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L’elogio dei Gufi ovvero il gusto del mondo alla rovescia

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VIII

Rivista di Storia delle Idee 4:1 (2012) pp. VIII-VIII ISSN.2281-1532 http://www.intrasformazione.com DOI 10.4474/DPS/04/01/RPT178/01

Patrocinata dall’Università degli Studi di Palermo

Armando Plebe-Pietro Emanuele

L’elogio dei Gufi ovvero il gusto del mondo alla rovescia

Come si può elogiare il gufo, ritenuto uccello del malaugurio? A meno che non lo si faccia da un punto di vista naturalistico, sembra un’impresa disperata, data la sua lugubre fama. Eppure c’è riuscito un autore del Seicento, Conradus Goddaeus, adducendo tra i meriti di questo animale l’essere simbolo di saggezza. La nottola di Minerva è peraltro famosa come metafora della filosofia: nella suggestiva immagine di Hegel, essa compare sul far della sera, quando tutte le attività quotidiane stanno per finire.

Perciò questo strano elogio non deve stupire. Gli encomi paradossali caratterizzarono non solo l'antica sofistica di Protagora e Gorgia, ma anche la cosiddetta seconda sofistica di Dione di Prusa e di Luciano di Samosata, prima del loro rilancio con il cinquecentesco Elogio della pazzia di Erasmo. Protagora, che nell’omonimo dialogo platonico, viene ricordato come una star del firmamento intellettuale, nelle sue Antilogie (discorsi contrapposti) sosteneva che ad ogni argomentazione si può contrapporre un’argomentazione opposta. Lo stesso Gorgia, un “incantatore di serpenti” per il malevolo Platone, non esitò a elogiare l’adultera Elena in un Encomio rimasto celebre.

Certo, il relativismo di Protagora non piacque ai romani, che lo consideravano socialmente destabilizzante. Lo poterono sperimentare nell’occasione della famosa ambasciata inviata a Roma dagli ateniesi in seguito ad una multa inflitta loro per il saccheggio di Oropo. Nel 155 a.C. Carneade, Critolao e Diogene di Babilonia prima divertirono il pubblico sostenendo successivamente due tesi contrapposte sull'esistenza o meno di leggi di natura universali, ma quando tentarono di applicare il relativismo alla giustizia, ne scandalizzarono a tal punto la mentalità conservatrice, da venir cacciati con vituperio.

Al contrario, l’elogio di Gorgia ha avuto maggior fortuna negli esercizi retorici della seconda sofistica fiorita soprattutto nel II e nel IV d.C. L’abilità che al proposito veniva apprezzata consisteva nel caricare positivamente ciò che di norma era universalmente ritenuto spregevole. Chi riusciva a elogiare un oggetto ignobile o disgustoso in maniera convincente si dimostrava un campione di abilità dialettica. Luciano arrivò a scrivere un Encomio della mosca, Sinesio scrisse un provocatorio Elogio della

calvizie in risposta a Dione Crisostomo, che aveva fatto un ovvio elogio della capigliatura.

Di per sé l’encomio fa parte della normale prassi retorica, trattandosi del genere cosiddetto epidittico, canonizzato dalla retorica aristotelica assieme a quello deliberativo e a quello giudiziario. Ma il suo uso abnorme ne fa uno strumento di satira o di polemica, o una prova di abilità dialettica tipico della tradizione dei cosiddetti scherzi (in greco pàignia).

Il loro effetto umoristico non è però il solo quando si rifletta che tale genere di letteratura ha un suo pendant in quello confutatorio, che si è svolto parallelamente ad esso dai tempi di Pirrone lo scettico (autore di un’opera contro i matematici) alle Streitschriften contemporanee contro i sistemi filosofici alla moda. Basta uscire dalla zoologia delle mosche e dei gufi, per accorgersi che tanto la difesa di ciò che è disprezzato o condannato, quanto la critica di quel che è approvato dalla communis opinio rappresentano spesso una salutare sferzata all'immobilismo di credenze e pregiudizi.

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