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San Salvatore in Onda

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Academic year: 2021

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SAN SALVATORE IN ONDA

Rione Regola

Altre denominazioni: San Salvatore Scottorum (dal nome della famiglia degli Scotti che possedeva alcune proprietà nella zona); S. Salvatore a Ponte Sisto. La chiesa di S. Salvatore in Onda (o de unda o in unda), situata in via dei Pettinari è menzionata la prima volta in una bolla di Onorio III del 1127. Più antica è la cripta sottostante, che a sua volta ingloba resti di un edificio romano. Il Panciroli attribuisce la denominazione “in Onda” alle inondazioni del Tevere cui l’edificio era particolarmente soggetto, mentre secondo il Terribilini essa farebbe riferimento al ricordo del Battesimo di Gesù nel fiume Giordano. Officiata alla fine del XV secolo dai monaci di San Paolo Eremita, nel 1445 la chiesa fu concessa da Eugenio IV ai francescani conventuali e nel 1446 fu confermata parrocchia da Niccolò V dopo che era stata per un certo tempo filiale della basilica di S. Lorenzo in Damaso. Con l’affidamento nel 1844 alla Società o Congregazione dell’Apostolato Cattolico, i cui membri sono comunemente chiamati Pallottini dal nome del fondatore Vincenzo Pallotti, la chiesa diventò un importante e composito polo devozionale: oltre al sepolcro del fondatore morto nel 1850, e dal 1950, anno della sua beatificazione, sepolto sotto l’altare maggiore, nel 1868 fu introdotto il culto dell’icona della Madonna Virgo Potens, celebrata la quarta domenica di novembre, dono della venerabile Elisabetta Sanna i cui resti riposano nella cappella intitolata all’immagine mariana. Altre feste importanti sono la Pentecoste, giorno in cui si ricorda Maria “Regina Apostolorum” protettrice della Congregazione, e il 6 agosto festa titolare della Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo.

