrario, vede nel difensore e nel sostituto gli indiscussi protagonisti dell’atto acquisitivo, trattandosi dei soggetti investigativi che, attraverso la formulazione delle domande, pongono sul tappeto i temi che costituiscono l’oggetto delle successive e correlate affermazioni probatorie, ossia degli elementi formativi del contenuto utilizzabile dell’atto [SAPONARO (88) 179].

II. Limiti soggettivi e ambito di operatività della norma. 1

L'assunzione degli elementi di prova a carattere dichiarativo incontra alcuni limiti di carattere soggettivo, enucleabili dal richiamo dell'art. 391 bis c. 1 alle incompatibilità previste dall'art. 197 c. 1 lett. c e d. Si tratta di un regime preclusivo assoluto e ineludibile sia sotto il profilo della legittimazione soggettiva al compimento di atti investigativi a contenuto dichiarativo che in relazione alla tipologia degli atti effettuabili. È interdetta, innanzitutto - a pena di inutilizza-bilità di quanto raccolto, ai sensi del successivo c. 6 - la ricezione o l'assun-zione delle dichiarazioni del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, anche se, essendo siffatte qualifiche sogget-tive configurabili soltanto a seguito dell'esercizio dell'azione penale, il divieto in questione opera soltanto in relazione alle indagini difensive svolte succes-sivamente alla relativa assunzione da parte delle persone interessate, non an-che per quelle preventive e per quelle svolte nel corso delle indagini prelimi-nari [VENTURA (105) 71]. Deve osservarsi, inoltre, che la preclusione opera an-che relativamente al caso in cui la posizione sia assunta rispetto al fatto di altri imputati nello stesso procedimento o in procedimento connesso o collegato

[VENTURA (105) 71].

2

Analogo discorso vale per coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, p.m. o loro ausiliario, nonché per il difensore che abbia svolto attività di investigazione difensiva e per coloro che hanno for-mato la documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni assunte ai sensi dell'art. 391 ter. Per quel che concerne le prime due figure, l’oggetto del divieto deve essere circoscritto al contenuto degli atti compiuti nell’esercizio delle fun-zioni procedimentali e, sotto questo aspetto, appare corretta l’osservazione di chi non ritiene “nemmeno immaginabile che un difensore deontologicamente corretto pretenda di colloquiare con tali soggetti su temi verosimilmente attinenti al con-tenuto delle loro attività istituzionali” [RUGGIERO (86) 188].

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3

Relativamente alla posizione degli ausiliari del giudice e del p. m., invece, è si-gnificativo evidenziare che la Corte di cassazione ha, in più occasioni, avuto mo-do di delineare in termini restrittivi l’ambito di operatività del divieto testimonia-le sancito dall’art. 197 c. 1 testimonia-lett. d. In tema di incompatibilità a testimoniare - ha, in particolare, puntualizzato la Corte - la disposizione contenuta nella norma so-pra richiamata non è applicabile nei confronti di ufficiali o agenti di polizia giu-diziaria in relazione all’attività da essi compiuta nello svolgimento delle proprie funzioni istituzionali [C. II 22.9.2011, Fiore, CED 251074; C VI 27.3.2009, Sep-pia, ivi, 243523; C. II 29.2.2008, Venosa, ANPP 2009, 269; C VI 3.11.2005, Ru-berto, ivi, 2007, 261, secondo cui la disposizione contenuta nell’art. 197, c. 1 lett. d, che limita la possibilità di testimoniare a coloro che hanno svolto la funzione di ausiliari del giudice nel procedimento, non è applicabile nei confronti di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria in relazione all’attività da essi compiuta nello svol-gimento delle proprie funzioni istituzionali]. Il divieto, infatti, è posto esclusiva-mente in relazione all’attività di documentazione degli atti prevista dall’art. 373 e non anche a quella che l’agente o l’ufficiale di polizia giudiziaria abbia compiuto nell’esercizio delle proprie funzioni di polizia giudiziaria [C V 14.1.2005, Spa-gnolo, ANPP 2006, 582. In precedenza v., tra le altre, C III 9.3.1998, Spina, CP 1999, 1910. Ma v., inoltre, C I 20.9.2006, 35696, RP 2007, 695].

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Anche al difensore che abbia svolto attività di investigazione difensiva è, come abbiamo visto, preclusa la partecipazione, in veste di dichiarante, al compimento di atti investigativi a contenuto dichiarativo, a prescindere sia dal tipo di attività posta in essere [TRIGGIANI (101) 241] - sia essa consistita, quindi, nell’acquisizione di dichiarazioni ovvero nell’effettuazione di altre tipologie di attività - sia dalla circostanza che essa sia stata espletata personalmente o tramite ausiliari [VENTURA (105) 72]. La ratio del divieto consiste nell’approntare una forma particolarmente avanzata di tutela della posizione dell’assistito, evitando che il difensore possa essere obbligato a rendere dichiarazioni su circostanze ap-prese nel corso delle investigazioni difensive suscettibili di pregiudicarla [V EN-TURA (105) 72]. Alla luce di siffatta esigenza di tutela, non sembra potersi dubita-re del fatto che il divieto di testimoniadubita-re - e, quindi, di soggiacedubita-re al compimento del corrispondente atto investigativo - si estenda anche al sostituto del difensore. 5

L’ultima ipotesi di incompatibilità riguarda le persone che hanno formato la do-cumentazione delle dichiarazioni e delle informazioni assunte ai sensi dell’art. 391 ter. La norma, come si avrà modo di vedere, distingue il caso in cui il contat-to investigativo sia consisticontat-to nel rilascio di una dichiarazione da quello in cui, invece, l’ufficio difensivo abbia optato per l’assunzione di informazioni. Nella prima ipotesi, l’intervento documentativo consiste nell’autenticazione della sotto-scrizione del dichiarante e nella redazione di una relazione, alla quale deve essere

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allegata la dichiarazione. Costituendo la documentazione, in questo caso, prero-gativa esclusiva del difensore o del sostituto, è ovvio che soltanto in relazione a questi ultimi operi la fattispecie preclusiva [VENTURA (105) 72]. L’atto di assun-zione di informazioni, invece, è sì documentato dal difensore o da un suo sostitu-to, ma l’art. 391 ter c. 3 puntualizza che costoro possono avvalersi, per la mate-riale redazione del verbale, di persone di loro fiducia, di talché si è posto il pro-blema dell’estensione a queste ultime del divieto testimoniale. La dottrina mag-gioritaria ritiene che il divieto operi anche in relazione a siffatta categoria di per-sone e la tesi sembra meritevole di accoglimento poiché, oltre a sembrare azzar-dato escludere che la redazione del verbale costituisca un contributo essenziale alla formazione della documentazione dell’atto investigativo, essa è l’unica che consente di evitare aggiramenti ed elusioni del sistema di incompatibilità delinea-to dal legisladelinea-tore [VENTURA (105) 75; TRIGGIANI (101) 242; DI MAIO (29) 213].

