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Dal controllo alla mobilitazione.

Le lotte dei ciclofattorini e

dei facchini della logistica in Italia

L

ORENZO

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INI

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ARTEK

G

OLDMANN

Scuola Normale Superiore

vol. 6, no. 1, 2020

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Dal controllo alla mobilitazione.

Le lotte dei ciclofattorini e

dei facchini della logistica in Italia

LORENZO CINI

Scuola Normale Superiore Assegnista di ricerca in Sociologia Politica lorenzo.cini @sns.it

BARTEK GOLDMANN

Scuola Normale Superiore Dottorando in Sociologia Politica

bartosz.goldmann@sns.it

ABSTRACT

Following years of declining labour activism, militant forms of worker mobilization have recently emerged in the Italian platform economy and logistics sector, exhibiting novel forms of organisation and action repertoires.

This paper investigates two cases which have been ongoing since 2011, namely mobilizations by logistics porters and food delivery couriers. Both cases seem puzzling since workers have mobilized under circumstances normally associated with non-mobilization, meaning a workplace characterized by technological innovation and by absent or ineffective traditional labour unions. Why and how have these mobilizations occurred?

We argue that these workers successfully overcame such circumstances by relying on resources and opportunities related to their workplace and external to it, which they have been able to create and develop over several years. We gathered data from semi-structured interviews with workers, union

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representatives, lawyers, managers and participated at political meetings, strikes, and protest events in four Italian cities between 2018 and 2019.

Keywords: labour process theory; logistics; platform economy; social

movements; workers’ capabilities; worker mobilizations.

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Dal controllo alla mobilitazione.

Le lotte dei ciclofattorini e

dei facchini della logistica in Italia

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Interpretare le nuove lotte sul lavoro. – 3. L’approccio delle capacità dei lavoratori. – 4. Disegno di ricerca e metodologia. – 5. Applicando l’approccio delle capacità dei lavoratori. – 6. Discussione. – 7. Conclusioni.

1. Introduzione

Sebbene ancora rappresentino una piccola porzione di mercato, le piattaforme digitali sono oggi una delle aree più dinamiche dell’economia globale, da dove le innovazioni tecnologiche poi si diffondono in altri settori, trasformando le pratiche produttive, le condizioni di lavoro ed i modelli di consumo. Le nuove piattaforme sono infrastrutture tecno-produttive, in cui la creazione del valore è essenzialmente basata sull’estrazione e analisi dei dati, e che connettono produttori e consumatori, permettendo scambi ad una velocità

ed a un volume senza precedenti(1). Piattaforme, come Deliveroo, Foodora e

Glovo, offrono servizi di consegna urbana per cibo ed altri beni, affidandosi ad una forza lavoro flessibile di corrieri per minimizzare i costi del tempo di circolazione ed assicurare una ininterrotta circolazione delle merci. Non è un caso che negli ultimi anni, svariate innovazioni tecnologiche e digitali si siano concentrate in questo settore.

Tuttavia, la letteratura scientifica non ha ancora studiato come queste trasformazioni siano state accolte e/o contestate da uno dei principali attori coinvolti: i lavoratori (2). Dopo un lento declino dei movimenti del lavoro

organizzato, nuove forme di mobilitazione si stanno manifestando in varie economie avanzate, specialmente all’interno dei segmenti più sviluppati del settore logistico, dove queste lotte hanno assunto un carattere particolarmente conflittuale (3).

(1) N. Srnicek, Platform Capitalism, Polity Press, 2017.

(2) Per una valida eccezione, si vedano i lavori di M.A. Anwar - M. Graham, Hidden transcripts of the gig economy: Labour agency and the new art of resistance among African gig workers in Environment and Planning A: Economy and Space, 2019; A. Tassinari - V. Maccarrone, Riders on the Storm. Workplace Solidarity among Gig Economy Couriers in Italy and the UK in Work, Employment and Society, 2019, (Online First): 1-20. DOI: 10.1177/0950017019862954.

(3)R. Cillo - L. Pradella, New immigrant struggles in Italy’s logistics industry, Comparative European Politics, 2018, Vol. 16, 1, 67-84.

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Questo articolo investiga due casi di mobilitazione nei settori italiani della logistica e del servizio della consegna a domicilio, che si sono verificati a partire dal 2011, e specificamente nel settore della spedizione e-commerce (TNT, Leroy Merlin) e in quello della consegna di cibo (Foodora, Deliveroo, Glovo), dove i lavoratori hanno lottato per migliorare le proprie condizioni di lavoro. Questi casi sono stati scelti perché presentano due aspetti che normalmente sono associati a dinamiche di “non mobilitazione”: entrambi i luoghi di lavoro sono caratterizzati (1) da livelli elevati di innovazione tecnologica o organizzativa, e (2) da assenza o inefficacia dei sindacati tradizionali. In altre parole, queste mobilitazioni sono interessanti perché in tali circostanze i lavoratori non sono considerati capaci di organizzarsi collettivamente. L’articolo cerca quindi di spiegare in che modo queste mobilitazioni si siano invece manifestate.

La letteratura di Relazioni Industriali sottolinea il ruolo dei sindacati

tradizionali nel promuovere le mobilitazioni (4), ponendo però poca attenzione

alle forme alternative di organizzazione, e alla capacità degli stessi lavoratori di

avere un ruolo attivo in questi processi (5). Dentro questa letteratura, la Teoria

del Processo di Lavoro ci dice che le innovazioni tecnologiche e organizzative, sviluppate e implementate dalle aziende della logistica e dalle piattaforme, incrementano il controllo manageriale sui lavoratori e inibiscono così la loro

capacità di organizzazione e azione collettiva (6). Questi lavoratori avrebbero

poche opportunità di esercitare forza collettiva, dato che il loro potere contrattuale è limitato da specifiche caratteristiche del lavoro, come appunto i meccanismi di classificazione, il feedback, i metodi di pagamento, la registrazione del profilo utente ed il monitoraggio algoritmico costante dei loro movimenti (7).

Tuttavia, i risultati del nostro studio ci dicono il contrario, poiché queste mobilitazioni sono riuscite ad emergere e a diffondersi al di fuori dei canali politici tradizionali, e malgrado la presenza di innovazione tecnologica e organizzativa nel processo di lavoro. In questo articolo, mostriamo come questi lavoratori siano riusciti a superare diverse barriere alla mobilitazione e alla organizzazione collettiva, affidandosi a capacità e risorse specifiche, legate

(4) C. Frege - J. Kelly (eds.), Varieties of Unionism. Strategies for Union Revitalization in a Globalizing Economy, Oxford University Press, 2004.

(5) A. Mathers et al., Social Movement Theory and Trade Union Organising in Grote J. - Wagemann, C. (Eds.), Social Movements and Organized Labour. Passions and Interests, Routledge, 2018.

(6) P. Thompson, The capitalist labour process: Concepts and connections, Capital & Class, 2010, 34, 1.

(7) M.A. Anwar - M. Graham, cit.; A. Gandini, Labour Process Theory and the Gig Economy in Human Relations, 2018, (Online First): 1-18. DOI: 10.1177/0018726718790002.

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sia al posto di lavoro che al contesto sociale. Nell’identificare e combinare queste capacità, costruiamo una tipologia delle capacità di mobilitazione dei lavoratori che costituisce anche il principale contributo teorico del nostro studio.

