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Il recepimento italiano della Direttiva 2004/80/CE. Brevi note di carattere pratico relative all’indennizzo delle vittime di reato

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Rivista quadrimestrale fondata a Bologna nel 2007 ISSN: 1971-033X

Registrazione n. 7728 del 14/2/2007 presso il Tribunale di Bologna

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doi: 10.14664/rcvs/713

Il recepimento italiano della Direttiva 2004/80/CE.

Brevi note di carattere pratico relative all’indennizzo delle vittime di reato

L’intégration de la Directive n°2004/80/CE dans le système légal

italien. Brefs aperçus sur l’indemnisations des victimes de délits

The incorporation of Directive no. 2004/80/CE into the Italian legal system.

Brief outline about compensation to crime victims

Mauro Bardi, Elisa Corbari

Riassunto

La Direttiva 2004/80/CE stabilisce che gli Stati membri dell’Unione Europea mettano in atto sistemi normativi volti a prevedere forme di indennizzo a favore delle vittime di reati violenti e dolosi, quando l’autore del fatto criminale sia sconosciuto o insolvente. Il presente articolo pone l’attenzione sul recepimento nell’ordinamento italiano della norma europea, operato con la Legge n. 122 del 6 luglio 2016,evidenziando gli aspetti critici e le problematiche sollevati dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Appare, infatti, concorde la dottrina nel ritenere che tale norma rappresenta una lettura riduzionistica della disciplina europea. I punti critici della legge italiana sono sintetizzabili in particolare: nella generale restrizione del concetto di indennizzo (inteso prevalentemente come rimborso spese), nella limitazione dei reati per i quali è prevista la possibilità di ottenere un ristoro e nelle condizioni previste in capo alla vittima per accedere al beneficio.

Résumé

La Directive n°2004/80/CE prévoit que les États membres mettent en vigueur les dispositions législatives, réglementaires et administratives nécessaires pour indemniser les victimes de délits violents et intentionnels lorsque le contrevenant ne peut pas être identifié ou est insolvable.

Cet article porte sur l’intégration de cette Directive dans le système légal italien, par la Loi n°122 du 6 juillet 2016, mettant en relief les aspects les plus critiques et les problèmes envisagés par la littérature et la jurisprudence.

La littérature sur le sujet semble, en effet, indiquer que cette loi est réductionniste en comparaison avec la Directive européenne. Les points critiques de la loi italienne peuvent être résumés comme suit : la restriction du concept d’indemnisation (dans la loi italienne il ne couvre que les dépenses) ; le nombre restreint de délits pour lesquels l’indemnisation est prévue ; les caractéristiques de la victime nécessaires à l’obtention de l’indemnisation.

Abstract

The Directive no. 2004/80/CE stipulates that Member States shall bring into force the laws about compensation to violent and intentional crime victims where the offender cannot be identified or is insolvent.

This article focuses on the incorporation of this Directive into the Italian legal system, through the law no. 122 of 6 July 2016, highlighting the most critical aspects and the problems unveiled by literature and justice case-law. The literature seems to agree that such a law is reductionist in comparison with the European regulation. The critical points of the Italian law may be summarised as follows: the restriction of the concept of compensation (in the Italian law it is intended as a mere cover expenditure); the few number of crimes for which a compensation can be envisaged; the underlying conditions of the victims for asking for the compensation.

Key words: Directive no. 2004/80/CE; Italian law no. 122/2016; violent and intentional crime victims; compensation.

Mauro Bardi, Ph.D. - FDE Istituto di Criminologia di Mantova; Elisa Corbari - Centro di Supporto alle Vittime di Reato per la provincia di Mantova, Associazione Libra Onlus.

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1. La Direttiva 2004/80 CE nell’ambito della vittimologia contemporanea.

Con la Direttiva 2004/80/CE del 29 aprile 2004 il Consiglio dell’Unione Europea esprimeva la necessità che gli Stati membri dell’Unione predisponessero sistemi normativi che prevedessero forme di indennizzo a favore delle vittime di reati violenti e dolosi, nel caso in cui l’autore del fatto criminale fosse sconosciuto o insolvente.

Si tratta di un argomento indubbiamente interessante da un punto di vista vittimologico.

La vittimologia contemporanea (1) deve tenere

conto di diversi filoni di indagine e studio: uno di carattere preventivo, volto alla individuazione dei

fattori di rischio che possono condurre

all’attuazione del crimine e della vittimizzazione (2);

un altro che prende in considerazione la creazione

di uno statuto giudiziario della vittima (3) ed infine

un filone all’interno del quale si individuano la normativa e i programmi diretti al ristoro patrimoniale delle vittime.

L’ultimo approccio, che riceve formalizzazione con la Direttiva 2004/80, si concentra in modo particolare sul problema della riparazione, posta a carico dello Stato o di altri enti pubblici, del danno subito dalla vittima a seguito di illeciti penali posti in essere da soggetti che non hanno relazione con l’amministrazione pubblica ed hanno agito al di fuori delle funzioni pubbliche. Si tratta di una obbligazione compensativa che grava sull’Ente Statale ed è prevista a favore delle vittime di reati commessi nel territorio di competenza dello Stato

(4), qualora il danneggiante risulti incapiente da un

punto di vista patrimoniale.

I motivi che hanno spinto, in realtà da tempo, ad ipotizzare un sistema di compenso per le vittime di reato che viene erogato dallo Stato sono generalmente individuati in una responsabilità dello

Stato per la avvenuta vittimizzazione; oppure in una obbligazione autonoma a carico dello Stato nascente

ex lege (5). La tesi che vede l’Ente statale come corresponsabile per l’atto criminale compiuto si

fonda sul presupposto hobbesiano (6) in base al

quale l’apparato pubblico si obbliga a garantire la sicurezza ed a prevenire la commissione di reati. Dall’inadempimento a questo dovere, trattandosi di violazione contrattuale, discende una responsabilità di carattere risarcitorio a favore della vittima. È una posizione che trova fondamento, appunto, in una concezione contrattualistica, che non tiene presente che le prestazioni di sicurezza e di prevenzione dovute dallo Stato rientrano eventualmente in una obbligazione di mezzi e non di risultato. Gli apparati di Polizia (e di controllo formale in genere) non devono solo combattere la criminalità e i danni conseguenti, ma anche applicare ed implementare le norme amministrative e penali.

L’altro filone ritiene che l’obbligo gravante sullo Stato, si basa su presupposti autonomi fondati ex

lege, i quali possono essere ravvisati in ragioni di

carattere assistenziale. Sul punto occorre intendersi: per prestazione assistenziale non bisogna concepire

un intervento di carattere caritatevole o

compassionevole, ma un provvedimento di sostegno che si inscrive in una generale politica

volta ad ottenere il benessere sociale (7). Il percorso

che dalla vittimizzazione conduce alla assunzione dello status di vittima e termina con la frustrazione delle aspettative di riparazione è in grado di creare pregiudizi materiali e psicologici gravissimi in capo

all’offeso (8). Ed i pregiudizi che si profilano in una

situazione del genere si ripercuotono anche in ambito più vasto, con notevoli problemi e sofferenze anche per la cerchia sociale ed affettiva dell’offeso e le stesse istituzioni. Una vittima che non ha trovato soddisfazione, sia perché l’autore è

(4)

incapiente, sia perché è sfuggito alla identificazione, rappresenta indubbiamente una ferita per la collettività – specie quando quest’ultima non è in grado di erogare altre risorse complementari (sociali, emotive) a quelle patrimoniali. È, quindi, ravvisabile una impostazione che trova le proprie radici in un principio di solidarietà sociale organizzata; si può ragionevolmente sostenere che una minima parte del contributo dei cittadini alla spesa pubblica possa essere destinata all’indennizzo di coloro che hanno subito reati da parte di sconosciuti o incapienti da un punto di vista patrimoniale.

