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Disegno dell’architettura e grafica editoriale. Il disegno comunica, ma come si comunica un disegno?

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Academic year: 2021

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nella relazione tra ricerca e pratica progettuale

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nella relazione tra ricerca e pratica progettuale

a cura di Susanna Cerri con i contributi di Jacopo Ammendola Gianluca Buoncore Silvia Cattiodoro Giacomo Dallatorre Gaia Lavoratti Vittoria Niccolini Maddalena Rossi Alice Trematerra

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L’immagine di copertina è stata gentilmente concessa per l’uso dal 35esimo premio internazionale alla miglior sceneggiatura “Sergio Amidei” (www.amidei.com) Visual identity and Graphic Design by Think Work Observe (www.t-wo.it)

La carta “Africa” pubblicata alla pagina xx appartenente alla Biblioteca Riccardiana è stata gentilmente concessa per la riproduzione dalla direttrice Francesca Gallori

Le fotografie alle pagine 446, 448 e 449 sono di Itaca Freelance tratte dal volume Lotti G., Debora Giorgi (2017), Le cose degli altri. Racconti migranti attraverso gli oggetti, Didapress, Firenze.

Le fotografie alle pagine 468, 470-471 sono di Maurizio Buscarino, realizzate per lo spettacolo Eineide della Compagnia della Fortezza di Volterra.

Tutti contenuti del volume sono stati redatti rispettandone le fonti, che sono accuratamente citate. Nei casi in cui non è citata la fonte si tratta di immagini largamente diffuse su internet, ritenute di pubblico dominio.

Tutto il materiale scritto è disponibile sotto la licenza Creative Common Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo 4.0. Significa che può essere riprodotto a patto di citare l’autore, di non usarlo per fini commerciali e di condividerlo con la stessa licenza.

Le immagini utilizzate rispondono alla pratica del fair use (Copyright Act, 17 U.S.C., 107) essendo finalizzate al commento storico critico e all’insegnamento.

didapress

Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2020

ISBN ISBN 978-8833-38-104-6 progetto grafico

didacommunicationlab

Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri

accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata dal Comitato Scientifico del Dipartimento DIDA con il sistema di blind review.

Tutte le pubblicazioni del Dipartimento di Architettura DIDA sono open access sul web, favorendo una valutazione effettiva aperta a tutta la comunità scientifica internazionale.

Tutto il materiale presentato in questa pubblicazione è frutto della ricerca portata avanti dal 2012 al 2020, all’interno del Didacommunicationlab.

La pubblicazione è frutto di una riflessione comune e condivisa tra tutti coloro che a vario titolo – borsisti di ricerca, assegnisti di ricerca, tirocinanti – hanno collaborato ai progetti. Ai fini dell’attribuzione accademica sono segnalati i nomi degli autori dei singoli contributi. Gli articoli sono illustrati oltre che dalle foto funzionali al testo, da una narrazione documentaria a cura dell’autrice. Si ringraziano tutti coloro che a vario titolo hanno partecipato ai progetti e alla loro documentazione: Dario Borruto, autore della quasi totalità delle foto pubblicate, Benedetta Bizzarri, Donatella Cingottini, Giulio Emanuele Fusco, Nicola Garruccio, Federica Giulivo, Alessanda Marianelli, Ambra Quercioli, Lorenzo Quercioli e Vanessa Staccioli.

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Introduzione 9 Saverio Mecca

Presentazione 15 Giuseppe Lotti

Didacommunicationlab

Un cantiere di sperimentazione interdisciplinare

tra teoria e pratica della comunicazione 21 Susanna Cerri

La cultura del progetto tra comunicazione visiva e architettura 158 Jacopo Ammendola

Fare spazio con le parole. Dalla costruzione dello spazio allestito 208 alla sua rappresentazione in forma editoriale

Silvia Cattiodoro

Sintassi del wayfinding: spazi, contenuti e nuove sfide 246 Vittoria Niccolini

Spazio costruito/spazio percepito 296 Gianluca Buoncore

La passeggiata nel Campus 336 Giacomo Dalltorre

Disegno dell’architettura e grafica editoriale.

Il disegno comunica, ma come si comunica un disegno? 373 Gaia Lavoratti

Identità migrante

Nuove narrazioni per territori ospitali 422 Maddalena Rossi

La città e i segni.

