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LEA - Lingue e Letterature d'Oriente e d'Occidente 5-2016

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Academic year: 2021

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LEA - Lingue e letterature

d’Oriente e d’Occidente

5

Direttore scientifico / General Editor

Beatrice Töttössy

Caporedattore / Journal Manager

Arianna Antonielli

firenze university press 2016

Universita’ degli Studi di Firenze

Dipartimento di Lingue, Letterature e Studi Interculturali Biblioteca di Studi di Filologia Moderna: Collana, Riviste e Laboratorio

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The products of the Publishing Committee of Biblioteca di Studi di Filologia Moderna: Collana, Riviste e Laboratorio (<http://www.lilsi.unifi.it/vp-82-laboratorio-editoriale-open-access-ricerca-formazione-e-produzione.html>) are published with financial support from the Department of Languages, Literatures and Intercultural Studies of the University of Florence, and in accordance with the agreement, dated February 10th 2009 (updated February 19th 2015), between the De-partment, the Open Access Publishing Workshop and Firenze University Press. The Workshop promotes the development of OA publishing and its application in teaching and career advice for undergraduates, graduates, and PhD students in the area of foreign languages and literatures, as well as providing training and planning services. The Workshop’s publishing team are responsible for the editorial workflow of all the volumes and journals published in the Biblioteca di Studi di Filologia Moderna series. LEA employs the double-blind peer review process. For further infor-mation please visit the journal homepage (<www.fupress.com/bsfm-lea>).

Si ringraziano Antonia Arslan, Jouni Inkala, Halldis Moren Vesaas, Mikayel Ohanjanian, Andrea Ulivi per la gentile concessione alla riproduzione delle loro opere in questo numero di LEA. Un particolare ringraziamento va alla Galleria Tornabuoni Art Paris, alla Fondazione Henraux, alla Galleria Torna-buoni Arte, alla Albertina e al Rijksmuseum per la concessione alla riproduzione delle opere di Mi-kayel Ohanjanyan, a Nicola Gnesi e Piero Demo per le foto. Si ringraziano infine tutti gli Editori per aver autorizzato la pubblicazione dei testi degli Autori nell’originale e in traduzione.

Editing e composizione: Laboratorio editoriale Open Access con A. Antonielli (caporedattore), A. Baldi, C. Gepponi, M. Romanelli (assistenti redattori), E. Anastasi, F. Bolignano, M. Fabrizzi, C. Favati, F. Frescucci, G. Lovari, C. Marchini, G. Moneti (tirocinanti)

I fascicoli della rivista LEA sono rilasciati nei termini della licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Italia, il cui testo integrale è disponibile alla pagina web: <http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/4.0/it/legalcode>

2016 Firenze University Press Università degli Studi di Firenze Firenze University Press

Via Cittadella 7 - 50144 Firenze, Italy <http://www.fupress.com/>

LEA - Lingue e letterature d’Oriente e d’Occidente. - n. 5, 2016

ISSN 1824-484x

ISBN 978-88-6453-412-1

DOI: http://dx.doi.org/10.13128/LEA-1824-484x-5 Direttore Responsabile: Beatrice Töttössy

Registrazione al Tribunale di Firenze: N. 5356 del 23/07/2004 CC 2016 Firenze UP

La rivista è pubblicata on-line ad accesso aperto al seguente indirizzo: www.fupress.com/bsfm-lea

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Direttore scientifico / General Editor

Beatrice Töttössy, Università degli Studi di Firenze Caporedattore / Journal Manager

