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I parchi come paradigmi per uno sviluppo sostenibile. Riflessioni organizzative e socio-economiche.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANGEMENT

Corso di Laurea Magistrale a ciclo unico in

ECONOMIA E COMMERCIO

Tesi di Laurea Magistrale in ECONOMIA AZIENDALE

“I PARCHI COME PARADIGMI PER UNO SVILUPPO

SOSTENIBILE.

RIFLESSIONI ORGANIZZATIVE E SOCIO-ECONOMICHE”

RELATORE CANDIDATO

Chiar.mo Prof. FEDERICO NICCOLINI MAURIZIO

BANDECCHI

MATR. 107462

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I PARCHI COME PARADIGMI PER UNO SVILUPPO SOSTENIBILE. RIFLESSIONI ORGANIZZATIVE E SOCIO-ECONOMICHE

Introduzione ………..5

CAPITOLO 1 ………6

I PARCHI E LE AREE PROTETTE 1 Il contesto……….6

1.1 Le origini……….…….9

1.2 I parchi come prima parziale soluzione allo sfruttamento del pianeta………..13

1.3 Dalla idea di “protezione” al paradigma di una nuova economia: aggiungere piuttosto che sottrarre………..17

1.4 La selezione degli obiettivi……….20

1.5 La prospettiva sistemica………22

1.6 I modelli istituzionali dei parchi………26

1.6 1 Le finalità generali delle Aree Protette……….27

1.6.2 Finalità specifiche, attività economiche e condizioni ambientali………29

CAPITOLO 2 ………33

LA MISSION DEI PARCHI, EVOLUZIONE E TENDENZE Premessa……….33

2.1 L’arricchimento della mission: dalla conservazione alle azioni culturali ed economiche………35

2.1.1 la mission, concetto e quadro di riferimento………..38

2.2 Una panoramica dei rapporti fra dibattito e legislazione: l’esempio italiano….42 2.2.1 Uno sguardo a norme, politiche ambientali e Aree Protette in Europa……….45

2.2.2 Aree Protette, le ultime evoluzioni fra dibattito e norme a livello europeo……49

2.3 Dalle norme, ai fatti: il percorso evolutivo delle AaPp in Italia………52

2.4 Una sintesi per una mission moderna e integrata delle AaPp………..57

2.5 Il tema della Governance……….62

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CAPITOLO 3 ……….69

DALLA MISSION AL METODO, LA VALUTAZIONE DI EFFICACIA 3.1 La valutazione di efficacia di una AP………..69

3.2 rassegna sulla diffusione dei metodi di valutazione di efficacia………79

3.3 I metodi più diffusi di evaluation effectiveness………..82

3.4 La Green List: criteri e motivazioni………86

3.5 Le implicazioni della valutazione di efficacia ………91

CAPITOLO 4………..94

PARCHI, SISTEMI E TERRITORIO 4.1 Parchi e Aree Protette come sistemi territoriali ………94

4.2 Parchi e Aree Protette come organizzazioni dedicate allo sviluppo sostenibile..102

4.2.1 Territori e comunità ………..107

4.2.2 Sviluppo sostenibile e sviluppo responsabile………108

4.3 Principi economici applicati a Parchi e Aree Protette come sistemi…………..111

4.3 1 ASV e Sostenibilità……….113

4.3.2 Dall’organizzazione alle relazioni……….115

CAPITOLO 5………117

IL METODO: COINVOLGIMENTO DELLE COMUNITA’ E STRUMENTI DI MKT 5.1 modelli organizzativi, definizione obiettivi………..117

5.2 la centralità del coinvolgimento di comunità e stakeholders……….120

5.2.1 vitalità del sistema e stakeholders ………121

5.3 partecipazione e definizione obiettivi ………..122

5.4 categorie di stakeholders e principi di engagement……….129

5.5 pianificazione, management e monitoraggio delle attività di Stakeholders Engagements………...………..133

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CAPITOLO 6……….143

IL CASO CUYAHOGA VALLEY NATIONAL PARK (USA) Il Parco Cuyahoga Valley, dalla emergenza ambientale alla best practice: una storia esemplare, durata 50anni 1 Breve storia del territorio: il 1969’ River burning……….……143

2 La nascita del Parco Nazionale Cuyahoga Valley………..145

3 Il CVNP: caratteristiche e funzionamento………..149

4 L’organizzazione del NPS e il Cuyahoga Valley National Park………152

5 Il metodo e le azioni, i dati……….156

5.1 iniziative e esempi………..160

6 La vision e gli obiettivi raggiunti………..162

BIBLIOGRAFIA………..165

SITOGRAFIA………..174

FONTI NORMATIVE……….175

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Introduzione

Si è assistito di recente ad una ripresa del dibattito e della riflessione, anche a livello di opinione pubblica, sui mutamenti climatici e in generale sulla protezione dell’ambiente. Conseguentemente hanno preso vigore temi come la cosiddetta economia green, le nuove tecnologie legate alla economia circolare, le ricerche e le applicazioni per lo sfruttamento di energie rinnovabili al posto dei combustibili fossili ed altro ancora.

Unitamente a tali temi si pone anche quello di come rilanciare ciò che finora è stato forse lo strumento principale e comunque fondamentale per l’affermazione dei principi di compatibilità ambientale delle azioni antropiche, di protezione della natura e delle sue conseguenze dirette ed indirette.

Tale strumento sono stati sinora i Parchi, per usare il termine forse più usato e conosciuto nel nostro paese, o per meglio dire le Aree Protette1 che è una terminologia più generica e sicuramente più utilizzata a livello internazionale. I parchi sono stati sinora in molti contesti gli argini più efficaci alla diffusione di modelli economici che non hanno previsto le conseguenze a medio e lungo termine delle emissioni inquinanti delle attività umane, della perdita di biodiversità e di uno sfruttamento delle risorse naturali, definite e limitate in quanto rese disponibili dal pianeta terra, a sua volta definito e limitato.

Dalla maturata e crescente consapevolezza delle implicazioni delle azioni umane sui destini del pianeta e delle specie che lo abitano, fra cui quella umana, sono scaturiti e stanno prendendo forma, concetti nuovi fra cui quello di ‘sviluppo sostenibile’ che vedremo meglio in seguito.

Si cercherà in questo lavoro di concentrare l’attenzione sulla attualità di questi strumenti di protezione ambientale, concentrando l’analisi sulle AaPp e su come queste possano continuare ad essere e semmai accrescere, la loro efficacia in termini di estensione di obiettivi e di risultati.

1 Di seguito descritte con l’acronimo AP o AaPp se intese in senso plurale, salvo esigenze stilistiche e di narrazione.

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CAPITOLO 1

I PARCHI E LE AREE PROTETTE

2 Il contesto……….6

2.1 Le origini……….…….9

1.2 I parchi come prima parziale soluzione allo sfruttamento del pianeta………..13

1.3 Dalla idea di “protezione” al paradigma di una nuova economia: aggiungere piuttosto che sottrarre………..17

1.4 La selezione degli obiettivi……….20

1.5 La prospettiva sistemica………22

1.6 I modelli istituzionali dei parchi………26

1.6 1 Le finalità generali delle Aree Protette……….27

1.6.2 Finalità specifiche, attività economiche e condizioni ambientali………29

1 Il Contesto

Per avviare l’analisi su un variegato panorama che spazia dalle politiche ambientali dei singoli stati, agli effetti planetari delle azioni umane e delle dotazioni di natura e biodiversità, occorre quindi arrivare a individuare con maggiore puntualità cosa si intenda per Area Protetta.

Partiremo dalle definizioni di Aree Protette, come vengono suddivise, come vengono gestite e anche quali obiettivi possono essere loro assegnati. Per introdurre questi concetti partiamo da quelli che sono i punti di riferimento ormai indiscussi del dibattito internazionale, ovvero le definizioni e le categorie analitiche adottate dalla World Commissione on Protected Areas, una delle 6 Commissioni permanenti all’interno dell’International Union for Conservation of Nature.2

Per affrontare dunque il tema della AP come strumento per l’azione di protezione ambientale, ci basiamo sulle “Guidelines for Applying Protected Area Management Categories” (IUCN, 2008)3. IUCN definisce un'area protetta come:

2 Le definizioni di seguito riprodotte sono reperibili integralmente sul sito ufficiale

www.iucn.org/pa_categories

3 Dudley, N. (Editor) (2008). Guidelines for Applying Protected Area Management Categories. IUCN Gland, Switzerland: IUCN. x + 86pp. WITH Stolton, S., P. Shadie and N. Dudley (2013). IUCN WCPA Best Practice Guidance on Recognising Protected Areas and Assigning Management Categories and Governance Types, Best Practice Protected Area Guidelines Series No. 21, Gland, Switzerland: IUCN; pagina 20.