Il ruolo del design nella costruzione del linguaggio delle città 474 Alice Trematerra

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Il disegno comunica, ma

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Il disegno è una delle forme espressive più antiche dell’uomo. Strumento descrittivo, mistico, di anali-si, di progetto o forma d’arte, ha percorso millenni di storia evolvendo e modificandosi in relazione alle differenti culture e alle diverse competenze tecniche, fino a diventare esso stesso documento, testimonianza, traccia di un percorso intellettuale. Nati come ‘opere uniche’ fruibili da pochi, gran parte dei disegni antichi di cui siamo potuti veni-re a conoscenza si è conservata e diffusa grazie alla produzione di copie. Tale pratica, se in alcune circostanze ha portato a una eccessiva interpreta-zione del segno grafico nel passaggio di mano in mano fino alla perdita di parte del significato inizia-le, dall’altra ha reso esplicita la necessità del dise-gno di essere trasmesso per potersi conservare. Con il perfezionamento dei processi tipografici si è assistito alla riproduzione in serie di simboli e trac-ciati e alla loro divulgazione ad un ampio pubblico. La stampa di disegni e opere d’arte ha quindi se-guito un percorso evolutivo che, grazie alla speri-mentazione di tecniche differenti, ha consentito la replicazione anche dei dettagli più minuti. Il pas-saggio dalla stampa su foglio singolo di un’immagine al

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suo inserimento all’interno di un volume ha reso però ne-cessaria una riflessione tecnica e metodologica relativa alla funzione e alle potenzialità comunicative del segno grafico. Non più opera avulsa dal contesto, ma parte in-tegrante della struttura della pagina, il disegno, al pari di ogni altro elemento del foglio, deve rispettarne le regole compositive ed editoriali, conservando al contempo la leggibilità delle informazioni da trasmettere.

Disegnare

«Cos’è disegnare? Come ci si arriva? È l’atto di aprirsi un passaggio attraverso un muro di ferro invisibile che sem-bra trovarsi tra ciò che si sente e che si può» (vAn gogh).

Il disegno è una primigenia forma di comunicazione sperimentata dall’uomo fin dagli albori della sua storia. In quanto espressione fisica di un’elaborazione mentale attraverso lo strumento grafico costituisce uno dei più immediati e importanti tentativi di rappresentazione di un’immagine complessa.

La comprensione della realtà che ci circonda passa at-traverso ben noti meccanismi legati alla percezione visi-va, grazie ai quali il cervello umano opera la sintesi dei dati sensoriali in forme dotate di significato, attribuendo un’interpretazione soggettiva alla visione dell’esisten-te podell’esisten-tenzialmendell’esisten-te e concettualmendell’esisten-te univoca64. Ma se

l’oggettiva reazione ad uno stimolo visivo si traduce in una acquisizione personale delle informazioni disponibi-li, la successiva operazione di graficizzazione introduce un livello di arbitrarietà aggiuntivo nella rappresentazione

64 Il meccanismo della visione si fonda sull’interazione costante tra occhi (ricettori) e cervello (elabora-tore): gli occhi osservano la realtà, il cervello sviluppa un concetto e dà corpo ad un’immagine. La percezione visiva è la scienza che studia l’organizzazione dello spazio percettivo; nasce per tentare di ra-zionalizzare la sostanziale differenza esistente tra ciò che realmente esiste (verità univoca) e ciò che l’occhio umano percepisce (verità soggettiva, dipendente da condizioni esterne e dallo stato d’animo personale dell’osservatore).

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chitettura e grafica editoriale. legato alla inevitabile necessità di discretizzare e

sempli-ficare ciò che si osserva.

Il passaggio dall’oggettività dell’informazione analizzata dagli organi di senso all’arbitrarietà della decodificazio-ne mentale, idecodificazio-nevitabilmente influenzata da regole innate o acquisite con l’esperienza, produce pertanto infinite ‘possibili versioni’ del medesimo oggetto65, che il

dise-gno decripta secondo codici grafici.

La comprensione del disegno, così come quella di qual-siasi altro frammento di realtà, a sua volta, presuppone l’interpretazione di un oggetto da parte di un fruitore con conoscenze, competenze ed esperienze differenti rispet-to all’aurispet-tore. Tale operazione aggiunge un ulteriore ine-luttabile grado di incertezza rispetto al trasferimento del messaggio originale, che passando dagli occhi e dalla mente di più persone si declina e si trasforma.