Il problema di una tutela compensativa a carico dei singoli Stati, a favore delle vittime di reati violenti ed intenzionali, è da tempo oggetto di confronto e discussione all’interno dello spazio giuridico

internazionale ed europeo (9).

La costruzione e la creazione di uno sfondo normativo ‘uniforme’ riguardante la disciplina di un’assistenza compensativa da parte degli Stati nei confronti delle vittime di particolari crimini è avvenuta nel corso del tempo ed è passata attraverso una serie di atti normativi che hanno posto l’attenzione sul risarcimento delle vittime di violenza e di reato tra cui a titolo meramente esemplificativo vanno citate: la Risoluzione del Consiglio d’Europa, n. 77, del 28 settembre 1977, sul “Risarcimento delle vittime da reato”; la Risoluzione del Parlamento Europeo del 13 marzo 1981 in tema di “Resolution on Compensation for

Victims of Acts of Violence” (10); la European

Convention on the Compensation of Victims of

Violent Crimes, Strasburgo, 24 novembre 1983 (11);

la Raccomandazione R. 85 del 28 giugno 1985 in materia di posizione della vittima nel diritto e nella procedura penale; gli atti del Consiglio Europeo di

Tampere, 15-16 ottobre 1999 (12); il Libro Verde sul

“Risarcimento delle vittime dei reati” (13); la 2370ª

Sessione del Consiglio Giustizia, Affari Interni e Protezione civile - Bruxelles, 27-28 settembre 2001 [Bruxelles, 28 settembre 2001 – COM 2001, 536]

(14); infine, la Direttiva 2004/80/CE del 29 aprile

2004.

2. La Direttiva 2004/80/CE ed il primo recepimento da parte dell’Italia

L’art. 12 della norma comunitaria, al primo, comma stabilisce che: “Le disposizioni della presente direttiva riguardanti l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere si applicano sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori”. Proseguendo, il secondo comma prevede che: “Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime”.

La prima parte della norma rappresenta l’esigenza di un sistema statale che provveda all’indennizzo in caso di crimine connotato dalla transfrontalieralità: ossia un crimine commesso nel territorio di uno Stato dell’Unione la cui vittima sia un cittadino di un altro Stato UE. Il secondo comma, invece, estende il sistema indennitario anche a favore della vittima con cittadinanza dello Stato nel quale il fatto illecito

sia stato commesso (15).

La Direttiva ha ricevuto un primo recepimento in Italia con il Decreto Legislativo del 6 novembre

2007 n. 204 (16).

3. La giurisprudenza italiana in materia.

L’inadempienza dello Stato Italiano in relazione al

recepimento della Direttiva (17) è stato rilevato dal

(5)

Corte d’Appello di Torino, sez. III, 23 gennaio 2012

(18). Nell’ambito di una vicenda dolorosa – relativa

al caso di una donna vittima di violenza sessuale – il giudice di primo grado ha argomentato che, dall’inadempimento da parte dell’Italia, derivava un obbligo risarcitorio sussidiario che, nella fattispecie, grosso modo coincideva con la riparazione prevista dal secondo comma dell’art. 12 della norma europea. La Corte territoriale, pur mantenendosi rispetto all’an in linea con il Tribunale, rilevava la genericità del portato della norma unieuropea e sostituiva il risarcimento accordato in precedenza con un indennizzo determinato in via equitativa ex art. 2056 del c.c.

In seguito alle pronunce torinesi, in giurisprudenza non vi è mai stato un orientamento univoco rispetto al problema.

Il Tribunale di Firenze, sez. II, 20 febbraio 2013, nel rilevare l’ambiguità del dettato della normativa sovranazionale, ha disposto il rinvio pregiudiziale

alla Corte Europea di Giustizia (19), per conoscere

se l’art. 12 della Direttiva sia limitato ai crimini con caratteristiche transfrontaliere o se, ai sensi del secondo comma del medesimo articolo, il sistema indennitario disciplinato possa essere esteso anche a

tutti gli altri crimini (20). In seguito alla

dichiarazione di incompetenza della Corte (21), il

giudice fiorentino ha rigettato la domanda attorea ritenendo che la fattispecie in esame non fosse

connotata dal requisito della transfrontalieralità (22).

Il Tribunale di Roma, sez. II, in data 8 novembre

2013 (23), ha accolto l’impostazione torinese ed ha

condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri a corrispondere ai familiari di una ragazza uccisa nel 2006 dall’amante nullatenente un indennizzo a titolo di riparazione.

Diversamente, il Tribunale di Trieste (24) ha

rigettato la domanda della vittima di un crimine

violento proprio sulla considerazione che il fatto posto a base della istanza fosse carente della

caratteristica della transfrontalieralità; quindi,

aderendo ad una interpretazione restrittiva ed incentrata sul primo comma dell’art. 12 della Direttiva.

Ancor più di recente, la sentenza del Tribunale di Milano, sez. I, del 26 agosto 2014, n. 10441 si è uniformata alla giurisprudenza torinese ed ha sancito che, per dare effettiva attuazione alla

direttiva 2004/80/CE, è necessaria la

predisposizione, da parte del legislatore italiano, di un sistema idoneo a garantire l’indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti nelle situazioni interne. Da tanto ne deriva che l’Italia risulta inadempiente alla attuazione del disposto dell’art. 12, comma II, della Direttiva 2004/80/CE,

con conseguente diritto delle vittime al

riconoscimento dell’indennizzo per il danno subito

(25).

In data 16 ottobre 2014 la Commissione Europea ha deferito l’Italia alla Corte di Giustizia dell’Unione

Europea (26) per il mancato recepimento

nell’ordinamento italiano della direttiva self-executing. Invero, il già citato Decreto Legislativo del 6 novembre 2007 n. 204 prevedeva un indennizzo soltanto per le vittime di un elenco tassativo di reati

in esso contenuto (27).

4. La Legge n.122 del 6 luglio 2016.

Finalmente, nel 2016 il legislatore italiano ha licenziato la legge n. 122 del 6 luglio 2016 all’interno della quale, tra l’altro, viene operata una nuova recezione della Direttiva europea in materia di indennizzo alle vittime di reato. La ratio della norma è rinvenibile nella necessità, da un lato, di superare le ambivalenze e i dubbi interpretativi emersi in giurisprudenza e, d’altro, di colmare la lacuna

(6)

normativa evidenziata con la procedura di infrazione azionata innanzi alla Corte di Giustizia

dell’Unione Europea (28).

Giova, comunque, precisare che la Corte di Giustizia ha, in data 11 ottobre 2016 (Causa C-601/14), condannato la Repubblica Italiana per non avere adottato tutte le misure necessarie al fine di garantire l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul proprio territorio, venendo così meno all'obbligo sancito dell'art. 12, 2, della Direttiva

2004/80 (29).

5. L’indennizzo.

L’art. 11 che disciplina il “Diritto all'indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti, in

attuazione della direttiva 2004/80/CE” (30) è

strutturato fondamentalmente su due livelli.

Il primo livello (prima parte del c. I) contiene una esclusione che fa salva l’operatività delle “[…] provvidenze in favore delle vittime di determinati reati previste da altre disposizioni di legge, se più favorevoli […]”. Il legislatore si riferisce a quelle norme da tempo previste per sostenere le vittime di

specifici fenomeni criminali (31).

Il secondo livello riguarda, invece, il nucleo della normativa che fissa una obbligazione indennitaria a carico dello Stato e a favore della vittima di un reato doloso commesso con violenza; questo illecito deve essersi verificato all’interno del territorio nazionale e deve aver sortito un danno.

