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Dal Golem ai cyborgs. Trasmigrazioni nell'immaginario

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Academic year: 2021

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€ 20,00

COLLANA DI STUDI EBRAICI XVII

BARBARA HENRY

DAL GOLEM

AI CYBORGS

Trasmigrazioni nell’immaginario

La tecnologia ha riempito la vita in molti dei suoi aspetti significativi. Un’invasione che non è soltanto una piena di oggetti e manufatti, bensì il passaggio di visioni e rappresentazioni. Linguaggi artificiali, sistemi cibernetici, ibridazioni tra esseri umani e computer. L’approdo prossimo che si staglia all’orizzonte è quello del cyborg, un es-sere umano che è stato potenziato – senza alcun intervento sul suo dna – con l’impianto nel suo organismo di componenti meccaniche ed elettroniche.

Siamo però sicuri che il mito della scienza incarnato dal cyborg sia frutto di questo no-stro tempo? È questo forse l’interrogativo al fondo del presente lavoro. Una doman-da che è all’unisono anche il principio di una ricerca: immergersi nel presente della nostra scienza e della nostra cultura per andare a rinvenirne le tracce mitografiche che portano indietro, verso un passato da ricostruire, magari ripensare. È un viaggio genealogico nelle narrative collettive di culture passate, che rivela figure – come il Golem – di umani ed umanoidi, ibridi ma dalla configurazione coesa. Questo libro è appunto il resoconto di quel viaggio. Di qui il titolo: trasmigrazioni nell’immaginario. Si è iniziato con alcune testimonianze antiche e pre-moderne – sia bibliche, sia tal-mudiche, sia kabbalistiche – dell’antropoide artificiale. Di queste figure si è poi estra-polato il mitologema che ne è alla base, il quale è servito come criterio etico-politico di comparazione con le creature artificiali ed ibride del nostro presente e del futuro prossimo.

Barbara Henry è ordinaria di Filosofia Politica presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Studi Universitari e di Perfezionamento (Pisa). Ha svolto ricerca presso l’Università di Bochum, del Saarland, di Erlangen-Nürnberg, e tenuto corsi presso l’Università di Francoforte sul Meno. I suoi principali temi ed interessi di ricerca sono: filosofia classica

tedesca, neokantismo, teoria del Giudizio politico ed ermeneutica, miti e simboli politici ed immaginario contemporaneo, totalitarismo, studi ebraici sugli umanoidi artificiali, identità politica e culturale, tolleranza, multiculturalismo e interculturalità, globalizzazione politica,

gender issues. Ha partecipato a progetti di ricerca europei. Ha pubblicato fra l’altro su E. Cassirer, H. Arendt, M. Heidegger, E. Jünger. Ha tradotto le Aggiunte di Eduard Gans ai Lineamenti della Filosofia del diritto di Hegel. Ha coordinato il PhD in Politics,

Human Rights, and Sustainability ed è stata direttrice italiana dell’Istituto Confucio di Pisa. Continua a dirigere unità di ricerca di progetti Prin.

D AL GOLEM AI CYBOR GS ∙ T rasmig razioni nell’imma ginario Barbara Henr y

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BARBARA HENRY

DAL GOLEM

AI CYBORGS

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© Salomone Belforte & C., 2013

Via Roma, 43 – 57126 Livorno Tel./Fax 0586.808730 www.salomonebelforte.com info@salomonebelforte.com ISBN 978-88-7467-077-2

Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma, come mezzo elettronico, mecca-nico o altro, senza l’autorizzazione scritta dell’editore.

Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi.

Il volume è uno dei risultati del progetto Prin 2008, Verità e politica, coordinato da Michele Nicoletti, presso l’Università di Trento, e dell’unità locale, coordinata da Barbara Henry presso la Scuola Supe-riore Sant’Anna, dal titolo Universalismi a confronto. Laicità e sfera pubblica fra Oriente e Occidente.

In copertina

Romain Finke, «Installation» Pigment, Acryl, Steine, Erde auf Holzfaserplatten, 400x400cm.

Progetto editoriale

Guido Guastalla

Impaginazione

Claudio Lenzi

Stampa

Tipografia Monteserra, Vicopisano (PI)

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Tocco terra! Quale terra? Tutti i luoghi e l’invisibile. Assenzio nella notte algida, scintille d’affetto viola, telaio di giravolte folli. Ancora terra, vi prego! Che possa tenermi con sé Nella multiformità del volo. Simonetta Princivalle, Poesie, Secondo florilegio, Marco Del Bucchia

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INDICE AVVERTENZE... RINGRAZIAMENTI... RACCONTO I numeri di Josele... INTRODUZIONE...

I. Trasformazioni simboliche e antropologiche del presente.

Una sfida per le humanities...

II. Golem e cyborgs...

III. Linguaggio biblico e figura golemica... IV. Umanoidi artificiali e tempo presente...

V. Alcune riflessioni sui metodi...

PRIMO CAPITOLO

METODI E CONTENUTI, A PARTIRE DALLE SCRITTURE E NELL’ALVEO DELLA ‘STORIA DEGLI EFFETTI’. ADAMO COME GOLEM...

I.1. Premessa e fonti... I.2. Apocrifi, scritti pseudoepigrafici e loro intrecci... II.1. Il significato scritturale e talmudico del termine ‘Golem’... II.2. Componenti telluriche e componenti pneumatiche di Adamo II.3. Le fasi della creazione dell’essere umano archetipico e il ruo-lo della ruach... III.1. Ruach e ulteriori configurazioni dell’anima... III.2. Affinità e incompatibilità fra le tre configurazioni dell’anima III.3. Alcune riflessioni sulla posizione dello stadio golemico rispet-to alla forma adamitica compiuta...

SECONDO CAPITOLO

MISTICA, LEGGE, CORRISPONDENZA FRA PAROLE E COSE.... I.1. Riflessioni di passaggio e di connessione... I.2. Percorsi omiletici e mistici presenti nel Talmud per

giustifica-13 15 19 25 25 34 37 41 48 51 51 53 60 64 69 72 75 77 79 79

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re la creazione di esseri artificiali... I.3. Fonti mistiche pre-kabbalistiche. Elementi di continuità e di

rottura rispetto al futuro... I.4. Corrente teosofico-teurgica della Kabbalah di fronte al

cor-pus giuridico dell’ebraismo. Significati mistici della Torah....