2. Interpretare le nuove lotte sul lavoro

A nostro avviso, l’emergere di questi nuovi conflitti sul lavoro non può essere spiegabile solo facendo esclusivo riferimento alla letteratura tradizionale di Relazioni Industriali, ma può essere capita soltanto se costruiamo un framework teorico che integri questa letteratura con altri approcci disciplinari,

in particolare la Teoria del Processo di Lavoro (8) e la Teoria della

Mobilitazione (9). Qui argomentiamo in che modo la combinazione di questi

due approcci ci permette di costruire un quadro teorico capace di tenere conto i due aspetti di cui sopra (nessuna organizzazione sindacale tradizionale e innovazione tecnologica) nel processo di mobilitazione che le ricerche di

Relazioni Industriali hanno tradizionalmente considerato ostili

all’organizzazione dell’azione collettiva sul luogo di lavoro. Nelle seguenti pagine, illustriamo questa argomentazione per ciascuna dei due aspetti in questione.

L’assenza del sindacalismo tradizionale. Secondo Atzeni (2010), l’attenzione

esclusiva che gli studi di Relazioni Industriali hanno posto sui sindacati tradizionali come unici attori capaci di organizzare le lotte nel luogo di lavoro sarebbe insoddisfacente per almeno tre ragioni: “primo, perché lascia fuori dall’analisi la maggioranza dei lavoratori nel mondo che sono occupati nel settore dell’economia informale, dove l’associazione dei lavoratori è difficile o proibita; secondo, perché non prende in considerazione le forme spontanee di sciopero in settori dove i lavoratori sono formalmente rappresentati, e terzo, [...] perché non considera la capacità di mobilitazione autonoma degli stessi lavoratori” (10).

In Italia, i lavoratori della logistica e della consegna di cibo si sono organizzati al di fuori delle strutture sindacali confederali, optando per forme

(8) P. Thompson, The capitalist labour process cit.

(9) J. Kelly, Rethinking Industrial Relations. Mobilization, Collectivism and Long Waves, Routledge, 1998.

(10) Traduzione degli autori. M. Atzeni, Workplace Conflict. Mobilization and Solidarity in Argentina, Palgrave Macmillan, 2010, 6.

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alternative di azione (11). A nostro avviso, la Teoria del Processo di Lavoro è

capace di cogliere tali pratiche alternative, offrendo un’analisi dettagliata delle varie forme di socializzazione informale e “miscondotta” (“misbehaviour”) che si manifestano organicamente nel processo lavorativo. In particolare, il concetto di miscondotta (12) aiuta a interpretare le pratiche sociali al di fuori

della condotta standard che i lavoratori mettono in atto informalmente durante il lavoro per adempiere a (o evitare) i loro compiti lavorativi. Le condotte informali, come quella – ad esempio – di chiacchierare tra colleghi, non forniscono soltanto un breve sollievo dallo sforzo lavorativo, ma aiutano anche a socializzare forme di resistenza, che se regolarmente e volontariamente attuate, possono facilitare l’organizzazione di azioni collettive di opposizione. Analogamente, la concettualizzazione articolata di soggettività lavorativa che ha elaborato Katz (2004) – che distingue tra “resilienza”, “rielaborazione” e “resistenza”(13), è stata utilizzata per cogliere la resistenza

quotidiana invisibile dei lavoratori africani della “gig economy” (14) e delle

lavoratrici migranti (15).

Inoltre, la Teoria del Processo di Lavoro sembra particolarmente appropriata per fare luce sulle condotte informali dei lavoratori nel capitalismo contemporaneo, anche perché tale teoria è stata recentemente adattata al campo delle piattaforme digitali, concepite come i nuovi “luoghi della produzione capitalista”, vale a dire, come nuovi luoghi di lavoro in cui il processo lavorativo (capitalista) viene esercitato sui lavoratori (16). In questa

interpretazione, la piattaforma incarna il sito dove le nuove relazioni sociali di produzione si sviluppano e, quindi, dove si manifesta la nuova dialettica del controllo tra capitale e lavoro.

Tuttavia, la Teoria del Processo di Lavoro non è in grado di identificare i processi e i fattori attraverso cui le condotte informali dei lavoratori possono assumere una forma collettiva e politica. In questo senso, l’adozione della Teoria della Mobilitazione offre invece gli strumenti per individuare quei fattori e processi, che possono facilitare il verificarsi di tali esiti (17), per

esempio, riconoscendo la capacità di leader informali e attivisti di innescare

(11) A. Tassinari - V. Maccarone, cit.

(12) S.Ackroyd - P. Thompson, Organizational Misbehaviour, Sage Publications, 1999. (13) Traduzione degli autori.

(14) M.A. Anwar - M. Graham, cit.

(15) A. Rydzik - S. Anitha, Conceptualising the agency of migrant women workers: Resilience, reworking and resistance, Work, Employment and Society, 2019, DOI:0950017019881939.

(16) A. Gandini, cit.

(17) R. Fantasia, Cultures of Solidarity: Consciousness, Action, and Contemporary American Workers, University of California Press, 1988.

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processi di mobilitazione, indipendentemente dal ruolo formale da essi occupato o dal loro profilo politico (18). Inoltre, l’approccio della mobilitazione

aiuta anche ad individuare quelle risorse, condizioni e opportunità, disponibili ai lavoratori, che non sono necessariamente legate al luogo di lavoro, ma il cui utilizzo da parte loro può diventare cruciale per l’azione collettiva (19), come

alcune loro specifiche caratteristiche culturali ed etniche o il contesto sociale in cui vivono.

Analogamente, diversi studiosi della stessa letteratura di Relazioni Industriali hanno più recentemente evidenziato l’importanza di specifiche caratteristiche del contesto sociale nell’influenzare e incoraggiare la capacità di

organizzazione collettiva dei lavoratori (20). Questi studiosi vanno oltre la mera

politica del lavoro (fatta nel luogo di lavoro) per includere dinamiche sociali più ampie, riconoscendo così la parzialità di una comprensione dei conflitti contemporanei sul lavoro, che ponga un’attenzione esclusiva sui sindacati tradizionali.

Atzeni21, ad esempio, identifica due tipi di fattori che devono essere

presi in considerazione per capire il potere di mobilitazione dei lavoratori nell’economia contemporanea: i) quelli che hanno a che fare con l’organizzazione del lavoro e la collocazione dell’attività produttiva nel contesto di mercato; e ii) quelli concernenti il contesto socio-politico e gli assetti istituzionali dentro ai quali l’attività lavorativa è inserita.

In modo analogo, Levesque e Murray22 concepiscono il potere operaio

come il risultato di condizioni interne ed esterne al contesto lavorativo. Mentre sottolineano l’importanza di fonti non-tradizionali di potere, come la “vitalità deliberativa” dei lavoratori, la loro analisi è tuttavia ancora centrata più sul ruolo dei sindacati che sulla capacità dei lavoratori di auto-organizzarsi. Al contrario, il nostro approccio “dal basso” si focalizza sulle risorse e capacità che derivano dai comportamenti quotidiani dei lavoratori, che raramente sono

considerate nella letteratura di Relazioni Industriali (23), ma che sono

ciononostante centrali per l’azione collettiva.

L’innovazione tecnologica e organizzativa. A nostro avviso, l’integrazione

della teoria della mobilitazione con quella del processo di lavoro aiuta a

(18) J. Kelly, cit.

(19) D. della Porta - M. Diani, Social Movements: An Introduction, Wiley-Blackwell, 2006. (20) M. Atzeni, Beyond Trade Union’ Strategy? The Social Construction of Precarious Workers Organizing in the City of Buenos Aires in Labor History, 2016, 57 (2); C. Levesque - G. Murray, Understanding union power: resources and capabilities for renewing union capacity, Transfer, 2010, 16, 3.

(21) M. Atzeni, ult. op. cit.