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uno spazio geografico chiaramente definito, riconosciuto, dedicato e gestito, attraverso mezzi legali o comunque efficaci, per raggiungere la conservazione a lungo termine della natura associata ai servizi ecosistemici ed ai valori culturali.

Le AP non sono però tutte uguali, ci sono differenze che afferiscono alle caratteristiche dell’area da proteggere e agli obiettivi di tutele diversificate che vengono posti. Infatti IUCN a sua volta suddivide le aree protette in sei sottocategorie4:

1a Riserva naturale Integrale; 1b Area Selvaggia;

1 Parco Nazionale;

2 Monumento o ambito naturale; 3 Aree di gestione di specie o habitat;

4 Aree di protezione di paesaggi terrestri o marini;

5 Aree dove è consentito l’utilizzo sostenibile delle risorse

4 Sempre tratto da www.iucn.org/pa_categories, testo integrale:

The definition is expanded by six management categories (one with a sub-division), summarized below.

1a Strict nature reserve: Strictly protected for biodiversity and also possibly geological/ geomorphological

features, where human visitation, use and impacts are controlled and limited to ensure protection of the conservation values

1b Wilderness area: Usually large unmodified or slightly modified areas, retaining their natural character and

influence, without permanent or significant human habitation, protected and managed to preserve their natural condition

II National park: Large natural or near-natural areas protecting large-scale ecological processes with

characteristic species and ecosystems, which also have environmentally and culturally compatible spiritual, scientific, educational, recreational and visitor opportunities

III Natural monument or feature: Areas set aside to protect a specific natural monument, which can be a

landform, sea mount, marine cavern, geological feature such as a cave, or a living feature such as an ancient grove

IV Habitat/species management area: Areas to protect particular species or habitats, where management

reflects this priority. Many will need regular, active interventions to meet the needs of particular species or habitats, but this is not a requirement of the category

V Protected landscape or seascape: Where the interaction of people and nature over time has produced a

distinct character with significant ecological, biological, cultural and scenic value: and where safeguarding the integrity of this interaction is vital to protecting and sustaining the area and its associated nature

conservation and other values – segue-

VI Protected areas with sustainable use of natural resources: Areas which conserve ecosystems, together

with associated cultural values and traditional natural resource management systems. Generally large, mainly in a natural condition, with a proportion under sustainable natural resource management and where low-level

non-industrial natural resource use compatible with nature conservation is seen as one of the main aims

The category should be based around the primary management objective(s), which should apply to at least three-quarters of the protected area – the 75 per cent rule.

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Ad ognuna di tali categorie sono poi assegnati corrispondenti obiettivi i quali saranno esaminati successivamente. Basti qui rilevare che non è da intendersi come esclusivo, l’obiettivo di difesa e conservazione naturale, e che vi possano e debbano essere anche altri obiettivi altrettanto rilevanti in osservanza al principio di approccio sistemico (e purché non confliggano con quello di conservazione e preservazione) come ad esempio: l’affermazione di valori ambientali e culturali e quindi attività di divulgazione e di didattica, la ricerca scientifica e di compatibilità delle interferenze umane in ambienti naturali.

Altrettanto rilevante è poi la classificazione sempre proposta da IUCN in relazione alle caratteristiche gestionali, ovvero per la tipologia di governance.

Si distinguono in 4 macrocategorie, le quali possono poi essere riferite a diversi obiettivi di gestione5:

A) GOVERNANCE BY GOVERNMENT

B) SHARED GOVERNANCE

C) PRIVATE GOVERNANCE

D) GOVERNANCE BY INDIGENOUS PEOPLE

AND LOCAL COMMUNITIES

Questa tipizzazione riflette sia il livello di responsabilità istituzionale, sia il livello di coinvolgimento del management e delle popolazioni e comunità locali, che rappresentano gli aspetti fra i più rilevanti per il prosieguo del presente lavoro. Tali aspetti sono come vedremo determinanti per poter assegnare obiettivi e valutazione dell’efficacia alle stesse AaPp, le quali si devono confrontare con problemi di non poco conto dei quali uno dei principali, è il crescente livello di inquinamento provenienti dall’esterno delle aree e relative incertezze e difficoltà per poterne limitare ed in prospettiva eliminare gli effetti negativi.

Le AaPp si devono molto spesso muovere in un contesto in cui c’è una forte incertezza degli ambiti di azione e quasi sempre, in presenza di un quadro di riferimento di mutevoli connotati. Tutto questo ed altri fattori ancora, rendono più difficile distinguere le cause dagli effetti; l’efficacia degli strumenti, dall’efficacia dei metodi; la validità dei modelli di gestione

5Op. cit IUCN 2008 pag .25 e ss. Si veda anche in particolare la matrice di classificazione a pag. 27 che mette in relazione le 6 categorie di aree protette con le 4 macro-tipologie di governance a loro volta suddivise in sottotipologie.

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in relazione con le situazioni in cui sono inseriti. Dopo una panoramica di questi aspetti, comunque decisivi per lo studio delle Aree Protette, si cercherà di far convergere l’attenzione su un aggiornamento dell’agenda di lavoro da estendere potenzialmente a tutte le Aree Protette, a prescindere dalla loro origine, tipologia e situazione e riferendosi comunque prioritariamente alle tipologie corrispondenti a più elevati ambiti di interazione umana con gli ambienti naturali.

1.1 Le origini

Capire il contesto in cui si deve realizzare l’azione di una AP è dirimente rispetto ad ogni aspetto di tale azione. Incertezza, ostilità, diffidenza, ignoranza, indifferenza contestualmente ad altrettanto decisi entusiasmi, speranze, lotte e difese ad oltranza sono termini che rappresentano bene l’ambito di azione dei parchi. Eppure il fine, gli scopi, in origine, sono stati definiti in modo abbastanza netto, magari concettualmente complesso e di non immediata, piena comprensione, ma di pur sempre semplice percezione: preservare e conservare gli ambienti naturali affinché essi possano essere consegnati così come li abbiamo ricevuti dalle generazioni passate, a quelle future 6.

Per capire il percorso evolutivo del concetto di protezione possiamo ricorrere al dettato della prima legge organica in materia di aree protette: il National Parks Act del 1916 (che negli Usa portò alla creazione dell’organizzazione definita National Parks Service, che tutt’ora gestisce il sistema dei Parchi Nazionali in quel paese).

L’obiettivo (la vision) della legge è “conserve the scenery and the natural and historic objects and the wild life… and provide for the enjoyment of the same in such manner and by such means as will leave them unimpaired for the enjoyment of future generations”.

Questo atto formale, è il frutto della crescita del pensiero ambientalista moderno7, la cui nascita può essere datata nella seconda metà dell’800 come corrente di pensiero, e fatta

6 Il fine di un’Area Protetta è in linea con la definizione di sviluppo sostenibile elaborata dalla World

Commission on Environment and Development nel 1987, che definisce come sostenibile quello sviluppo che “to meet needs of presents without surfacing the abilities of future generations to meet theirs” come si vedrà anche in seguito.

7 “E' possibile infatti parlare di "moderno ambientalismo" – si mutua qui l'espressione da David

Pepper(1996) - soltanto dalla metà dell'Ottocento se con tale espressione si intende indicare - certamente in modo estremamente sintetico e approssimativo - la compresenza presso singoli individui o presso gruppi persone di quattro elementi:

1. un atteggiamento di apprezzamento positivo nei confronti della natura in quanto tale e l'inclinazione a preservarla o a preservarne alcuni aspetti specifici;

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coincidere con la pubblicazione dei primi libri dove è al centro della riflessione, la natura e gli effetti dell’attività umana su di essa, fra cui è utile citare “Man and Nature” di George Perkins Marsh, pubblicato nel 18648.

Fu nel nuovo mondo, gli Usa, dove questa incubazione di pensiero nel corso dell’800 sfociò poi nei primi fatti concreti: la creazione del parco di Yosemite in California nel 1864 e soprattutto la nascita del primo Parco Nazionale al mondo nel 1871: il Parco Nazionale di Yellowstone.