La norma prevede un indennizzo (peraltro in conformità al dettato della Direttiva): si tratta di una espressione il cui significato vuol rinviare ad una forma di compenso patrimoniale disposto in favore di colui che ha subito un pregiudizio, ma si tratta di un compenso che presenta caratteristiche non unitarie. Da un lato, infatti, sembra che con

indennizzo si faccia riferimento ad un compenso erogato per un danno realizzato a seguito di un’attività lecita, o di un’attività in sé illecita, ma nel

caso di specie scriminata (32). D’altro canto,

l’indennizzo potrebbe riguardare quella riparazione patrimoniale che grava su un soggetto diverso da colui che ha materialmente cagionato il danno: non

si è di fronte ad una responsabilità vicaria (33), ma

ad una vera e propria figura di surroga (e di sostituzione ex lege) del soggetto obbligato.

Quanto alle delimitazioni esterne si può affermare che una distinzione tra risarcimento e indennizzo appare abbastanza definita: il primo rappresenta una riparazione integrale e complessiva del danno, nella

quale si possono distinguere diverse voci (34); il

secondo è un compenso la cui quantificazione non ristora in modo integrale il danno che, quindi, è compensato sulla base di criteri anche di carattere

equitativo (35).

6. La vittima.

L’articolo 11 utilizza il termine vittima (36) che viene

introdotto facendo riferimento a quel soggetto che il codice di procedura penale definisce come la persona offesa dal reato (artt. 90 ss. c.p.p.; o artt. 120 ss. c.p.).

La locuzione di vittima è maggiormente evocativa rispetto a quella di persona offesa: se la seconda è una qualifica dalla quale derivano diritti e facoltà di azione ed interazione processuale; la prima – la vittima – si presenta caratterizzata da fragilità e viene considerata meritevole non solo di diritti da esercitare, ma anche di assistenza da ottenere. Le prospettive, anche di politica criminale e vittimologica, che derivano dall’utilizzo del termine vittima all’interno della Legge n. 122 sono indubbiamente più ampie rispetto a quelle che

(7)

possono essere tratte dalla mera definizione codicistica della stessa.

7. Il reato presupposto.

Il terzo elemento necessario richiesto per ottenere l’indennizzo è rappresentato dalla individuazione dell’evento dal quale scaturisce l’indennizzo, ovvero un reato doloso commesso con violenza alla persona.

Ad un primo esame del termine non emergono particolari problemi interpretativi: il reato doloso, infatti, è disciplinato dal I comma dell’art. 43 c.p. Per quanto concerne, invece, l’individuazione dell’ambito della modalità di esecuzione violenta possono essere utilizzati alcuni criteri: a) un criterio negativo per il quale la modalità violenta si contrappone a quella fraudolenta con esclusione, quindi, di tutti quegli agiti disonesti e in malafede; b) un criterio positivo per il quale la modalità violenta è ogni intervento aggressivo nei confronti dell’altrui sfera giuridica; c) un criterio analogico per cui è legittimo chiedersi, poiché in diverse fattispecie il codice equipara la violenza e la minaccia, se per violenza debba intendersi solo quella corpori illata od anche quella moralis. Vi sono reati quali, ad esempio, la rapina o l’estorsione che, nonostante possano essere agiti anche solo con vis moralis, indubbiamente possono traumatizzare in modo grave la vittima.

Potrebbero sorgere difficoltà di carattere

interpretativo in relazione a fattispecie di confine quali quella del dolo eventuale o della colpa cosciente. Su questo punto il problema dovrebbe essere risolto dalla qualifica giudiziaria conferita all’elemento psicologico del colpevole che, qualora rientrante nel modello disegnato dal n. 3) dell’art. 61 c.p., non attiverebbe la procedura di indennizzo in caso di danni. Appare necessario, poi, soffermare l’attenzione sulla previsione legislativa che richiede il

verificarsi di un reato doloso, lasciando aperta la

possibilità che l’indennizzo possa essere

riconosciuto anche per un danno prodotto da una contravvenzione non prevedendo espressamente che la fattispecie trovi applicazione esclusivamente in presenza di delitti dolosi. L’ipotesi sembra remota poiché il sistema contravvenzionale è impostato prevalentemente su reati di pericolo e non di danno; tuttavia non si può escludere che reati contravvenzionali siano in grado di provocare non solo rischio, ma anche danni individuali.

Dal novero dei reati dolosi violenti (categoria che si presenta abbastanza problematica e non definita in modo netto) che possono, in caso di danni subiti, portare all’indennizzo di Stato, sono escluse alcune fattispecie: quella prevista dall’art. 581 c.p. e dall’art. 582 c.p. La non rilevanza dei danni derivanti dalle percosse ha, in qualche modo, una sua giustificazione fondata sulla discrezionalità del legislatore e sul fatto che questo tipo di reato bagatellare trova, nella prassi giudiziaria, scarse occasioni di essere contestato generalmente perché non dà luogo a danni di rilievo. Meno comprensibile risulta l’esclusione della norma-base che punisce le lesioni volontarie; la non copertura dei danni che fanno seguito alla commissione del reato di cui all’art. 582 c.p. potrebbe dar luogo a problemi di disparità di trattamento rilevanti anche ai fini di una impugnativa in sede di legittimità costituzionale.

8. L’entità dell’indennizzo.

Con il II comma dell’articolo 11 il legislatore opera uno svuotamento del significato del termine indennizzo e lo limita alla rifusione delle spese mediche ed assistenziali affrontate dalla vittima per effetto del reato. Questo comma stride anche per un altro motivo di carattere semantico, rinvenibile nell’utilizzo del termine “L’indennizzo è elargito

(8)

[...]”. L’elargizione fa pensare non a un ristoro fondato su un diritto soggettivo, ma a una concessione discrezionale e compassionevole.

Con il termine indennizzo (37) si indica una

riparazione che, pur non costituendo integrale risarcimento del danno patito, rappresenta un compenso tendenzialmente satisfattivo, erogato e liquidato in via equitativa. Ridurre l’indennizzo al rimborso delle sole spese mediche rappresenta: a) un inadempimento della Direttiva europea, che fa riferimento ad un indennizzo in senso proprio; b) un trucco lessicale che destituisce di significato il termine indennizzo e lo riduce ad un mero rimborso parziale. Infatti, il pregiudizio subito dalla vittima di un reato può concretarsi in: un danno patrimoniale costituito da danno emergente e lucro cessante (art. 1223 c.c.); un danno non patrimoniale quale danno

biologico o danno ex art. 2059 c.c.(38).

Un indennizzo, naturalmente, potrà prendere in considerazione le componenti sopra trattate e le quantificherà in termini non rigorosi dando luogo ad una liquidazione di carattere equitativo (art. 1226 c.c. e art. 2056, II comma c.c.). Ridurre, ulteriormente, l’indennizzo limitandolo al solo rimborso delle spese mediche ed assistenziali costituisce sicuramente un inadempimento in relazione alla recezione della Direttiva unieuropea. Tanto più se si considera che la maggior parte di simili spese saranno sopportate dal S.S.N. mentre il danneggiato sosterrà l’esborso per i ticket per i trattamenti o per gli accertamenti medici ulteriori, oppure per le prestazioni mediche erogate in regime libero-professionale. Utilizzando un criterio di carattere estensivo potrebbero essere considerate, in

quanto rientranti nelle categorie sanitarie

assistenziali rimborsabili, anche le spese non strettamente mediche, quali quelle sostenute per

sedute di riabilitazione psicologica e per il servizio di O.S.S.