(22) C. Levesque - G. Murray, ult. op. cit., 337.

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spiegare l’ascesa e lo sviluppo di queste mobilitazioni anche in condizioni di elevata innovazione tecnologica/organizzativa nel processo di lavoro. Per gli studiosi della Teoria del Processo di Lavoro, lo sviluppo e l’implementazione della tecnologia nell’organizzazione produttiva è strutturata da rapporti di classe antagonisti, guidati dagli imperativi della profittabilità e del controllo

manageriale (24). Sebbene non cada nel determinismo tecnologico, la Teoria del

Processo di Lavoro tende però a vedere i lavoratori come “subordinati alla” tecnologia, e ad analizzare il loro comportamento all’interno delle categorie del controllo manageriale e dell’intensità di lavoro, e come tale ha “relativamente poco da dire sui modi in cui i lavoratori potrebbero individualmente e collettivamente plasmare […] le tecnologie” (25).

A questo riguardo, la Teoria della Mobilitazione aiuta a specificare come e fino a che misura i cambiamenti organizzativi e tecnologici forniscono ai lavoratori nuove opportunità e risorse per l’azione collettiva, connettendo le trasformazioni strutturali all’attività degli attori conferendo a questi ultimi una

priorità epistemica nello spiegare il cambiamento (26). Il rapporto tra tecnologia

e lavoratori dentro il luogo di lavoro rappresenta un caso di questa sorta. Il modo in cui i lavoratori interagiscono con, e si appropriano delle nuove tecnologie può infatti influenzare l’organizzazione del loro lavoro e, a sua volta, la loro capacità di azione collettiva. In questo senso, la Teoria della Mobilitazione estende l’anti-determinismo della Teoria del Processo di Lavoro, mettendo però i lavoratori ed il loro protagonismo collettivo al centro dell’analisi.

In conclusione, la Teoria del Processo di Lavoro offre un quadro teorico per analizzare le trasformazioni nel processo di lavoro, concepite come il risultato di relazioni capitaliste antagoniste, suggerendo anche che una negazione o sottovalutazione delle condotte informali che i lavoratori esercitano nel proprio posto di lavoro rischia di generare un’analisi incompleta delle loro possibilità di organizzazione collettiva e di lotta. La Teoria della Mobilitazione ci aiuta invece a vedere come le trasformazioni tecnologiche e organizzative possano talvolta facilitare l’organizzazione collettiva, indicandoci il ruolo che differenti tipi di attori possono avere nella dinamica di mobilitazione. Inoltre, ci suggerisce anche che specifiche risorse e opportunità

(24) P. Thompson, The capitalist labour process cit.

(25) Traduzione degli autori. R. Hall, Renewing and Revising the Engagement between Labour Process Theory and Technology in Thompson P., and C. Smith (Eds.), Working Life. Renewing Labour Process Analysis, Palgrave MacMillan, 2010, 170.

(26) D. della Porta - L. Cini - C. Guzman-Concha, Contesting Higher Education. Student Movements against Neoliberal Universities, Bristol University Press, 2020.

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– non necessariamente legate al processo lavorativo – possono essere create, sviluppate e sfruttate da questi attori nello sforzo di organizzare l’azione collettiva. Nel complesso, se la Teoria della Mobilitazione ci offre gli strumenti analitici necessari a identificare i meccanismi che spiegano il modo in cui da specifiche condizioni contestuali emergono e si sviluppano varie forme di azione collettiva, la Teoria del Processo di Lavoro ci aiuta a vedere come tali condizioni siano radicate nel processo lavorativo capitalista e nei suoi rapporti antagonistici.

3. L’approccio delle capacità dei lavoratori

Combinare la Teoria del Processo di Lavoro con la Teoria della Mobilitazione offre un vantaggio analitico nello studiare questi casi di auto-organizzazione dei lavoratori, basata sull’adozione di forme di azione e risorse

“non convenzionali” (27), in quanto questo framework teorico integrato ci

permette di osservare come il ruolo delle reti e legami informali tra attivisti, lavoratori e sindacati di base sia stato cruciale nell’organizzare le mobilitazioni. Come altre teorizzazioni basate sulla centralità degli attori (28), poniamo

le capacità di questi ultimi al centro dell’analisi, che qui definiamo come l’insieme delle attitudini, competenze, abilità, skills e know-how che gli attori possono sviluppare, trasmettere e imparare attraverso un processo interattivo duraturo (29) o durante esperienze sociali intense (30). Porre l’accento sulle

capacità degli attori aiuta infatti a vedere la realtà sociale non come una struttura statica e immutabile, ma come un processo indeterminato che gli attori possono modificare attraverso le loro azioni. Lo sviluppo, la trasmissione, e l’attuazione (creativa) di tali capacità possono trasformare condizioni e vincoli apparentemente strutturali in risorse e opportunità specifiche che gli attori sono in grado di sfruttare per alterare relazioni di potere a loro sfavorevoli. Questo processo può dotare gli attori del potere di trasformare il contesto in cui vivono e/o di utilizzare varie risorse e condizioni contestuali a loro vantaggio (31).

(27) D. della Porta - M. Diani, cit.

(28) M. Atzeni, Workplace Conflict. Mobilization and Solidarity in Argentina, Palgrave Macmillan, 2010.

(29) C. Levesque - G. Murray, cit.

(30) D. della Porta - L. Cini - C. Guzman Concha, cit.

(31) Per una interpretazione similare del rapporto tra soggetti e struttura, si veda anche M. Archer, Structure, Agency and the Internal Conversation, Cambridge University Press, 2003.

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Definiamo questo approccio come “l’approccio delle capacità dei lavoratori”, perché combina caratteristiche soggettive collegate ai lavoratori con condizioni e risorse del contesto in un modo tale che considera i lavoratori e le loro stesse capacità come la fonte principale della trasformazione sociale(32) Il nucleo del quadro analitico è composto da due

aspetti che specificano il tipo e la qualità delle capacità dei lavoratori. Il primo aspetto riguarda il tipo di utilizzo delle capacità (a. con o senza uno scopo intenzionale; b. esercitate collettivamente o individualmente), mentre il secondo si riferisce al dominio da cui queste capacità hanno origine e in cui sono esercitate.

Tipo di utilizzo della capacità. Identifichiamo due dimensioni che

definiscono l'utilizzo delle capacità dei lavoratori. Primo, consideriamo se il loro utilizzo è intenzionale o no distinguendo tra capacità che sono intenzionalmente attivate dai lavoratori da quelle che sono praticate involontariamente. Definiamo le prime come capacità strategiche, ossia quelle che i lavoratori sono in grado di esercitare intenzionalmente per perseguire un corso di azione determinato, mentre le seconde come capacità strutturali, vale a dire quelle che dispiegano senza intenzionalità. In altre parole, la differenza tra dimensione strutturale e strategica dell’agire umano è data dalla presenza o meno di una consapevolezza del fine per cui si sta compiendo una determinata azione. Mentre capacità strategica significa che il lavoratore decide volontariamente di portare avanti un determinato corso di azione, capacità strutturale significa che il lavoratore compie un’azione che è vincolata, se non forgiata, automaticamente nel luogo di attività o dall’interazione con gli altri lavoratori. Un sabotaggio di una catena di montaggio è una capacità strategica che i lavoratori possono decidere di esercitare per bloccare la produzione, mentre il chiacchierare e scambiare idee e informazioni tra colleghi durante il turno lavorativo è una capacità strutturale che i lavoratori esercitano spontaneamente durante la loro vita di lavoro quotidiana. Derivato dalla nozione elaborata dalla Teoria del Processo di Lavoro di miscondotta, il concetto di capacità strutturale è un'utile costruzione analitica, che cattura la

(32) Pur mostrando alcune similarità con l’approccio delle capacità di Amartya Sen (Elements of a Theory of Human Rights in Philosophy & Public Affairs, 2004, 32, 4, 315-356), come la dinamica processuale di formazione delle capacità individuali, il nostro approccio pone una maggiore centralità ai legami collettivi dei soggetti come forza lavoro nella creazione di queste capacità. In questo senso, il nostro approccio è più vicino a quello della tradizione operaista italiana, che pone la “capacità vivente” della forza lavoro come forma di contro-potere che si sviluppa anche nel luogo di lavoro (si veda R. Alquati, Camminando per Realizzare un Sogno Comune, Velleità Alternative, 1994) e il cui dispiegamento è capace di creare forme di organizzazione e azione collettiva (contro le relazioni capitalistiche di produzione).