II.1. Il mistero del Nome e le sue trasmigrazioni di valore teoso-fico-teurgico... II.2. Ermeneutica del Nome. Le lettere come cause e come desti-ni futuri dei mondi creati... II.3. Indicazioni, divieti e precetti per la fabbricazione del Golem

secondo la Kabbalah. Un sommario resoconto...

TERZO CAPITOLO

HASHEM HAMEPHORASH... I.1. Le due interpretazioni della creazione di un Golem nella

Kabbalah: contemplazione del dispiegamento della vita o procedura di edificazione di umanoidi tramite il Nome... I.2. Excursus sulla magia: le leggi delle XII Tavole, la teurgia neo-platonica come strategia di autodifesa di Apuleio nel De Magia, i Tempestarii e altri ‘maghi degli elementi’ nell’Europa cristiana II.1. Magia e teurgia nelle saghe golemiche. Miracoli ed eventi

meravigliosi... II.2. Versante particolaristico e versante universalistico nella con-troversia sulla magia/teurgia...

QUARTO CAPITOLO

LE ORIGINI MITOGRAFICHE DEL MAHARAL E LE SUE TRA-SMIGRAZIONI NELLE SAGHE GOLEMICHE A PARTIRE DAI MITI EBRAICI E MEDITERRANEI (E ORIENTALI)...

I.1. Scrittura e analogie strutturali fra mitologemi... I.2. El, Asherah, Anath: trasmigrazioni fra mitografie hurrite ed

ebraiche sotto il segno della leonessa... II.1. Il mitologema del gigante litico, figlio della terra e del cielo

nella sua variante originaria hurrita... II.2. Il mito di Yu il Grande e del suo figlio litico...

QUINTO CAPITOLO

STORIE LEGGENDARIE DEL MAHARAL E GOLEM

RENAISSAN-CE, OVVERO LA CORPOREITÀ DI UN SIMBOLO TEURGICO...

I.1. Biografia e mito nei resoconti sul Maharal e sull’opera delle sue mani... I.2. Saghe golemiche polacche e praghesi e specifica rilevanza

omiletica di queste ultime... II.1. Filoni e rivoli contemporanei della Golem Renaissance a con-fronto con alcune fonti pseudoepigrafiche... II.2. Persecuzioni e misure teurgiche di difesa e di protezione

escogitate dai Maestri... III.1. Occultismo, interpretazioni psicoanalitiche e psicosociali

della figura del doppio golemico: il ruolo delle tre forme di anima nefesh, ruach, neshamah... III.2. Specchi, ombre, riflessi: elementi del mitologema golemico

in quanto doppio... III.3. Il Golem come doppio umbratile del popolo in cerca di ri-scatto. Soteriologia e immaginario della liberazione dai vin-coli dell’oppressione...

SESTO CAPITOLO

GOLEM PASSAGEN...

I.1. Golem, cyborg, robot. Le basi e le ragioni della distinzione

ca-tegoriale e pragmatica... I.2. Mitografie robotiche ‘classiche’. Da Asimov a Osamu

Tezu-ka e oltre... I.3. Fusione di orizzonti mitografici: anime, manga, letteratura

disegnata sotto il segno dell’umanoide e delle mutazioni post-umane e post-gender... II.1. Il prototipo adamitico come Golem originario. Miti reden-tivi e vie di emancipazione politica rispetto al genere e alla scienza... II.2. Recupero e valorizzazione del versante emancipativo e salvi-fico della teurgia ebraica quale alleata della scienza... II.3. Cibernetica e riflessione critica contro la distopia di un mon-do completamente automatizzato: il monito di Norbert 84 89 93 100 104 109 115 115 124 132 136 143 143 150 155 160 167 167 173 181 190 192 200 206 211 211 218 226 231 234

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DAL GOLEM AI CYBORGS

Wiener, seguace del Maharal... III.1. Mitografia golemica e letteratura femminista

contempora-nea. Modelli normativi per la filosofia-politica... III.2. Il senso di una classificazione. Affinità e differenze fra uma-noidi artificiali e legittimità di una riflessione pratico-morale non ascrittiva... III.3. Aperture e punti problematici. Un esperimento di critica an-tropologica e filosofico-politica...

MATERIALE ICONOGRAFICO...

BIBLIOGRAFIA...

INDICE DEI NOMI...

AVVERTENZE

Per quanto riguarda la traslitterazione delle parole ebraiche, si è preferito impiegare una grafia che garantisse la leggibilità, senza ri-spettare necessariamente un preciso schema di corrispondenze. Le citazioni dalla Bibbia sono desunte dalla Bibbia cattolica, edizioni Paoline, rispetto alle quali è stata verificata la corrispondenza con l’edizione critica del Tanakh, in traduzione italiana, con la parziale eccezione della citazione al Cap. IV, p. 144, motivata in nota.

I seguenti termini e nomi propri ebraici traslitterati sono in corsivo:

Halakhah Haggadah Maharal Midrash Mishnah nefesh neshamah ruach Shabbat Talmud Torah 241 246 250 260 267 273 281

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BARBARA HENRY DAL GOLEM AI CYBORGS

RINGRAZIAMENTI

Compito oltremodo difficile, in questo caso, per il debito, in alcuni casi davvero grande, che ho, e per ragioni diverse, nei confronti di un numero altissimo di persone fra colleghi/e, amici, familiari, che temo di non poter annoverare per intero, per mia dimenticanza. Di questo mi scuso fin d’ora con coloro che non avrò nominato.