Arianna Antonielli, Università degli Studi di Firenze

Comitato scientifico internazionale / International Advisory Board

Giampiero Bellingeri (Università Cà Foscari di Venezia), Enza Biagini (Emeritus, Università di Firenze), Ioana Bot (Babeș-Bolyai University, Romania), Nicholas Brownlees (Università di Firenze), Alessandra Calanchi (Università di Urbino), Martha L. Canfield (Università di Firenze), Francesca Chiusaroli (Università di Macerata), Massimo Ciaravolo (Università di Firenze), Barbara Cinelli (Università Roma Tre), Mario Domenichelli (Emeritus, Università di Firenze), Roy T. Eriksen (University of Agder, Norway), Romuald Fonkoua (University of Strasbourg, France), Paola Gheri (Università di Salerno), Andrea Gullotta (University of Glasgow, UK), Ulf Peter Hallberg (scrittore e traduttore letterario, Sweden), Luba Jurgenson (Paris-Sorbonne University, France), Serguei A. Kibalnik (St. Petersburg State University, Russian Academy of Sciences, Russia), Michela Landi (Università di Firenze), Beatrice Ma-netti (Università di Torino), Johanna Monti (Università di Napoli “L’Orientale”), Paolo La Spisa (Università di Firenze), Jesús Munárriz (scrittore, Spain), Valentina Pedone (Università di Firenze), Ülar Ploom (Università di Tallinn, Estonia), Gaetano Prampolini (Università di Firenze), Giampaolo Salvi (Eötvös Loránd University, Hungary), Alessandra Schininà (Università di Catania), Giovanni Schininà (Università di Catania), Diego Simini (Università del Salento), Rita Svandrlik (Università di Firenze), Angela Tarantino (Sapienza Università di Roma), Christina Viragh (scrittrice e traduttrice letteraria, Switzerland), Martin Zerlang (University of Copenhagen, Denmark), Clas Zilliacus (Emeritus, Åbo Akademi, Finland Comitato editoriale / Editorial Board

Arianna Antonielli, Elisabetta Bacchereti, Sabrina Ballestracci, Arianna Fiore, Michela Graziani, Ilaria Moschini, Ernestina Pellegrini, Valentina Rossi

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Indice

beatrice töttössy, Qualità della memoria e possibilità di una “totalità letteraria” xi

scritture

Proposte d’autore

michela landi, “Mais vint un second jour”. Pour Yves Bonnefoy 3 viola parente-Čapková, La biblioteca dei vivi. Sulla poesia di Jouni Inkala 11 jouni inkala, Cinque inediti 19

viola parente-Čapková, Conversazione con Jouni Inkala 25

sara culeddu, Halldis Moren Vesaas poetessa e traduttrice. 37

La forza e la vitalità di una voce femminile nel Novecento norvegese

halldis moren vesaas, Poesie scelte 48

sara culeddu, Conversazione con Guri Vesaas 65

Situazioni

Armenia nelle pieghe della memoria e nel laboratorio delle idee

In ricordo di Gabriella Uluhogian

antonia arslan, La doppia salvezza di Noemi Khardiashian (racconto-saggio) 77 alessandro orengo, Un selfie alla cultura armena del settimo secolo:

l’“Autobiografia” di Anania Širakacci 81

hayk hambardzumyan, Re-readings of the epic Sasna Tsrrer (Daredevils of Sassoun) in contemporary Armenian prose: from epic to novel 103 vazgen pahlavuni-tadevosyan (Vazo), Il cerchio del ritorno.

Intorno all’arte di Mikayel Ohanjanian (con riproduzioni) 117

sona haroutyunian, Narrating the Armenian Genocide: an Italian Perspective 125 diana battisti, Cento anni di Metz Yeghern, tra silenzio e speranza.

A proposito del volume di Yeghiayan Vartkes, Pro Armenia. Voci ebraiche sul

genocidio armeno, a cura di Fulvio Cortese e Francesco Berti (2015) 139 diana battisti, Questioni aperte ed urgenze culturali.

A proposito del volume a cura di Stefan Nienhaus e Domenico Mugnolo,

Questione armena e cultura europea (2013) 161 aldo ferrari, Viaggio nei luoghi della memoria armena in Turchia e Azerbaigian 179 giampiero bellingeri, Occasioni perdute.