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gamma di capacità e risorse informali che i lavoratori possono mostrare e sviluppare inconsapevolmente nella loro interazione quotidiana tra loro stessi e tra loro e il contesto sociale.

Secondo, distinguiamo tra capacità che i lavoratori esercitano individualmente da quelle che esercitano collettivamente. L’assenteismo è una capacità che i lavoratori possono adottare individualmente, mentre organizzare uno sciopero o una protesta è una capacità che può soltanto essere attuata collettivamente. Apprendiamo questa categorizzazione analitica dalla Teoria della Mobilitazione (33) che aiuta a distinguere gli atti di resistenza collettiva

che derivano dall’organizzazione informale dei lavoratori da quelli che derivano dalla loro organizzazione formale.

La combinazione di queste dimensioni costituisce la tipologia di utilizzo delle capacità dei lavoratori (si veda la Tabella 1, sotto). Attraverso questo criterio siamo in grado di distinguere gli atti di resistenza individuale da quelli di resistenza collettiva e, soprattutto, di considerare come e in quali circostanze i primi possono trasformarsi nei secondi. Mentre ciò che definiamo come capacità strategiche collettive sono il focus tradizionale della letteratura di Relazioni Industriali, la nostra categorizzazione pone l’accento sul fatto che forme collettive di socializzazione informale, che mancano dello stesso grado di intenzionalità, possono altresì essere una fonte potenzialmente ricca di mobilitazione, come dimostrato dall'analisi dei nostri casi. Tuttavia, dal momento che siamo interessati esclusivamente a investigare i processi di mobilitazione collettiva più che gli atti individuali di resistenza, qui ci focalizziamo soltanto sulle capacità collettive dei lavoratori (riga rossa nella Tabella 1), da cui deriviamo una delle due componenti che formano il nostro approccio delle capacità dei lavoratori.

(33) J. Kelly, cit.

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Tabella 1. Tipo di utilizzo delle capacità

Strutturale Strategica

Individuale Miscondotta Assenteismo, sabotaggio, furto

Collettiva Socializzazione informale Azione sindacale e dei movimenti sociali

Dominio delle capacità. Differenziamo ulteriormente le capacità dei

lavoratori in base al loro terreno di origine ed esercizio, distinguendo tra capacità che sono strettamente legate al contesto lavorativo da quelle esterne. Mentre le capacità legate al lavoro si riferiscono alle abilità degli attori di sfruttare risorse e opportunità che derivano dal luogo di lavoro (tecnologia, mezzi di produzione, divisione del lavoro, strategie manageriali, etc.), le capacità non legate al lavoro si riferiscono alle abilità degli attori di utilizzare risorse e opportunità’ che sono al di fuori del dominio immediato del lavoro (la composizione sociale dei lavoratori, attitudini politiche e culturali, etc.). Questa distinzione riflette i contributi della Teoria del Processo di Lavoro e della Teoria della Mobilitazione nell'identificare rispettivamente le caratteristiche lavorative e non lavorative utilizzabili per la mobilitazione, e ci consente di specificare meglio la natura delle opportunità e delle risorse che i lavoratori hanno a disposizione quando intraprendono un’azione collettiva.

Per sintetizzare, il potere di mobilitazione dei lavoratori è il risultato della combinazione di questi due aspetti legati alle loro capacità. Operativamente, consiste di una tipologia di quattro capacità che, se trasmesse e messe in pratica dai lavoratori stessi, sostengono il loro potenziale di mobilitazione e la cui analisi forma il nucleo centrale del nostro approccio teorico (si veda la Tabella 2).

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Tabella 2. Le capacità in mobilitazione dei lavoratori

Strutturale Strategica

Legata al lavoro Configurazione spaziale e organizzativa del luogo di lavoro

Riappropriazione dei mezzi di produzione

Non-legata al lavoro

Composizione sociale della forza lavoro

Coalizione e solidarietà sociale

Le capacità strutturali legate al lavoro sono quelle capacità che i lavoratori esercitano spontaneamente nel loro luogo di lavoro, attingendo a risorse e condizioni ad esso specifiche. Peculiari caratteristiche organizzative e spaziali del lavoro possono dotare i lavoratori dell’abilità di usare e imparare certe pratiche e competenze, che, se collettivamente attuate, possono costituire una fonte di resistenza e mobilitazione (34). Le capacità strategiche legate al lavoro

differiscono in base all’intenzionalità implicata nella loro messa in pratica: i lavoratori decidono di impiegare queste capacità e risorse per perseguire un obiettivo specifico e condiviso. Un intenzionale uso alternativo dei mezzi di produzione avente lo scopo di danneggiare i profitti dell’impresa può essere considerata una capacità strategica legata al lavoro.

Al contrario, le capacità non-legate al lavoro non derivano specificamente dalle condizioni lavorative né sono generalmente esercitate nel luogo di lavoro. Le capacità strutturali non-legate al lavoro riguardano l’esercizio delle risorse e opportunità che hanno origine al di fuori del luogo di lavoro, ma su cui i lavoratori possono fare affidamento spontaneamente o

(34) D. Collinson - S. Ackroyd, Resistance, Misbehavior, and Dissent in Ackroyd S. - Batt R. - Thompson P., Tolbert P. (Eds.), The Oxford Handbook of Work and Organization, 2006.

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involontariamente e il cui uso iterativo può facilitare processi di resistenza e mobilitazione collettiva. Queste capacità possono includere, ad esempio, qualità socio-demografiche specifiche della forza lavoro (genere, età, etnia, abitudini culturali e valori). Infine, le capacità strategiche non-legate al lavoro si riferiscono alle abilità, risorse e opportunità esterne al luogo lavorativo, ma il cui utilizzo intenzionale e deliberato da parte dei lavoratori può facilitare il loro potenziale di mobilitazione. Costruire coalizioni e alleanze con altri soggetti sociali al di fuori del contesto lavorativo e fare affidamento su reti di gruppi di solidarietà sono esempi tipici di questo tipo di capacità.

In linea con alcuni studiosi eterodossi di Relazioni Industriali (35),

sosteniamo che la combinazione di risorse e opportunità legate sia al luogo di lavoro che esterne ad esso, attuate e sfruttate, sia intenzionalmente che involontariamente, spiega il potere di mobilitazione che i lavoratori della logistica e della consegna di cibo hanno mostrato in Italia negli ultimi anni, nonostante la presenza di condizioni considerate come tradizionalmente sfavorevoli al suo sviluppo.