La finalità più alta (ma non sempre raggiungibile) di qual-siasi forma di rappresentazione visuale diviene pertanto la trasmissione del significato intenzionale dell’opera nel-la forma più oggettiva, lineare e comprensibile, facendo assurgere il disegno al ruolo di efficace mezzo di comu-nicazione di un concetto profondo.

Senza necessariamente entrare in merito alla valenza se-miotica ed ermeneutica (heiddegger, 1927) del simbolo

grafico, è opportuno sottolineare come l’universalità del linguaggio della rappresentazione, libero da vincoli lingui-stici, sintattici e formali, costituisca il valore aggiunto che rende il disegno uno dei mezzi comunicativi più potenti inventati e utilizzati dall’uomo.

65 Il concetto è magistralmente sintetizzato da Franco Purini nel suo intervento Costruire lo sguar-do: «Rappresentare è pensare e costruire simulacri. Simulacri di ciò che esiste, di ciò che è esistito e non esiste più come fu all’inizio della sua esistenza o in qualche altra sua fase, e che vuole essere restituito alla sua immagine primaria. È anche simulacro di ciò che esisterà o che non potrà esistere. Il disegno evoca quindi anche l’invisibile e l’impos-sibile. Rappresentare è dunque un atto sostitutivo. Esso crea una entità vicaria che sta al posto di qualcosa che […] non può essere realmente presente in un determinato momento in un certo punto dello spazio. Tuttavia il disegno non esaurisce il suo ruolo nella creazione di queste parvenze suppletive, di questi sur-rogati. […] Nel momento stesso in cui si dà vita ad una replica differita di un oggetto si definisce infatti una seconda realtà, un universo parallelo nel quale il simulacro è altrettanto vero dell’oggetto cui esso rimanda» (Purini, 1999, 10).

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La formazione di linguaggi espressivi nelle raffigurazio-ni antiche passa attraverso la sintesi operata, mediante strumenti culturali differenti propri di civiltà eterogenee, tra ciò che si osserva e ciò che si disegna e dall’accetta-zione e condivisione di tale regola non scritta, attraverso una graduale evoluzione del simbolo grafico, inizialmente fortemente connesso alla realtà mediante un rapporto mimetico, successivamente maggiormente avulso dal contesto e connotato da una valenza prettamente ico-nica.

Il disegno di architettura, al pari di altre raffigurazioni, ne-cessita di un elevato grado di oggettività, in quanto signi-ficante (de sAussure, 1916) del lavoro intellettuale

dell’ar-chitetto, ‘segno’, rappresentazione grafica di un senso più profondo legato all’interpretazione dell’esistente o all’ideazione di ciò che ancora non esiste66. Dovendo

trasmettere informazioni legate a dati morfometrici esat-ti e misurabili, descrivendo cioè l’esistente e l’immagi-nario architettonico in maniera dettagliata e scientifica, necessita di codici di rappresentazione univoci che ne garantiscano una comprensione scevra da possibili in-terpretazioni fallaci.

Dalle raffigurazioni rupestri di Naquane in Valcamonica (circa 15.000 a.C.) o di Font de Gaume in Dordogna (10.000 a.C.) – caratterizzate non soltanto da una accen-tuata componente ‘magica’ insita nella creazione di ‘un doppio’ ma, soprattutto, dal forte carattere pragmatico legato alla fruizione dell’ambiente antropico (gomBrich,

1950) – alle prime schematizzanti di proto-tipologie

abi-66 «Si disegna qualcosa che, nel momento stesso in cui la si disegna, esiste solo nella mente dell’ar-chitetto; e che proprio per la sua complessità deve essere studiata, criticata, rielaborata, approfondita, eventualmente trasformata, ridotta o ampliata prima della sua materiale esecuzione» (Koening 1962, 26).

67 La geometria piana indagata dai

matematici greci trovò una concreta applicazione in campo architetto-nico ed urbanistico. Accanto alle disquisizioni filosofiche in merito al proporzionamento di edifici pubblici e templi si svilupparono posizioni differenti riguardo all’organizzazione funzionale della città, il cui ordi-namento interno avrebbe dovuto rispecchiare l’assetto socio-politico della popolazione residente (cfr. Ippodamo da Mileto, V secolo a.C.).