Nasceva così la storia delle Aree Protette, in coincidenza con le prime affermazioni del pensiero ambientalista.

La creazione dei parchi è stato probabilmente l’innesco di una maturata consapevolezza, - fra i primi pionieri della ecologia, o meglio di ciò che ora stiamo definendo come la prospettiva di uno sviluppo sostenibile, compresi gli spunti per un suo auspicabile arricchimento - che gli allora nuovi modelli produttivi, il progredire delle conoscenze scientifiche, con i conseguenti effetti sull’ambiente e soprattutto l’avvio di un processo di sfruttamento senza limiti delle risorse naturali, anche secondo quei pionieri, non avrebbe potuto reggere nelle sue estreme conseguenze, sia su scala locale, che planetaria.

Il motivo è che la logica di tale nuovo sistema produttivo non preveda limitazioni ‘interne’ nella predazione di risorse che non abbiano un riscontro economico9.

C’è già nella intuizione iniziale, l’idea che da qualche parte ed in qualche modo, vada posto un limite allo sviluppo economico che altrimenti, per il suo intrinseco meccanismo, sarebbe stato (anzi è stato e continua ad essere in larga misura) senza limiti e quindi destinato al collasso per l’iper-sfruttamento delle risorse e della sua progressiva insostenibilità nel medio-lungo periodo.

3. una serie di concreti obiettivi di azione, che possono anche organizzarsi in programmi complessi e di vasto respiro;

4. la volontà e la capacità di organizzarsi collettivamente e pubblicamente per perseguire il raggiungimento di tali obiettivi.” PICCIONI, L. (2016) In “Nazione, patrimonio, paesaggio: alle origini del moderno ambientalismo in Europa 1865-1914” Altronovecento Ambiente Tecnica Società, Rivista Fondazione Micheletti N. 28 febbraio 2016 ; e PEPPER, D.(1996) , Modern Environmentalism. An Introduction, Routledge London-New York.

8 Marsh, G. P. (1864) Man and Nature: Or, Physical Geography as Modified by Human Action, New York, C. Scribner, (nuova edizione 2003, Seattle and London, University of Washington Press con introduzione di David Lowenthal e prefazione di William Cronon; prima traduzione italiana 1870, L'uomo e la natura. Ossia la

superficie terrestre modificata per opera dell'uomo, Firenze, Barbera; nuova edizione italiana 1993, Milano,

Franco Angeli con introduzione di Fabienne O. Vallino).

9 Ad esempio: dismetto la coltivazione di una miniera solo se i costi di estrazione del materiale sono superiori a ciò che posso ricavare da mercato, e non perché, ad esempio, sto inquinando la falda acquifera.

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Come porre quindi un limite ad un processo, altrimenti difficile da regolare, proprio per gli interessi che mobilita e che sono più forti ed immediati delle ragioni che valgono (o che dovrebbero valere), sul lungo periodo e per tutta la comunità su scala planetaria?

E’ la questione che si è posta ai primi soggetti che hanno individuato il problema. Teniamo anche presente che prima dell’avvio delle rivoluzioni industriali, della chimica, e delle varie forme di inquinamento, pressoché tutte le attività antropiche erano, di fatto, almeno quasi completamente reversibili. Ed anche nei casi in cui si fossero prodotti effetti ambientali tali da modificare lo stato di partenza, ogni sistema ambientale locale10, trascorso un po’ di tempo, successivamente all’intervento antropico ed anche considerando lo state delle cose sui cui si era intervenuti, sarebbe tornato ad una condizione non dissimile da quella iniziale. C’era la convinzione della separatezza dei diversi sistemi ambientali e contestualmente della loro pratica illimitatezza, data la vastità del pianeta in rapporto alla esiguità degli interventi umani. In parte, almeno da un punto di vista puramente empirico ed anche per incapacità di valutarne e misurarne gli effetti, e fino al punto di innesco della Prima Rivoluzione Industriale e ancor più a partire dalla Seconda, tale convinzione avrebbe potuto essere sostanzialmente vera. Ma che non potesse più esserlo in seguito alla crescita della scala dimensionale degli interventi umani e del loro moltiplicarsi nel numero, cominciò ad apparire evidente già dalla fine dell’800.11

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http://www.treccani.it/enciclopedia/sistemi-ambientali-e-loro-componenti-ecologiche_%28Frontiere-della-Vita%29/

“L'ecologia dei sistemi ambientali (Iandscape ecology) è una disciplina che studia la complessità ambientale analizzando l'importanza dei rapporti spaziali tra le diverse componenti (individui, popolazioni, comunità, mosaici ambientali) del mondo reale. Il sistema ambientale, definito come rappresentazione spaziale di un ecosistema, viene strutturato dalla sovrapposizione degli ambienti così come vengono percepiti dalle diverse specie o modificati dai processi ecologici, quali le esondazioni e gli incendi. Il modo con cui un organismo percepisce l'ambiente in cui vive è specie-specifico (……). L'ecologia dei sistemi ambientali è applicata soprattutto alla gestione dei paesaggi a scala umana e, in particolare, alla valutazione, gestione e

conservazione della natura. (………..) Negli ultimi decenni è apparso sempre più evidente che la dimensione spaziale degli ecosistemi doveva essere allargata per meglio comprendere i complessi processi che interessano la biosfera e più in generale l'ecosfera. La percezione della complessità del pianeta Terra si è radicata sia nella ricerca scientifica che nel più vasto pubblico e la globalizzazione dei problemi ha reso necessario ampliare la scala di analisi e di interpretazione dei fenomeni. (………) Infatti, non appena la scala spaziale è stata ampliata, la ricerca ecologica ha iniziato a considerare l'ambiente come un sistema eterogeneo, dove la varietà dei processi ecologici si estrinseca in stati di equilibrio dinamico (flussi

omeoretici) e dove i processi condizionati dall'uomo diventano parte integrante dei meccanismi ambientali. L'ecologia dei sistemi ambientali studia la complessità ambientale analizzando soprattutto l'importanza dei rapporti spaziali tra le diverse componenti del mondo reale”.

11http://www.treccani.it/enciclopedia/movimenti-ecologisti_%28Enciclopedia-Italiana%29/

“……I primi gruppi per la conservazione e la protezione della natura, espressione di una embrionale presa di coscienza sui pericoli insiti nel processo di sviluppo economico e industriale, sorsero nella seconda metà del 19° secolo. Forme di contestazione e persino di aperto rifiuto del progresso economico e delle sue

conseguenze sugli uomini e la natura erano presenti da tempo nell'opera di filosofi e scrittori, per es. in buona parte della corrente romantica, soprattutto nei paesi anglosassoni e in Germania. Ma si trattava di manifestazioni isolate, anche se importanti sul piano intellettuale e di storia della cultura. Con la seconda

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Così lo sintetizza Piccioni (2016): “L'ondata protezionista inglese deve essere considerata pionieristica: se essa si dispiega a tutti gli effetti nel corso degli anni Settanta, (dell’800, ndr) negli Stati Uniti e sul continente europeo un'analoga fioritura avviene solo a partire dai primi anni Novanta per raggiungere il suo culmine alla vigilia della Prima guerra mondiale”.

Anche nel passato comunque si sono potute registrare azioni di modifica all’ambiente non pienamente reversibili. La vera differenza rispetto ad oggi, è che nel passato si trattava comunque di una dimensione molto circoscritta e locale, contrariamente ad oggi dove la scala è planetaria (si pensi alle emissioni in atmosfera). E dove i fenomeni di urbanizzazione – di per sé maggiormente impattanti sull’ambiente - e di contestuale abbandono delle aree rurali e delle culture che nei secoli hanno invece permesso a generazioni di uomini di abitarle lasciandole viceversa intatte, determinano ulteriori accelerazioni dei processi di modifica e degrado della qualità ambientale.

Così non si può più considerare oggi come irrilevanti, molteplici attività umane, come dimostrato da quanto avvenuto negli ultimi due secoli, per le quali è facile dover piuttosto osservare che ogni generazione ha lasciato un mondo modificato (inquinato, ma non solo) probabilmente in modi in larga parte non reversibili.

E non è solo un problema di inquinamento.

In realtà si dovrebbe considerare in modo più attento il fattore tempo.