Il comma II dell’articolo 11 prevede una deroga nei

confronti della limitazione dell’ammontare

dell’indennizzo alle sole spese mediche ed assistenziali nel caso di violenza sessuale ed omicidio. Le definizioni dei due reati date dalla legge de quo sono generiche: quanto all’omicidio il problema potrebbe sorgere rispetto alle fattispecie dell’art. 584 c.p. (Omicidio preterintenzionale) e dell’art. 586 c.p. (Morte o lesioni come conseguenza di un altro delitto), nelle quali l’elemento soggettivo, inteso come dolo vero e proprio, può essere posto

in dubbio (39).

Questo regime di eccezione per i due reati su menzionati crea un ulteriore problema. Da un lato, è apprezzabile il fatto che il legislatore abbia previsto per reati più gravi un regime indennitario vero e proprio, tuttavia occorre chiedersi che tipo di indennizzo potrebbe spettare alle vittime di quei reati. Prudentemente si potrebbe ipotizzare un compenso di carattere equitativo (indennitario appunto) che prenda in considerazione sia il danno emergente e il lucro cessante, che la perdita di chance oltre al danno biologico e quello morale. E’ da precisare inoltre che, in caso di omicidio, l’indennizzo sarà appannaggio degli eredi del defunto.

D’altro canto, questo regime differenziato dà luogo ad una discriminazione nei confronti delle vittime di altri reati egualmente gravi, violenti e dannosi. Si pensi al caso delle lesioni gravi, magari agite per motivi abietti o per crudeltà o disprezzo (hate crimes), che hanno cagionato un danno rilevante. Ebbene in queste ultime circostanze la vittima di tali reati odiosi, e reati che sono in grado di suscitare reazione sociale e sgomento al pari, ad esempio,

(9)

della violenza sessuale, può contare solo sul rimborso delle spese mediche e assistenziali.

Tale impasse può essere superata in due modi. In via giudiziale, portando all’attenzione del Giudicante la discrepanza tra la portata semantica del termine indennizzo come individuata nella Direttiva e l’approccio riduzionista del medesimo come contenuto e connotato nella Legge n. 122/16. Potrebbe, oltretutto, essere sollevata una questione di legittimità costituzionale sotto il profilo della disparità di trattamento tra vittime “ordinarie” e “vittime privilegiate” da intendersi queste ultime quali vittime di violenza sessuale ed omicidio. Non potrebbe al riguardo, per giustificare una simile scelta, essere eccepita la discrezionalità riconosciuta al legislatore nel poter apprestare diversa tutela a situazioni differenti poiché occorre tenere in considerazione che trattandosi di direttiva

self-executing non vi è grande spazio di azione per il legislatore che recepisce e, soprattutto, che la discrezionalità che dà luogo ad effetti discriminatori è ammissibile avendo riguardo a fattispecie diverse tra loro; e non in relazione a fattispecie che, come la violenza sessuale e la lesione personale grave o gravissima (agita per odio), presentano profili di similitudine quanto alla pericolosità degli autori ed alla gravità delle conseguenze, sia fisiche che psicologiche.

9. Le condizioni per l’accesso all’indennizzo.

L’articolo successivo della norma, l’articolo 12, si occupa di fissare le condizioni per l’accesso

all’indennizzo (40).

La prima è quella di carattere reddituale: la vittima può accedere al beneficio solo quando sia titolare di

un reddito annuo, risultante dall’ultima

dichiarazione fiscale, non superiore ad € 11.528,41; si tratta del medesimo requisito previsto per

l’accesso al gratuito patrocinio. Agganciare l’accesso ad una misura indennitaria a favore della vittima di un reato al livello reddituale per fruire della difesa legale si mostra sotto diversi aspetti discriminatorio. Se nel primo caso (la difesa gratuita per i non abbienti) si ha la ragionevole fissazione di una condizione di stato di indigenza per accedere ad un servizio messo a disposizione dallo Stato – al pari di altri servizi quali prestazioni sanitarie ed istruzione - nel caso che ci occupa possiamo affermare che l’individuazione di un requisito reddituale massimo per fruire di una prestazione compensativa sia una decisione completamente fuori squadra e non assimilabile, neppure per analogia, alla ratio del gratuito patrocinio. Se un flusso reddituale basso può legittimare e giustificare l’erogazione di un servizio (la difesa legale) che altrimenti non potrebbe essere fruito, non si comprende il motivo per il quale si sia deciso di limitare a coloro che godono di un reddito basso una provvidenza che non è un servizio, ma una misura di carattere compensativo. In questo modo oltretutto si viene a creare un’artificiosa gerarchia di danneggiati: prima quelli che fruiscono di un reddito annuo complessivo non superiore ad € 11.528,41 che, indipendentemente da ogni altro parametro sono considerati meritevoli di aiuto; poi quelli che godono di un reddito anche appena superiore, i quali vengono ritenuti capaci e dotati di capitale e risorse per poter far fronte da soli ai disagi derivanti dal danno.

Il secondo requisito per poter accedere

all’indennizzo rinvia al testo della Direttiva che afferma: “Le vittime di reato, in molti casi, non possono ottenere un risarcimento dall'autore del reato, in quanto questi può non possedere le risorse necessarie per ottemperare a una condanna al

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risarcimento dei danni, oppure può non essere identificato o perseguito”.

Il legislatore interno, per operare l’adeguamento, ha fissato due punti in diritto che sono contenuti al punto b) del I comma dell’articolo 12.

Uno è quello che la vittima “abbia già esperito infruttuosamente l'azione esecutiva nei confronti dell'autore del reato per ottenere il risarcimento del danno dal soggetto obbligato in forza di sentenza di condanna irrevocabile o di una condanna a titolo di provvisionale, salvo che l'autore del reato sia rimasto ignoto”.

Si tratta di un argomento da esaminare nelle sue conseguenze giuridiche.

Cosa si può intendere per infruttuoso esperimento della azione esecutiva? Il caso di scuola è quello rappresentato dall’esempio dell’Ufficiale Giudiziario che, a seguito di una richiesta di pignoramento presso il domicilio del debitore, rediga un verbale negativo per assenza di beni mobili da utilmente staggire. Vi è da ritenere che la prova della incapacità patrimoniale del debitore non si possa limitare al semplice scenario sopra configurato. Si può pensare che il giudizio di infruttuosità dell’esecuzione passi anche attraverso una indagine, con esito negativo, focalizzata sulla ricerca di cespiti

immobiliari (anche eventualmente intestati

fiduciariamente a terzi, o conferiti a un fondo patrimoniale), di crediti presso istituti bancari, di rapporti con società fiduciarie, con società

finanziarie, con enti assicurativi. Bisogna

considerare che l’esperimento infruttuoso della azione esecutiva non si limiti ad un pignoramento negativo, ma debba comprendere anche l’esame delle fasi successive della esecuzione forzata: quindi, valutare anche i risultati scaturiti dalla vendita all’incanto dei beni.

Nel caso in cui il debitore sia irrintracciabile, quindi non sottoponibile neppure ad indagini volte a far emergere consistenze patrimoniali, è da ritenere, rinviando anche a nozioni di diritto e pratica commerciale, che la sua assenza prolungata o la sua vacanza certificata possa equivalere ad incapienza patrimoniale. Si ritiene, oltremodo, che lo stato di latitanza dell’indagato o dell’imputato, o il caso in cui il condannato si sottragga all’ordine di esecuzione della pena, possa valere, unitamente ad altri indici di carattere reale e patrimoniale, ad uno stato di incapienza.