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Ulteriore limite di carattere soggettivo è rinvenibile nella normativa di carattere deontologico: infatti, l'art. 11 delle Regole di comportamento del penalista

nel-le investigazioni difensive fa divieto ai soggetti della difesa di applicare nel-le

di-sposizioni degli artt. 391 bis e ter nei confronti della persona assistita, in con-siderazione dell'attività processualmente "incestuosa" che in tal modo si por-rebbe in essere [FRIGO (39) 237]. La violazione di quest'ultimo divieto, peral-tro, non è assistita da alcuna sanzione processuale.

III. Il "contatto" con la fonte di prova. 1

Il codice processuale non disciplina le formalità preliminari all’instaurazione del contatto investigativo a contenuto dichiarativo, di talché - fatta salva la posizione di chi ritiene che il ricorso all’invito formalizzato sia imposto dall’applicazione analogica dell’art. 142 disp. att. e coord. [VENTURA (105) 62] - è da ritenere che la convocazione della persona informata sui fatti possa avvenire anche oralmente, fermo restando che esigenze di certezza, unite alla necessità di assicurare un’adeguata documentabilità dell’atto - posto che la mancata presentazione della persona della quale è documentata la regolare convocazione da parte dal difenso-re, non accompagnata dall’allegazione di un legittimo impedimento, può essere interpretata come implicito esercizio della facoltà di non aderire alla richiesta fensiva, presupposto essenziale per l’attivazione degli strumenti surrogatori di-sciplinati dall’art. 391 bis, c. 10 e 11 - rendono preferibile il ricorso a strumenti formalizzati, quali la notificazione dell’avviso mediante l’ufficiale giudiziario, ovvero la spedizione tramite lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Nel silenzio del Codice deontologico forense approvato dal CNF il 4.2.2014, il quale si occupa della questione soltanto in relazione al caso in cui la persona contattata sia un minore ovvero la persona offesa, l'art. 10 delle Regole di

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com-portamento del penalista evidenzia come la forma scritta sia ritenuta

preferi-bile. 2

Nel caso, invece, in cui si vogliano ricevere o assumere informazioni dalla per-sona offesa, a norma del medesimo art. 10 delle Regole di comportamento del

penalista e dell’art. 55 del nuovo Codice deontologico forense, l'invito scritto

diventa doveroso. In tale ipotesi, analogo invito deve essere inviato al difenso-re di questa, nel caso in cui risulti già nominato. Se, poi, la persona offesa non risulta assistita da alcun difensore, nell'invito è indicata l'opportunità che co-munque un difensore sia consultato e intervenga all'atto. L’art. 56 del Codice deontologico forense prevede, altresì, che debba procedersi mediante invito formale nei confronti del dichiarante minorenne, con contemporanea comuni-cazione dell'invito all'esercente la potestà genitoriale e con avviso della facoltà di intervenire all'atto.

3

La libertà nelle forme dell'invito vale pure per la persona indagata o imputata nello stesso procedimento ovvero in procedimento connesso o per un reato collegato, ma la forma scritta diviene necessaria nei confronti del difensore di siffatti soggetti, cui deve essere dato avviso, almeno ventiquattro ore pri-ma, dello svolgimento dell'atto (c. 5), con richiesta di nomina di difensore d'ufficio al giudice procedente nel caso in cui la persona da sentire ne sia pri-va. In tali ipotesi, la presenza del difensore del dichiarante è necessaria, a pena di inutilizzabilità dell'atto. Mentre, quindi, l’assenza del difensore dovuta ad una sua libera scelta non inficia la validità dell’atto acquisitivo posto in essere dai funzionari dell’apparato pubblico - fatte salve, ovviamente, le ipotesi in cui la legge disponga che, anche in simili evenienze, la presenza difensiva sia necessa-ria - l’eventuale svolgimento dell’atto investigativo difensivo in assenza del di-fensore, oltre a costituire un’ipotesi di illecito disciplinare, rende lo stesso inuti-lizzabile in virtù della previsione generale contenuta nell’art. 391 bis c. 6. Si noti tra l’altro che, pur in assenza della previsione normativa richiamata, l’atto sareb-be stato comunque affetto da nullità assoluta ai sensi dell’art. 179.

IV. Gli avvertimenti: a) le modalità di verbalizzazione. 1

Il difensore ed il sostituto - nonché, stando ad un’analisi comunque generalmente condivisa in dottrina, gli altri soggetti dell’indagine difensiva che si accingono ad effettuare un colloquio informale - devono rivolgere alla persona contattata una sequenza di avvertimenti che, specificamente indicati nell’art. 391 bis c. 3, sono funzionali alla corretta instaurazione del rapporto difensivo.

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La norma - la quale, come è stato evidenziato, ha incontrato un generale sfavore della dottrina poiché ritenuta suscettibile di incidere negativamente sulla condi-zione psicologica dell’interpellato [RUGGIERO (86) 192] - assume un rilievo cen-trale nell’itinerario attuativo del modello di contatto prescelto, dal momento che l’omissione dei prescritti avvertimenti rende l’atto acquisitivo inutilizzabile e co-stituisce, altresì, ai sensi dell’art. 391 bis c. 6, un’ipotesi di illecito disciplinare che l’autorità giudiziaria procedente ha l’obbligo di comunicare al titolare del po-tere disciplinare. E’ imposto, dunque, un’eccezionale scrupolo nell’esplicazione in concreto del momento informativo, della correttezza del quale occorre altresì dare compiuta dimostrazione in sede di documentazione dell’atto acquisitivo. In un primo momento la Suprema Corte, occupandosi della questione, aveva as-sunto una posizione aperta, ritenendo che gli avvertimenti di cui si discute non ri-chiedessero forme particolari, dal momento che l’art. 391 ter c. 3 non impone un’attestazione formale, né richiede che i verbali redatti dai difensori contengano l’analitica enunciazione dei singoli avvertimenti [C II 14.11.2002, Mancuso,

CED 223509. In applicazione di siffatti principi, la Corte aveva, quindi, ritenuto

sufficiente un’allegazione informale e del tutto generica quale, in conformità con il contenuto dei verbali redatti dal difensore, quella emergente dall’impiego di formule del tipo: “il dichiarante viene edotto delle facoltà di legge e di quanto di-sposto con gli artt. 391 bis e 391 ter, di cui si da lettura e che ha facoltà di non ri-spondere”]. Poco più tardi, invece, la Corte ha mutato radicalmente atteggiamen-to, in più occasioni puntualizzando che, in tema di dichiarazioni ed informazioni raccolte dal difensore, l’avvenuta effettuazione degli avvisi che devono, a pena di inutilizzabilità, essere rivolti al dichiarante va documentata in modo analitico, non essendo sufficiente che il difensore, nella relazione predisposta ai sensi dell’art. 391 ter, abbia dato genericamente atto d’aver rivolto all’interessato gli avvertimenti indicati dall’articolo precedente [C SF 25.7.2003, Javanovic, CED 228394].

La Corte ha rilevato, infatti, come la verbalizzazione analitica sia richiesta per l’attività del pubblico ministero e del giudice, di talché non vi sarebbe ragione per differenziare il regime di documentazione degli atti difensivi, posto che la legge assegna loro la stessa rilevanza processuale. In sede di investigazioni difensive, pertanto, gli avvertimenti che il difensore deve rivolgere al soggetto dichiarante, a pena di inutilizzabilità delle dichiarazioni, devono essere specificamente verba-lizzati, essendo insufficiente una generica attestazione circa l’avvenuta effettua-zione degli stessi [C III 15.7.2003, L.L., ANPP 2005, 102].