Per le difficoltà molteplici, crescenti e diverse che ho dovuto affrontare, il numero delle persone che mi hanno permesso di com-piere questa fatica è andato via via ampliandosi, in un lasso di tempo di più di cinque anni, se si considera il lavoro di ricerca e di raccol-ta di materiali, nell’ambito degli studi ebraici, che ho svolto presso l’Università di Halle, nel tardo Wintersemester del 2007. Per questo, a Giuseppe Veltri e ai componenti del suo Seminar für Judaistische

Stu-dien vanno per primi i miei pensieri. Per Angelo Bolaffi, e l’Istituto Italiano di Cultura di Berlino nel suo complesso, un semplice rin-graziamento, anche dei più profondi, non sarebbe sufficiente; infatti nel luglio 2010 Bolaffi mi ha offerto ambiti qualificatissimi, come l’Istituto ICI, per esporre le mie idee, oltre ad avermi permesso di discutere vivacemente con Giulio Busi sul tema di questo volume ancora in fieri presso la Technische Universität di Berlino; senza di lui, proprio in virtù delle divergenze e dello straordinario apporto criti-co e criti-concettuale, questo lavoro non avrebbe mai preso forma.

I periodi del mio anno sabbatico, il 2011, trascorsi a Berlino e a Lucerna, sono stati costellati di presenze fondamentali - grazie sia alla connessione virtuale, sia alla consuetudine dello scambio intellettuale quotidiano, che si è diramato liberamente nelle dire-zioni più disparate - ma per questo tanto più fruttuose perché mi I seguenti termini sono lasciati in tondo a motivo delle continue

occorrenze dei medesimi Adam Adam Kadmon Adamah Golem golmi Kabbalah

In questo lavoro, le note costituiscono un contributo cruciale, anche narrativo, per la comprensione dell’intero percorso.

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Andrea Gottfried ha assistito, incoraggiandomi con tenacia a proseguire, alla prima formazione dell’idea che si è condensata in questo libro. Anna Gottfried è stata prodiga di consigli affettuosi, aiutandomi a superare le fasi conclusive di questa fatica. Antonio Carnevale e Danilo Bovenga hanno compiuto con sguardo critico il lavoro delicato e decisivo della rilettura, che tanto più importante mi è parso in quanto è sopraggiunto alla fine di un percorso ideale per me già compiutosi.

Per questi motivi li ringrazio tutti/e.

Mio padre Pietro Henry e mia madre Laura Gemignani, inoltre, hanno creduto in questo progetto fin dalle sue origini e non hanno mai lesinato affettuosi e sensati moniti per spingermi, forse senza esito, a semplificare il linguaggio e la terminologia a favore di una più ampia diffusione del lavoro. A Jürgen Straub e ad Alessio Straub devo un ringraziamento per la pazienza con cui in questi anni hanno accettato di buon grado di convivere con le mie storie umbratili e senza fine sugli umanoidi artificiali, sui manga, sui cyborgs. Inoltre, devo non poco alla competenza di Alessio sugli

anime e sui manga. Mi auguro anche di non aver disatteso del tutto le aspettative di Federico Guardi, che, da lettore di argomenti kab-balistici ed esoterici, attende questo libro con impazienza,.

Il mio pensiero va infine a chi, fra amici, amiche e colleghi/e, in vari frangenti e in varie modalità, come fra gli altri/e Carlotta Ferrara degli Uberti, Roberto Toscano, Paolo Orsucci, Heidrun Friese, Marco Cavallarin, Alberto Pirni, Debora Spini, Nicola Bellini, Anna Loretoni, Amer Al Sabaileh, Romain Finke e Simonetta Princivalle, mi ha direttamente o indirettamente reso il cammino più lieve o più entusiasmante.

Barbara Henry

Pisa, 30 dicembre 2012 hanno consentito di isolare l’articolazione argomentativa, nonché

irrobustire la scrittura vera e propria. Nel primo caso, su argomenti e per motivi diversi, Giorgio Israel e Pierluigi Prato mi sono stati indispensabili. Devo a Francesco Ghia e a Michele Nicoletti il primo contatto con Prato, che mi ha permesso di districare, spero in modo convincente, un nodo teorico fondamentale e ineludibile per que-sto lavoro. Nel secondo caso, a Berlino, Fiorella Battaglia, Volker Gerhardt, Karl-Georg Niebergall sono stati interlocutori e ispiratori di soluzioni teoriche o mi hanno dato indicazioni, facilitandomi il cammino. A Tietmar Bachmann devo la serenità e la pace dei luoghi in cui ho potuto produrre le pagine che seguono. A Lucerna, Enno Rudolph, il suo ambiente intellettuale (in cui ho potuto conoscere fra gli altri/e Ingrid Galster) nonché la sua colta ed ospitale famiglia, sono stati punti di riferimento davvero importanti, ancora una volta nella mia vita.

Per quanto riguarda il nesso fra i temi golemici ed i temi robotici ottenuto tramite le categorie dell’immaginario, devo a Paolo Dario, tra l’altro, l’incontro con l’impostazione e le tesi per me illuminanti di Vincenzo Tagliasco. Paola Bora mi ha consentito già agli inizi di questo percorso di cogliere il punto di contatto, che è del pari una delle chiavi di volta del volume, fra narrativa femminista e letteratura golemica contemporanee.

Senza l’insostituibile contributo critico, etimologico, storio-grafico di Bruno di Porto non avrei mai portato a termine il vo-lume. A Massimo Rosati, collega, amico e lettore prezioso, perché esigente e nondimeno simpatetico, devo suggerimenti e critiche che spero di aver messo a buon frutto.

Teresa Lorito, Gabriella Gabriellini, Simona Nissim, Arian-na Luperini mi hanno in diverse forme sempre sostenuto e incorag-giato con entusiasmo, anche nei momenti di maggior incertezza. Sergio Ruggiero, da fine scrittore e da caro amico qual è, mi ha illuminato fra le altre cose su un aspetto dell’immaginario che avevo trascurato.