Il punto b) dell’articolo 12 contiene una seconda

ipotesi di condizione di ammissibilità

dell’indennizzo, alternativa a quella sopra esaminata, che si identifica nella circostanza che l’autore del reato sia rimasto ignoto. Bisogna osservare che in relazione a questo argomento si possono verificare dei casi in cui, nonostante il diretto e materiale colpevole dell’atto sia sconosciuto, la vittima può richiedere il risarcimento integrale nei confronti di soggetti “altri”, anche al di fuori di un processo penale. L’evoluzione del concetto di risarcimento, nell’ambito della normativa civilistica, ha da tempo condotto alla individuazione di figure responsabili diverse dall’autore materiale del fatto, ma in ogni caso coinvolte a diverso titolo (anche formale) nel medesimo fatto per responsabilità per rischio di impresa, responsabilità per l’esercizio di attività pericolose, responsabilità per la detenzione di cose potenzialmente dannose o responsabilità di padroni

e committenti. In questi casi, anche

indipendentemente da un giudicato penale, il

danneggiato può ottenere una riparazione

nell’ambito di un giudizio civile, all’interno del quale il giudice può – in via meramente incidentale – accertare anche la verificazione di un reato.

(11)

Qualora, invece, non vi siano responsabili vicari o surrogati, la dimostrazione del fatto che l’autore del reato sia ignoto si può ricollegare a due particolari circostanze.

La prima è quella rappresentata dal decreto di archiviazione della notitia criminis previsto dall’art. 415 c.p.p. ed emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari. La seconda si può ravvisare in una sentenza che scagiona l’imputato per non aver commesso il fatto e lascia senza identità l’autore del reato di cui al capo di imputazione.

La lettera c) del I comma dell’articolo 12 pone una ulteriore condizione per l’accesso all’indennizzo che racchiude alcune fattispecie vittimologicamente interessanti. La norma indica, per l’accesso all’indennizzo, che “la vittima non abbia concorso, anche colposamente, alla commissione del reato ovvero di reati connessi al medesimo, ai sensi dell'art. 12 del codice di procedura penale” ed apre un ampio ventaglio di ipotesi.

L’espressione utilizzata dal legislatore sembra rifarsi a quanto previsto dal n. 5) dell’articolo 62 c.p. che stabilisce un’attenuante a favore del colpevole quando sia “[…] concorso a determinare l'evento, insieme con l'azione o l'omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa”. Ma se la diminuente del n. 5) si limita a disegnare una fattispecie in cui la dinamica del reato è stata

determinata da un agito volontario della vittima (41),

la disposizione di legge qualifica l’intervento della vittima anche come colposo, ovvero caratterizzato da un atteggiamento imprudente o negligente. Se si vuole leggere quanto previsto alla lettera c) in termini ampi, si possono considerare tutti quei casi in cui la vittima abbia, a diverso titolo favorito, facilitato, agevolato e provocato la causazione del reato. Si tratta di eventualità e circostanze dai contorni anche molto sfocati e indeterminati che

possono emergere non sempre in modo chiaro e

definito dal percorso argomentativo delle

motivazioni delle sentenze e possono costituire anche un pretesto per rilevare che, nel caso di specie, il danneggiato ha fornito un contributo alla causazione del fatto. Si pensi, ad esempio, ai casi in cui il testo della sentenza riferisca di un concorso colposo della vittima che, magari, abbia solo facilitato o reso possibile (non causato) il compimento del reato o che abbia aggravato le conseguenze: ebbene in un tale frangente il danneggiato potrebbe rischiare di vedersi negare l’indennizzo. Sarebbe stato indubbiamente più equo limitare il rimborso a quella parte di danno che non può ricollegarsi all’intervento al comportamento del danneggiato. Una disposizione quale quella appena descritta, che nega completamente l’indennizzo in presenza di un concorso del danneggiato, si pone

oltretutto in contrasto con l’art. 1227 c.c. (42), che è

norma fondamentale e di necessaria applicazione. La lettera c) prevede una ulteriore restrizione legata alla dinamica del reato ed alla partecipazione al medesimo della vittima: viene in rilievo il caso in cui la vittima abbia concorso (art. 110 c.p.) o cooperato (art. 113 c.p.) alla produzione del medesimo reato ed abbia riportato un pregiudizio. Il riferimento all’art. 12 del c.p.p. non rappresenta, invero, una novità in materia di regolamentazione per l’accesso a fondi pubblici e trova un suo precedente all’articolo 4 (Condizioni dell'elargizione) della Legge 23 febbraio 1999, n. 44 (Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime

delle richieste estorsive e dell'usura): “1.

L'elargizione è concessa a condizione che: b) la vittima non abbia concorso nel fatto delittuoso o in reati con questo connessi ai sensi dell'articolo 12 del codice di procedura penale”. Questa disposizione, relativa alla seconda parte della lettera c) e formulata

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in modo non chiaro ed equivoco, è solo parzialmente sovrapponibile a quella della prima parte (che prevede il caso di una sorta di agevolazione colposa) e sembra riguardare la situazione in cui il soggetto abbia partecipato alla commissione di un fatto-reato e, per effetto di tale partecipazione, abbia subito una vittimizzazione. La lettera d) dell’articolo 12 prevede un’altra serie di

restrizioni per l’accesso alla liquidazione

dell’indennizzo.

Si è evidenziato che le condizioni fissate per l’accesso alla liquidazione dell’indennizzo sino ad ora dalla legge potevano essere ordinate secondo due criteri:

a) il criterio del reddito, in cui superata una soglia il danneggiato non può fruire della provvidenza; b) il criterio della partecipazione anche indiretta della vittima nella causazione del fatto dannoso. Nella nuova formulazione, il legislatore ha introdotto un terzo criterio rappresentato dalla considerazione delle qualità personali della vittima che, se intende chiedere l’indennizzo, non deve aver riportato una condanna definitiva per determinati reati, ovvero non deve, al momento della

presentazione della istanza per ottenere

l’indennizzo, essere sottoposta a procedimento per gli stessi reati. Si è di fronte ad una disposizione altamente problematica per almeno quattro ordini di motivi.

Il primo motivo è quello della equiparazione tra l’aver riportato una condanna per certi reati e l’essere indagati o imputati per i medesimi reati: si tratta di due condizioni radicalmente distinte tra loro. E’ evidente come questa assimilazione tra due situazioni diverse sia del tutto irragionevole poiché la prima riguarda una responsabilità penale accertata, mentre la seconda ha a che fare con la

possibilità che venga dichiarata una responsabilità penale.

Il secondo motivo concerne la messa in relazione tra uno status riferito ad un evento passato (consideriamo qui l’aver riportato condanne per alcuni reati) e la fruizione di un indennizzo da parte dello Stato per un danno subito, che non ha alcun rapporto con i reati commessi antecedentemente. Se può dirsi ammissibile una inabilitazione, intesa come sanzione accessoria e pronunciata e contenuta all’interno di una sentenza che dichiara la responsabilità penale, più problematica è l’astratta configurazione di incapacitazioni successive alla condanna e per fatti che non hanno relazione con le motivazioni della sentenza. Per la verità il legislatore non ha introdotto un’assoluta novità, poiché già

l’articolo 4 della Legge 22 dicembre 1999 n. 512

(Istituzione del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso), al suo III comma, esclude la obbligazione a carico del Fondo: “3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2, l'obbligazione del Fondo non sussiste quando nei confronti delle persone indicate nei medesimi commi è stata pronunciata sentenza definitiva di condanna per uno dei reati di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, o è applicata in via definitiva una misura di prevenzione, ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni. 4. Il diritto di accesso al Fondo non può essere esercitato da coloro che, alla data di presentazione della domanda, sono sottoposti a procedimento penale per uno dei reati di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, o ad un procedimento per l'applicazione di una misura di prevenzione, ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni”.