Frammenti di letteratura sulle tracce dell’utopia? 193

francesca penoni, Dal giornale Agos alla riscoperta del patrimonio culturale

armeno in Turchia 205

LEA - Lingue e letterature d’Oriente e d’Occidente, n. 5 (2016), pp. VII-IX DOI: http://dx.doi.org/10.13128/LEA-1824-484x-20015

ISSN 1824-484X (online) http://www.fupress.com/bsfm-lea

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VIII indice

andrea ulivi, Nei luoghi della spiritualità armena (lavoro fotografico) 217 beatrice töttössy, Interview with Contemporary Armenian Writer

and Translator Diana Hambardzumyan 229

saggi

e studi

Itinerari nella Weltliteratur: sulle tracce

di artifici e procedimenti di una possibile ‘totalità letteraria’

paola gheri, La nascita dell’autore e la resurrezione letteraria dei morti. Die Toten auf der Insel Djal. Eine Sage aus dem Holländischen

nacherzählt von Antje Seghers 239 ljuba jurgenson, La testimonianza letteraria come fonte storica:

il caso della letteratura dei gulag 267

jerónimo pizarro, A ansiedade da unidade: uma teoria da edição /

L’ansia di unità: una teoria dell’edizione 284/285

salomé vuelta garcia, La letteratura basca prende il largo:

il mare di Kirmen Uribe 313

gabriele bacherini, Dall’America, al Nord Africa, all’Europa:

William Burroughs migrante in cerca di auto-definizione 333

francesca di meglio, “La mano nella terra”. Spaesamento e redenzione

di un “conquistatore conquistato” nel Paraguay del XVI secolo 349

valentina Fiume, L’eremo interiore. María Zambrano, Antonella Lumini

e Adriana Zarri 369

tina maraucci, La migrazione urbana in Sevgili Arsız Ölüm di Latife Tekin:

luoghi, forme e strategie narrative di un “esilio domestico” 381

diego salvadori, L’omeostasi a rovescio: Berci Kristin Çöp Mǎsallari

di Latife Tekin 393

Percorsi e ritorni tra Vecchio e Nuovo Mondo

Studi iberici e latinoamericani

A cura di Arianna Fiore e Silvia Lafuente

arianna fiore, silvia lafuente, Premessa 413

martha l. canfield, Carlos Germán Belli e la sua poesia classica e

anticlassica 417

silvia lafuente, Las lenguas inmigratorias y la política académica

en la Argentina de la primera mitad del siglo XX 451

elisa cairati, Pasos perdidos y pesados, cronache di passaggi di frontiera nell’opera di Gunter Silva Passuni 467 carmelo andrea spadola, Visioni e proiezioni della Vergine in Gonzalo

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IX indice

arianna fiore, Il mito di Lope de Aguirre in due opere

della drammaturgia franchista e postfranchista 497

vera lúcia de oliveira, La poesia di Lêdo Ivo e il viaggio

come dimensione dell’esistenza 517

condizioni di possibilità

Formalismo 2: memoria, attualità, prospettive

enza biagini, Riletture teoriche II. Nina Gourfinkel e Les nouvelles méthodes d’histoire littéraire en Russie / I nuovi metodi di storia letteraria in Russia 533 nina gourfinkel, Les nouvelles méthodes d’histoire littéraire en Russie /

I nuovi metodi di storia letteraria in Russia (1929) 540/541

benedetta baldi, leonardo savoia, Il formalismo russo, Roman Jakobson

e la linguistica nella prima metà del Novecento 585

giuseppina larocca, Ancora sulla ricezione della teoria letteraria russa

in Italia 623

ilaria moschini, Riflessioni sulla testualità digitale tra studi linguistici

e studi sul software 645

osservatorio

arianna fiore, Javier Cercas e l’arte del romanzo 657 diego salvadori, Ecocritica: diacronie di una contaminazione 671 emiliano guaraldo, L’ecocritica in Italia: ambiente, letteratura,

nuovi materialismi. A proposito dei volumi di Serenella Iovino, Ecocriticism and Italy: Ecology, Resistance, and Liberation (2016) e di Nicola Turi (a cura di), Ecosistemi letterari.