68 Il ruolo del disegno nella tratta-tistica antica si esplica chiaramente nella percezione odierna della sua mancanza. La perdita della maggior parte del corredo figurativo originale (emblematica, in tal senso,la grave lacuna nell’apparato grafico dei volumi del De architectura di Marco VitruvioPollione) ha dato adito nei secoli successivi ad una molteplicità di differenti interpretazioni dei testi che, privati di un loro importante riferimento, sono risultati soltanto parzialmente comprensibili.

69 Il Livre de Portraiture di Villard de

Honnecourt (XIII secolo) costitui-sce uno tra i più noti e interessanti esempi di taccuino medievale in cui l’intento analitico e divulgativo del disegno rivestono un ruolo predominante. Il contributo ecce-zionale dato dal Livre de Portraiture si esplica nell’evidenza di come l’applicazione di regole geometriche e matematiche nella definizione dell’impianto delle grandi cattedrali gotiche traesse innegabilmente origine dal significato religioso ed esoterico delle figure impiegate. L’utilizzo frequente del quadrato per il proporzionamento planimetrico e

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chitettura e grafica editoriale. tative ad opera di civiltà stanziali primitive, il valore

‘anali-tico’ del disegno sembra già emergere in nuce, sebbene ancora carente di un linguaggio strutturato che ne rego-li la rappresentazione. A valenze mistiche e pratiche di queste primitive forme grafiche sembrano associarsi fin da subito le stesse ragioni ‘documentative’ e ‘program-matorie’ che connotano oggi il disegno di architettura. Da esse si evince cioè la precisa volontà di esaminare ciò che si osserva e di pianificare ciò che ancora non si co-nosce. L’intento estetico-decorativo di cui si arricchisce nel passaggio dalle civiltà antiche non ne impoverisce la funzione descrittiva ma, al contrario, eleva il disegno di architettura ad una sintesi estrema tra forma e conte-nuto, introducendo, tra le altre, funzioni di verifica delle proporzioni attraverso rapporti armonici disciplinati da regole geometriche67.

Dalla trattatistica antica68 ai taccuini gotici69, passando

per i manoscritti altomedievali70 il disegno ha consolidato

e mantenuto nei secoli il suo ruolo cardine di strumento di interpretazione, lettura e controllo dell’organismo ar-chitettonico. La sistematizzazione delle regole proiettive e prospettiche, d’altra parte, ha dato avvio alla formaliz-zazione dei fondamenti scientifici della rappresentazione, saldando indissolubilmente il legame già intrinseco tra geometria e percezione spaziale.

Caricandosi di contenuti concettuali più profondi e com-plessi, pertanto, il disegno da ‘semplice’ strumento è divenuto gradualmente esso stesso documento, non tanto per la sua valenza estetico-decorativa (che è

an-degli alzati (proporzionamento ad

quadratum), favorito dalla ripetibilità

modulare della figura, trovava giustifi-cazione ulteriore nel valore simbolico della sua forma, espressione terrena della perfezione divina, capace di nascondere al suo interno importanti riferimenti concettuali. Il significato della forma risultava cioè stretta-mente legato al suo significante; alla combinazione delle geometrie era af-fidato l’importante compito di preser-vare e palesare l’idea progettuale e la regola costruttiva che logicamente ne derivava.

L’impiego della figura geometrica come regola costruttiva prevedeva la possibilità di scomporla facilmente e replicarla secondo combinazioni che mantenessero le proporzioni e le caratteristiche iniziali a qualsiasi scala. Ciò richiedeva una pregressa riflessione sulla forma e sulle sue regole applicative, momento neces-sario di passaggio dalla semplice imitazione dei modelli prestabiliti a una più complessa progettazione del manufatto architettonico.