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Il terzo motivo sembra ancor più irrazionale e consiste nel ricollegare l’essere sottoposti a procedimento penale per mere ipotesi di reati alla

esclusione dalla possibilità di conseguire

l’indennizzo previsto dalla legge; in questo modo si introduce una incapacitazione fondata non su una dichiarazione di responsabilità ed una colpevolezza, bensì solo su un’accusa per illeciti che non trovano relazione con il diritto alla prestazione di una provvidenza prevista da un legge.

Come quarto motivo criticabile – autonomo rispetto a quelli indicati in precedenza – vi è la scelta dei reati ai quali si ricollegano le incapacitazioni: si tratta di fattispecie tra loro del tutto eterogenee e tratte da una norma – l’articolo 407, II comma, a) c.p.p. – che elenca ipotesi di illeciti e li riunisce in una disposizione per scopi del tutto “altri” rispetto a quelli sottesi alla previsione della lettera d)

dell’articolo 12 della legge che ora ci occupa (43).

Tuttavia, la lettera d) non si accontenta di affastellare ipotesi di reato che ai fini della legge non hanno nulla in comune, aggiunge altri reati (commessi o indagati) che danno luogo ad una

incapacitazione rispetto alla prestazione

dell’indennizzo in caso di condanna riportata o di sottoposizione a procedimento. Si tratta di violazione delle norme in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto, in altre parole: generici, illeciti penali di carattere tributario

(44).

Pleonastico è il disposto del punto e): “che la vittima non abbia percepito, per lo stesso fatto, somme erogate a qualunque titolo da soggetti pubblici o privati”. In realtà la disposizione in parola corrisponde ad un principio generale immanente al diritto civile in base al quale nessuno può arricchirsi oltre il dovuto.

10. L’istanza per accedere all’indennizzo.

L’articolo 13 si occupa di fissare le modalità operative per la presentazione della istanza volta ad

ottenere l’indennizzo (45). Su questo argomento la

Direttiva unieuropea è precisa nel definire i punti salienti dell’iter amministrativo che deve regolare l’accesso, da parte del danneggiato, all’indennizzo previsto. In particolare la medesima fissa:

• articolo 3, Autorità responsabili e procedure

amministrative (46);

• articolo 4, Informazione dei potenziali

richiedenti (47);

• articolo 5, Assistenza al richiedente (48);

• articolo 6, Trasmissione delle domande (49);

• articolo 7, Ricezione delle domande (50);

• articolo 8, Richiesta di informazioni

supplementari (51);

• articolo 9, Audizione del richiedente (52);

• articolo 10, Comunicazione della decisione (53).

In verità si tratta di disposizioni procedurali relative all’ottenimento dell’indennizzo relativo a casi caratterizzati da transfrontalieralità, ma che possono – vista la loro precisione – ritenersi anche applicabili alla riparazione prevista dal II comma dell’articolo 12 della Direttiva.

La norma interna, purtroppo, si mostra carente rispetto alla ricezione dello schema procedurale configurato e disegnato dalla Direttiva.

In particolare il legislatore italiano ha solo abbozzato alcune prescrizioni per quanto concerne la procedura relativa alla istanza per ottenere l’indennizzo; si tratta per la verità di regole che tratteggiano gli adempimenti posti in capo alla vittima che chiede l’indennizzo. La norma in parola, ai punti a), b), c) e d) dell’articolo 13 prescrive che il richiedente debba allegare all’istanza di indennizzo

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la documentazione che attesta la sussistenza e la verificazione dei presupposti e delle condizioni richieste dagli artt. 11 e 12.

Si può innanzitutto prevedere che le produzioni documentali – specie quelle relative a notizie e dati di carattere giudiziario – dovranno essere depositate in copia autentica; e ciò nonostante vi sia una disposizione della Direttiva – il III comma dell’art. 11 – che fa un riferimento preciso: “I moduli di domanda e l'eventuale altra documentazione trasmessi ai sensi degli articoli da 6 a 10 sono esenti da autenticazione o qualsiasi formalità equivalente”.

Oltretutto, la sentenza che dichiara la responsabilità dovrà essere accompagnata da una attestazione, rilasciata dalla cancelleria competente, del passaggio in giudicato.

La dimostrazione dell’infruttuoso esperimento dell’azione esecutiva deve avvenire in via documentale attraverso la produzione di tutte le fonti che contribuiscono a delineare le attività svolte invano dal danneggiato per recuperare il proprio credito.

L’assenza di circostanze incapacitanti, ai sensi del punto d) dell’articolo 12, dovrà essere attestata dal richiedente attraverso una dichiarazione sostitutiva di notorietà di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445.

Il punto d) dell’articolo13 prescrive che l’istante debba depositare la certificazione medica attestante le spese sostenute per prestazioni sanitarie. La disposizione presenta una inesattezza: in particolare, se il II comma dell’articolo 11 fa riferimento alle spese mediche ed assistenziali, la norma che si occupa della fase probatoria rispetto alle spese sostenute esclude quelle assistenziali. Può essere un mero lapsus calami del legislatore che non impedisce la presentazione delle pezze giustificative relative agli esborsi non strettamente sanitari. Ma il

problema che suscita il tenore letterale del punto d) rinvia al riferimento operato in precedenza tra vittime di reati per i quali spetta il solo rimborso delle spese mediche e vittime di altri reati per i quali

spetterebbe anche un indennizzo

indipendentemente da esborsi per spese mediche. Nel primo caso la vittima istante dovrà limitarsi ad allegare le fatture e ricevute per spese mediche ed assistenziali; nel secondo, la vittima, ad esempio, di violenza sessuale, dovrà procedere – crediamo – ad una quantificazione del danno biologico su base tabellare e ad una liquidazione (sulla base delle prassi dei tribunali) per il danno morale o esistenziale.

In considerazione dell’articolo 9 della Direttiva unieuropea, il legislatore avrebbe dovuto prevedere una fase di contraddittorio con l’ente che esamina la

domanda e decide sul riconoscimento

dell’indennizzo. Il dato che l’articolo 13 non preveda un momento di confronto (anche orale) tra le parti, o una fase di deposito di memorie interlocutorie da parte del richiedente, potrebbe porre in ombra e trascurare circostanze di fatto rilevanti per l’accoglimento dell’istanza. E la mancanza di questa fase potrebbe dar luogo a decisioni affrettate di inammissibilità e rigetto.

Il termine di decadenza di sessanta giorni, previsto dal comma II dell’articolo 13, sembra atteggiarsi ad ulteriore restrizione dell’esercizio del diritto a richiedere ed ottenere l’indennizzo previsto dalla legge. Si tratta di una limitazione stringente che non compare nel testo della Direttiva e che concede un lasso di tempo troppo breve che, tra l’altro, trattandosi di decadenza non può essere interrotto e che decorre dalla verificazione di due eventi: a) dalla notifica o conoscenza del provvedimento di archiviazione o dalla conoscenza della intervenuta irrevocabilità della sentenza che assolve l’imputato

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per non aver commesso il fatto; b) dall’avvenuta conoscenza del compimento dell’ultimo atto di esecuzione infruttuosa: questo secondo caso presenta profili di criticità derivante dal fatto che la data di compimento degli atti esecutivi, molto spesso, è conosciuta dal creditore in tempi successivi; possiamo ad esempio segnatamente riferirci al caso in cui vi sia una discrasia tra il momento in cui l’Ufficiale Giudiziario procede a pignoramento e il momento della riconsegna del verbale negativo. Oppure vi possono essere casi in cui la conoscenza dello stato di incapienza non venga necessariamente a coincidere con l’atto esecutivo dell’Ufficiale Giudiziario, ma possa essere differita ad un successivo momento, magari a seguito di un ricavo d’asta completamente inesistente o che sia in grado di ricoprire in modo solo parziale l’ammontare del credito. O addirittura la conoscenza dello stato di incapienza non coincide necessariamente con un atto esecutivo, ma, ad esempio, con la scoperta che l’autore del reato si sia reso latitante od irreperibile.