Secondo parte della dottrina, anche rispetto al colloquio informale è doverosa la predisposizione di una specifica documentazione dell'avvenuta effettuazione de-gli avvertimenti e delle ammonizioni, atteso che, nel caso di colloquio non docu-mentato, la previsione della mancanza di documentazione riguarda il contenuto del colloquio, non anche i suoi presupposti di legittimità [FRIGO (39) 196]. In o-gni caso, l’art. 55 del Codice deontologico forense approvato dal CNF il 4.2.2014, ponendosi in linea con siffatta impostazione, prescrive l’osservanza

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della forma scritta anche rispetto agli avvertimenti preliminari al colloquio in-formale.

V. (Segue) b) i singoli avvertimenti. 1

Il primo avvertimento, compendiato dall’art. 391 bis c. 3 lett. a e concerne la qua-lità del soggetto procedente e lo scopo del contatto investigativo impone all’indagante di esporre, in primo luogo, la qualità che lo legittima al compimento dell’atto e, in assenza di una disposizione che prescriva l’esibizione di uno speci-fico titolo di legittimazione, è da ritenere che l’adempimento informativo sia sod-disfatto mediante la semplice enunciazione della qualità di difensore di un deter-minato soggetto [BERNARDI (5) 214; TRIGGIANI (101) 287. In senso contrario, in-vece, l’opinione di VENTURA (105) 81] - le generalità del quale devono essere comunicate per evidenti ragioni di compiutezza informativa - coinvolto in un procedimento pendente, ovvero, più semplicemente, interessato ad un’attività in-vestigativa di tipo preventivo. Quanto all’informativa concernente lo scopo del contatto investigativo, merita di essere rilevata l’imperfezione terminologica co-stituita dal fatto che la norma relaziona l’indicazione di esso ad una atto d’indagine che, in modo del tutto improprio, definisce “colloquio”. Appare chia-ro, infatti, che il termine è utilizzato, in questa sede, in senso atecnico in quanto riferito - e non può essere altrimenti, a pena di inevitabili imperfezioni di ordine sistematico e di gravissimi vuoti relativamente ad atti ben più impegnativi - a tut-te le forme di contatto con una persona informata dei fatti [RUGGIERO (86) 195]. Detto questo, sotto il profilo contenutistico l’avvertimento implica un adempi-mento informativo abbastanza contenuto, compendiate quindi l’indicazione della finalità acquisitiva di elementi utili alla difesa dell’assistito, con la specificazione dell’eventuale pendenza di un procedimento penale e della posizione che egli as-sume nell’ambito di esso [VENTURA (105) 82].

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L’avviso previsto dall’art. 391 bis c. 3 lett. b attiene al modello acquisitivo pre-scelto, dovendo il soggetto procedente chiarire alla persona interpellata se l’attività che intende compiere avrà forma di colloquio, di assunzione di informa-zioni ovvero di ricezione di dichiarainforma-zioni e, trattandosi di un modulo formalizza-to, quali saranno le modalità e le forme di documentazione utilizzate.

Lo scopo della previsione è duplice, sovrapponendosi alla funzione di tutelare la libertà della persona contattata rispetto alla scelta di aderire o meno ad una forma di contatto documentata e processualmente utilizzabile, la finalità di porre la stes-sa nelle condizioni di comprendere come ed in quali termini stes-sarà chiamata a par-tecipare all’atto acquisitivo.

3

L’avvertimento di cui all’art. 391 bis c. 3 lett. c, consentendo di conoscere la ve-ste giuridica della persona da esaminare [VENTURA (105) 83], è funzionale

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all’attivazione delle garanzie previste dal c. 5 del medesimo articolo, il quale di-spone che per conferire, ricevere dichiarazioni o assumere informazioni da una persona sottoposta ad indagini o imputata nello stesso procedimento, in un proce-dimento connesso o per un reato collegato, è necessario dare avviso, almeno ven-tiquattro ore prima, al difensore, la cui presenza è necessaria. Se la persona non risulta essere assistita da un difensore di fiducia, il giudice, su richiesta del difen-sore che procede alle investigazioni, dispone la nomina di un difendifen-sore di ufficio ai sensi dell’art. 97. Oltre a costituire - come è, del resto, previsto rispetto a tutti gli avvertimenti - condizione di utilizzabilità dell’atto acquisitivo, l’avviso assu-me un rilievo fondaassu-mentale anche in relazione al caso in cui il contatto investiga-tivo non abbia seguito per effetto dell’esercizio del diritto al silenzio da parte dell’interpellato. Qualora, infatti, questi dovesse rivelare comunque l’esistenza di una posizione processuale corrispondente a quella tipizzata dalla norma, il difen-sore procedente acquisirebbe la consapevolezza dell’impossibilità di accedere al-lo strumento acquisitivo disciplinato dall’art. 391 bis c. 10.

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L’avvertimento concernente la facoltà di non rispondere o di non rendere la di-chiarazione scritta costituisce la manifestazione più emblematica del principio di incoercibilità che caratterizza le investigazioni difensive. Si tratta di una facoltà che, secondo autorevole dottrina [VENTURA (105) 85; FURGIUELE (40) 173], può assumere carattere “generale” - ossia in relazione al contatto investigativo in sé considerato - ovvero “particolare” - riferita, cioè, a singole e specifiche domande - anche se, a ben vedere, elementi di sistematica interna ed esterna sembrano condurre a conclusioni diverse. Sotto il primo aspetto, deve essere rilevato come la disposizione affianchi il rifiuto di rispondere a quello di rendere la dichiarazio-ne in modo del tutto simmetrico, di modo che se il secondo non può che riferirsi all’atto considerato nella sua interezza - rifiutare di rendere la dichiarazione signi-fica, infatti, astenersi dal presentare al difensore il documento informativo richie-sto - la stessa soluzione deve, per ragioni di coerenza sistematica, operare rispetto al primo. Inoltre, la norma non prevede, a differenza di quanto disposto dall’art. 209 c. 2 in relazione all’esame delle parti, una facoltà di astensione riferibile a singole domande. Pertanto, fatte salve le specifiche ipotesi previste dal codice a garanzia della posizione del dichiarante rispetto al rischio di autoincriminazione (art. 198 c. 2), di lesione del sentimento di unità familiare (art. 199) e di indebita rivelazione di segreti (artt. 200 ss.) - norme che, pur non essendo formalmente ri-chiamate relativamente all’atto d’indagine difensiva, devono comunque ritenersi operanti per ragioni di analogia - la persona intervistata non avrà altra alternativa che sottoporsi all’esame difensivo o, diversamente, rifiutare il contatto.

Correttamente si ritiene, invece, che la facoltà di non rispondere possa essere e-sercitata anche “implicitamente”, cioè mediante la mancata presentazione rispetto alla convocazione difensiva senza che venga addotto un impedimento legittimo

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In ogni caso, la documentazione della mancata effettuazione dell’atto acquisitivo per effetto di una libera scelta della persona contattata costituisce il presupposto di una tipizzata richiesta di intervento sostitutivo da parte del pubblico ministero o del giudice, anche se siffatta possibilità non costituisce l’oggetto di uno specifi-co avvertimento.