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RACCONTO I NUMERI DI JOSELE

Ogni cosa avente carattere di santità deve essere fatta alla presenza di 10 persone1

«Dieci. Condizione necessaria o condizione sufficiente? E se doves-sero essere undici i componenti del quorum minimo per rendere le-gittimi e santi gli atti di una comunità di fede, una unità in più delle Sefirot, delle Sfere superne da cui prende avvio per volontà divina e su cui si fonda questa nostra realtà terrena? Una unità in più sarebbe l’incedere dell’Altissimo nel mondo, certo, ma solo quando fosse supremamente necessario, allora, però, senza esitazione… Sarebbe una dovuta e sacrosanta eccezione in un unico caso, quello in cui il 10, formalmente registrato, non varrebbe nella sostanza, perché le circostanze e gli elementi della situazione si opporrebbero con evidenza conclamata allo Spirito della Legge… È proprio così? Si può essere un ebreo senza essere un essere umano compiuto, come incompiuto era il gigante di creta creato, secondo il mito, proprio nella stessa città di Praga, dall’antico rabbi?». Queste frasi interroga-tive, tanto solenni e tanto sfuggenti ai suoi occhi di studente,

assilla-1 È noto che secondo la regola tradizionale dell’ebraismo è necessario raccogliere

un numero minimo di persone per potere recitare alcune preghiere fondamenta-li. Il termine ebraico che indica il concetto è miniàn (lett. “numero”, “quantità”, “conteggio”). Nella formulazione ufficiale dello Shulchàn ‘Arúkh, il principale co-dice di ritualistica (Òrah Haiìm, 55:0), il numero è di «almeno dieci maschi, liberi

adulti»: il che esclude in pratica dal conto le donne e i minorenni (che non hanno compiuto tredici anni, ed è per questo che nel linguaggio corrente degli ebrei italiani si dice “entrare in miniàn” o “fare il miniàn”, riferendosi a una delle prin-cipali implicazioni del bar mitzwàh; ma è evidente che i due termini, miniàn e bar

mitzwàh, non devono essere confusi). Mentre il principio generale è universal-mente conosciuto, meno noti sono il significato preciso e le implicazioni di questa regola. L’ebraismo riformato ha aperto il computo alle donne.

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cantuccio avvolta nel suo scialle dai colori cupi, mentre lui come un mezzo folle camminava su e giù nella cucina imbiancata di fresco canticchiando e salmodiando sotto voce i passi più ardui della lette-ratura rabbinica, da imparare a memoria…

Mentre sempre più si rinchiudeva nei circoli spasmodici e asfissianti del suo pensiero autodistruttivo, Maisl lo studente sem-pre più si inoltrava nel quartiere di Praga dove fino a poco prima sorgeva il ghetto. Se lo immaginava, e in parte se lo ricordava così come gli appariva nella sua memoria infantile, forse sviata dalla galoppante fantasia di quel fanciullo precoce che era sempre stato. Angoli sbiechi, vicoli contorti e senza sbocchi, spelonche cresciu-te le une sulle altre, cresciu-tetti sbilenchi: così era configurato il vecchio ghetto. Irto di viuzze e di edifici ricurvi, cresciuti artigliandosi gli uni sugli altri per mancanza di spazio, tetti come vette adunche qua-si come vecchie unghie. Eppure, quel ghetto ormai scomparso era stato proteso e protettivo – così si tramandava – verso il suo cuore misterioso, la Vecchia Scuola, la sinagoga più antica del mondo cono-sciuto – si diceva – perché ricostruita lì a Praga dagli Angeli, dopo il 71 dell’era volgare, quando il Secondo Tempio era stato appena distrutto dai Romani… O era invece stata la Sinagoga di Worms? Poco importa… Belle leggende, quelle, in ogni caso… Oramai la

Alte-Schule, l’antichissima Sinagoga, era stata distrutta, logorata dal tempo molto prima che lui nascesse. D’altronde, tutto il resto del quartiere era stato ‘rinnovato’; per usare un altro sobrio eufemismo, il ghetto era stato aperto e ricostruito per pubblica utilità con l’impie-go di voraci ed efficienti imprese di demolizione e di costruzione in stile teutonico, che erano state attive fino all’anno prima, il 1906. Non vi era certo più alcun obbligo di risiedervi, e già da tempo. Gli ebrei, dalla distruzione delle mura su volontà dell’imperatore Giu-seppe II, ossia dal 1781, potevano abitare dove volevano, a Praga… Josefov si era chiamato da allora il quartiere ebraico, in onore di quel liberale sovrano, di quel principe illuminato. La loro vita era sempre dipesa dalla buona grazia di un potente, proprio così… vano il povero ragazzo. Tutto ciò accadeva mentre i suoi boccoli di

allievo modello della yeshivah2 più celebrata di Praga, della città dai

ponti di pietra che celavano, e solo a momenti svelavano, minuscole isole dormienti, lo irridevano, svolazzando come nastri muliebri e impertinenti intorno al suo viso ancora infantile, corrusco per l’ec-citazione e il timore. Tremava per se stesso, perché si chiedeva chi fossero le persone da mettere in conto.

«Donne e bambini, certo no; secondo gli ortodossi questi non possono contare per il quorum, per il miniàn, il numero minimo necessario a render valide le preghiere». Si approssimava la com-petizione più attesa, quella in cui, come d’uso, gli allievi più pro-mettenti avrebbero sfidato il Maestro, il rabbi capo della Sinagoga

Vecchia-Nuova, a una contesa teologica. Che ne sarebbe sortito per lui, se avesse miseramente fallito? Non si aspettava assolutamente di sopravanzare il rabbi in alcuna delle singole diatribe sui passi del

Talmud, o sulle loro interpretazioni, certo che no… Ma ciò che più lo sgomentava era una sconfitta disonorevole, da cui, lo sentiva, non si sarebbe più risollevato… Cosa gli era passato per la mente, antici-pare di sei mesi la tenzone, sempre per il suo biasimevole orgoglio, grande peccato di fronte all’Altissimo! E meritevole di una puni-zione esemplare per la sua tracotanza. Ecco, era tutto scritto. Sem-pre più cupi i tratti della sua vergogna. Avrebbe lasciato la scuola, il quartiere, la famiglia che tanto lo aveva sostenuto negli studi. No, no, non poteva deludere sua madre, le sue sorelle, la vecchia bubbe3,

che sempre rispettosamente lo osservava di sbieco, seduta nel suo

2 In yiddish, la yeshivah è la scuola talmudica in cui vengono studiati la letteratura

biblica e i commentari biblici derivanti dalle due scuole dei saggi rabbini, che, a Gerusalemme e a Babilonia, elaborarono precetti e interpretazioni a partire dalla Legge mosaica, e dai derivati di essa, nel II secolo dopo Cristo, oppure, come dir si voglia, nel secondo secolo dell’era volgare. Lo yeshivah bocher è il nome attribuito allo studente che la frequenta. Devo tutte queste indicazioni preziose, tra le altre cose, anche alla letteratura internazionale contemporanea, che si è rivolta alla cultura mitteleuropea ebraica.