11. Conclusioni.

Fornire una prima valutazione circa la Legge n. 122/2016 può condurre a risultati ambivalenti. Da un certo punto di vista, la norma in esame appare complessivamente deludente. Il suo impianto e le sue articolazioni non sembra possano costituire, neppur lontanamente, un recepimento della Direttiva unieuropea.

Il regime stabilito dalla legge, com’è stato evidenziato, contiene troppe restrizioni a carico della vittima per poter accedere all’indennizzo statale anche di carattere oggettivo che svuotano di significato il termine “indennizzo” e non costituiscono un’adeguata protezione patrimoniale in caso di vittimizzazione.

Sotto un altro profilo – un profilo che può essere definire “esterno” – è da prevedere che la Legge n. 122/2016 condurrà con sé effetti e reazioni non trascurabili. Sulla base del filone giurisprudenziale aperto dai giudici torinesi (e poi seguito da altri giudici di merito) vi è da attendersi che le domande proposte da soggetti vittimizzati, sebbene non rientranti nelle strette limitazioni previste dalla stessa norma, potranno trovare accoglimento. E ciò sia sotto il profilo del superamento dell’angusta concezione di indennizzo che viene fornita dalla legge (limitato cioè, nella gran parte dei casi, al rimborso delle sole spese sanitarie), che sotto il profilo della limitazione dei reati presupposti, che anche – si ritiene – da un punto di vista della parziale eliminazione dei limiti reddituali fissati per accedere all’indennizzo.

Oltretutto è possibile ipotizzare che la Legge n. 122/2016, prevedendo ingiustificate disparità di trattamento tra le vittime (discriminate sulla base del reddito, sulla base del reato subito o sulla base di pure condizioni personali), potrà incorrere in censure di legittimità costituzionale specie sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza.

Note.

(1). Bandini T., “Vittimologia”, Enc. d. Dir., XLVI, Milano, 1993, pp. 1014-1015; Correra M.M., Martucci P., “La Vittimologia”, in Giusti G. (diretto da), Trattato di Medicina Legale e Scienze affini, v. IV, II ed., CEDAM, Padova, 2009, pp. 473 ss.

(2). Su questo, tra gli altri: Hindelang M.J., Gottfredson M.R., Garofalo J., Victims of Personal Crime: An Empirical Foundation for a Theory of Personal Victimization, Ballinger Publishing Co, Cambridge, MA, 1978; Cohen S., Felson M., “Social change and crime rates trends. A routine activity approach”, American Sociological Review, vol. 44, 1979, pp. 588-591; Gottfredson M., “On the Etiology of Criminal Victimization”, Journal of Criminal law and Criminology, 72, 1981, pp. 719 ss.

(3). Portigliatti Barbos M., “Vittimologia”, in Digesto Disc. Pen., v. XV, Torino, 1999, pag. 333.

(4). Ibidem.

(16)

(6). Petrucciani S., Modelli di filosofia politica, Einaudi, Torino, 2003, pp. 79 ss.

(7). Portigliatti Barbos M., op. cit., pag. 334; Del Tufo M., “Vittima del reato”, Enc. d. Dir., v. XLVI, Milano, 1993. (8). Sulla vittimizzazione cfr. Gulotta G., Vagaggini M., Dalla parte della vittima, Giuffrè, Milano, 1990, pp. 49 ss. (9). Del Tufo M., “Vittima del reato”, Enc. d. Dir., v. XLVI, Milano, 1993, pp. 996-998; Del Tufo M., “Vittima del reato”, Enc. d. Dir., v. XLVI, Milano, 1993, pag. 1014; Del Tufo M., “La tutela della vittima in una prospettiva europea”, Dir. pen. e proc., n. 7, 1999, pp. 889 ss.

(10). “Risoluzione sull'indennizzo delle vittime di atti di violenza 77 Parlamento europeo, — vista la proposta di risoluzione presentata dagli onn. Glinne, Sieglerschmidt, Megahy, Weber, Pelikan, Seibel-Emmerling e Vayssade (doc. 1-679/79), — vista la risoluzione n. (77) 27 del comitato dei ministri del Consiglio d'Europa sull'indennizzo delle vittime di illeciti penali, — vista la relazione della commissione giuridica (doc. 1-464/80). 1. richiama l'attenzione sullo stretto rapporto tra tutela sociale e libera circolazione all'interno della Comunità europea;

2. sottolinea la responsabilità di ogni collettività nel prestare aiuto alle vittime di atti lesivi perseguibili penalmente;

3. ricorda le disparità esistenti tra gli Stati membri della Comunità europea da un lato e tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa dall'altro per quanto riguarda l'indennizzo delle vittime di illeciti penali;

4. constata che, nei casi in cui all'interno della Comunità europea esistono disposizioni in materia, non tutti gli Stati membri adottano uno stesso regime di indennizzo per i propri cittadini e per gli stranieri;

5. invita la Commissione della Comunità europea a presentare al più presto una proposta di direttiva orientata verso

a) la determinazione di criteri di minima a livello comunitario per le prestazioni finanziarie a carico del Tesoro destinate alle vittime o ai superstiti delle vittime di atti di violenza contro l'incolumità fisica delle persone, sulla falsariga di quelli già approvati dal comitato dei ministri del Consiglio d'Europa,

b) l'obbligo per gli Stati membri di corrispondere le somme di indennizzo previste dal suddetto sistema indipendentemente dallo Stato membro di cui la vittima ha la cittadinanza,

(…) e) l'obbligo per gli Stati membri di facilitare l'esecuzione di sentenze volte a permettere a uno Stato l'azione di regresso nei confronti dell'autore del reato il quale non si trovi nello Stato che ha corrisposto l'indennizzo;

6. invita i ministri della giustizia degli Stati membri, riuniti nell'ambito della cooperazione politica, a coordinare la propria azione al fine di sollecitare presso il Consiglio d'Europa la rapida attuazione della risoluzione del comitato dei ministri n. (77) 27 da parte di tutti gli Stati membri del Consiglio d'Europa ;

7. incarica il suo presidente di trasmettere la presente risoluzione nonché la allegata relazione al Consiglio, alla Commissione della Comunità europea e ai ministri della giustizia degli Stati membri”.

(11). Art. 2: “When compensation is not fully available from other sources the State shall contribute to compensate: a: those who have sustained serious bodily injury or impairment of health directly attributable to an intentional crime of violence; b: the dependants of persons who have died as a result of such crime. Compensation shall be awarded in the above cases even if the offender cannot be prosecuted or punished”. (12). “32. Tenendo presente la comunicazione della Commissione, dovrebbero essere elaborate norme minime sulla tutela delle vittime della criminalità, in particolare sull'accesso delle vittime alla giustizia e sui loro diritti al risarcimento dei danni, comprese le spese legali. Dovrebbero inoltre essere creati programmi nazionali di finanziamento delle iniziative, sia statali che non governative, per l'assistenza alle vittime e la loro tutela”.

(13). Consultabile in:

cooperativadike.org/.../Libro_Verde_Risarcimento_Vitti me_Reati.pdf

(14). “Assistenza alle vittime. Deve essere garantita alle vittime un'assistenza adeguata nei paesi dove lo sfruttamento è stato appurato anche nei paesi di origine. In un primo tempo, deve essere fornita un'assistenza all'interno di strutture di accoglienza e di accompagnamento, per ospitare dignitosamente le persone interessate ed averne cura. In un secondo tempo opportune misure dovranno facilitare le reintegrazione socioeconomica delle vittime nei loro paesi di origine. I programmi di finanziamento dell'Unione europea forniscono a tale riguardo un sostegno prezioso e saranno proseguiti”.