4. Disegno di ricerca e metodologia

L'obiettivo primario di questo articolo è “costruire teoria dalla ricerca di casi studio” (36), vale a dire, costruire e sviluppare una teoria attraverso

l'indagine empirica di casi studio. Per fare ciò, abbiamo disposto un disegno di ricerca basato sulle “cause di un effetto” (37), che cerca di identificare le cause

di un risultato osservato, ossia mira a individuare quei fattori, sia soggettivi che contestuali, che hanno portato all’emergere delle mobilitazioni dei lavoratori della logistica e della consegna di cibo in Italia.

Senza avere l’ambizione positivistica di stabilire una relazione diretta tra cause ed effetti, il nostro articolo mira più modestamente a identificare quelle risorse e opportunità che possono aver consentito ai lavoratori di organizzarsi e mobilitarsi collettivamente. I due casi di mobilitazione indagati mostrano somiglianze sorprendenti sia in termini di condizioni contestuali (alto controllo

(35) M. Atzeni, Beyond Trade Union’ Strategy? The Social Construction of Precarious Workers Organizing in the City of Buenos Aires in Labor History, 2016, 57, 2; R. Cillo - L. Pradella, cit.; C. Levesque - G. Murray, cit.

(36) Traduzione degli autori K. Eisenhardt, Building Theories from Case Study Research in The Academy of Management Review, 1989, 14, 4, 532-550.

(37) D. della Porta - M. Keating, Approaches and Methodologies in the Social Sciences: A Pluralist Perspective, Cambridge University Press, 2008.

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tecnologico/manageriale nel luogo di lavoro) che di azione collettiva (assenza del sindacalismo tradizionale). In questo senso, nel controllare tali caratteristiche, la nostra selezione di casi ci ha permesso di identificare meglio quelle caratteristiche connesse ai lavoratori che possono aver facilitato la loro mobilitazione e, quindi, di verificare la validità interpretativa del nostro approccio teorico.

Per rispondere alla domanda di ricerca del nostro articolo, abbiamo condotto un lavoro di ricerca sul campo tra l’aprile 2018 e il febbraio 2019 in quattro città italiane (Torino, Milano, Bologna per il caso della consegna di cibo, Piacenza per la logistica), dove le mobilitazioni si sono verificate. I dati derivano sia dalla conduzione di interviste semi-strutturate con lavoratori, attivisti, rappresentati sindacali e rappresentanti legali che dall’osservazione partecipante di raduni politici, scioperi, ed eventi di protesta (38). Più

specificamente, abbiamo intervistato tredici soggetti impiegati da e/o collegati a Glovo, Deliveroo, Foodora e JustEat, e diciotto soggetti, impiegati da e/o collegati a TNT e Leroy Merlin (si veda l’Appendice per una discussione più dettagliata della nostra metodologia).

5. Applicando l’approccio delle capacità dei lavoratori

In questa sezione, illustriamo il nostro framework teorico all’opera, presentando le quattro capacità che abbiamo identificato per ciascuna delle due mobilitazioni indagate. Mostriamo come e in che misura i lavoratori sono stati capaci di generare nuove risorse e opportunità per la loro azione collettiva. In altre parole, rendiamo evidente come l’utilizzo creativo e combinato delle quattro capacità abbia reso possibile la mobilitazione di questi lavoratori (si veda la Tabella 3 alla fine di questa sezione per una visualizzazione complessiva delle loro capacità).

i. Capacità strutturali legate al lavoro

Ciclofattorini. Spazialità ambivalente del luogo di lavoro

Se lo spazio urbano costituisce lo spazio di lavoro dei corrieri, allora l’utilizzo di tale spazio durante o attorno l’orario di lavoro per scopi estranei alla mera attività lavorativa può rappresentare una minaccia seria e un danno notevole per le piattaforme (i loro datori di lavoro). Parte del successo delle mobilitazioni dei ciclofattorini italiani è stata attribuita alla loro capacità di

(38) Si veda ancora D. della Porta -M. Keating, cit. per un approfondimento dei metodi di ricerca da noi adottato.

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sfruttare la “spazialità ibrida” del loro luogo di lavoro (39), ossia della piazza,

uno spazio dove il virtuale e il fisico sono fusi dalla piattaforma e dove i lavoratori attendono gli ordini dei clienti, ma anche uno spazio di incontro e di identificazione reciproca (40). In effetti, la maggior parte dei corrieri ha iniziato

a considerare la piazza come il principale luogo e modo attraverso cui conoscersi meglio. In questi spazi, hanno socializzato, condiviso bevande e pasti e, nel farlo, hanno sviluppato un sentimento di identificazione di gruppo e solidarietà collettiva, elementi relazionali che costituiscono i pilastri emotivi fondamentali per l'organizzazione di qualsiasi tipo di azione politica (41).

Come diversi intervistati ci hanno confidato, è stato proprio in queste situazioni, sottratte spontaneamente al tempo di lavoro, che i lavoratori hanno cominciato a sviluppare un’identità collettiva. Queste dinamiche erano presenti in tutte e tre le città investigate. A Torino, per esempio, Silvia (ciclo-fattorina) ha sottolineato come, “fin dai miei primi giorni di lavoro, ci siamo sempre incontrati in Piazza Castello con gli altri colleghi. Era in questi momenti che abbiamo iniziato a conoscerci.”

I ciclofattorini erano consapevoli che lo spazio fisico della piazza avesse un ruolo cruciale nel processo di identificazione collettiva, durante e al di fuori delle ore di lavoro. Come evidenziato da Samuele (ciclofattorino) di Milano: “avevamo diversi punti di incontro all’inizio. Questo è stato il modo grazie al quale abbiamo cominciato a conoscerci. Questi erano gli spazi dove attendevamo gli ordini dei clienti e dove eravamo soliti iniziare e finire i turni di lavoro.”

Davide (ciclofattorino) di Bologna ha parlato esplicitamente della capacità dei corrieri di creare e sviluppare spazi di incontro e associazione tra loro durante l’orario di lavoro. Nelle sue parole:

Non ci sono spazi [spazi di incontro] al di fuori di quelli creati da noi stessi. Lo stesso vale per le altre città. Prima e dopo il turno di lavoro, abbiamo stabilito dove incontrarci. Qui [Bologna] abbiamo Piazza Maggiore, Piazzetta delle Mercanzie e la zona universitaria di Via Zamboni.

Complessivamente, i ciclofattorini sono stati capaci a trasformare una condizione potenzialmente sfavorevole alla costruzione di una identità

(39) M. Briziarelli, Spatial politics in the digital realm: The logistics/precarity dialectics and Deliveroo’s tertiary space struggles, Cultural Studies, 2019.

(40) Più specificamente, come afferma Briziarelli, op. cit., la piazza, come principale spazio di lavoro, è essa stessa un risultato del processo di produzione delle piattaforme, che tentano di colonizzare lo spazio urbano attraverso l’uso di tecnologie spaziali e di localizzazione.

(41) F. Polletta, It Was Like a Fever: Storytelling in Protest and Politics, Chicago University Press, 2006.

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condivisa, ossia, l’assenza di uno spazio di lavoro formalizzato, in un’opportunità per coltivare solidarietà e identità collettiva, e per programmare azioni politiche al di fuori del controllo manageriale dei loro datori di lavoro. Questo è come la capacità strutturale legata al lavoro che abbiamo chiamato “spazialità ambivalente del luogo di lavoro” è stata forgiata ed esercitata dai corrieri.