70 Tra gli esempi di disegni

medie-vali basati su una matrice geometrica modulare inseriti all’interno di mano-scritti uno dei più noti e interessanti è probabilmente la Pianta di San

Gallo,che deriva il suo nome dalla biblioteca Svizzera in cui è con-servata. Essa rappresenta l’unico disegno di un progetto architettonico importante redatto nel periodo che va dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente al XIII secolo che si sia conservato fino ad oggi. Realizzata in uno scriptorium di Reichenau nel ter-zo decennio del IX secolo e dedicata all’abate Gozberto, costituisce una testimonianza fondamentale per la comprensione dell’originario assetto di un complesso monastico in epoca carolingia. Unica nel suo genere, la pergamena raffigura, in scala 1:192, un progetto mai realizzato di un’ab-bazia benedettina, descrivendone la chiesa, i locali dei monaci e tutti gli ambienti di lavoro necessari per il so-stentamento della comunità religiosa.

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data accentuandosi nel passaggio dal Manierismo al Barocco-Rococò fino alla massima espressione del Beaux Arts), quanto per il suo intrinseco significato di te-stimonianza materiale, di risultato di un’indagi-ne ed espressioun’indagi-ne di una forma di pensiero. E in quanto documento il disegno, oltre a ‘comunicare’ e a dialogare con l’utente, necessita di ‘essere co-municato’, conservato e divulgato affinché il messag-gio trasmesso non vada perso, raggiunga il destinatario, venga compreso nel modo più oggettivo e vicino all’in-tenzionalità iniziale dell’autore.

Comunicare un disegno.

Dalla realtà al foglio, dal foglio alla pagina

«Proprio come in natura sistemi ordinati governano lo sviluppo e la configurazione della materia animata e ina-nimata, così l’attività dell’uomo è contraddistinta fin dalle origini dalla ricerca dell’ordine […] Il desiderio di dare or-dine al caos che ci circonda riflette un bisogno profonda-mente umano» (müller-BrockmAnn, 1981)

Le problematiche connesse alla riproduzione schemati-ca e in sschemati-cala dell’architettura accompagnano da sempre la scienza del disegno; la ‘riduzione’ della realtà ad una dimensione più facilmente rappresentabile e controllabile ha evidentemente costituito un’esigenza imprescindibile già a partire dai primi graffiti preistorici. Riprodurre ogget-ti di grandi dimensioni in scala 1:1, infatogget-ti, non soltanto introduce indubbie difficoltà tecniche legate al

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chitettura e grafica editoriale. to e agli strumenti, ma nella maggior parte dei casi non

coadiuva il processo di comprensione, sintesi e lettura dell’oggetto stesso. Se poi a tale scopo analitico si asso-cia anche un intento divulgativo risulta evidente come la questione del ‘formato’ divenga prioritaria e rappresenti essa stessa uno strumento comunicativo di dissemina-zione dei contenuti.

Dai trattati antichi a quelli rinascimentali71 il disegno, e

in particolare il disegno di architettura, costituisce parte integrante degli enunciati, in tavole allegate o in inserti in-tegrati all’interno dello scritto; diviene cioè schema espli-cativo, illustrazione di un concetto, forma espressa di un contenuto narrato. Analogamente nelle enciclopedie set-te-ottocentesche72 si compone con il testo per esplicare

con maggior forza un contenuto grazie all’immediatezza dell’immagine che, al di là delle parole, riporta il lettore ad un immediato contatto con la realtà descritta.

La sintesi della realtà raggiunta nel disegno al fine di con-sentirne una comprensione agevole da parte di un ampio pubblico e, al contempo, di preservarne la semantica dei contenuti ha costituito un nodo essenziale nella ricerca grafica. La sua riproduzione su un supporto cartaceo è dipesa necessariamente dall’affinamento delle tecniche tipografiche di impressione, in grado di garantire la rico-noscibilità di tracciati minuti, differenti spessori e detta-gli descrittivi. Dal manoscritto alla stampa, spodetta-gliandosi dei suoi connotati di opera d’arte unica, l’immagine si è perciò arricchita gradualmente di particolari e informazio-ni, più facilmente trasmissibili grazie ad una riproduzione

71 L’indubbio contributo alla

cono-scenza architettonica rappresentato dalla trattatistica rinascimentale e post-rinascimentale, anche grazie all’introduzione di elaborati grafici esplicativi, ha consentito, tra l’altro, la redazione di un repertorio grafico delle soluzioni adottate dagli antichi, un più attento studio degli ordini architettonici e, più in generale, una documentazione dell’esistente maggiormente oggettiva (stante il rapporto diretto tra disegno e realtà) e libera da ulteriori interpretazioni.