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quel crepuscolo, del venerdì a venire, Chajim e il Maestro si sareb-bero dovuti affrettare al ritorno per non dover rimanere nella terra di nessuno fuori dalle mura nel giorno sacro degli ebrei. E sfidando le prime tre stelle, che segnavano lo scoccare dell’ora del riposo di-vino. Nello stesso momento, all’interno del ghetto, Josele, grande e muto, o forse soltanto taciturno, avrebbe già iniziato la sua ronda, vigile e silente, per difendere la comunità da eventuali incursioni di cristiani inaspriti dalla possibile e tanto agognata vittoria del

Maha-ral sul fanatico intollerante, il teologo gesuita che voleva cacciare gli ebrei da Praga.

Se avessero perso la sfida teologica, però, le cose sarebbero andate di sicuro molto, molto peggio. La fine, ecco cosa sarebbe sta-to. Soltanto la parità avrebbe garantito una minima speranza. Ciò che comunque era in gioco, in quel periodo prima di Pessach4, era la

vita della gente del ghetto, non altro. Se solo Josele il gigante telluri-co fosse bastato, telluri-con la sua possanza e la sua ira divina, a telluri-contrastare gli armigeri e i cavalieri in assetto di guerra, qualora il rabbi avesse perso la contesa a parole! Ma neanche fosse stato Sansone, il loro Golem. Le parole… Le parole che passano a fil di spada gli ebrei incauti per aver voluto azzardare una sfida. Ma il rabbi aveva ragio-ne; senza questo duello, che almeno era dignitoso e alla presenza di un sovrano non pregiudizialmente avverso come era Rodolfo, altre occasioni, altri pretesti sarebbero stati escogitati per accusarli di assassinio rituale, di spargimento di sangue cristiano, e ciò al fine di scatenare nuovi pogrom contro di loro. Tutto è impuro per gli im-puri, avrebbe detto cinicamente qualcuno.

Così, confusamente, in un flusso di mezzi pensieri sboccon-cellati, il giovane Chajim ragionava, camminando incerto. Niente è scritto, niente è del destino. E se anche lo fosse, dobbiamo lottare sino alla fine per la nostra dignità, così lo rincuorò il Maharal, quan-do lo accolse nella luce calda della sua dimora.

4 Pasqua Ebraica.

All’improvviso, clangori e bagliori al suo lato sinistro, vam-pate di luci che modificano la prospettiva del suo mondo percettivo. Come se una nave fantasma si fosse incagliata tra i vicoli e le facciate delle case, trascinando tutto con sé, accartocciando la materia come fosse pagine di giornale polverose e inutili. Questo gli parve di per-cepire, con la coda dell’occhio, ma in realtà non lo vide, lo presagì: era sospeso fra la veglia e il sonno, come davanti a un acquario blua-stro dal fondale profondo, in un limbo ondeggiante.

Un altro ciclo di vite, a cui si trovò ad assistere, come dietro a uno schermo acquoso.

«Josele, il Servo del Maharal, che cosa, chi era in realtà?» – pensava Chajim, il giovane assistente del rabbi, mentre correva dal suo Maestro – «Valeva per metà, per uno o per due uomini, data la sua immensa statura da gigante? Davvero non poteva venire anno-verato in un miniàn? Si sa, grandi maestri avevano escluso che un Golem potesse contare per il quorum necessario… Ma non avevano tuttavia risposto al quesito: il Golem era maschio, ma non nato da donna, oppure era maschio e femmina insieme, come lo era Adam Kadmon, il Macroantropos, l’essere umanoide primigenio, Adamo prima del peccato? Era androgino, allora, il Golem, il gigante di cre-ta che li proteggeva? E se fosse scre-tato presente, in questo ultimo caso, in cui avrebbe valso per due, sarebbero stati per eccesso in undici, pur di essere almeno in dieci? Se Josele fosse stato considerato non umano, ma al modo in cui lo sono gli angeli, avrebbe fatto miniàn?». Si stava preparando mentalmente ai possibili tranelli dell’avversario religioso, che li aspettava ostile e deciso a vincere a tutti i costi.

La contesa a colpi di concetti e precetti che si sarebbe dovuta svolgere fra il rabbi della Alte-Schule, Judah detto “il Leone”, e il suo nemico giurato, il gesuita Taddeo, avrebbe avuto luogo nel palazzo dell’imperatore Rodolfo, fra tre giorni, in modo da sfiorare perico-losamente (per il suo maestro e per lui) la vigilia dello Shabbat. In

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Du warst der Phoenix, der sein Leben erneut und dem Tode nicht untertan bleibt David Jeschurun (citato da Chajim Bloch, Der Prager Golem) Grigia è ogni teoria, verde è solo l’albero della vita W.G. Goethe Das Himmel übt an dir Zerbrechen. Du bist in der Gnade Nelly Sachs Mit einer Frage: Was ist Sein? Was ist Wirklich? „Wenn dieses (ins. eine Schafe von einem Marsmenschen geritten) in einem Bild lebt, das es wirklich gibt, dann gibt es dieses Schaf auch wirklich“1

Ciò a cui crediamo esiste, ciò a cui non crediamo non esiste Proverbio cinese

INTRODUZIONE

I. Trasformazioni simboliche e antropologiche del presente. Una sfida per le humanities

I temi connessi alla distinzione tra vita naturale e vita artifi-ciale, e al confine tra umano e non umano, attraversano da tempo immemorabile molti universi simbolici, non soltanto occidentali2. 1 A. Cousseau (Text), N. Choux (Illustration), Mammuts, Monster, Marsmenshen und meine kleine Schwester, Tulipan Verlag, Berlin, 2010.

2 H.L. Held, Das Gespenst des Golem. Eine Studie aus der hebräischen Mystik mit einer

Maisl si riscosse, come da un sogno, e un sogno a occhi aperti era stato.