Scrive Carlo Maria Orlandi, confratello e primo postulatore della causa di beatificazione di Vincenzo Pallotti, che alla morte del fondatore, il 22 gennaio del 1850, i lavori di ristrutturazione della chiesa erano quasi terminati: era stata ampliata l’area dell’edificio, grazie alla demolizione delle stanze e delle botteghe che da più di due secoli occupavano parte delle navate laterali, rinnovata la facciata, collocati sui pilastri i quadri della Via Crucis di Domenico Cassarotti e arricchite le cappelle laterali con dipinti e rivestimenti in marmo. Sull’altare maggiore aveva trovato posto una tela (ora conservata nella parrocchia di Santa Maria Regina Apostolorum in via Giuseppe Ferrari) raffigurante «la Regina degli Apostoli protettrice dell’istituto in atto di ricevere nel Cenacolo, in un cogli Apostoli e Discepoli, lo Spirito Santo» (Orlandi, p. 37), opera di Serafino Cesaretti, su disegno del suo maestro Johann Friedrich Overbeck, al quale lo stesso Pallotti aveva apportato correzioni e suggerimenti. I Pallottini decisero così di aprire la chiesa per esporre alla venerazione dei romani il corpo del fondatore che per tre giorni consecutivi fu visitato dai devoti. Salvatore Proja su «L’Album» si rivolgeva così al popolo di Roma accorso numeroso ad omaggiare “il santo”: «Non adulazione ai superstiti colà vi trasse, o curiosità di vagheggiare la funerea pompa, che era di due ceri appena, ma il desiderio di baciare anche una volta la mano, benché fredda, che bene scrisse delle sante cose, che soccorse a tanti poveri, che asciugò tante lacrime, e medicò a tanti infermi» (Proja, p. 101). Una compostezza che non sembra emergere dalla Cronaca di Nicolla Roncalli secondo la quale i devoti piuttosto «si contrastarono i brani delle sue vesti al cadavere esposto per conservarle come reliquie» (Roncalli, p. 486). Non erano manifestazioni inusuali nella Roma di metà Ottocento: come sottolinea Luigi De Sanctis, ex-camilliano che aderì al movimento evangelico, in un pamphlet anticlericale pubblicato nel 1865, in quel tempo Roma abbondava «di preti, frati e monache che godono fama di santità, ed anche fanno miracoli» (De Sanctis, p. 385) e spesso la loro morte si accompagnava a distribuzioni di immagini e reliquie che ne alimentavano il culto. Ma certamente la fama di santità del Pallotti già in vita sovrastava quella di molti suoi contemporanei; lo confermano le persone chiamate a rendere le prime testimonianze per l’apertura del processo di beatificazione, ma anche lo stesso De Sanctis il quale scrive: «[...] il santo contemporaneo, che fosse in maggior grido, era l’abate don Vincenzo Pallotti, chiamato comunemente l’abate Pallotta. Era un uomo di statura piccolissima, vestiva l’abito ecclesiastico con una semplicità piuttosto affettata, la sua casa era un santuario» (De Sanctis, p. 377). Oltre alle attività caritative del Pallotti e alla sua condotta di vita ascetica e penitenziale, i necrologi insistevano sulla sua attività di animazione della vita religiosa romana a partire dalla promozione dell’Ottavario dell’Epifania, una manifestazione religiosa tra le più celebri della Roma di Gregorio XIII, che dal 1841 si celebrava nella chiesa di Sant’Andrea della Valle con lo scopo di esaltare l’universalità e l’unità della Chiesa cattolica attraverso celebrazioni eucaristiche in diversi riti orientali o officiate da alti prelati stranieri. Alla realizzazione di tale appuntamento concorrevano con oboli molti nobili romani e tra questi Alessandro Torlonia che donò nel 1846 le grandi statue della Sacra Famiglia e dei Re Magi che attualmente sono usate nell’allestimento del presepio in piazza San Pietro. Si legava strettamente a questo evento la statuetta in cartapesta del Bambino Gesù commissionata nel 1840 dal Pallotti e ancora oggi venerata all’interno della chiesa di San Salvatore in Onda: in occasione dell’Ottavario dell’Epifania essa veniva infatti portata in processione fino a S. Andrea della Valle e il piede in argento offerto al bacio dai fedeli.

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Tre giorni dopo la morte, il corpo del Pallotti fu collocato nella navata sinistra presso l'altare del Salvatore e nel dicembre del 1850 il Rettore della Congregazione Francesco Vaccari chiese al cardinale Vicario Costantino Patrizi l’inizio del Processo informativo il cui avvio il 18 febbraio del 1852 mise in moto il complesso iter che portò alla canonizzazione promulgata in San Pietro nel 1963 da Giovanni XXIII. Con la beatificazione del 1950 contestualmente alla ricognizione del corpo del Pallotti e al suo inserimento sotto il nuovo altare maggiore disegnato da Luigi Fracassini, furono aperte ai devoti la stanza e la cappella privata del beato poste al secondo piano, in cui era stato conservato il mobilio originale e nel 1959 allestito un piccolo museo con oggetti di vita quotidiana, arredi liturgici, flagelli e cilici che egli usava per le pratiche penitenziali.