Facchini. Prossimità spaziale dell’interporto logistico

I facchini di Piacenza sono riusciti a mobilitarsi e usare con efficacia il loro potere contrattuale anche grazie alla peculiare spazialità del loro ambiente di lavoro allargato, vale a dire l'interporto logistico alla periferia della città. In quanto nodo chiave nelle più grandi reti logistiche nazionali e regionali, questo territorio è caratterizzato da una elevata concentrazione di aziende della logistica, responsabili della ricezione, dello smistamento e della consegna delle

merci (42). L’alta concentrazione numerica di lavoratori in questo centro della

logistica, immerso crucialmente nelle catene di approvvigionamento globali, garantisce loro un’elevata centralità nel processo di distribuzione e, quindi anche un grado considerevole di potere negoziale nel luogo di lavoro, se combinato all’adozione di forme di lotta conflittuali (43). La condensazione

spaziale dell’interporto piacentino è stato un fattore chiave nel processo di mobilitazione, poiché ha facilitato lo sviluppo di forme attive di solidarietà tra gli operai in sciopero di Leroy Merlin e TNT, e degli altri operai impiegati nelle aziende vicine, che hanno infatti sempre concretamente sostenuto le molteplici azioni di protesta dei lavoratori delle due compagnie con la loro presenza fisica. Come Fudal, un facchino di TNT ha raccontato:

L’unità per noi facchini è stata una tappa obbligata sulla via del cambiamento. Essere uniti e lottare insieme vuol dire vincere. Adesso quando degli operai hanno dei problemi in un magazzino, tutti gli altri partecipano al loro sciopero per far cedere il padrone (44).

Aldo Milani, coordinatore nazionale del S.I. Cobas, ha spiegato la dinamica di solidarietà concreta, di aiuto reciproco e sostegno dei rispettivi scioperi e blocchi tra i facchini della logistica dell’interporto di Piacenza con queste parole: quando un magazzino chiamava alla solidarietà, gli altri operai accorrevano in aiuto e picchettavano insieme l’azienda. Questa caratteristica

(42) S. Bologna - S. Curi, Relazioni industriali e servizi di logistica: Uno studio preliminare, DLRI, 2019, 161, 1.

(43) J. Alimahomed-Wilson - I. Ness, Ness I. (Eds.). Choke points: Logistics workers disrupting the global supply chain, Pluto Press.

(44) Citato in F. Massarelli, Scarichiamo i padroni. Lo sciopero dei facchini a Bologna, Agenzia X, 2014, 84.

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della lotta è uno dei suoi maggiori punti di forza: ha permesso di coinvolgere attivamente anche numerosi compagni e altri soggetti sociali in un meccanismo di mobilitazione territoriale che dall’iniziativa sindacale si apriva alla militanza politica (45).

In sintesi, i facchini hanno dimostrato di saper sfruttare questa specifica capacità strutturale legata al loro luogo di lavoro più ampio, vale a dire un’elevata concentrazione spaziale di aziende della logistica e, quindi, un alto concentramento di operai in un territorio geograficamente limitato (l’interporto), come risorsa chiave di solidarietà concreta per la loro mobilitazione collettiva.

ii. Capacità strategiche legate al lavoro

Ciclofattorini. Capacità di contro-utilizzo tecnologico

I corrieri italiani hanno mostrato un'efficace capacità di ricostituire e riutilizzare lo smartphone, il dispositivo tecnologico centrale nella loro organizzazione del lavoro e controllo manageriale, nel perseguimento di obiettivi alternativi a quelli previsti dalle piattaforme. Abbiamo chiamato questa abilità dei lavoratori "capacità di contro-utilizzo tecnologico" per evidenziare come questi lavoratori non opponessero soltanto una resistenza alla strumentazione tecnologica del loro processo lavorativo, ma fossero anche in grado di ri-utilizzare attivamente tale strumentazione in forme diverse da quelle inizialmente intese dal management (46). Tutti gli intervistati hanno

chiarito in che particolare modo lo smartphone sia stato intenzionalmente (ri)utilizzato dai lavoratori come mezzo di organizzazione collettiva e, quindi, di mobilitazione. Gruppi alternativi di WhatsApp, strumento originariamente utilizzato dalla direzione per coordinare i turni tra i lavoratori, sono stati così creati e utilizzati dai corrieri per coordinare le varie attività politiche, dall'organizzazione delle assemblee alla chiamata di scioperi digitali ed eventi di protesta. Come riassunto efficacemente da Raffaele (ciclofattorino) di Bologna, "abbiamo chat in cui valutiamo la situazione, risolviamo i problemi e ci organizziamo". Simone, (ciclofattorino) anche lui di Bologna, ha specificato le varie attività portate avanti attraverso l'utilizzo di WhatsApp in questi termini:

Abbiamo utilizzato le chat [alternative] per coordinarci in svariate cose. Convocare le assemblee, sapere se le ciclo-officine erano aperte, chiedere soccorso reciproco. Queste sono le cose su cui ci focalizziamo di più.

(45) Citato in F. Massarelli, op. cit., 96-97. (46) R. Hall, cit.

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Condividere le conoscenze e coordinare l’azione. Ci ha aiutato a costruite un sentimento di solidarietà collettiva […].

In breve, le chat alternative di WhatsApp sono state utilizzate per accrescere la rete di lavoratori militanti e per organizzare le attività collettive. Come sintetizzato da Silvia (ciclofattorina) di Torino: “nel gruppo [alternativo] WhatsApp, aggiungiamo tutti i lavoratori di cui di volta in volta veniamo a conoscenza. Adesso siamo molte persone. Usiamo quella chat per organizzare attività collettive e fare varie cose." In conclusione, nel creare intenzionalmente nuove chat WhatsApp per l'organizzazione e la mobilitazione dei lavoratori, i corrieri italiani hanno mostrato un'alta capacità strategica legata al lavoro (47).

Facchini. Potere conflittuale nel luogo di lavoro

I facchini della logistica operano in punti cruciali del processo produttivo e di distribuzione delle merci, il cui blocco può quindi generare un impatto estremamente significativo: se il lavoro si ferma ad un certo punto e le merci non raggiungono la destinazione successiva, si possono paralizzare vaste aree di attività produttiva, comportando enormi costi per il capitale. Non è una coincidenza il fatto che gli scioperi selvaggi a tempo indeterminato, le occupazioni dei magazzini ed il blocco del trasporto delle merci dall’entrare e uscire dai magazzini siano state tattiche fondamentali nel repertorio dei facchini di Piacenza, data la loro capacità di incidere immediatamente sui

profitti e arrestare la circolazione delle merci (48). Come riportato da Andrea,

un rappresentante del S.I. Cobas di Piacenza, riferendosi agli scioperi a gatto selvaggio organizzati dai facchini della Leroy Merlin nell'ottobre 2018: "Nel settore della logistica, se non si effettuano blocchi, è come se non si scioperasse. Se non blocchi, non sei rilevante, non sei efficace". L’elevata conflittualità della forza lavoro è stata quindi un aspetto essenziale delle lotte della logistica. Tale conflittualità è stata, d’altra parte, anche “facilitata” dalla condizione di notevole sfruttamento subita da questi lavoratori, la cui sofferenza generava pratiche e atteggiamenti da “nulla da perdere”.

A conferma di ciò, Francesco, l’avvocato che ha assistito i facchini migranti della logistica durante i vari procedimenti giudiziari, ha descritto una situazione caratterizzata da un considerevole “livello di disperazione che raramente sarebbe stato tollerato da un italiano” e ha raccontato come l’uso

(47) Si veda anche N. Quondamatteo, Non per noi ma per tutti. La lotta dei riders e il futuro del mondo del lavoro, Asterios, 2019.

(48) L. Cini - A. Tassinari, On Struggles in Logistics: Notes for militant labor activism from the Italian experience, in Notes from Below, 2018, https://notesfrombelow.org/article/struggles-logistics-notes-militant-labor-activism.