72 Le tavole illustrate da Robert

Bénard (1734-1786) per

l’En-cyclopédie ou Dictionnaire raison-né des sciences, des arts et des métiers (1751-1772) di Denis Diderot

e Jean-Baptiste Le Rond d’Alem-bert costituiscono un esempio emblematico dell’accuratezza nella riproduzione del dettaglio architet-tonico raggiungibile con la tecnica dell’acquaforte nella seconda metà del XVIII secolo.

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in serie in grado di coprire una sempre più vasta diffu-sione di massa. Con maggior frequenza e miglior qualità le figure (disegni prima, fotografie poi) hanno rafforzato nel tempo il loro valore comunicativo, accompagnando il testo, supportandolo, completandolo e, talvolta, preva-ricandolo; in ciascuno di questi casi il delicato equilibrio tra ‘scritto’ e ‘disegnato’ è comunque necessariamente passato attraverso un attento studio a priori dell’organiz-zazione della ‘configurazione d’insieme’ al fine di garanti-re, nel modo più efficace e univoco, la trasmissione di un preciso messaggio.

Nelle pubblicazioni a stampa ciò ancora oggi si traduce con la preventiva progettazione e il conseguente rispet-to della struttura della pagina, imprescindibile esercizio compositivo alla base della concezione di ciascun vo-lume, grazie al quale è possibile disporre scientemente all’interno del foglio bianco tutti gli elementi indispensa-bili per una corretta lettura. La struttura della pagina si concretizza in un sistema di regole di impaginazione che controllano e bilanciano i rapporti tra le parti, dimensiona-no margini, stabiliscodimensiona-no il numero, la giustezza e l’altezza delle colonne, la larghezza delle canalette e l’eventuale ripetizione di spazi modulari, dispongono immagini e testi composti secondo logiche prestabilite (lupTon, 2010).

L’attenzione ad un ‘tracciato regolatore’73 costituisce un

fattore imprescindibile dell’atto progettuale (e realizzativo) di un manufatto architettonico; riscontrabile oggi grazie ad una attenta lettura a posteriori dei monumenti antichi, doveva altresì risultare assolutamente evidente agli occhi

73 L’impiego di tracciati regolatori, prevalentemente impostati sulla figura del quadrato quale modulo misuratore ripetibile e applicabile ai contesti più complessi per razio-nalizzare e ordinare lo spazio, è documentata fin dall’antichità e co-stituisce un fondamentale supporto sia in fase progettuale che in fase di documentazione dell’esistente. Lo stesso Quaroni nel 1977 interpreta il tracciato regolatore dandone una duplice lettura: «Il tracciato guida viene usato in due modi: diretto, cioè durante la progettazione, e indiretto a posteriori, operando cioè sul disegno o sulla fotografia frontale di un edificio già costruito. Nel primo caso […] ci si serve di operazio-ni geometriche (linee diagonali, ribaltamenti – per trovare dimensioni uguali tra loro – normali alle diagonali etc.) come una falsariga capace di mettere in diretto rapporto struttura e forma; ci si serve cioè dell’alli-neamento e dell’incontro fra due linee, rette o circolari, del tracciato, per collocare porte o finestre (nelle loro linee orizzontali o verticali) per spartire in orizzontale o in verticale la pianta o la facciata. Nel secondo caso l’operazione si rovescia, cer-cando ‘proporzioni’ nel già costruito, scegliendo il più opportuno sistema di rapporti» (Quaroni 1977, 166).

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chitettura e grafica editoriale. dei contemporanei, avvezzi a cogliere i significati sottesi

a specifiche scelte compositive. Come nell’architettura progettata e costruita i tracciati regolatori consentono di controllare, ordinare e prevedere lo sviluppo dell’opera finita, così nella grafica editoriale le griglie permettono di impostare un palinsesto, una ‘gabbia’ che guidi la reda-zione del volume74 (vignelli, 2009). E come

nell’architet-tura progettata e costruita (e, per estensione, nel dise-gno di architettura) la proporzione geometrica delle parti, svincolata dalla dimensione dell’oggetto e dal sistema di misura impiegato, costituisce un elemento essenziale, anche nella composizione grafica della pagina moduli e allineamenti ordinano le parti in un organismo armonico in cui ogni particolare occupa esattamente il suo posto, equilibrandosi con gli altri e stabilendo con essi una stret-ta sinergia. Tale modularità non deve però essere intesa come una reiterazione acritica di un canone stabilito a

priori, bensì come la costante ricerca del rapporto più

intimo tra le parti che compongono il tutto. Non è per-tanto ripetizione pedissequa, ma ritmo; una regola che risulta tanto più valida quanto si elide nella sua evidente semplicità75.