Cosa significa cioè provocare mutamenti di brevissimo periodo incidendo in modo determinante sull’ambiente. Si pensi a titolo di esempio, cosa ha significato aver messo in comunicazione diretta il Mar Rosso, con il Mediterraneo: aver trasportato (volontariamente e involontariamente) agenti fitopatogeni e specie vegetali ed animali da un continente all’altro. Malattie ed epidemie. Aver diffuso sostanze impattanti su processi chimici e fisici e biologici.

Cosa significhi aver diffuso sostanze che migrano da uno stato materico all’altro: dal solido al gassoso, dal liquido al solido. Dalle miniere all’atmosfera, dalle terre, alle acque e viceversa. A cosa significa e significherà aver invaso i fiumi e gli oceani con le plastiche.

metà dell'Ottocento nascono invece le prime associazioni che traducono quelle critiche in proposte concrete di salvaguardia dell'ambiente”. Da cui anche la creazione dei primi parchi naturali negli USA ed altre proposte basate sempre su azioni concrete ed emblematiche di protezione di ambienti o specie animali da proteggere visto il pericolo di estinzione provocata da attività umane come l’accordo del 1883 a Parigi per la protezione delle foche nel mare di Bering.

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1.2 I parchi come prima parziale soluzione allo sfruttamento del pianeta

Da questo contesto nasce l’idea di protezione e conservazione, e come diretta conseguenza di questa idea originaria, fondativa, con la creazione dei “Parchi” come soluzione, almeno parziale, ma sicuramente come azione principale fra quelle destinate alla protezione ambientale.

I parchi quindi, che per l’approccio ecologista, sono il primo e tutt’ora forse più forte, simbolo e strumento che sorse nella seconda metà dell’800, già dopo il primo secolo di sfruttamento ed impatto senza limiti del pianeta.

Uno strumento, un mezzo e in parte anche un fine, per effetto di una impostazione che, come si vedrà meglio, è comunque statica, conservativa, ‘esclusiva’ e finora come si cercherà di mostrare, non sufficientemente ampia ed inclusiva.

Parrebbe esserci una sorta di regola fondante o meglio una costante, ricavabile dalle varie definizioni anche legislative e cioè che ai fini della conservazione, all’interno delle AP si adotti una sorta di teca di vetro, entro cui proteggere i luoghi naturali e come criterio: ‘non fare’. Si pensi alla osservazione compiuta nel 1938 da Werner Sombart 12: “È proprio una sorta di angoscia ad aver spinto gli uomini del nostro tempo, di fronte alla distruzione e alla deturpazione rapida e costante del paesaggio naturale, ad allestire i cosiddetti parchi naturali protetti, in cui si lasciano le cose così come Dio le ha create, e come si conformano per propria forza vitale.

Ecco il quadro del futuro che si apre davanti ai nostri occhi: la natura conservata solo come oggetto da museo”.

Inoltre, si è capito che non è (solo) una sfida o un conflitto dell’uomo con la natura per cui “allo stesso tempo troviamo rapporti simbolici paradossali e disorientanti: da una parte sfruttamento della natura senza limiti, dall’altro protezione e amore per la natura” (Schmoll, 2018)13. Si tratterebbe allora, proprio in questi termini, di una sfida dell’uomo con l’uomo, o se si preferisce, fra uomini. Una partita tutta all’interno della specie umana dunque, con tutte le implicazioni etiche, filosofiche e sociali ed economiche, che questo comporta.

Per questo motivo occorre soffermarsi sugli aspetti economici e sociali e anche psico-sociali degli strumenti che sono stati creati per dare diverse possibilità di esiti alle evoluzioni ed alle implicazioni che una azione economica senza limiti può provocare.

12 Sombart, W. (1938) Vom Menschen. Versuch einer geisteswissenschaftlichen Anthropologie. Berlin: Duncker & Humblot; ultima edizione italiana Sull’uomo. Un tentativo di intendere l’antropologia come scienza

dello spirito, Roma, Armando Editore, 2013, p. 416.

13 Schmoll F. (2018) Natura selvaggia, paesaggio, relitti. Culture nazionali nella tutela della natura internazionale in Ricerche di storia politica (ISSN 1120-9526) Fascicolo 1, aprile 2018, p.33.

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I parchi appunto vennero concepiti da alcuni pionieri “visionari” americani, il cui capostipite universalmente riconosciuto è senza dubbio Ferdinand Venderveer Hayden 14 dalla cui missione esplorativa geologica e grazie al Rapporto di cui fu autore per il Congresso Americano, scaturì il primo Parco Nazionale al mondo, il già citato Parco di Yellowstone.

Per fare un passo avanti nella analisi è forse utile poter utilizzare una moderna e più recente definizione di ‘ambiente naturale’. L’ambiente naturale oggi, può essere considerato, (Melandri, 1987) “un insieme di processi, all'interno dei quali, in misura più o meno sensibile, l'uomo ha sempre giocato la sua parte - insieme agli altri esseri viventi - sicché è ormai difficile isolare sulla faccia della terra qualche ecosistema che si possa dire a pieno titolo naturale (nel senso di non antropizzato)”15.

Anzi si può sostenere che con l’effetto serra che sta impattando sul clima mondiale, non ci sono più ecosistemi ‘isolati’ e che in qualche modo non abbiano risentito degli effetti delle azioni antropiche. Da questa concezione estesa di ambiente, deriva una più ricca e attuale definizione di cosa possa e debba essere un Parco, oggi.

Una definizione che acquista ancora più forza in un paese come l’Italia dove ci sono veramente poche aree del paese ancora ‘naturali’ le quali peraltro sono in gran parte inserite in parchi o aree protette di vario genere. Ad esempio secondo le categorie proposte da IUCN la maggior parte delle AP italiane corrisponde alle categorie 4, 5 (e in parte alla 6) anche se

14 Ferdinand Vandeveer Hayden (September 7, 1829 – December 22, 1887) citazione da Wikipedia (https://en.wikipedia.org/wiki/Hayden_Geological_Survey_of_1871):

On December 18, 1871, a bill was introduced simultaneously in the Senate, by Senator S.C. Pomeroy of Kansas, and in the House of Representatives, by Congressman William H. Clagett of the Montana Territory, for the establishment of a park at the headwaters of the Yellowstone River. Hayden's influence on Congress is readily apparent when examining the detailed information contained in the report of the House Committee on Public Lands: "The bill now before Congress has for its objective the withdrawal from settlement, occupancy, or sale, under the laws of the United States a tract of land fifty-five by sixty-five miles, about the sources of the Yellowstone and Missouri Rivers, and dedicates and sets apart as a great national park or pleasure-ground for the benefit and enjoyment of the people."

……

On March 1, 1872, President Ulysses S. Grant signed The Act of Dedication[6] law that created Yellowstone

National Park. ( "History & Culture". General Grant National Memorial. National Park Service. July 25, 2006. Archived from the original on February 16, 2012. Retrieved April 23, 2007.) On March 1, 1872, President Ulysses S. Grant signed the bill into law, establishing the Yellowstone region as a public park, memorializing the results of three years of exploration by Cook-Folsom-Peterson (1869), Washburn-Langford-Doane (1870), and Hayden (1871).

https://en.wikipedia.org/wiki/Yellowstone_National_Park

“Yellowstone was the first national park in the U.S. and is also widely held to be the first national park in the world.”[7] ("Biosphere Reserve Information – United States – Yellowstone". UNESCO – MAB Biosphere

Reserves Directory. UNESCO. August 17, 2000. Archived from the original on August 4, 2007. Retrieved August 14, 2016.)

In 1978, Yellowstone was named a UNESCOWorld Heritage Site

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in realtà non è possibile parlare, in senso assoluto, per un Parco italiano circa la sua appartenenza totale ad una od un’altra categoria di riferimento IUCN, semmai solo prevalente, visto che la legge quadro ha introdotto il concetto di zonizzazione16 secondo il quale in ogni parco sono contemporaneamente presenti zone con livelli di protezione differenziati.

Infatti fra i primi si sono potuti creare, pur con qualche contraddizione, parchi dove invece l’azione degli uomini è marcata se non addirittura decisiva. Parchi fortemente antropici e non solo parchi naturali dunque: “Oggi è l’uso piuttosto che il non uso, l’incentivo piuttosto che il vincolo, a caratterizzare quei complessi di risorse che si identificano come parchi. In realtà essi rappresentano l’obiettivo di un modo diverso di rapportarsi alle risorse naturali e, al tempo stesso, di un’accresciuta capacità di distinguere e ricomporre quelle risorse stesse” (Migliorini, et al. 1999) 17.