(15). Per una indagine di diritto comparato circa i sistemi degli Stati europei volti alla assistenza patrimoniale alle

vittime di reato cfr.

http://ec.europa.eu/justice_home/judicialatlascivil/html /index_it.htm?countrySession=14&

(16). Art. 1. (Autorità di assistenza): “1. Allorché nel territorio di uno Stato membro dell'Unione europea sia stato commesso un reato che dà titolo a forme di indennizzo previste in quel medesimo Stato e il richiedente l'indennizzo sia stabilmente residente in Italia, la procura generale della Repubblica presso la corte d'appello del luogo in cui risiede il richiedente, quale autorità di assistenza:

a) dà al richiedente le informazioni essenziali relative al sistema di indennizzo previsto dallo Stato membro dell'Unione europea in cui è stato commesso il reato; b) fornisce al richiedente i moduli per presentare la domanda;

c) a richiesta del richiedente, gli fornisce orientamento e informazioni generali sulle modalità di compilazione della domanda e sulla documentazione eventualmente richiesta;

d) riceve le domande di indennizzo e provvede a trasmetterle senza ritardo, insieme alla relativa documentazione, alla competente autorità di decisione dello Stato membro dell'Unione europea in cui è stato commesso il reato;

e) fornisce assistenza al richiedente sulle modalità per soddisfare le richieste di informazioni supplementari da

(17)

parte dell'autorità di decisione dello Stato membro dell'Unione europea in cui è stato commesso il reato; f) a richiesta del richiedente, provvede a trasmettere all'autorità di decisione le informazioni supplementari e l'eventuale documentazione accessoria.

2. Qualora l'autorità di decisione dello Stato membro dell'Unione europea in cui è stato commesso il reato decida di ascoltare il richiedente o qualsiasi altra persona, la procura generale della Repubblica presso la corte d'appello, quale autorità di assistenza, predispone quanto necessario affinché l'autorità di decisione proceda direttamente all'audizione secondo le leggi di quello Stato membro. Se si procede a videoconferenza, si applicano le disposizioni della legge 7 gennaio 1998, n. 11.

3. A richiesta dell'autorità di decisione dello Stato membro dell'Unione europea, la procura generale della Repubblica presso la corte d'appello, quale autorità di assistenza, provvede all'audizione del richiedente o di qualsiasi altra persona e trasmette il relativo verbale all'autorità medesima”.

(17). Sulla mancata recezione nell’ordinamento interno di una Direttiva europea, e sulla relativa responsabilità che ne deriva cfr. ex multis Cass. civ., sez. III, 22 marzo, 2012, n. 4538: “In caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto – anche a prescindere dall'esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria – allo schema della responsabilità per inadempimento dell'obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell'ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell'ordinamento interno”. In particolare rispetto alla Direttiva 80, 2004, cfr. la complessiva ricostruzione di Lembo M.S., “L’inadempimento dell’Italia all’attuazione della Direttiva 2004/80/CE. La giurisprudenza successiva in materia di tutela risarcitoria-indennitaria delle vittime di reati intenzionali violenti”, in Casale A.M., De Pasquali P., Lembo M.S., Vittime di crimini violenti, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2014, pp. 269 ss.

(18). Cfr. Bona M., “La tutela risarcitoria statale delle vittime di reati violenti e intenzionali: la responsabilità dell’Italia per la mancata attuazione della Direttiva 2004/80/CE”, Resp. civile e previdenza, 2009, pp. 662 ss.; Bravo F., “La tutela sussidiaria statale ‘risarcitoria’ o ‘indennitaria’ per le vittime di reati intenzionali violenti in Europa e in Italia”, Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza, vol. VI, Gennaio-Aprile 2012, pp. 144 ss.; Poncibò C, “Se l’autore di un reato violento è latitante, paga lo Stato - App. Torino 10.02.2012”, disponibile sulla pagina web: https://www.personaedanno.it/tutela- giurisdizionale/se-l-autore-di-un-reato-violento-e-latitante-paga-lo-stato-app-torino-10-02-2012; Ferretti A., “Vittima di reato violento e intenzionale: lo Stato deve risarcire”, Altalex, 7 marzo 2012, disponibile sulla pagina web:

http://www.altalex.com/documents/news/2012/04/02

/vittima-di-reato-violento-e-intenzionale-lo-stato-deve-risarcire; Ambrosio R., Commodo S., “Danni da reato violento risarciti dalla Stato”, disponibile alla pagina web: ambrosioecommodo.it/in-evidenza/danni-da-reato-violento-risarciti; Bona M., “Tutela risarcitoria statale delle vittime dei reati violenti e intenzionali: un’altra sentenza storica”, disponibile alla pagina web: http://www.mbolaw.it/it/archivio-news/18-tutela- risarcitoria-statale-delle-vittime-di-reati-violenti-e-intenzionali-un-altra-sentenza-storica (19). http://www.europeanrights.eu/public/sentenze/Trib._F irenze.pdf

(20). Conti R., “Sulle vittime di reato la parola passa alla Corte di giustizia che, forse, ha già deciso...”, Il Corriere giuridico, 11/2013, pp. 1389 ss. Ma anche Pisapia A., “Dialogo tra giudice nazionale e Corte Europea di Giustizia in un recente caso del Tribunale di Firenze”,

disponibile sulla pagina web:

http://www.questionegiustizia.it/stampa.php?id=111 (21). La CGUE, in via incidentale ha evidenziato che “nell’ambito del procedimento principale, tuttavia, emerge dalla decisione di rinvio che la sig.ra C. è stata vittima di un reato intenzionale violento commesso nel territorio dello Stato membro in cui ella risiede, vale a dire la Repubblica italiana. Pertanto, la situazione di cui trattasi nel procedimento principale non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/80, bensì solo del diritto nazionale”. Conti R., “La Corte di Giustizia chiude le porte ai danni contro lo Stato per i reati intenzionali violenti”, disponibile alla pagina web: http://questionegiustizia.it/stampa.php?id=340 (22). http://dirittocivilecontemporaneo.com/wp- content/uploads/2014/09/Trib.-Firenze-8-settembre-20141.pdf (23). http://www.giustiziami.it/gm/wp-content/uploads/2013/11/Giannone1.pdf (24). http://www.questionegiustizia.it/doc/Tribunale_Trieste _5_dicembre_2013.pdf (25). http://www.dannoallapersona.it/vittime-reati- violenti-indennizzo-dovuto-per-stupro-territorio-nazionale/ (26). http://europa.eu/rapid/press-release_IP-14-1146_it.htm: “[…] ha deciso oggi di deferire la Repubblica italiana alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea per inadeguata attuazione delle norme dell'UE in materia di indennizzo delle vittime di reato (direttiva 2004/80/CE). Ai sensi del diritto dell'UE tutti gli Stati membri sono tenuti a provvedere affinché il sistema di indennizzo nazionale garantisca un indennizzo equo e adeguato delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori. La legislazione italiana contempla invece l'indennizzo delle vittime solo in relazione ad alcuni reati intenzionali violenti, quali il terrorismo e la criminalità organizzata, non a tutti. L'indennizzo dovrebbe essere possibile tanto nelle situazioni nazionali quanto in quelle transfrontaliere, a prescindere dal paese di residenza della vittima e indipendentemente dallo Stato membro in cui il reato è stato commesso”.

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