(21)

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delle tattiche radicali, come il blocco stradale o l’occupazione dei magazzini, sebbene abbia messo questi lavoratori ai limiti della legalità, esponendoli alla ritorsione aziendale e alla repressione statale, abbia però anche dato loro un potere contrattuale enorme all’interno dell’azienda. Nelle sue parole:

Devi considerare che un giorno di sciopero alla Fiat significa non produrre qualche macchina. Un giorno di sciopero nella logistica significa non solo non distribuire i pacchi, ma anche pagare penalità per i pacchi che non sono stati distribuiti e perdere così la faccia con aziende del calibro di Amazon e eBay […]; quindi l'impatto è molto maggiore dal punto di vista economico, rispetto al classico sciopero metalmeccanico che abbiamo in mente. Questa è stata la principale ragione che ha portato le aziende a ripensare il loro modo di agire.

Sia i facchini della Leroy Merlin che di TNT hanno esercitato questa capacità strategica legata al loro processo di lavoro, adottando queste forme di lotta altamente conflittuali (blocco stradale, sciopero selvaggio) allo scopo di ottenere concessioni significative dall’azienda durante le vertenze. Come vedremo meglio sotto, l’impiego efficace di tale potere conflittuale da parte di questi lavoratori è stato possibile anche grazie alla presenza ed utilizzo di un’altra capacità non legata al lavoro ma ad essi associata, ossia la loro abilità di superare la paura della repressione e sviluppare fiducia in sé stessi attraverso il sostegno della loro comunità etnica.

iii. Capacità strutturali non-legate al lavoro

Ciclofattorini. Spazio urbano militante

La presenza di collettivi politici e spazi autonomi, che vanno da case occupate, centri sociali, associazioni studentesche e giovanili fino alle ciclo-officine auto-organizzate, accresce potenzialmente la “capacità di mobilitazione" di un determinato territorio urbano, offrendo opportunità a nuovi e vecchi attivisti di incontrarsi, collaborare, scambiare informazioni e, quindi, moltiplicare e rafforzare legami emotivi e reti sociali (49). In tutte le

città italiane indagate, abbiamo individuato varie forme di connessione tra ciclofattorini e militanti politici all’interno di spazi autogestiti e autonomi, dove si organizzavano varie iniziative pubbliche legate ai problemi dei corrieri, si fornivano loro servizi sociali (corsi per riparazione delle biciclette, corsi di formazione) e politici essenziali (assemblee e assistenza legale sui contratti),

(49) L. Caruso - R. Chesta - L. Cini, Le nuove mobilitazioni dei lavoratori nel capitalismo digitale: una comparazione tra i ciclo-fattorini della consegna di cibo e i corrieri di Amazon nel caso italiano, Economia e Società Regionale, 2019, 1.

(22)

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che alla fine erano fondamentali per costruire solidarietà tra i lavoratori e organizzare la loro azione collettiva (50).

A Bologna, i ciclofattorini frequentano Ritmo Lento, uno spazio sociale in cui si incontrano per aiutarsi a vicenda nella riparazione delle biciclette, si forniscono biciclette di scorta in caso di malfunzionamento, ottengono consulenza su questioni di lavoro e, soprattutto, pianificano e organizzano azioni politiche come Riders Union Bologna, il collettivo (“sindacato informale”) di ciclofattorini e attivisti che organizza dal 2018 le lotte bolognesi. Alessandro (ciclofattorino) ci ha spiegato in che modo questo collettivo sia stato costruito grazie al supporto logistico di Ritmo Lento, che è diventata poi la sede dei ciclo-fattorini autorganizzati bolognesi:

La prima assemblea che abbiamo organizzato qui nello spazio [Ritmo Lento] è stata in ottobre e solo con i corrieri Deliveroo. Eravamo in 12. Ritmo Lento ci ha ospitato. Da quel giorno abbiamo iniziato a parlare dei nostri problemi legati al lavoro. […] Alla successiva assemblea i corrieri Deliveroo erano ancora la maggioranza, ma c'erano anche alcuni corrieri di JustEat e Sgnam. Da quell'assemblea è nata l'idea di riunire non solo i lavoratori Deliveroo ma anche tutti gli altri lavoratori per diventare un'organizzazione in grado di coinvolgere tutte le piattaforme.

I ciclofattorini milanesi, invece, si incontrano a Punto di Svolta ("abbiamo iniziato a incontrarci e organizzarci lì" come confidato da Samuele), uno spazio auto-organizzato che offre consulenza su questioni contrattuali, fiscali e legali, e Piano Terra, un centro sociale dove si incontrano per organizzare l'azione politica. Infine, a Torino i ciclofattorini si riuniscono alla

Cavallerizza, un centro sociale che offre varie forme di consulenza e che è la

sede della loro organizzazione collettiva. Come riportato da Silvia: "a Torino c'è casa rider, che è uno spazio in Cavallerizza di cui abbiamo le chiavi e dove andiamo a pianificare i nostri incontri collettivi e le nostre attività politiche".

Tutti questi spazi sono stati fondamentali per aiutare i ciclofattorini a superare la frammentazione professionale imposta dai loro contratti e, quindi, per costruire un'identità e un'organizzazione "trans-piattaforma" condivisa. I modi in cui i corrieri hanno utilizzato gli spazi di cui sopra sono stati anche un chiaro esempio di come hanno esercitato con successo per la loro mobilitazione una capacità strutturale non legata al lavoro.

(50) N. Quondamatteo, cit.

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Facchini. Legami comunitari etnici

Nella logistica italiana, le assunzioni a volte avvenivano tramite agenzie di reclutamento, ma altre volte i posti di lavoro erano garantiti da sindacati di base, come Si-Cobas e USB, che selezionavano in base a legami familiari e comunitari. Diversi studiosi hanno osservato come "la solidarietà all'interno delle comunità di migranti che collegano il lavoro all'interno della regione sia stata uno strumento cruciale per sostenere gli scioperi" nel settore della logistica, suggerendo come queste reti siano state anche una risorsa inestimabile per la mobilitazione, una sorta di "contro- uso del reclutamento etnico” (51). Mentre gli attivisti diffondevano e socializzavano informazioni

utili sulle lotte attraverso i social media, ancora più importanti erano le reti di legami tra le comunità urbane dei migranti. Ad esempio, il successo della campagna contro Ikea a Piacenza nel 2012 è stato attribuito alla presenza di canali di comunicazione e legami tra le varie comunità nordafricane e all'ispirazione che queste comunità hanno tratto dalle massicce manifestazioni

della primavera araba (52). Questo è stato anche il caso delle mobilitazioni alla

TNT e alla Leroy Merlin nel 2017 e nel 2018, dove i legami sociali della comunità etnica della forza lavoro egiziana hanno svolto un ruolo chiave nel sostenere le azioni per un lungo periodo di tempo, fornendo un significativo supporto morale e affettivo ai lavoratori.

Come immigrati nel nord Italia, e impiegati in un ambiente di lavoro e sociale che era a loro decisamente ostile, questi lavoratori sono stati in grado di superare diverse difficoltà organizzative per l’azione collettiva, grazie alla presenza di legami familiari e comunitari sui quali potevano sempre affidarsi come supporto pratico ed emotivo nel corso della mobilitazione. Come Aldo Milani del S.I. Cobas ha evidenziato, “gli operai e i compagni, che sostenevano da fuori il magazzino la lotta, davano una spinta molto forte ai facchini che si battevano per essere rispettati durante il lavoro” (53).