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L’avvertimento relativo al divieto di rivelare le domande eventualmente formula-te dalla polizia giudiziaria o dal pubblico minisformula-tero e le risposformula-te daformula-te costituisce un presidio garantistico a tutela della riservatezza delle indagini preliminari. Lo scopo della disposizione è, infatti, evidente, essendo finalizzata ad evitare strumentalizzazioni di un atto che, anziché tendere ad acquisire informazioni su elementi rilevanti ai fini della ricostruzione del fatto oggetto di approfondimento investigativo, sarebbe trasformato in un abusivo strumento d’indagine sulle stra-tegie del pubblico ministero e sui risultati da questo conseguiti [VENTURA (105) 77]. “Si vuole” - mette in rilievo la dottrina – “impedire una sovrapposizione og-gettiva delle indagini difensive su quelle dell’autorità giudiziaria, non tanto sulle stesse fonti probatorie - che non risulta impedita né espressamente vietata - quan-to sugli stessi interrogativi dell’investigazione penale in corso” [TRIGGIANI (101) 249].

Mentre l’avvertimento concernente le responsabilità penali conseguenti alla falsa dichiarazione, nel richiamare il dovere di rendere dichiarazioni veritiere di cui è gravata la persona che ha scelto di aderire alla richiesta investigativa, è correlato all’introduzione della nuova figura di reato di “false dichiarazioni al difensore” (art. 371 ter c.p.). La norma - la quale “mira a garantire la genuinità delle infor-mazioni fornite ed è tesa a ricostituire la parità con il pubblico ministero, garan-tendo al difensore della parte privata il diritto di condurre le investigazioni senza ostacoli, deviazioni o impedimenti che potrebbero alterarne le scelte e influenzare gli esiti del procedimento, dal momento che le dichiarazioni in discorso sono de-stinate ad entrare nei circuiti valutativi giurisdizionali” [TRIGGIANI (101) 296] - punisce con la reclusione fino a quattro anni chiunque, nelle ipotesi previste dall’art. 391 bis c. 1 e 2, non essendosi avvalso della facoltà di rifiutare il contatto investigativo, renda in occasione di esso dichiarazioni false.

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Di recente, il catalogo degli avvertimenti prodromici alla regolare effettuazione dell’attività acquisitiva di elementi dichiarativi è stato arricchito dalla Corte di cassazione mediante la previsione di un obbligo di informativa concernente la specifica facoltà di astensione in ragione della ricorrenza di un rapporto rilevante ai sensi dell’art. 199 [C III 6.10.2009, Tornello, CP 2010, 3510. In senso confor-me, di recente, C III 25.9.2013, n. 41484, DeJure].

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VI. Lo svolgimento dell'atto. 1

Il codice di procedura penale prevede espressamente la possibilità di compiere at-ti invesat-tigaat-tivi difensivi a contenuto dichiaraat-tivo che coinvolgano una persona che si trovi in stato di detenzione, fatto salvo l’obbligo di osservare, in questa e-venienza, talune cautele preliminari.

L’art. 391 bis c. 7 stabilisce, infatti, che per conferire, ricevere dichiarazioni o as-sumere informazioni da persona detenuta, il difensore deve munirsi della specifi-ca autorizzazione del giudice che procede nei suoi confronti, sentiti il suo difen-sore ed il pubblico ministero.

In punto di titolarità del potere autorizzativo, poi, la norma precisa che, prima dell’esercizio dell’azione penale, l’autorizzazione deve essere rilasciata dal giudi-ce per le indagini preliminari, mentre durante la fase dell’esecuzione della pena competente a provvedere è il magistrato di sorveglianza.

Come può notarsi, l’atto autorizzativo è necessario a prescindere dalla forma di acquisizione prescelta, per cui, nel caso in cui il difensore preferisca la modalità costituita dalla ricezione di dichiarazioni, l’intervento del magistrato è richiesto sebbene si realizzi un contatto personale e diretto con la persona detenuta dai contenuti molto limitati. Considerata la formulazione della disposizione, appaio-no, altresì, irrilevanti sia il titolo della detenzione - può trattarsi, quindi, di un provvedimento cautelare ovvero di un ordine di esecuzione ai sensi dell’art. 656 - sia le relative modalità, essendo necessario munirsi dell’autorizzazione anche in caso di arresti domiciliari o di detenzione domiciliare.

La norma non chiarisce come debba orientarsi il difensore che voglia acquisire dichiarazioni da persona in stato di detenzione in forza di una pluralità di titoli, per cui appare necessario, in questa evenienza, dotarsi dell’autorizzazione di tutte le autorità titolari del correlato potere in relazione a ciascuna causa di detenzione

[TRIGGIANI (101) 267]. La conclusione appare, d’altra parte, in linea con la ratio

della disposizione, la quale deve individuarsi nella necessità di sottoporre a veri-fica giurisdizionale qualsiasi momento di contatto con persone il cui status è inci-so da un provvedimento dell’autorità giudiziaria che, per sua natura, implica stringenti limitazioni delle normali attività di vita e relazionali, limitazioni fun-zionali alla realizzazione delle finalità sottese alla sua adozione [DI MAIO (29) 227].

Il procedimento autorizzativo è avviato da un’istanza del difensore e prevede, quali fasi necessarie, l’audizione del pubblico ministero e del difensore della per-sona detenuta. Il parere da questi espresso - da taluni ritenuto obbligatorio e non vincolante [DI MAIO (29) 228; TRIGGIANI (101) 269] anche se non vi sono dati normativi che impediscano di configurarlo in termini di facoltatività, soluzione preferibile posto che, in caso contrario, l’omessa formulazione di esso finirebbe con il bloccare la procedura - non può che riguardare i dati estrinseci all’atto d’indagine sulla base dei quali il giudice è chiamato a valutare la richiesta di au-torizzazione e, in assenza di una specifica disciplina dell’itinerario

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procedimenta-le, deve ritenersi consentito il ricorso a qualsiasi modalità comunicativa, ancorché diversa dalla procedura camerale.

Il codice non disciplina i profili della procedura incidentale concernenti i termini e la forma del provvedimento conclusivo, di talché deve ritenersi applicabile su questo versante la disciplina emergente dal combinato disposto degli artt. 121 e 125.

Resta da verificare quali siano le conseguenze di ordine processuale del compi-mento di un atto acquisitivo di dichiarazioni posto in essere in assenza della pre-scritta autorizzazione. Ovvio che l’ipotesi appare priva di serio rilievo rispetto al caso di detenzione custodiale - essendo improbabile, infatti, che l’istituto di de-tenzione consenta al difensore di accedere ed instaurare un contatto con la perso-na detenuta in assenza della specifica autorizzazione - ma può assumere significto pratico relativamente ai casi di detenzione in ambisignificto domiciliare, essendo in a-stratto ipotizzabile l’instaurazione di un’abusiva vicenda acquisitiva. In queste evenienze, ferme restando le conseguenze di carattere penale configurabili in ca-po al difensore, non sembra ica-potizzabile alcun effetto sulla validità ed efficacia dell’atto d’indagine, non essendo prevista alcuna conseguenza sanzionatoria di ordine processuale relativamente alla violazione della norma in esame [In questi termini, quanto meno rispetto all’applicabilità dell’art. 391 bis c. 6, VENTURA

(105) 102. Diversamente, TRIGGIANI (101) 271, ritiene di ricavare l’applicabilità della sanzione dell’inutilizzabilità dal disposto dell’art. 191].