«Che sollievo – pensò – Le mie preoccupazioni sono davve-ro ridicole, meschine, in confdavve-ronto a quelle degli ebrei degli antichi tempi del Golem difensore! Ora siamo in un secolo di civiltà, dove possiamo vivere in pace, insieme agli altri cittadini… Le mura sono cadute. Certo, non proprio tutto ci è consentito… Poco importa, la società andrà comunque sempre verso il meglio, gli orrori della barbarie appartengono al lontano passato… Che brutti tempi, quel-li. Invece, il mio secolo, il XX, ha due dieci in sé, il simbolo delle Sefirot, in cui l’Altissimo, che sia benedetto, ha trasfuso la luce in questo suo mondo, in Principio. Dieci, non certo undici, e perciò tale segno numerico che duplica le Sfere non può che essere di buon augurio». Così Maisl si tranquillizzò e ritornò sui suoi passi, placi-damente.

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raneo; lo si fa ricorrendo a un repertorio simbolico che congiunge varie epoche. Il concetto di immaginario, fondamentale per il pre-sente lavoro come concetto di sfondo4 della ricerca, ma non come

oggetto di indagine specifica, va inteso in via stipulativa e in una triplice accezione:

a) come tesaurus di simboli, immagini, nuclei narrativi, pur an-tichissimi, ma in molti casi di portata transculturale;

b) come struttura simbolica produttiva di miti e di immagini collettivamente comunicabili, recepibili e modificabili, ossia quale facoltà dell’immaginazione in atto nei propri prodotti5; 4 Il sintagma va inteso in un significato non tecnico, di quadro di orientamento

di partenza, ed è affine alla categoria impiegata da H. Blumer e dalla sua scuola di pensiero.

5 Ci sono moltissimi esempi della tensione transculturale presente come

con-trappunto nelle mediazioni narrative (religiose e non). Ad esempio, al-Khidr (il “verdeggiante”) è il grande protagonista della Sura XVIII del Corano, l’iniziatore del Profeta Mosè, colui che è sempre errante, il visitatore misterioso, il maestro dei ‘senza maestri’, la fonte diretta e ‘pneumatologica’, irriducibile e mite, di ri-velazioni. Egli è del pari colui che incorpora una figura centrale della spiritualità popolare ebraica qual è il profeta Elia, “colui che chiama ed è chiamato”. Si veda G. Arnaboldi, “Elia il verdeggiante”, in Cahiers d’Orient et d’Occident, 2007, pp. 3-16. Come ha sottolineato Norman O. Brown, la grandezza del Corano, agli occhi di lettori occidentali e secolarizzati, è nella capacità di ricondurre anche la fiaba alla sua essenza archetipica, in una modalità che evidenzia la continui-tà narrativa tra mito vivente, spiritualicontinui-tà popolare e folklore. Si rimanda a N.O. Brown, The Challenge of Islam: The Prophetic Tradition—Lectures, 1981, New Pacific Press, Santa Cruz, 2009. Una delle tesi di fondo è che, da un lato, il materiale del folklore haggadico si sia elevato con il trascorrere dei secoli al rango di rivelazione; dall’altro, che nel Corano vi sia una misteriosa regressione a uno strato anterio-re, favoloso, apocrifo. Il materiale storico viene dapprima frammentato nelle sue componenti simboliche e mitografiche, poi condensato in grumi simbolici, come avviene nei sogni. La figurazione di al-Khidr è presente ovunque la narrazione si apra alla mistica, all’interpretazione, alle disposizioni morali e mentali libere da qualunque ortodossia e dogmatismo. Nel volume Corpo spirituale e Terra Celeste, Henry Corbin riporta un racconto iniziatico del mistico sufi ‘Abdol Karim Gili (1365-1424), tratto a sua volta dal Libro dell’Uomo perfetto. La narrazione raccon-ta del viaggio di uno straniero, denominato Spirito, verso la terra dei veglian-In questo lavoro vengono reinterpretate alcune figurazioni antiche

secondo linguaggi contemporanei, consueti per chi fruisce della cultura di massa globale. Occorre precisare che nelle pagine che seguiranno non trovano posto le filosofie della storia, nonché le spiegazioni di tipo monocausale dei fenomeni socio-politici; in tale ambito di riferimento, ogni modalità e ogni tipologia di indagine, se intersoggettivamente convalidata da una o più comunità epistemi-che sono considerate legittime, purché non assurgano a chiave in-terpretativa unica e totalizzante. Coerentemente, viene qui rifiutata come inammissibile la censura di chi abbia stabilito da un ipotetico ‘nessun luogo della sapienza’ quali siano le tematiche rilevanti per la filosofia politica, nonché per le scienze sociali e della cultura.

Il compito principale qui perseguito, valido non meno di al-tri nella stagione dell’eterna giovinezza delle Kulturwissenschaften3,

è quello di mostrare come le configurazioni di ‘creatura umanoide artificiale’ si delineino e si trasformino nell’immaginario

contempo-Exkurs über das Wesen des Doppelgänger, Allgemeine Verlaganstalt, München, 1927, p. 9. Questo studioso di Volkskunde riteneva che i tratti essenziali di una figurazio-ne umanoide non nata da donna fossero visibili in varie culture ed epoche, pur avendo assunto una matura e compiuta fisionomia nell’ambito della mistica e del-la mitografia (del-la scrittura di storie fantastiche a carattere etiologico ed edificante) ebraiche. Il riferimento è d’obbligo per l’importanza che il volume citato possiede per l’intero lavoro che qui inizia; fondamentali sono le dottissime note di M. Idel, di cui si parlerà più avanti, sulle solo apparenti analogie esistenti fra l’umanoide artificiale di origine adamitica e la colorata varietà di analoghi, ma non equipa-rabili, artefatti, riscontrabili in tutte le latitudini del pianeta: animali meccanici (paradigmatica la colomba del pitagorico Archita), statue animate, bambole viven-ti e così via. Vanno inoltre aggiunviven-ti a tali artefatviven-ti, pur senza esaurire neppure in tal caso la casistica, i feticci tipici delle religioni animistiche dell’Africa centrale, ritenuti capaci grazie agli amuleti che li rivestivano, talvolta piccoli sacchetti o ri-entranze colmi di ossa o di altre reliquie, di prender vita e di agire contro i nemici per conto dello sciamano/stregone o della tribù a cui quest’ultimo apparteneva e a cui favore questi operava magie. Si veda infra, nota 10, e capp. I, II.