“L’architettura è l’arte per eccellenza, che consegue […] la percezione dell’armonia mediante rapporti emozio-nanti” (le corBusier, 1923).

Nel layout della pagina il disegno di architettura, al pari del testo e dell’immagine fotografica, deve mantenere la sua assoluta leggibilità, nei tratti e nei contenuti, al fine di veicolare in modo corretto il messaggio da esso espresso

74 «Per noi la grafica è

organizza-zione. […] La gabbia (grid, raster) rappresenta la struttura base della nostra grafica: ci aiuta ad organiz-zare il contenuto, fornisce continuità stilistica, crea un’apparenza d’ordine e proietta quel livello di eleganza intellettuale che vogliamo esprimere» (Vignelli, 2009, 54).

75 «Esiste una quantità infinita

di gabbie, ma solo una – la più appropriata – per ogni problema. […] Concettualmente, tanto più piccola è la gabbia tanto meno può aiutare. Possiamo dire che la pagina vuota è una pagina con una gabbia infini-tamente piccola, quindi equivale a non averla. Al contrario, una pagina con una gabbia grande diventa molto restrittiva e offre troppo poche alternative. Il segreto è di trovare la gabbia giusta per il progetto. […] Una volta strutturata la pagina, co-minciamo a strutturare l’informazione e posizionarla nella gabbia in modo tale che la chiarezza del messaggio venga enfatizzata dal posizionamen-to stesso» (Vignelli, 2009, 54).

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(AmBrose, hArris, 2009). Il suo dimensionamento riveste

pertanto un ruolo tutt’altro che secondario in quanto, se non sufficientemente calibrato, rischia di compromettere la riconoscibilità delle parti, inficiando il valore comunica-tivo della pagina. Questo aspetto, più facilmente risolvi-bile in pubblicazioni di grande formato, non può essere tralasciato neppure nei volumi di dimensioni minori, nelle quali l’organizzazione degli spazi interni alla pagina dovrà essere rimodulata per far fronte a tale necessità. L’idea-zione di collane editoriali, in grado di comporre razional-mente immagini e testi in impaginati differenti, con la fina-lità di valorizzare di volta in volta i contenuti delle opere, diviene spesso la risposta più efficace alla problematica appena espressa. Didapress76 interpreta questa

esigen-za offrendo una gamma vasta e articolata di collane, in grado di comunicare gli esiti della ricerca universitaria attraverso linguaggi calibrati in relazione ad eterogenee volontà espressive; i formati e le gabbie editoriali sono pertanto concepiti e declinati per accogliere testi, imma-gini e disegni, dalla scala territoriale all’oggetto di design. Nei volumi di architettura, proprio per la forte compo-nente grafica che necessariamente li contraddistingue, si assiste con maggior frequenza a una ‘inversione di rotta’ nei fattori che determinano la progettazione dell’opera: non tanto testi e immagini che si piegano al formato e alla struttura della pagina, quanto le dimensioni e la forma del libro che si modellano in funzione delle tematiche da mo-strare, dell’impatto visivo che si vuole ottenere. I volumi d’architettura del XXI secolo, cioè, sempre più tentano di

76 Didapress è un logo, creato e

curato all’interno del didacommuni-cationlab nel 2015, per le produzioni editoriali del DIDA. Le collane e le cinque riviste che gestisce pubblica-no in open access gli esiti dell’attività di ricerca e di insegnamento dei docenti del DIDA. I volumi sono soggetti a una procedura di accet-tazione e valuaccet-tazione qualitativa ba-sata sul giudizio tra pari affidata dal Comitato Scientifico del DIDA con il sistema della double blind review. 