2

L’art. 391 bis c. 8 precisa che all’assunzione di informazioni non possono assiste-re la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa e le altassiste-re parti private. Si tratta di una norma ispirata ad evidenti ragioni di opportunità e di sicurezza [DI

MAIO (29) 220], oltre che finalizzata a salvaguardare la genuinità della deposi-zione rispetto a fattori perturbativi che potrebbero scaturire dalla presenza di figu-re in vario modo intefigu-ressate all’esito di essa [DI CHIARA (26) 14; SIRACUSANO

(92) 506].

Il divieto è espressamente riferito all’assunzione di informazioni e parte della dot-trina ritiene che la formula normativa compendi un’opzione condivisibile, “in considerazione della diversità delle situazioni considerate, atteso che, quanto al colloquio preliminare, la presenza delle citate persone è dal ritenere del tutto in-differente, non essendo l’atto suscettibile di alcuna documentazione, mentre con riguardo al rilascio della dichiarazione scritta e/o sottoscritta dallo stesso dichia-rante non appare seriamente ipotizzabile che una qualche forma di influenza pos-sa esercitarsi dalla persona interespos-sata” [RUGGIERO (86) 213; SPANGHER (93) 206].

Secondo un’altra e senz’altro preferibile posizione dottrinaria, invece, non sem-bra potersi dubitare del fatto che la norma, alla luce della funzione di garanzia che assolve, abbia una portata generale e, pur riconoscendosi l’esistenza di serie difficoltà di gestione rispetto alla seconda tipologia [BISCARDI (6) 2081], sia ap-plicabile anche al colloquio informale ed alla dichiarazione scritta [TRIGGIANI

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(101) 306]. La violazione della disposizione in commento, pur non coperta dalla sanzione di inutilizzabilità di cui al c. 6 (che fa riferimento, infatti, alle violazioni di una delle disposizioni di cui ai commi precedenti, non anche a quelli successi-vi) ben può farsi ricomprendere, comunque, nella cornice generale di cui all'art. 191. Trattasi infatti di divieto esplicito (scolpito dalla locuzione "non possono"), il quale, secondo autorevole dottrina, determina senza dubbio l'inutilizzabilità dell'atto ai sensi del citato art. 191 [NOBILI (71) 411]. In senso opposto, si è tutta-via sostenuto che l'inosservanza delle formalità prescritte dall'art. 391 bis c. 8 non genera l'inutilizzabilità di quanto acquisito ai sensi dell'art. 191, poiché tale ulti-ma disposizione si applica alle prove acquisite in violazione di divieti probatori, mentre nel caso in esame risultano violate le modalità di assunzione della prova

[VENTURA (24) 103].

3

L’art. 391 bis c. 9 - giustamente ritenuto un tipico esempio di parallelismo forzato tra difensore e pubblico ministero [GRIFANTINI (47) 404] - sembrerebbe, almeno all’apparenza, ispirato al principio nemo tenetur se detergere ed impone ai sog-getti legittimati ad assumere informazioni di interrompere l’esame della persona non indagata né imputata qualora renda dichiarazioni dalle quali emergano indizi di reità a suo carico. Similmente con quanto prevede l’art. 63 c. 1, le dichiarazio-ni rilasciate prima dell’interruzione non potranno essere utilizzate contro la per-sona che le ha rese, di talché il pubblico ministero, nel momento in cui dovesse entrare in contatto con siffatte dichiarazioni - per esempio, reperendole nel fasci-colo del difensore a cui ha avuto accesso ai sensi dell’art. 391 octies - non po-trebbe avviare un procedimento nei confronti del dichiarante, ma popo-trebbe soltan-to attivarsi al fine di reperire ausoltan-tonomamente una notizia di reasoltan-to soggettivamente orientata. Dal testo della disposizione si evince, sembra in maniera chiara, che le dichiarazioni rese prima che emergano gli elementi a carico del dichiarante pos-sono essere pienamente utilizzate nel processo in cui è imputato l’assistito dell’investigante o, comunque, a tutela della posizione di questi [VENTURA (105) 65]. Il difensore, interrotto l'esame perché ha ravvisato indizi a carico della per-sona escussa, non può continuarlo nelle forme dell'art. 391 bis c. 5, vale a dire al-la presenza del difensore del dichiarante; e ciò poiché lo status di (co)indagato si acquisisce nel momento in cui l'ufficiale di p.g. o il p.m. esprimono una valuta-zione di attendibilità circa l'attribuvaluta-zione di un fatto di reato ad una persona, indi-pendentemente dall'iscrizione del nome di questa nel registro delle notizie di rea-to. Se, infine, gli indizi di reità emergono nel corso del colloquio non documenta-to, tale colloquio non deve essere necessariamente interrotdocumenta-to, giacché i relativi ri-sultati non assumono valenza processuale [VENTURA (105) 66].

Occorre rammentare che le modalità di approccio “formalizzate” tra il difensore e la persona informata sui fatti sono due - la ricezione di dichiarazioni e l’assunzione di informazioni - e la norma in commento non chiarisce quale sia il regime applicabile alla prima forma di comunicazione di elementi conoscitivi qualora, nel contesto della dichiarazione scritta, si rinvengano dichiarazioni

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indi-zianti. Se l’art. 391 bis c. 9 non consente di dubitare circa il fatto che il difensore possa comunque acquisire e depositare il documento redatto dal dichiarante - la norma, infatti, si riferisce espressamente all’assunzione di informazioni, unico at-to suscettibile di interruzione su impulso del difensore - l’applicazione del canone ermeneutico dell’analogia potrebbe indurre a ritenere che la dichiarazione possa essere utilizzata, ovviamente nell’ambito del procedimento che vede coinvolto l’assistito dell’investigante, soltanto nella parte formalmente antecedente l’emersione degli elementi indizianti, con conseguente inutilizzabilità di quanto dichiarato successivamente. E’, però, di immediata percezione la stravaganza di una simile soluzione, dal momento che, mentre nel caso dell’assunzione di in-formazioni l’emersione di indizi di reità costituisce momento preclusivo rispetto alla prosecuzione dell’atto e, dunque, fatto a partire dal quale l’investigante viene privato della possibilità di acquisire ulteriori elementi da sottoporre a valutazione, nell’altra ipotesi saremmo in presenza di materiale conoscitivo che, seppure suc-cessivo rispetto all’emersione dei dati autoindizianti, sarebbe legittimamente ac-quisito e conosciuto dal difensore e potrebbe avere rilievo fondamentale per la prova dell’assunto difensivo.

Deve, altresì, evidenziarsi come, pur prestando adesione alla tesi dell’utilizzabilità parziale, l’inutilizzabilità relativa conseguente non precludereb-be l’effetto sostanzialmente comunicativo del coinvolgimento del dichiarante nel fatto di reato da parte del pubblico ministero il quale, a prescindere da profili più o meno accentuati di inutilizzabilità, avrebbe modo di conoscere il contenuto dell’atto investigativo privato dal momento in cui esso viene eventualmente de-positato nel relativo fascicolo.