La chiesa fin dal 1860 iniziò a presentare dei gravi danni alle strutture che comportarono dapprima l’inagibilità della navata destra e di quella centrale e quindi la chiusura totale della chiesa con il trasferimento dell’officiatura nella vicina chiesa di S. Francesco a Ponte Sisto. I lavori di restauro furono finanziati da Antonio e Pietro Cassetta che li affidarono all’architetto Luca Carimini coadiuvato dal capomastro e stuccatore Domenico D’Amico e si intensificarono negli anni precedenti la riapertura della chiesa solennemente celebrata il 6 agosto 1878. Nel frattempo, nel 1869, era stata terminata nella navata destra la cappella intitolata alla Virgo Potens, costruita ex-novo in un’area occupata in precedenza da un giardino acquistato dalla famiglia Cassetta. L’icona mariana proveniente da un negozio di via dei Coronari era stata donata dal prete sardo Giuseppe Valle a Elisabetta Sanna, una vedova originaria di Codrongianos nei pressi di Sassari, che giunta a Roma divenne assidua frequentatrice della chiesa di San Salvatore in Onda e figlia spirituale del Pallotti. Nel 1780 Leone XIII la dichiarò venerabile. Fu lei a promuovere il culto della Virgo Potens trasformando la sua stanza in un piccolo santuario mariano, in cui distribuiva immaginette e abitini che provvedeva lei stessa a cucire. Quando il quadro fu collocato sopra l’altare era già carico di gioielli - una collana di perle, bracciali d’argento e due corone d’argento a ornamento delle due figure della Vergine e del Bambino – e di ex-voto che furono disposti in apposite bacheche ai suoi lati. Nelle due pareti laterali furono successivamente realizzati da Cesare Mariani quattro quadri «allusivi alla SS. Vergine», rappresentanti l’Immacolata Concezione, l’Annunciazione, Ester e Assuero, e infine Giuditta e Oloferne. Dal 1878 il corpo di Elisabetta Sanna, che dal giorno della sua morte nel febbraio del 1857 era ospitato nella vicina cappella dei SS. Cosma e Damiano fu traslato sotto l’immagine della Virgo Potens.

Il culto di Vincenzo Pallotti, segnato dalle tappe del processo di canonizzazione e dalle due riesumazioni del corpo nel 1906 e nel 1949, raggiunse il suo apice con le celebrazioni della canonizzazione quando il corpo del santo fu portato per un triduo solenne nella chiesa di S. Andrea della Valle e da qui, il 27 gennaio del 1963, trasportato in carrozza per le vie che custodivano la memoria del suo passaggio terreno. Dietro il feretro spiccavano gli stendardi delle trentadue confraternite cui san Vincenzo era iscritto. La canonizzazione non coincise però con un rilancio del culto a livello cittadino e una volta riposta l’urna nella chiesa di San Salvatore gradualmente la città si dimenticò del santo per eccellenza della Roma dell’Ottocento. La devozione, promossa mensilmente dal bollettino «Regina Apostolorum», si è conservata all’interno della Società dell’Apostolato Cattolico con un pellegrinaggio alla tomba legato per lo più alle diramazioni internazionali dell’Ordine.

Fonti: Bibl.Casan., G. Terribilini, Descriptio Templorum Urbis Romae, Mss. 2177-2186, ff. 33r-38v.

Bibliografia: Panciroli 1600, p. 749; S. Proja, Vincenzo Pallotti, in «L’Album», a. XVII, 11 maggio 1850, pp. 97-101; L. De Sanctis, Roma papale descritta in una serie di lettere con note, Prima edizione originale italiana, Firenze 1865; C.M. Orlandi, Compendio della vita della Venerabile Serva di Dio Elisabetta Sanna, Roma 1887; C.M. Orlandi,

Memorie storiche della chiesa del Santissimo Salvatore in Onda presso ponte Sisto e del ritiro annesso della Pia Società delle Missioni [...], Roma 1888; Hülsen 1927, p. 457; Armellini – Cecchelli 1942, pp. 521-522 e pp. 1436-1437;

L. Huetter, San Salvatore in Onda, Roma 1958 (Le Chiese di Roma illustrate, 41); M. Escobar, Le dimore romane dei

santi, Roma 1964, pp. 283-296; G. Prori – M. Tabarrini, Luca Carimini, Modena 1993, pp. 57-59; C. Pavia, San Salvatore in Onda, supplemento a «Forma urbis, Itinerari nascosti di Roma antica», 4 (1996); S. Barchiesi, San Salvatore in Onda, in Roma Sacra. Guida alle chiese della Città Eterna. 13° itinerario, Napoli-Roma 1995, pp. 14-18; San Vincenzo Pallotti profeta della spiritualità di comunione, a cura di F. Todisco, Roma 2004.

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