E da qui il concetto di sostenibilità: possiamo modificare, senza intaccare o alterare equilibri di lungo termine l’ambiente in cui operiamo e viviamo? E forse dovremmo chiederci se la sostenibilità è un approccio sufficiente al mantenimento di equilibri di lungo periodo. O se dovremmo piuttosto far lievitare il concetto verso più ambiziosi obiettivi, come una piena e duratura (perenne) compatibilità delle nostre azioni sulla natura circostante.

Gli uomini con le loro azioni hanno modificato l’ambiente e lo studio della sostenibilità nel tempo di queste trasformazioni determina il successo o meno di quelle popolazioni. Senza

16Da https://www.minambiente.it/pagina/zone-di-protezione

La legge quadro pone l'obiettivo di coniugare le esigenze di conservazione e salvaguardia del patrimonio naturale con gli interessi delle popolazioni locali attraverso l'avvio di forme di sviluppo sostenibile all'interno dell'area protetta. La tutela dei valori naturali e ambientali, che la Legge affida all'Ente Parco, è perseguita attraverso lo strumento del piano per il parco, che suddivide il territorio in funzione del diverso grado di protezione. Il territorio del Parco è dunque articolato 'in aree o parti caratterizzate da forme differenziate di uso, godimento e tutela'.

La zonizzazione del parco prevede quindi:

• riserve integrali nelle quali l'ambiente naturale è conservato nella sua integrità.

• riserve generali orientate nelle quali è vietato costruire nuove opere edilizie, ampliare le costruzioni esistenti, eseguire opere di trasformazione del territorio. Possono essere tuttavia consentite le utilizzazioni produttive tradizionali, la realizzazione delle infrastrutture strettamente necessarie, nonchè interventi di gestione delle risorse naturali a cura dell'Ente Parco. Sono altresì ammesse opere di manutenzione alle opere esistenti.

• aree di protezione nelle quali, in armonia con le finalità istitutive e in conformità ai criteri generali fissati dall'Ente Parco, possono continuare, secondo gli usi tradizionali ovvero secondo metodi di agricoltura biologica, le attività agro-silvo-pastorali nonché di pesca e raccolta dei prodotti naturali, ed è incoraggiata anche la produzione artigianale di qualità.

• aree di promozione economica e sociale facenti parte del medesimo ecosistema, più estesamente modificate dai processi di antropizzazione, nelle quali sono consentite attività compatibili con le finalità istitutive del Parco e finalizzate al miglioramento della vita socio-culturale delle collettività locali e al miglior godimento del parco da parte dei visitatori.

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voler sconfinare nel campo dello studio della ‘Ecologia delle Popolazioni’18, basti sapere in questa sede che negli ultimi decenni c’è stato un allargamento della prospettiva di studio che partendo dai singoli ecosistemi ha cominciato ad allargare l’ambito di analisi fino a considerare lo studio dell’ecologia come uno studio che comprenda tutto l’ambiente e tutte le popolazioni che lo abitano19 e soprattutto che l’ecologia possa ricomprendere il confronto o meglio il cammino, con l’economia, cioè con le attività umane. E magari trarne delle sintesi compatibili con una idea di sostenibilità. In fondo entrambe le discipline partono dall’etimo comune: ‘eco’20 che riporta al concetto di casa e di luogo dove si vive. Un luogo, quindi che per la sua funzione, non dovrebbe essere maltrattato, pena la perdita della sua utilità. In ogni caso, analogamente a quanto si cerca di fare con lo studio della Ecologia delle popolazioni, dove si tratta di individuare le direttrici di crescita (o della decrescita o scomparsa) di una popolazione, dovremmo cercare di capire come si determina un successo di lungo periodo per la strategia dello sviluppo delle Aree Protette entrando quindi nel tema della ecologia organizzativa21.

Ponendo la domanda in altri termini: da quali modelli sociali (economici) scaturisce il successo di una AP? Come definire cosa sia un successo, in questo ambito? Ed ancora quanti possono essere i metodi possibili e migliori? O se ve ne sia uno unico o semplicemente il migliore, o uno dei molti? Infine da quali tipologie di organizzazione e dei conseguenti modelli istituzionali essi sono determinati o piuttosto ne sono l’effetto, più che la causa?

Per fare ordine in un simile percorso, è forse opportuno partire da una stabile individuazione degli obiettivi da assegnare alle AaPp.

Il maggiore punto di riferimento per una concreta selezione di obiettivi da assegnare alle AaPp è forse quella data dall’ONU nel programma “Sustainable Development Goals (SDGs)22 definito nel 2015. Tale programma ha portato alla cosiddetta Agenda 2030 per lo sviluppo

18 Per una definizione si veda https://www.britannica.com/science/population-ecology

Per un approfondimento, fra gli altri Vandermeer J.H. and Goldberg D.E. (2013) Population Ecology: First Principles , 2nd ed.,Princeton University Press, 25 ago 2013

19 Si veda fra gli altri Marten G.G. “Ecologia umana. Sviluppo sociale e sistemi naturali” Edizioni Ambiente, 2002. ISBN: 888641286X

20 Definizione tratta da :

http://www.treccani.it/vocabolario/eco_res-d9704741-0019-11de-9d89-0016357eee51/ èco- [dal gr. οἶκος «dimora», οἰκο-]. – Primo elemento di parole composte derivate dal greco o formate modernamente, in cui significa «casa» (come in economia, ecofobia, ecc.) o «ambiente ove si vive» (ecologia, ecodemo, ecc.); in altre ancora (ecomafia, ecomostro, ecc.), è riduzione dei

termini ecologia, ecologico.

21 Si veda sul tema della ecologia organizzativa il lavoro classico di Hannan M. T.; and Freeman J. (1989) Organizational Ecology, Princeton University Press Usa. Edizione italiana: Ecologia organizzativa. Per una teoria evoluzionista dell'organizzazione (1992) a cura di Lomi A. Etas libri

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sostenibile cui hanno aderito molti stati e che si compone di 17 macro obiettivi (goals) a loro volta suddivisi in 169 più specifici targets da raggiungere.

In questo più ampio contesto ed ambito di intervento si cerca di individuare il ruolo delle Aree Protette, attualizzando i loro compiti e metodi, alla luce di obiettivi globali.

Si cerca infatti di individuare, oltre alla modellistica istituzionale, o meglio a prescindere dai modelli adottati, l’enucleazione dei metodi e degli obiettivi trasversalmente efficaci.

1.3 Dalla idea di “protezione” al paradigma di una nuova economia: aggiungere piuttosto che sottrarre

Ciò che interessa però rilevare in questa sede, è che all’origine del pensiero ecologista e ambientalista c’è, come idea di partenza e centrale, il protezionismo, cioè sottrarre parti di pianeta, particolarmente pregiate, ma non solo, alle azioni ed alle regole dell’economia e gestirle secondo altri principi.

La protezione quindi è vista come motore delle azioni di contrasto del degrado ambientale e come faro dei movimenti che scaturiscono da quelle corrente di pensiero. Questa idea forte e senz’altro tutt’ora decisiva si è molto arricchita nel corso del XX secolo. Vedremo poi quali sono le funzioni e gli obiettivi aggiornati secondo criteri più attuali. Tuttavia scopo della presente trattazione è proprio quello di cercare di individuare come poter rilanciare gli effetti delle Aree Protette, oltre i propri ristretti confini geografici per farle diventare esperienze paradigmatiche per un nuovo, possibile e praticabile modello di sviluppo.

Aggiungere cioè esperienze e attività economiche (e territori) alle Aree Protette, purché tutte queste azioni siano sostenibili ambientalmente.

Dovrebbe infatti risultare evidente che, per un verso, è un obiettivo auspicabile, la crescita dimensionale (sia per aree già esistenti, che come crescita del loro numero), delle aree soggette a protezione (che poi è anche uno dei parametri su cui correttamente si valuta l’efficacia delle azioni delle stesse aree protette). Tuttavia, estremizzando il concetto, non sarebbe possibile, con le regole di oggi, applicare i criteri di ‘eccezionalità’, delle Aree Protette a tutto il pianeta, poiché in molti casi, di fatto, sono peraltro incompatibili con la presenza umana.