77 Il volume raccoglie gli esiti del

progetto Tempus 3D – Design pour

le developpement durable des productiones artisanales locales. Identitè fluides, inserito all’interno del

programma Erasmus+ dell’Unione Europea, coordinato dal Diparti-mento di Architettura di Firenze (responsabili scientifici prof. Giusep-pe Lotti e prof. Saverio Mecca) in collaborazione con l’Universidad de Barcelona, il Politecnico di Torino, la Escola Superiora Gallaecia, il Centro Sperimentale del Mobile, la Ecole Supérieure des Sciences et Tech-nologies du Design Université de la Manouba, l’Institut Supérieur de Be-aux-Arts de l’Université de Sousse e l’Institut Supérieur des Arts et des Métiers de Kasserine - Université de Kairouan.

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chitettura e grafica editoriale. lasciarsi plasmare dal loro contenuto, rimanendone

diret-tamente condizionati nell’organizzazione generale e nella forma espressiva. Ambiscono cioè ad esprimere anche attraverso la loro struttura fisica la filosofia e l’indirizzo che sta dietro all’opera architettonica rappresentata (po -lAno, veTTA, 2002).

Questo, ad esempio, è il concept alla base del volume

Identités fluides. Design et patrimoine autor de la Médit-erranée77, pubblicato da didapress e presentato nel luglio

2016 in occasione della Triennale di Milano. Il tema dell’ar-tigianato locale, delle maestranze specializzate, del

desi-gn sostenibile espressione di un patrimonio culturale

ma-teriale e immama-teriale comune al bacino del Mediterraneo trova una risposta editoriale in un prodotto assemblato e incollato a mano, dove parole e immagini si susseguono in un flusso ininterrotto. La grafica, fortemente condizio-nata dal tema dell’acqua che lega i popoli del Mediter-raneo, travalica i confini della pagina, e ‘scorre’ libera da un foglio all’altro; la particolare piegatura ‘a fisarmonica’ fa sì che il volume – con una lunghezza complessiva, da aperto, di 13 metri – possa svilupparsi nello spazio as-sumendo in modo ‘fluido’ infinite forme, modellandosi di volta in volta, diventando esso stesso oggetto di design. L’impatto visivo del prodotto editoriale riveste sempre più un ruolo di rilevanza paragonabile ai contenuti espressi. Sulla carta patinata delle riviste di architettura l’immagine fotografica tende a rivestire uno spazio predominante in quanto comunemente considerata di maggior efficacia visiva, essa stessa espressione della particolare

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chitettura e grafica editoriale. bilità del fotografo che interpreta l’architettura grazie a

giochi di luce e inquadrature ad hoc. I volumi monografici hanno, in tal senso, una libertà espressiva differente in quanto prevedono un tempo di utilizzo maggiore, non si ‘consumano in fretta’ come le riviste, ma sono concepiti per restare in veste di documento e, per tale ragione, sono soggetti ad una più ampia libertà di sperimentazione del linguaggio espressivo. In essi il bilanciamento tra testo e immagini è una diretta conseguenza dell’oggetto descrit-to e la scelta stessa dell’apparadescrit-to figurativo costituisce un indirizzo preciso del contenuto che si vuol trasmet-tere. Nelle pagine il disegno di architettura è riprodotto mediando e filtrando l’esigenza comunicativa attraver-so la componente culturale predominante; nella attraver-società dell’immagine diviene specchio di una civiltà contempo-ranea che non si accontenta più delle mere informazioni tecniche, ma pretende l’espressione del significato an-che attraverso il raggiungimento di una sintesi armonica che appaghi un’esigenza estetica. La sua composizione all’interno della pagina contribuisce cioè alla trasmis-sione di un messaggio più ampio, non strettamente legato ai soli contenuti della rappresentazione grafica. La sfida che l’editoria di architettura raccoglie oggi è pro-prio quella relativa alla produzione di oggetti da una for-te componenfor-te comunicativa, ma al confor-tempo in grado di preservare intatti i contenuti singoli e specifici di ogni rappresentazione, valorizzandoli e non tralasciandoli, cu-randone la grafica senza andare a discapito della com-ponente semantica.

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modificare: significa aggiungere valore e significato, illuminare, semplificare, chiarire, cambiare, elevare, portare in scena, persuadere e perfino divertire. Il design è l’inizio e la fine, il processo e il frutto dell’immaginazione.

Riferimenti

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