VII. L’esame di persone minorenni. 1

Il dato identificativo tipizzato dall’art. 391 bis ha, fin da subito, consentito di ri-tenere permessa un’attività acquisitiva di contributi dichiarativi che si esplicasse nei confronti di un soggetto minorenne. In relazione a quest’ultima evenienza, la disciplina originaria delle investigazioni difensive non prevedeva particolari cau-tele in ordine alla fase dell’assunzione di elementi dichiarativi, di talché non po-teva che meritare condivisione la tesi secondo la quale doveva ritenersi applicabi-le l’art. 498 c. 4, laddove prevede che l’esame del testimone minorenne possa svolgersi con l’ausilio di un familiare o di un esperto di psicologia infantile

[VENTURA (105) 67].

L’esigenza di salvaguardare l’integrità psico-fisica del minore coinvolto in pecu-liari e delicatissimi procedimenti penali, legata alla necessità di assicurare la ge-nuinità delle dichiarazioni acquisite, ha imposto una rivisitazione del quadro normativo, modificato dalla l. 1 ottobre 2012, n. 172, di ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007. L’innovazione legislativa è molto complessa e, come è facilmente intuibile,

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mul-tidisciplinare. Per quel che riguarda le forme acquisitive di contributi dichiarativi provenienti da persone minorenni, la legge si è preoccupata di salvaguardare, da un lato, la correttezza metodologica - sotto i profili dell’approccio, della comuni-cazione e della comprensibilità di essa - dell’interrelazione che si genera tra il soggetto investigante e la persona intervistata, dall’altro, l’integrità psico-fisica di quest’ultima rispetto ai possibili turbamenti connessi all’inserimento nel circuito processuale.

Agisce su entrambi i versanti l’art. 5 della legge in discorso, il quale ha modifica-to gli artt. 351, 362 e 391 bis inserendo in ciascuno di essi uno specifico comma nel quale si stabilisce che l’autorità procedente - polizia giudiziaria, pubblico mi-nistero ovvero difensore - in relazione ai delitti di cui agli artt. 572, 600, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 quater.1, 600 quinquies, 601, 602, 609 bis, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies, 609 undecies e 612 bis c.p., deve avvalersi dell’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile, il quale, a quanto sembra, de-ve limitarsi a mediare la relazione inde-vestigativa, senza potersi intrattenere in valu-tazioni concernenti l’affidabilità del dichiarante e la genuinità delle dichiarazioni, né sostituire l’autorità procedente nell’esecuzione effettiva dell’audizione. Lo scopo della previsione legislativa, infatti, è quello di “creare un ambiente quanto meno traumatico possibile con il minore, consentendogli il confronto con soggetti, che per la loro peculiare preparazione professionale, dovrebbero meglio garantire l’approccio con lo stesso” [TRIBISONNA (99) 273].

Detto questo, il nuovo art. 391 bis c. 5 bis presenta una serie di profili problema-tici che vale la pena di esaminare, soprattutto in considerazione della delicatezza dell’atto di cui si discute, scaturente sia dalle peculiari condizioni del soggetto passivo, sia dalla gravità dei reati oggetto del procedimento. Va detto, innanzitut-to, che la delimitazione oggettiva dell’ambito di operatività della norma non pre-giudica l’applicazione di essa in relazione a procedimenti per reati diversi da quelli indicati dall’art. 351 c. 1 ter, essendo la previsione di obbligatorietà dell’adozione della cautela rispetto alle fattispecie criminose specificamente indi-viduate perfettamente compatibile con un regime di facoltatività rispetto ad ogni altro, diverso procedimento. Il richiamo della figura del difensore - di tutte le par-ti, ovviamente - sembra, poi, essere preordinato all’assolvimento di una funzione selettiva nell’ambito dei componenti l’ufficio investigativo privato, sottraendo fi-nanche al sostituto la legittimazione al compimento di un atto che, evidentemen-te, si ritiene presenti aspetti di problematicità tali da meritare una riserva in favore del titolare della funzione investigativa.

Quanto alla tipologia dell’intervento acquisitivo, la norma non estende l’adozione della garanzia al colloquio informale ed alla ricezione di dichiarazioni, limitando l’ambito di operatività di esse al “difensore” che “assume informazioni da perso-ne minori”. Se l’esclusioperso-ne della seconda modalità acquisitiva è giustificata dai caratteri di personalità ed autonomia dell’atto, meno comprensibile appare l’assenza di riferimenti al colloquio, trattandosi di una forma nel cui ambito il di-fensore ed il soggetto minore instaurano una relazione finalizzata comunque a re-alizzare un risultato acquisitivo. Né può farsi leva, al fine di giustificare

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l’omissione, sul carattere informale del colloquio, quantomeno - e a tacere d’altro - in ragione del fatto che eventuali atteggiamenti suggestivi o manipolativi della fonte, sfuggiti ad un esperto sapientemente escluso dal compimento dell’atto, si rivelerebbero comunque essenziali in vista della definizione del contenuto del successivo contatto formalizzato e garantito. Fermo restando, allora, che la depri-vazione di un sistema di garanzia è soltanto parziale, operando anche rispetto al colloquio informale il diritto all’assistenza assicurato dall’art. 609 decies c. 2, non rimane che fare ricorso all’analogia e, in considerazione dell’indiscutibile sussistenza delle esigenze di tutela garantite dalla legge anche in relazione al col-loquio informale, ritenere obbligatorio anche rispetto a siffatta formalità acquisi-tiva l’intervento dell’esperto.

Ha destato perplessità, in dottrina, la mancata previsione di forme peculiari di do-cumentazione dell’atto d’indagine a contenuto dichiarativo che abbia come pro-tagonista persone minorenni [CESARI (14) 174; TRIBISONNA (100) 65]. La consi-derazione vale, ovviamente, a prescindere dalla qualifica del soggetto investigan-te, posto che nessuna delle disposizioni processuali modificate dalla legge n. 172 del 2012 si occupa delle formalità documentative dell’atto. Si tratti, quindi, di at-tività d’indagine preliminare ovvero di atti d’investigazione difensiva, operano in ogni caso le regole generali stabilite dal codice di procedura penale, con la conse-guenza che l’utilizzo di strumenti documentativi maggiormente garantiti - quali, per esempio, la fonoregistrazione ovvero la ripresa audiovisiva del colloquio - costituisce una semplice facoltà, il cui esercizio è condizionato da valutazioni di mera opportunità di pertinenza esclusiva del soggetto che procede.