Quindi osservando le categorie di AP individuate da IUCN23 da un lato è certo scontato dover preservare e conservare tale e quale le aree “wilderness” ad esempio delle categorie 1a e 1b, sulla quali è bene minimizzare più possibile le interferenze umane, coerentemente con gli obiettivi specifici assegnati a tali categorie. Nel contempo occorre però estendere e portare anche a conseguenze più coerenti con la mission della sostenibilità, le Aree Protette con

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fenomeni già presenti di antropizzazione -corrispondenti alle categorie 5 e 6 soprattutto- che peraltro corrispondono alla grande parte delle AaPp del nostro paese sui cui si cercherà di focalizzare, pur in modo non esclusivo, il presente lavoro.

In definitiva quindi parrebbe anzi necessario convertire e indirizzare le attività presenti all’interno delle AaPp già presenti, verso nuovi e più alti obiettivi di sostenibilità, con l’ambizione di estendere contestualmente le superfici ed il numero delle AaPp.

Si capisce che tali ambizioni si scontrano con il successo e la ‘simpatia’ che le AaPp esistenti raccolgono presso le comunità locali: incrementare successi e simpatie per coinvolgere le comunità, saranno quindi compiti precipui e condizioni preliminari da ottenere per il conseguimento degli obiettivi prefissati.

Unitamente a tali sforzi sarà parimenti necessario offrire sempre il massimo della attenzione anche nella direzione della coerenza, a partire dalle stesse istituzioni, enti e attività dirette degli enti e dei soggetti chiamati a gestire le Aree Protette.

Infatti è stato facile capire il valore ambientale e quindi da proteggere e preservare o conservare (peraltro i due verbi, preservare e conservare, corrispondono anche due distinte correnti del pensiero ambientalista nella prima metà del ‘900, soprattutto in USA) nel caso di luoghi intatti ed estremamente originali e particolari, come Yellowstone, o guardando all’Italia, il primo Parco Nazionale quello del Gran Paradiso il 3 dicembre del 1922, ambienti dove l’uomo, al massimo, era di passaggio e non li aveva modificati. Meno immediato è stato il processo che ha portato alla creazione di parchi come il “Parco Nazionale delle 5 Terre” in Italia (costituito nel 1999) dove il paesaggio è frutto della mano dell’uomo, in equilibrio con la natura (terrazzamenti e coltivazioni che hanno sostituito la flora della macchia spontanea) così come le altre attività economiche di sostentamento delle popolazioni locali e proprio la loro tutela e valorizzazione è alle base dei compiti assegnati al Parco stesso o come il Cuyahoga National Park che verrà esaminato nell’ultimo capitolo.

Si è arrivati infatti a comprendere come la creazione di parchi dove invece è forte l’azione antropica sarebbe stata, questa sì, un propulsore di grande potenziale per la creazione di nuovi paradigmi.

Non tutto e non sempre è andato per il verso giusto, spesso e con un aspetto viziato sin dalle origini che ha inteso (troppo spesso) applicare le stesse regole dedicate alle tutele integrali - sacrosante in certi casi, ma non coerenti in altri – a tutti in casi, con una rigidità spesso anche ideologica.

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Infatti non si è tenuto in debito conto della presenza umana nei luoghi da proteggere e si sarebbe dovuto avere proprio le comunità locali (e le popolazioni indigene) come prime alleate per la conservazione e la contestuale valorizzazione del loro ambiente, o meglio del loro paesaggio (paesaggio come frutto della azione armonica dell’uomo che ha plasmato la natura, che ad esempio è il valore tutelato dall’art. 9 della Costituzione Italiana).

Paesaggio, che almeno in certi contesti, è frutto della azione antropica. Occorre ribaltare il ragionamento.

Anziché intendere le aree protette come zone ‘sottratte’ alla presenza umana, occorre introdurre il concetto opposto: dalle aree protette rilanciare nuovi criteri, ivi compreso quello di essere soggette alle azioni antropiche, e quindi che siano aggiunte, piuttosto che sottratte. La condizione dovrebbe sempre essere che tali azioni siano sostenibili e responsabili e rispondano e quei criteri che infine, dovrebbero condurre tutte le azioni umane ad essere parimenti, sostenibili e responsabili24. Poiché è questo il fine ultimo, lo scopo fondativo strategico per le Aree Protette (e quindi delle politiche ambientali latu sensu).

Da un lato certo non si può pretendere di esaurire la riflessione e la individuazione di risposte e correttivi agli attuali (nostri) stili di vita, al solo tema delle Aree Protette. Certo esse, per il valore e la riconoscibilità che rappresentano e che posseggono, sono forse tutt’ora il più efficace strumento di affermazione di valori ambientali. Ma certo non si deve considerarle come unici mezzi a disposizione. Tuttavia un certo effetto di trascinamento del mero intento protezionista ha provocato e può provocare ancora dei rallentamenti nella propalazione del messaggio più esteso di cui potrebbero essere portatrici le Aree Protette. Proporre modelli virtuosi di convivenza fra uomini e natura, economie locali più solide e pulite e non ultimo, nuove vision da costruire insieme alle comunità che le vivono: questo deve essere l’orizzonte di riferimento verso cui tendere.

E’ proprio per questo che vanno aggiornati obiettivi, strumenti e metodi e concentrare l’attenzione anche su questi aspetti di concrete individuazione di temi e obiettivi, e non solo quelli meramente organizzativi o teorici. In altre parole: lavorare su una agenda condivisa.

1.4 La selezione degli obiettivi

Per capire verso quale direzione andare è meglio inquadrare almeno nei termini essenziali il concetto di sviluppo sostenibile ed anche di sviluppo responsabile.

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La più famosa definizione, oltre che la prima, circa i termini logici entro cui porre il concetto di sviluppo sostenibile, è quella della Commissione Brutland, istituita dall’ONU nel 1987 allo scopo di ridefinire “our common future” che è anche il titolo della relazione finale25. Tale Relazione coniò la seguente espressione per definire ‘sostenibile’ uno sviluppo che: “to meet needs of present without surfacing the abilities of future generation to meet theirs” (ovvero di poter “soddisfare i bisogni del presente senza compromettere le possibilità delle future generazioni di soddisfare i propri”).

Può essere opportuno notare che tale definizione di sviluppo sostenibile si può adattare bene anche al concetto di tutela del paesaggio, ovvero di un ambiente modellato secondo le esigenze degli uomini, generazione dopo generazione, creando terra da coltivare, pascoli, ma lasciando anche boschi, corridoi ecologici (come ora chiamiamo i corsi d’acqua naturali), e operando anche interventi più decisi come terrazzamenti, regimazione delle acque, piantagioni diverse da quelle selvatiche 26. E cosa ci può essere di più ‘sostenibile’ per le future generazioni che impiantare una vigna o terrazzare una collina? E’ certo che questi saranno anzi dei valori da sfruttare (pur sempre in modo armonico con la natura, e purché rimanga entro certi limiti) che arricchiranno la loro possibilità di soddisfare i bisogni.

Il paesaggio, inteso come territorio plasmato da azioni antropiche, detto in termini un po’ bruschi e non del tutto esatti forse, ma comprensibili, è in definitiva un accumulo di capitale ‘for the future generation’; ed anche, nel contempo un consumo di suolo, pur sempre sostenibile, ma che certo non lo lascia ‘selvaggio’. Da non confondere con i paesaggi intesi senso naturale, che pure vanno interpretati in una diversa ottica, questa incline alla conservazione pura e semplice.

Ci sono poi anche altre osservazioni che possono essere poste.

Non ci si domanda quindi, né come si è arrivati a quello stato (a quel paesaggio), né cosa potrebbe succedere se tutto il territorio venisse inglobato con quel modello. Inoltre è troppo concentrata, la definizione Brutland, sulla conservazione, ma non proietta alcuna idea di come potrà trasformarsi in un futuro. È una definizione preziosa perché ha indicato una nuova strada, ma è pur sempre una definizione che indica un obiettivo conservativo (si usa la locuzione: senza compromettere) e non di prospettiva come ‘veder crescere’ opportunità e possibilità e tenere conto di tutti i fattori in gioco.

25 World Commission on Environment and Development, U.N. “Our Common Future” Oxford Press 1987 26 Ad esempio le viti, gli ulivi ed i cipressi, indispensabili ingredienti del paesaggio toscano, ma tutt’altro che spontanei.

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Diventerebbe allora ragionevole, specie se tale processo fosse espanso indefinitamente, provare a coniare anche una definizione di sostenibilità un po’ più ampia di quanto già postulato, e che possa essere un percorso estendibile in modo più coerente alla umanità ed al mondo.