I lavoratori hanno raccontato come la loro lotta avesse scatenato risposte molto violente da parte della direzione aziendale, inclusi licenziamenti, bullismo, tentativi di indurre i lavoratori a mollare o comprarli con denaro. Di conseguenza, uno dei primi ostacoli all'azione collettiva è stato il superamento della paura della repressione. Come Asim, un lavoratore di TNT e un organizzatore del S.I. Cobas ha ricordato:

(51) C. Benvegnù - N. Cuppini, Struggles and grassroots organising in an extended European choke point in Choke points: Logistics workers disrupting the global supply chain (Eds. J. Alimahomed-Wilson & I. Ness), Pluto Press, 2018, 239.

(52) D. Sacchetto, Striking against cooperatives: Migrants lead the way, Global Dialogue, 2015, 5, 4. (53) citato in F. Massarelli, op. cit., 95.

(24)

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Sì, sai quando sei schiavo per anni poi dici: la vita non conta nulla, non ha senso un’esistenza del genere. Ecco perché non ho nulla da perdere. Allora preferisco perdere tutto, ma vincere questa lotta. Non importa quali siano le conseguenze. Ecco perché non ci siamo interessati alle conseguenze, abbiamo pensato solo a lottare per vincere, mettendo da parte la paura. Perdere il lavoro era l'ultima delle nostre preoccupazioni. Anche se avessimo perso il lavoro, non ci importava, ormai era importante vincere questa battaglia.

Per Milani, sono stati proprio i legami etnici e comunitari tra gli stessi lavoratori a aiutarli a superare tali sentimenti individuali di paura e trasformarli in solidarietà e azione collettiva. Nel riportare come i facchini di Piacenza abbiano iniziato ad agire e lottare, il sindacalista del S.I. Cobas ha affermato come ciò debba essere attribuito alla “rete informale che esiste nelle comunità migranti” (54). A suo avviso, questa rete fu particolarmente utile per la

preparazione di uno sciopero a gatto selvaggio nel magazzino della TNT, pianificato alcuni giorni prima in un giardino pubblico di Piacenza alla presenza di settanta lavoratori egiziani

Nel complesso, la capacità dei facchini della logistica piacentina di utilizzare la solidarietà etnica e di trasformare la disperazione e la paura della repressione in contro-forza collettiva è stata fondamentale nella loro mobilitazione ed ha esemplificato la loro abilità di dispiegare una risorsa strutturale non strettamente legata all’organizzazione del processo produttivo come fonte di lotta.

iv. Capacità strategiche non-legate al lavoro

Ciclofattorini. Background politico militante

Le mobilitazioni dei ciclofattorini sono state inizialmente promosse e organizzate da una componente politicizzata di lavoratori, che hanno deliberatamente deciso di sfruttare la loro esperienza militante pregressa allo scopo di migliorare la loro situazione professionale e quella dei loro colleghi (55). Tutti i lavoratori più impegnati a livello organizzativo avevano infatti

precedenti affiliazioni politiche progressiste ed esperienze di partecipazione alle lotte. Come osservato anche da Alessandro ("l'organizzazione è stata lanciata da persone che avevano un background politico") e Raffaele ("Ho notato che noi che abbiamo innescato la mobilitazione provenivano tutti da precedenti esperienze di attivismo civico").

In effetti, diversi di loro erano già politicamente attivi negli anni precedenti, avendo partecipato alle mobilitazioni studentesche del 2010 e alle

(54) Citato in F. Massarelli, op. cit., 99.

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proteste contro l'austerità degli anni seguenti (56). Ad esempio, Elisa, l'avvocato

dei ciclofattorini di Torino "era membro sia di un collettivo politico universitario che di un gruppo femminista" durante il periodo post-crisi, e ha iniziato ad aiutare professionalmente i corrieri Foodora, perché motivata dalle sue convinzioni politiche ed esperienze passate di militanza. In particolare, tali esperienze di partecipazione politica (specialmente in organizzazioni non-istituzionali) hanno operato come una sorta di "corso di formazione" per queste persone, che hanno imparato come organizzare eventi e assemblee di protesta e condurre manifestazioni e presidi. In altre parole, questa formazione li ha aiutati a diventare leader informali e militanti politicamente abili nella mobilitazione dei ciclofattorini. L' apprendimento politico pregresso e, più specificamente, l’abilità di riutilizzarlo in un nuovo contesto indica come i corrieri italiani abbiano intenzionalmente utilizzato in modo efficace una risorsa non derivata dalla loro organizzazione lavorativa per la mobilitazione.

Facchini. Intervento dei sindacati di base e dei gruppi di solidarietà

I nostri intervistati hanno raccontato come nelle prime fasi delle mobilitazioni i lavoratori dei magazzini TNT e Leroy Merlin fossero quasi istintivamente attratti dai sindacati di base e dai gruppi di solidarietà, perché questi ultimi – a differenza dei sindacati confederali - fornivano loro risorse e strumenti concreti per l'auto-organizzazione piuttosto che parlare o puntare semplicemente a rappresentarli politicamente. Come ha spiegato Andrea, un attivista del S.I. Cobas di Piacenza: "non abbiamo seguito un modello prestabilito di intervento e organizzazione, ma ci siamo adeguati ai bisogni della lotta dei lavoratori". Sindacati di base e centri sociali, reti autonome (Laboratorio Crash Bologna, Controtendenza, Network Antagonista Piacenza), attivisti studenteschi e altri sostenitori non affiliati, hanno così fornito un'infrastruttura logistica fondamentale per le mobilitazioni. Come ha sottolineato Milani nel descrivere il modo in cui ha avuto luogo il coinvolgimento dei sindacati di base e dei gruppi di solidarietà tra questi lavoratori: non era possibile lavorare solo sul piano economico, ma dovevamo affrontare anche i nodi politici che gli operai facevano emergere. Favorimmo, in questa prospettiva, l’interazione tra il nostro sindacato, gli operai, e altri gruppi che per esempio si dedicavano alla lotta per il diritto alla casa o contro la legge Bossi-Fini. Dovemmo subito allestire delle “casse di resistenza” per sostenere la lotta e dare una risposta ai disagi sociali che esprimevano gli operai. In pochi mesi siamo diventati per i facchini “quelli che stanno dalla

(56) L. Cini, The Contentious Politics of Higher Education. Struggles and Power Relations within Italian and English Universities, Routledge, 2019.

(26)

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nostra parte e che ci aiutano non solo in azienda, ma ci sostengono sempre” nella dimensione della lotta a tutti i livelli.

Questo "uso dei sindacati di base" da parte dei lavoratori è in contrasto con la relazione tra lavoratori e sindacati confederali, dove questa relazione è generalmente invertita (ossia, “uso dei lavoratori” da parte dei confederali). La disponibilità a impegnarsi in forme conflittuali di azione con il sostegno di gruppi di solidarietà e sindacati indipendenti ha così permesso a questi lavoratori di esercitare e sviluppare intenzionalmente una forte capacità di mobilitazione al di fuori della loro organizzazione del lavoro.

Tabella 3. Le capacità in mobilitazione dei ciclofattorini e dei facchini

Strutturale Strategica

Ciclofattorini Facchini Ciclofattorini Facchini

Legata al lavoro Spazialità ambivalente del luogo di lavoro Prossimità spaziale dell’interporto logistico Capacità di contro-utilizzo tecnologico Potere conflittuale nel luogo di lavoro Non-legata al lavoro Spazio urbano militante Legami comunitari etnici Background politico militante Intervento dei sindacati di base e dei gruppi di solidarietà

Figura

Tabella 1. Tipo di utilizzo delle capacità
Tabella 2. Le capacità in mobilitazione dei lavoratori
Tabella 3. Le capacità in mobilitazione dei ciclofattorini e dei facchini

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