Senz’altro criticabile appare, infine, l’apparato normativo di garanzia dell’obbligatorietà delle cautele imposte dagli innovati artt. 351, 362 e 391bis, dal momento che è venuta meno la previsione di uno specifico sistema sanzionatorio correlato all’inosservanza di esse. Il silenzio legislativo sul punto, però, non è semplicemente pericoloso sul piano dell’effettiva attuazione dell’appena predi-sposto sistema di protezione, trattandosi di un’omissione che, letta seguendo un’ottica di sistema, genera una evidente, quanto ingiustificata, asimmetria fra il regime dell’atto d’indagine preliminare e quello dell’investigazione difensiva. Infatti, non sembra potersi dubitare del fatto che la collocazione topografica del nuovo c. 5 bis all’interno dell’art. 391 bis renda operativo, anche rispetto alla vio-lazione della prescrizione che impone il ricorso all’esperto, il complesso reticolo di sanzioni previsto dal successivo c. 6 [CESARI (14) 164; PASCUCCI (76) 2977]. Fatta salva un’improponibile soluzione ermeneutica che intraveda nella norma appena richiamata un rinvio statico, il risultato è, allora, che “l’intervento dell’esperto appare imposto ringhiosamente alla difesa, ma solo caldamente con-sigliato al magistrato inquirente e ai suoi coadiutori” [CESARI (14) 165].

Ed infatti, la giurisprudenza, già nelle primissime occasioni di applicazione con-creta della norma, ha ritenuto che l’art. 351 c. 1 ter, pur introducendo un obbligo di procedere all’escussione del minore alla presenza dell’esperto in psicologia o in psichiatria infantile, non prevede alcuna sanzione - in particolare, l’inutilizzabilità delle dichiarazioni - per l’ipotesi in cui esso sia violato [C IV

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12.4.2013, F.V., GD 2013, 21, 74. Ma v., seguendo una prospettiva leggermente diversa, C III 10.12.2013, R.A., CP 2014, 2976]. Che non vi sia alcun fondamen-to plausibile rispetfondamen-to ad un trattamenfondamen-to differenziafondamen-to che affida alla buona volontà degli inquirenti ciò che alla difesa è imposto a pena di inutilizzabilità sembra evi-dente, per cui si rende necessario superare la disparità di trattamento che il siste-ma norsiste-mativo genera attraverso l’applicazione della regola generale contenuta nell’art. 191 ad un meccanismo formativo della prova - quello, cioè, che prescin-de dal ricorso all’ausilio prescin-dell’esperto – lesivo di diritti fondamentali prescin-della persona – in questo caso, il diritto all’integrità psico-fisica - tutelati dalla Costituzione, secondo uno schema ricostruttivo dell’istituto dell’inutilizzabilità patologica suf-ficientemente collaudato.

VIII. La qualifica del difensore verbalizzante. 1

Subito dopo l’entrata in vigore della legge sulle investigazioni difensive si era af-facciata, in giurisprudenza, la tesi secondo la quale il difensore, nel momento in cui documenta i risultati dell’attività d’investigazione, assume la qualifica di pubblico ufficiale ed il verbale dallo stesso formato acquisisce la natura di atto pubblico, con la conseguenza che, in caso di falsa o incompleta verbalizzazione delle dichiarazioni ricevute, lo stesso avrebbe dovuto rispondere del reato di falsi-tà ideologica in atto pubblico ai sensi dell’art. 479 c.p. [V., per esempio, Corte App. Torino II 17.1.2005, Schera, DPP 2006, 214].

L’argomento fondante l’orientamento giurisprudenziale in discorso - ritenuto i-doneo a superare il disposto normativo di cui all’art. 358 c.p., secondo il quale, come è noto, sono esercenti un servizio di pubblica necessità i privati che eserci-tano professioni forensi - era costituito dall’indiscutibile e tanto auspicata eguale valenza probatoria degli atti d’indagine difensiva rispetto a quelli posti in essere dal pubblico ministero, dato, d’altro canto, sottolineato fin dall’inizio ed in ma-niera chiara dalla Suprema Corte laddove ha avuto modo di precisare che la nuo-va disciplina delle indagini difensive, nel prevedere un’amplissima possibilità per i difensori delle parti private di assumere prove, delinea per le stesse un’equiparazione quanto ad utilizzabilità e forza probatoria a quelle raccolte dalla pubblica accusa, sia nella fase delle indagini e dell’udienza preliminare che in quella dibattimentale [C II 30.1.2002, Pedi, GI 2003, 2152].

Di talché, il difensore, si è detto, <<è persona esercente un servizio di pubblica necessità nel rapporto con il proprio assistito […] il quale si avvale della di lui opera per la tutela dei suoi interessi nel procedimento penale, e pubblico ufficiale nel momento in cui documenta l’attività di indagine difensiva con la modalità e nelle forme previste dal codice di procedura penale>> [Corte App. Torino II 17.1.2005, Schera, cit.].

Facevano da sfondo a siffatta argomentazione le conclusioni alle quali era perve-nuta la giurisprudenza in tema di elementi qualificativi dell’attività svolta dai pri-vati ed in punto di connotazione concettuale dell’atto pubblico.

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In relazione al primo aspetto, come è noto, la Suprema Corte ha precisato che al fine di stabilire se l’attività svolta da un soggetto possa essere qualificata come pubblica, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 357 e 358 c.p., è necessario veri-ficare se essa sia o meno disciplinata da norme di diritto pubblico, quale che sia la connotazione soggettiva del suo autore, distinguendosi poi - nell’ambito dell’attività definita pubblica sulla base del richiamato parametro oggettivo - la pubblica funzione dal pubblico servizio per la presenza nell’una o la mancanza nell’altro dei poteri tipici della potestà amministrativa, come indicati nell’art. 357 c. 2 c.p. [C SU 13.7.1998, Citaristi, ANPP 1998, 525].

In ordine al secondo profilo, invece, si è affermato che agli effetti delle norme sul falso documentale il concetto di atto pubblico è più ampio rispetto a quello che si desume dalla definizione contenuta nell’art. 2699 c.c., in quanto comprende non soltanto i documenti che sono redatti con le richieste formalità da un notaio o da un altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede, ma anche i documenti formati dal pubblico ufficiale o dal pubblico impiegato incaricato di un pubblico servizio nell’esercizio delle sue funzioni o del suo servizio, attestanti fatti da lui compiuti o avvenuti in sua presenza ed aventi attitudine ad assumere rilevanza giuridica [C SU 11.4.2006, n. 15983, DPP 2006, 1253].

Il quadro giurisprudenziale appena delineato, ritenuto dalla dottrina inidoneo a provocare un mutamento così radicale del ruolo del difensore nel processo penale [V., tra gli altri, VENTURA (105) 214], ha costituito il retroterra culturale ed ar-gomentativo dell’intervento con il quale la Corte di cassazione, occupandosi drettamente della tematica in questione, ha statuito che integra il reato di falsità i-deologica in atto pubblico, ai sensi dell’art. 479 c.p., la condotta del difensore che documenta e poi utilizza processualmente le informazioni delle persone in grado di riferire circostanze utili alla attività investigativa, verbalizzate in modo incom-pleto o non fedele, in quanto l’atto ha la stessa natura e gli stessi effetti proces-suali del corrispondente verbale redatto dal pubblico ministero [C SU 27.6.2006, Schera, GD 2006, 40, 41].

Le Sezioni Unite hanno, così, superato il contrasto giurisprudenziale che si era ingenerato tra la tesi della prevalenza, nella funzione del difensore, della cura e degli interessi processuali dell’imputato [Ribadito, tra l’altro, in C V 14.6.2005, Benvestito, RP 2006, VI, 749] e l’opposta tesi della riconoscibilità, in capo allo stesso difensore, della qualità di pubblico ufficiale quando svolge la funzione cer-tificatrice, redigendo il verbale di dichiarazioni raccolte, in sede di investigazioni difensive, ai sensi degli artt. 391 bis e 391 ter .