3 Secondo tale visione metodica si privilegia la dizione di “scienze della cultura”

e si sostiene che vi sia uno specifico statuto scientifico relativo alle humanities/

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meni simbolici imprevisti e imprevedibili negli esiti. Si allude a tra-scendentali antropologici, o quadri strutturali, o matrici, nel senso di Luckmann, che, a una considerazione ex post, si siano mostrati aperti rispetto a svariate produzioni culturali (letterarie, saggisti-che, figurative); queste sono pur sempre riconducibili ai trascenden-tali/matrici, in quanto loro alvei di partenza grazie alla coloritura, al tenore, alla modalità del legame che le connette fra loro. Questa terza e ultima accezione di immaginario si fonda dunque su quadri intersoggettivi carichi di un plusvalore simbolico e avrà un impiego più diffuso delle altre nel corso di questo lavoro6. La ‘fortuna’ di tale

accezione è dovuta alla valorizzazione, che essa promette e sovente garantisce, del ‘come’ del legame. Infatti, in specifici casi, la colori-tura si è mostrata capace di connettere il passato e il futuro dei cor-relati obiettivi, dei prodotti della facoltà dell’immaginazione. Tale modalità è variabile: rispetto allo specifico contenuto simbolico su cui si incentra questo lavoro, si passa, come si vedrà, dalla modali-tà estatica (contemplativa) a quella teosofico-teurgica (sapienzial-rituale)7 a quella socio-politica, da concepirsi nel senso del riscatto

collettivo di un gruppo minacciato. Fondamentale per chi analizza i fenomeni simbolici in questione è ricevere e distillare dal conte-sto i criteri per riconoscere la coloritura modale prevalente e porla come chiave interpretativa della disposizione creatrice (secondo si-gnificato di immaginario) e delle immagini/costrutti singoli (primo significato di immaginario) entro uno specifico quadro storico. L’i-dea di dare rilievo a tutte e tre le accezioni di immaginario, ma in gradi diversi a seconda delle necessità ermeneutiche, è condivisibile da chi si ponga sulla via già segnata da Bachelard8. In particolare, 6 In particolare, è molto esaustiva e convincente la descrizione che del primo

significato di ‘immaginario’ dà J.J. Wunenburger, L’Imaginaire, Puf, Paris, 2003.

7 Si veda infra, capp. II, III, IV.

8 Sébastien Robert scriveva, il 2 gennaio 2010, su http://monlibraire.net: «Avec la

raison, que Bachelard aura longtemps cherchée à mettre à l’épreuve des sciences, l’imagination occupe chez lui une place de choix. C’est par l’analyse de l’image c) nel terzo significato l’immaginario è la modalità del legame

tra le figurazioni spirituali create dall’immaginazione, è il cosiddetto ‘tenore del correlato oggettivo’ di cui si colora la messa in esercizio, in una data epoca e in un dato luogo, della facoltà dell’immaginazione, di cui parla la definizione al punto b).

Quest’ultima connettività specifica, o modalità del nesso simbolico, viene attivata sia da individui sia da gruppi, distinguibili e decifrabili dal punto di vista sociale, politico e contestuale. Pertanto, gli aggregati umani, in diverse proporzioni a seconda del criterio di rilevanza, sono riconducibili a contesti simbolici di riferimento sto-ricamente datati, eppure in alcuni casi orientati alla prefigurazione di possibili scenari futuri. Rispetto al terzo significato di immagina-rio, questi scenari, o costellazioni, o quadri di senso, sono dotati

tal-volta di una eccedenza (o pregnanza) simbolica fuori dell’ordinario, divenendo pertanto le condizioni di possibilità di molteplici feno-ti o Terra del Sesamo, volto originario della bellezza, altrimenfeno-ti detto “mondo dell’immaginazione”. Esso è stato creato da un nonnulla, da un grano di terra rimasto in sovrappiù dall’argilla con cui, si narra, fu plasmato Adamo. Questo

dettaglio, trascurabile ma capace di diventare Regno, sfugge a ogni determinismo; è proprio tale elemento ineffabile, invisibile, potente ciò che costituisce “il mondo sottile” dell’immaginazione. Fin qui si spingono le analogie con lo spunto mito-grafico del “verdeggiante”. Per altri versi, il concetto di mundus imaginalis coniato in tali specifici termini da Corbin, ma da lui esplicitamente mutuato dall’alveo originario della teosofia sciita dell’Iran del XII secolo, è una categoria fondante di gran parte delle riflessioni contemporanee sul tema, ma recepita talvolta senza adeguata consapevolezza da parte dei propagatori di esse. Prima facie, sembra che accolga tutti e tre i significati di immaginario elencati in questa introduzione:

fa-coltà mentale, repertorio di prodotti, modalità del legame fra i primi due. Ma non è così. Il substrato mistico ed esoterico è l’elemento dirimente, quello che permette di conferire una specifica consistenza e realtà sui generis a tale dimensione; tale

ecce-denza esoterica e teosofica non è parte del repertorio concettuale e teorico di chi scrive, che da essa si discosta. Devo l’ispirazione di questa nota sul “verdeggiante” all’amico e fine scrittore Sergio Ruggiero.