Una definizione che tenga conto di equilibri più complessi e multifattoriali: ambientali certo ed anche sociali ed economici come si vedrà meglio di seguito. In questa sede basti rilevare i limiti segnalati della attuale consolidata interpretazione, tralasciando il relativo dibattito per concentrarsi sulla selezione di obiettivi che possano essere perseguibili e coerenti con la definizione basica di sostenibilità, ma osservando anche l’esigenza di non essere in contraddizione con le critiche esposte.

In un contesto in cui dunque ci sono troppe variabili da monitorare, si dovrebbe far ricorso a riferimenti teorici più duttili che ne possano analizzare le dinamiche e gli intrecci fondamentali. E tantomeno limitarsi a ragionare in termini deterministici e sequenziali.

Per affermare principi di sostenibilità, usando gli strumenti (o come strumenti) i “parchi” si dovrà ad esempio, più utilmente concentrarsi sulla creazione di consenso e formazione di nuove volontà, oppure limitarsi alla stipula di norme e prescrizioni di natura predittiva rispetto agli obiettivi desiderati? E quale eventuale mix, fra tali opposti approcci, adottare? Si dovrà promuovere azioni volontarie o imporre divieti…. Adottare imposizioni o ispirare modelli di condotta responsabili? E sempre tenendo conto che gli interlocutori sono la comunità (con le conseguenti implicazioni socio-politiche), le istituzioni, le organizzazioni economiche e sociali e culturali, ognuno dei quali soggetti agisce secondo propri parametri e logiche di condotta.

Se ad esempio il metodo impositivo (le regole di mercato, del lavoro, ambientali a tendere verso una maggiore o totale sostenibilità) può essere adottato per le imprese, almeno per certi versi potrebbe essere una base per applicare tale schema di regole anche alle istituzioni Aree Protette. Queste istituzioni dovrebbero in primis, essere di per sé sostenibili. Infatti visto che le AaPp agiscono in un contesto che vede già operare, con regole di ingaggio più difficili (anche se in prospettiva più promettenti) le imprese presenti al suo interno (agricole, turistiche, produttive, che oltretutto non hanno intrinsecamente quello specifico obiettivo della sostenibilità, ma gli è stato fatto incorporare), dovrebbero essere altrettanto tenute alla osservazione di tali regole di ingaggio. Al limite semmai porsi anche obiettivi più elevati. Dovrebbero essere, in quanto organizzazioni, efficienti economicamente, rigorose nel rispetto ambientale ed ecologico e avere effetti positivi diretti sull’equità ed il benessere sociale.

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Obiettivi minimi e di base, ma che improbabilmente sono sempre e in ogni caso soddisfatte da parte dei Parchi in quanto Enti, i quali però potrebbero ricevere, da un tale approccio, alcune spinte positive verso comportamenti (e risultati) più virtuosi degli stakeholders, anche solo per una dimostrata coerenza di impegno e di comportamento, visto che lo si pretende da altri soggetti che vivono o utilizzano l’area. Non c’è solamente, in questa idea, l’esigenza ed il dovere di essere coerenti, perché la coerenza è in un certo senso di per sé convincente, ed è anche equa (parità di doveri e non disparità o, peggio, privilegi). C’è l’idea di fondo che si deve sperimentare e fare, e mettere alla prova, dopo aver teorizzato e creato anche nuove regole.

Coerenza, quindi come elemento necessario del percorso di apprendimento e di diffusione.

Prima di arrivare a questi nuovi standard e obiettivi, può essere utile allora ricorrere ad una definizione di sostenibilità relativa alle organizzazioni (sia come enti che come imprese): è considerata sostenibile quell’organizzazione “che non solo è stabile sotto il profilo economico, ma che minimizza i propri impatti ambientali negativi e agisce in conformità alle aspettative sociali, nella considerazione che occorre rivolgersi alle generazioni future con un atteggiamento di maggiore responsabilità in merito a quanto si è prodotto in termini non solo economici ma anche etici, ecologici e sociali” (Golinelli et al. 2012)27.

1.5 La prospettiva sistemica

In questo lavoro si cerca di focalizzare l’attenzione sugli obiettivi dei Parchi e sui metodi più efficaci per poterli raggiungere. Si cercherà di individuare metodi, più che modelli. Per poter però superare il vasto dibattito su modelli organizzativi e sull’adozione delle teorie dell’organizzazione aziendale trasposto al caso della gestione della Aree Protette, occorre almeno puntualizzare entro quale prospettiva di analisi si cerca di porre la riflessione su obiettivi e metodi pragmatici. La prospettiva adottata è quella cosiddetta “sistemica”.

Partendo da una definizione sintetica comunemente accolta nei manuali di economia aziendale, che discende dalla Teoria Generale dei Sistemi 28 un sistema è un insieme di più elementi nel quale il valore di insieme è dato non solo dalla sommatoria degli elementi che lo compongono, ma anche dalle relazioni fra di loro, nel quale viene introdotto anche il principio

27 GOLINELLI, G.M., VOLPE, L., 2012 Consonanza, valore, sostenibilità: verso l’impresa sostenibile, Cedam,

Padova, IT, pagg. 4-5

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di equifinalità, cioè che lo stato finale di un sistema può essere determinato dalle molteplici evoluzioni delle relazioni fra i componenti del sistema stesso. Senza volere entrare nei temi che discendono da questa impostazione (sottosistemi, sistemi aperti o chiusi etc) ci si può concentrare quindi su una entità che può essere una astrazione concettuale, oppure un oggetto; una organizzazione nel caso nostro: ci sono degli elementi costitutivi come parti del tutto e c’è infine una finalità, un obiettivo comune, come elemento portante di una organizzazione.

In un sistema individuiamo poi:

- un insieme di elementi distinti e di eventuali sub-sistemi - un insieme di relazioni e di integrazione fra questi elementi

- un insieme di finalità e obiettivi del sistema nel complesso che possono anche essere la risultante parziale o totale di finalità degli elementi e dei sub-sistemi.

Da cui discende appunto che il sistema non è la somma o l’elenco degli elementi che lo costituiscono bensì il prodotto che risulta dal complesso delle relazioni che si instaurano fra questi (Von Bertalanaffy L. 1971 op cit). Già Aristotele aveva intuito che “il tutto è maggiore della somma delle parti”, ed inoltre al di là delle evoluzioni della Teoria dei Sistemi, e quindi a quale specifico sistema possa essere applicato il caso delle AP, proprio per la estrema variabilità dei modelli istituzionali, è forte il rischio di risultare dispersivo il cercare di imbrigliare queste organizzazioni complesse - senz’altro dotate di un altrettanto complesso sistema di relazioni -, in definizioni puntuali.

Viceversa le finalità del sistema ed i suoi effetti, sono il campo di indagine di questo lavoro.

Ed in particolare del valore che scaturisce dalla densità di relazioni, che è individuabile come sinergia. Tali sinergie saranno maggiori per i sistemi più efficienti, minori per quelli meno efficienti o più contradditori, dove le parti di esso non concorrono verso una coerente convergenza bensì registrano frizioni e contraddizioni. Anche per una area protetta potremo applicare questo modello concettuale e prescindendo appunto da classificazioni più complesse, che sono afferenti ad un'altra sfera di indagine scientifica. Per una AP; tanto più gli elementi del sistema avranno una convergenza di finalità, tanto più potremo sperare di massimizzare gli effetti delle azioni cui la AP viene indirizzata.

Si adotta inoltre un approccio “sistemico” anche per rispetto delle norme vigenti.

Ormai dal 1991 nel nostro paese c’è una legge che si prefigge esattamente questo scopo e cha ha dato origine al Sistema Nazionale per le Aree Protette (da ora in poi SNPA) e quindi sistema come organizzazione complessa di livello nazionale ed articolata in varie tipologie di soggetti partecipanti e con diversi livelli di poteri, compiti e risorse. Non sarebbe coerente con

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la realtà pensare a qualsiasi aspetto di una organizzazione come la singola AP, isolata dal contesto, sociale, istituzionale e politico, ed economico in cui è immersa. Né prescindere dai loro scopi.

Le AP si dovrebbero porre anzi, come potenziale nuovo paradigma socio-economico, che è un obiettivo del presente lavoro.