IX. I rimedi contro il rifiuto del dichiarante di non rispondere o di non ren-dere la dichiarazione: a) la richiesta di audizione dinanzi al p.m.

1

La tendenziale parificazione con l'accusa, ratio dominante della novella del di-cembre 2000, non si è spinta sino a riconoscere alla difesa poteri lato sensu co-ercitivi sulle persone informate sui fatti. Ad ogni buon conto, si è ritenuto di

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poter raggiungere un punto di equilibrio da un lato riconoscendo al dichiarante la facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione; dall'altro, in ta-le ipotesi, rendendo comunque possibita-le per la difesa la raccolta del materiata-le probatorio ritenuto utile, sia pure attraverso la "mediazione" dell'a.g.

2

Un primo strumento in questa direzione è fornito dall'art. 391 bis c. 10, se-condo cui, quando la persona in grado di riferire circostanze utili ai fini dell'attività investigativa abbia esercitato la facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione, il p.m., su richiesta del difensore, ne dispone l'audi-zione che fissa entro sette giorni dalla richiesta. L’atto presenta i tratti esteriori tipici di quello previsto dall’art. 362 e in questi termini viene comunque qualifi-cato dalla Corte di cassazione, la quale ha chiarito che le dichiarazioni raccolte dal pubblico ministero, ai sensi dell’art. 391 bis c. 10, da colui che si sia rifiutato di rispondere al difensore, costituiscono a tutti gli effetti atti del pubblico ministe-ro[C III 27.2.2007, n. 21092, GD 2007, 26, 91]. L’ovvia conseguenza che è stata desunta da un siffatto inquadramento dell’atto è che gli avvertimenti preliminari - che devono essere rivolti al dichiarante e analiticamente verbalizzati, ai sensi dell’art. 391 bis c. 3 - non riguardano l’atto sostitutivo del pubblico ministero, come può evincersi in maniera evidente dalla stessa formulazione testuale della norma, che pone i relativi obblighi a carico esclusivamente del difensore, sostitu-to, investigatori privati autorizzati o consulenti tecnici [C III 27.2.2007, n. 21092, n. 21092, cit.]. Non sembra, inoltre, potersi dubitare del fatto che alla documenta-zione dell’atto debba provvedere l’ausiliario del pubblico ministero a norma dell’art. 373 [VENTURA (24) 92], né che il relativo verbale confluisca direttamen-te nel fascicolo delle indagini preliminari, con facoltà del difensore di otdirettamen-tenere copia a norma dell’art. 366 [C III 27.2.2007, n. 21092, cit.].

3

La disposizione dell'audizione da parte del p.m., secondo alcuni suscettibile di delega alla p.g. [GUALTIERI (48) 163; contra, PAOLOZZI (74) 36] e il cui termi-ne di sette giorni è da intendersi meramente ordinatorio, è qualificabile alla stregua di atto doveroso, senza che il magistrato possa valutare la rilevanza della prova richiesta [TRIGGIANI (101) 310; BRICCHETTI (10) 46]; tanto che il congegno predisposto dal legislatore ha destato forti perplessità da parte della dottrina più autorevole, preoccupata per le strumentalizzazioni dilatorie cui es-so potrebbe prestarsi mediante la proposizione di innumerevoli richieste di au-dizione sapientemente dislocate nel tempo [CORDERO7 897]. L'audizione si svolge alla presenza del difensore, che per primo formula le domande [sull'ap-plicabilità dell'art. 499 per l'esame testimoniale, v. VENTURA (105) 91]. 4

In sede di richiesta, comunque, è necessario che il difensore specifichi l'ogget-to dell'audizione, indicando gli argomenti sui quali si intendono sentire i

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sog-getti indicati nel c. 1 dell’art. 391 [C VI 13.5.2004, Barone, CED 229828]; e ciò per consentire al p.m. di partecipare avendo conoscenza, sia pure per grandi linee, del tema probatorio oggetto dell'assunzione di informazioni. Sul punto, deve segnalarsi la pronuncia con la quale la Suprema Corte ha stabilito che la richiesta difensiva non può limitarsi a rappresentare l’avvenuta regolarità della convocazione e l’esercizio da parte della persona convocata di valersi della fa-coltà di cui alla lett. d del c. 3, poiché l’art. 391 bis c. 10 individua come pre-supposto che la persona da sentire sia in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa. Ne discende l’obbligo, per il difensore, di <<indicare al p.m. le circostanze in relazioni alle quali vuole che persona sia sentita e le ragioni per le quali ritiene che esse siano utili ai fini delle indagini>> [C II 6.12.2006, O.M., GD 2007, 14, 65].

La richiesta di audizione che sia priva di siffatte indicazioni non è qualificabile nemmeno come inammissibile, poiché in questa evenienza non sorge, in capo al pubblico ministero, addirittura alcun obbligo di provvedere. Poco più tardi, l’orientamento giurisprudenziale è stato esteso - ma non poteva, a questo punto, essere altrimenti - all’incidente probatorio, in relazione al quale è stato puntualiz-zato che la proposizione della relativa richiesta non presupponga alcun automati-smo, implicando una valutazione positiva del giudice circa la rilevanza, a fini in-vestigativi, delle circostanze in relazione alle quali si vuole che la persona sia sentita [C III 14.12.2011, n. 1399, CP 2012, 1775]. In dottrina, si è osservato che la formula legislativa, secondo cui il p.m. “dispone” l’audizione, non configura un obbligo incondizionato di assumere l’informazione, ma va in-terpretata nel senso che il p.m. è tenuto ad assumere la deposizione della per-sona solo quando la stessa provenga da un soggetto legittimato e non sia vie-tata dalla legge [VENTURA (105) 14, 66]. Secondo altra opinione, invece, una simile impostazione non è immune da critiche, rischiando di pregiudicare il diritto della difesa alla raccolta e conservazione di elementi di indagini utili alla strategia difensiva, in quanto non tiene in debito conto il rischio che il pur legittimo vaglio, da parte del p.m., sulla ammissibilità, sotto il profilo soggettivo e oggettivo della richiesta di audizione, potrebbe trasformarsi in una “impropria ingerenza, che avrebbe tutte le sembianze di un sindacato sul-la pertinenza e sulsul-la rilevanza dell’indagine difensiva” [PROCACCINO (80) 1330].

Nulla quaestio, invece, circa il potere del p.m., ad esempio, di rigettare la

ri-chiesta di audizione da parte del difensore delle persone indagate o imputate nel medesimo procedimento o in un procedimento connesso o per reato collega-to, ipotesi nelle quali l'azionabilità del meccanismo in questione è esplicitamen-te esclusa dallo sesplicitamen-tesso c. 10. Va infine ricordato il poesplicitamen-tere del p.m., nel momento in cui gli venga avanzata la richiesta, di emettere decreto di segretazione ex art. 391 quinquies e, conseguentemente, di respingere la richiesta [VENTURA

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