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classe di enti non soltanto immaginati, ma realizzati parzialmente in una serie di esperimenti di innesto riabilitativo di arti bio-robotici su esseri umani, trattandosi di una classe di soggetti umani o uma-noidi - in parte organici, in parte inorganici - la cui conformazione ibrida è funzionalmente coesa. Dicesi cyborg un essere umano che è stato potenziato, senza alcun intervento sul suo dna, con l’impianto nel suo organismo, incluso il cervello, di componenti meccaniche e/o elettroniche. Altrettanto potrebbe ipoteticamente dirsi di una macchina antropomorfica in cui fosse stato impiantato un cervello umano. I cyborgs, come vedremo, rientrano nel genere di antropoidi

che non sono né totalmente organici né totalmente meccanici (più precisa-mente, meccatronici). Le loro molteplici configurazioni sono situate su una linea continua: ai due estremi si possono trovare, rispetti-vamente, il grado massimo di dominanza dei tessuti viventi, con solo limitati inserti (protesici) elettronici e bio-meccanici, e il grado minimo di presenza della componente organica. Nel primo caso po-tremmo avere la tentazione di parlare di soggetti bionici; la bionica è infatti la scienza dei sistemi il cui funzionamento è basato su quel-lo dei sistemi naturali, o che presentino anaquel-logie e caratteristiche specifiche rispetto ad essi. Tale disciplina permette di creare organi artificiali perfettamente interscambiabili o, nella maggior parte dei casi, potenziati rispetto a quelli naturali, deperiti o distrutti da even-ti traumaeven-tici. Solo nel secondo caso, di minima presenza organica, si avrebbe a che fare propriamente con i cyborgs. In realtà i due termini, di essere bionico e di cyborg, si equivalgono nella struttura categoriale. Tale distinzione, che può non essere pertanto condivisa a livello

tasso-nomico e sistematico, possiede non di meno il vantaggio di aiutarci a districare a livello fenomenologico e funzionale i casi concreti, al-trimenti non riproducibili nella loro vivida specificità. Per quanto concerne i cyborgs, i dispositivi di attivazione e controllo, quanto le componenti della struttura, sono quasi totalmente elettronici e meccatronici, mentre gli aspetti biologici e neurofisiologici hanno un ruolo residuale. Rispetto ad essi, le creature golemiche sono una lo specifico ‘prodotto’ dell’immaginario (nei primi due significati)

che viene preso qui in esame deriva da una delle fonti dell’Occi-dente moderno, la tradizione ebraica, e si ripropone in alcune delle rappresentazioni identitarie che più ci sfidano nell’epoca presente – persone, soggetti sociali, cittadini e cittadine delle società tecno-logicamente avanzate. In queste primissime pagine si prende avvio dalla condizione del tempo presente, per poi procedere a ritroso, in un movimento a spirale di tipo ricorsivo, nei successivi capitoli. Al centro o sullo sfondo di essi si trova la figurazione dell’archetipo umano più originario, l’Adamo cosmico, appena abbozzato e prima della caduta, così come si colloca specularmente rispetto all’uma-noide artificiale più antico, il Golem.

Per un verso, è chiamata fase golemica la condizione incom-piuta dell’Adamo archetipico, anche lui non nato da donna, ma dal-la madre Terra. Tutti i successivi tentativi di emudal-lare il Creatore di Adamo saranno i tentativi di creare simulacri fatti di terra, a cui dare vita, seguendo quanto aveva fatto Dio con il primo essere umano.

Per un altro, i ‘precipitati’ contemporanei della figurazione più antica della ‘creatura umanoide artificiale’ sono identificabili con i cyborgs, di cui al momento si può soltanto dare una definizione preliminare, non esaustiva, a motivo delle molteplici sottodistinzio-ni, già reali o solo ipotizzate, ma tuttavia non errata9. Si rinvia a una

poétique que le philosophe pourra déclarer que l’image est davantage créatrice qu’ordonnatrice de pensées. Cause et non effet, la conscience imageante est le lieu d’une origine; antérieure à la mémoire, l’image s’enracine dans le corps et s’emmêle dans le monde. On pourrait dire que, chez Bachelard, l’image est créa-trice d’un lien: elle est une sorte de mouvement qui s’enracine dans l’expérience matérielle et qui trouve écho au plus profond de nous même. Dans La Terre et les

rêveries de la volonté ou L’Eau et les rêves, le philosophe montre comment les “élé-ments” jouent un rôle essentiel dans la vie spirituelle du sujet et par conséquent dans sa vie de lecteur. De même, dans La poétique de l’espace, l’intimité ou le creux d’une armoire ou d’un coin, la rondeur d’une coquille, sont les conditions pre-mières de l’imagination poétique».

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riografica a supporto di se stessa.

Il primo di tali esseri golemici, quello che ha dato vita al mitologema in questione, è talmente importante da segnare un pas-saggio decisivo fra la propria categoria e quella dei cyborgs contem-poranei. Questi è Adam Kadmon, il Macroantropos (capp. I, II, III). sezione autonoma10, ma con aspetti affini: la materialità inorganica,

il finalismo strutturale, il carattere (proto)umano. Gli esseri gole-mici, per chiarire meglio, così come compaiono in una importante classificazione contemporanea, sarebbero creature composte di ma-teria intelligente o mama-teria capace di auto-organizzazione e di per-seguimento di specifici scopi. Come vedremo, tra di essi rientrano angeli e demoni, oltre che la creatura artificiale fatta di fango, che dà il nome alla categoria, il Golem, a cui è dedicato questo lavoro. Un mitologema (schema o plot narrativo)11 ancestrale caratterizza

questa classe di esseri dell’immaginario: è il mitologema riguardan-te la fase proto-umana dell’umanità, nella versione che ha avuto una fortuna storicamente amplissima e culturalmente latitudinaria. Il motivo per cui usiamo il termine di ‘mitologema’, al posto di altri, più comuni nel vocabolario mediatico contemporaneo – come ad esempio ‘leggenda’ – è presto detto: il mitologema indica una delle forme di cui consiste la scrittura dei miti (mitografia); è una trama narrativa fantastica ma avente esplicita funzione etiologica (quella di spiegare le origini e le cause di certi fatti) e omiletica (quella di impartire insegnamenti per la vita buona). Inoltre, è un plot narra-tivo che si predispone, per sua propria struttura o per eventi storici favorevoli, a una vasta molteplicità di variazioni sul proprio tema fondamentale. Per converso, la leggenda è una storia, un racconto, o una serie di racconti, che rinvia a eventi solo ipoteticamente reali, pur essendo priva di prove storiche e di qualsivoglia riflessione

sto-10 V. Tagliasco, Dizionario delle creature fantastiche e artificiali, Mondadori, Milano,

1999.

11 Altre accezioni di mito, che siano di tipo non narrativo, per quanto

importan-tissime, esulano da questa trattazione. Si veda, fra l’altro, e a integrazione di tale riflessione, B. Henry, Mito e identità. Contesti di tolleranza, ETS, Pisa, 2000; Id., The

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