Del resto, se la teoria sistemica viene applicata alla realtà aziendale già dai primi decenni del secolo scorso (per primo, Zappa 1927 29) e le aree protette sono comunque assimilate ad organizzazioni socio-economiche, allora non sarà troppo ardito il passaggio logico di adottare questo quadro di riferimento teorico per impostare l’analisi.

Le teorie delle organizzazioni (Niccolini 2012)30 si prestano a impostare le analisi secondo uno schema così composto: sistemi chiusi, sistemi aperti e sistemi culturali dove l’elemento che varia è la qualità e quantità di relazioni che esse instaurano con la realtà circostante. E dove si conclude con la necessità di “arricchire la dimensione socio ecologica dell’Area Protetta, con una dimensione a carattere culturale”.

Secondo un approccio più diretto vanno poi esaminate la governance, le risorse, gli stakeholders e il sistema di relazioni.

Inoltre ci sono le raccomandazioni ad esempio dello IUCN31.

29 Zappa G. (1927) “Tendenze nuove negli studi di ragioneria”, Istituto Editoriale Scientifico Milano e anche più recente Padroni G. (2007) “Aspetti della complessità e sensibilità post moderna nelle dinamiche organizzative del capitale Umano”, Giuffrè MIlano

30Da Niccolini 2012 “L’organizzazione delle aree protette italiane. La chiave sistemica” paragrafo 4.2, dove nelle conclusioni, si afferma la necessità di “sviluppare una riflessione approfondita… inerente il modus con cui l’organizzazione che gestisce l’area protetta può efficacemente governare le indispensabili aperture verso i sistemi socio-ecologici esterni, affinché le interazioni che scaturiscono tra gli stessi sistemi socio-economici e quelli ecologici, si sviluppino in modo proattivo e sinergico”.

31 Guidelines for Applying Protected Area Management Categories, Edited by Nigel Dudley IUCN 2008 Dudley, N. (Editor) (2008). Guidelines for Applying Protected Area Management Categories. Gland, Switzerland:

IUCN. x + 86pp. WITH Stolton, S., P. Shadie and N. Dudley (2013). IUCN WCPA Best Practice Guidance on Recognising Protected Areas and Assigning Management Categories and Governance Types, Best Practice Protected Area Guidelines Series No. 21, Gland, Switzerland: IUCN.

Pag 9:

● Representativeness, comprehensiveness and balance: including highest quality examples of the full range of environment types within a country; includes the extent to which protected areas provide balanced sampling of the environment types they purport to represent.

● Adequacy: integrity, sufficiency of spatial extent and arrangement of contributing units, together with effective management, to support viability of the environmental processes and/or species, populations and communities that make up the biodiversity of the country.

● Coherence and complementarity: positive contribution of each protected area towards the whole set of conservation and sustainable development objectives defined for the country.

● Consistency: application of management objectives, policies and classifications under comparable conditions in standard ways, so that the purpose of each protected area within the system is clear to all and to maximize the chance that management and use support the objectives.

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Il tema centrale di partizione (ed anche di riflessione) è che a seconda del soggetto che cura la governance si pone in modo diverso il tema delle risorse (dove e come trovarle e come utilizzarle) e del rapporto con gli stakeholders. Non deve sfuggire che la separazione in ‘goals and targets’, suddivisi per settori e ambiti di intervento separati (ambientale, sociale, economico) non aiuta a mantenere un approccio unitario rispetto al risultato complessivo sperato. Così, sempre sotto il profilo della unitarietà dell’approccio di studio e soprattutto rispetto alla necessità di adottare poi nel concreto quali scelte e quali azioni sono da svolgere come compiti pratici, - successivi e pragmatici si potrebbe dire-, per le stesse AP, certo non agevola la constatazione della estrema variabilità dei modelli istituzionali adottati a livello planetario ed anche al solo livello nazionale italiano come ben documentato da IUCN per variabilità planetaria e da Ministero per l’Ambiente per l’Italia32.

Solo inserendo in una corretta prospettiva sistemica, non solo le azioni, ma anche le interazioni fra le diverse attività che naturalmente scaturiranno dall’intreccio di effetti ambientali, economici e sociali, si potrà avere un approccio più organico e di potenziale efficacia.

I modelli di azioni per lo sviluppo sostenibile possono infatti essere assimilabili a Complex Adaptative Systems secondo cui occorre sempre considerare la imprevedibilità dell’interazione e gli effetti di tali interazioni sui comportamenti del sistema.

“Da ciò deriva la necessità che i modelli di azione adottati contemplino la natura sistemica e unitaria delle dinamiche dello sviluppo e agiscano non solo considerando le interazioni tra le diverse dimensioni, ma anche facendo leva su di esse, attraverso un’azione cross-sectoral che le integri in modo sinergico (M.Saviano 2018) 33.

Inoltre sono stati accostati i concetti di ‘Network’ (intesi come modelli organizzativi dove alcune funzioni o competenze vengono attivati esternamente all’organizzazione in sé, anche se, cionondimeno il network agisce come una organizzazione unitaria) ed applicati al caso delle Aree Protette, il che peraltro appare anche un promettente approccio di studio.

● Cost effectiveness, efficiency and equity: appropriate balance between the costs and benefits, and

appropriate equity in their distribution; includes efficiency: the minimum number and area of protected areas needed to achieve system objectives.

32 Si veda “il sistema Nazionale delle Aree Protette” 2003; Min. Ambiente- centro europea di documentazione sulla pianificazione dei parchi naturali, Alinea Ed. Firenze 2003 ISBN 88-8125-753-X[1495]

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1.6 Gli obiettivi istituzionali dei Parchi

Certo sono importanti le domande che il dibattito ultimamente si pone sui parchi: come si mantengono, come si finanziano. Su quali risorse vanno affidamento. Quanto pesano le risorse istituzionali rispetto alle risorse dei volontari e dell’associazionismo. Tariffazione e servizi, altre risorse. I parchi da un punto di vita istituzionale hanno subito nel corso della loro evoluzione tutto sommato pochi interventi di modifica dell’impianto inziale, che può essere tranquillamene identificato con il modello americano, nato come si è visto con la creazione del National Park Service nel 1916. Ente pubblico, dotato di poteri ben definiti sulla stessa area da gestire, di risorse derivanti da fiscalità generale, con dipendenti e con la possibilità di avere comunque entrate proprie per servizi o prodotti e, specificità americana non sempre ben compresa o adottata in modo efficace, con una grande abilità nel mobilitare risorse esterne come associazioni e privati sia sotto forma di volontariato, che di risorse economiche.

Un modello che si è diffuso a livello planetario e che certo nel tempo e per effetto di varie influenze culturali, territoriali specifiche si sono declinate in una grande varietà di modelli istituzionali e di gestione. Per capirsi in Italia si può apprendere tale estrema varietà direttamente dai dati del Ministero dell’Ambiente del 2010. Dalla compilazione della mappatura delle aree protette italiane con il DM 27/4/2010 n°115, si evince che per le 871 Aree Protette censite, si individuano “più di 40 tipologie di organizzazioni o combinazioni di esse” (Niccolini 2012) 34.

Del resto già nella Legge Quadro italiana la 394 del 1991 all’art. 2 si declinano le varie tipologie di AP: i parchi nazionali, i parchi regionali, le riserve naturali, le aree marine protette, le aree naturali protette di interesse locale (ANPIL) cui seguono altre ed ulteriori sotto-classificazioni ed eccezioni. Ora non interessa qui, tanto rilevare la non perfettamente chiara distinzione fra parchi e riserve, oppure quale sia prevalente, fra gli elementi costitutivi del patrimonio naturale (art.1 c1) da proteggere. Se cioè sia l’elemento territoriale (art.1 c2), oggettivo, ovvero della specificità locale, oppure del valore ambientale che è invece di tipo qualificativo (Art 1 c2 seconda parte). Pur definendo come diverse le tipologie individuate di AP, la legge non assegna in modo univoco le finalità, che sono quindi assegnate a tutte le tipologie senza particolari distinzioni. Questo, se da un lato si tratta di un elemento forse non perfettamente logico, però può aiutare nella operazione di poter concentrare l’attenzione sulle

34 Niccolini F. (2012), L’organizzazione delle aree protette italiane. La “chiave” sistemica, in Ciappei C., Padroni G. (a cura di), Le imprese nel rilancio competitivo del Made e Service in Italy: settori a confronto, Angeli, Milano, ISBN: 978-88-568-4981-3

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