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ROUSSEAU - SCHEDA

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Academic year: 2021

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SCHEDA DI LETTURA: J.J. Rousseau, Il contratto sociale (Libro I cap. 5-7; Libro II cap 1 e 3)

1. Rousseau riprende l’impostazione “contrattualista” già sviluppata da Hobbes e da Locke: anche nel suo trattato il Sovrano è una “persona pubblica”, un “ente collettivo” (o un “ente di ragione”) che impersona l’unità del popolo, è generato da un “patto” fra tutti i cittadini ed è distinto perciò da qualunque individuo singolo e determinato.

L’idea del “contratto sociale”, però, in Rousseau è radicalizzata fino a rendere la sovranità del popolo logicamente irriducibile al potere di un despota o di un re. Quella che in Hobbes tendeva ad essere una legittimazione della monarchia assoluta, si capovolge in Rousseau in una concezione repubblicana che avrà un peso decisivo nella rivoluzione francese e resterà la base concettuale di tutta la democrazia moderna.

2. In questo capovolgimento dell’impostazione di Hobbes, il primo passo consiste nell’anteporre all’ipotetico “patto” con cui un popolo si sottomette a un re (pactum

subjectionis) un patto più originario – necessariamente presupposto in qualsiasi comunità politica – che è quello “per cui un popolo è un popolo” (I, 5): è il pactum unionis che istituisce l’unità del popolo come “corpo morale e collettivo”, animato da una volontà comune.

I due momenti del patto sociale sono in Rousseau logicamente distinti e irriducibili l’uno all’altro. Ciò porta alla conclusione che il popolo/sovrano, nella sua unità, “non possa essere rappresentato che da se stesso: il potere può essere trasmesso, ma non la volontà” (II, 1). In altre parole, qualunque esercizio del potere politico, per essere legittimo, richiede la

riattivazione della comunità politica nel suo insieme, chiamata ad esprimere in prima persona la sua volontà generale.

3. Proprio questo concetto di volontà generale (distinta dalla volontà particolare dei singoli) è la chiave della “macchina politica” progettata da Rousseau. La volontà generale è

essenzialmente quella espressa dal voto dei cittadini in assemblea (I, 6). Di conseguenza, ciascun cittadino è membro (e non suddito) del Sovrano e partecipa, alla pari di ogni altro cittadino, alle sue decisioni. Allo stesso tempo, Rousseau specifica che “c’è molta differenza tra la volontà generale e la volontà di tutti” (II, 3): quest’ultima non è che la sommatoria delle volontà e degli interessi particolari, mentre la prima “è sempre retta e tende sempre all’utilità pubblica”.

Cogliere ed esprimere la volontà generale resta perciò un compito difficile dell’arte politica, che richiede la riattivazione continua dell’unità del popolo e non è mai garantito dalle sole procedure formali. In ogni caso, l’espressione della volontà generale poggia su due premesse basilari: occorre, in primo luogo, che la cessione dei diritti dai singoli alla comunità sia totale (I, 6) e, in secondo luogo, che “non vi siano società parziali nello Stato, e che ogni cittadino pensi per conto suo” (II, 3).

Nella prospettiva di Rousseau, quindi, la fondazione del popolo viene a coincidere con la negazione di ogni legame specifico e particolare all’interno della società civile, finendo col riproporre di fatto l’idea di un potere assoluto del Sovrano (come “ente collettivo”) sui singoli, sulle loro associazioni e sui loro interessi specifici: un punto problematico, destinato a

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