Luoghi e paesaggi nella finzione novecentesca (2016) 701 francesco vasarri, L’Ermetismo e Firenze. Atti del convegno

internazionale di studi, Firenze, 27-31 ottobre 2014.

Critici, traduttori, maestri, modelli, vol. I, a cura di Anna Dolfi (2016) 713 martina romanelli, In margine a un convegno.

Gli intellettuali/scrittori ebrei e il dovere della testimonianza.

Per Giorgio Bassani, “di là dal cuore” (Firenze, 7-8-9 novembre 2016) 719 viola parente-Čapková, Travelling TexTs alla Nordic Digital Humanities

Conference: riflessioni sulla situazione di Digital Humanities

nell’ottica della storia letteraria finlandese 727

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Qualità della memoria e possibilità di una “totalità letteraria”

Beatrice Töttössy

Università degli Studi di Firenze (<tottossy@unifi.it>)

Abstract

This article is grounded in the theoretical work of Foucault (“Qu‘est-ce qu‘un auteur?”) and Lukács (Die Theorie des Romans) so as to address the interdependent transformation of subject and object in today’s world, in an age of widespread technologies of sensitivity. The new sensitivity transmitted by technology stimulates the hypothesis of literary totality and, together, provides the concrete sense of a projectu-ality aiming to overcome Hobsbawm’s impasse in the condition of the historical avant-garde, as well as Sartre’s well known aporia. In view of the above considerations, LEA-2016 presents a series of independent contributions to specific areas of specialization which, seen as a whole, turn out to be sensitive to the above mentioned totality

Keywords: artistic communication, literary totality, technologies of sen-sitivity, the author in the subject-object relation

Refuser le recours philosophique à un sujet constituant ne revient pas à faire comme si le sujet n’existait pas et à en faire abstraction au profit d’une objectivité pure; ce refus a pour visée de faire apparaître les processus propres à une expérience où le sujet et l’objet ‘se forment et se transforment’ l’un par rapport à l’autre et en fonction de l’autre. (Foucault 1984, 634)1 La storia degli uomini non è forse nient’altro che l’incessante corpo a corpo coi dispositivi che essi stessi hanno prodotto – prima di ogni altro, il linguaggio [...] Una soggettività si produce dove il vivente, incontrando il linguaggio e mettendosi in gioco in esso senza riserve, esibisce in un gesto la propria irriducibilità ad esso. Tutto il resto è psicologia e da nessuna parte nella psicologia incontriamo qualcosa come un soggetto etico, una forma di vita. (Agamben 2005)

I sei nuclei tematici in cui LEA-2016 si è impegnata –– 1. “proposte d’au-tore” con Yves Bonnefoy, il poeta finlandese Jouni Inkala e la poetessa norvegese

1 Trad. it. 1998, 251: “Rifiutare il ricorso filosofico a un soggetto costituente non

signi-fica fare come se il soggetto non esistesse e farne astrazione a favore di una pura oggettività; questo rifiuto ha invece lo scopo di far apparire i processi che definiscono un’esperienza in cui il soggetto e l’oggetto si formano e trasformano l’uno attraverso l’altro e in funzione dell’altro”.

LEA - Lingue e letterature d’Oriente e d’Occidente, n. 5 (2016), pp. XI-XVI DOI: http://dx.doi.org/10.13128/LEA-1824-484x-20016

ISSN 1824-484X (online) http://www.fupress.com/bsfm-lea

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XII beatrice tÖttÖssy

Halldis Moren Vesaas; 2. “situazione” della cultura e della memoria culturale armena, della sua letteratura e arte; 3. “itinerari nella Weltliteratur” con tracciati e indizi per chi intenda prendere parte alla (ri)costruzione di contesti finora non noti o obliati oppure aperti a nuove interpretazioni: autorialità nella cultura di Weimar e della DDR, letteratura del gulag e suo uso come procedimento storiografico, un nuovo paradigma per edizioni critiche, apertura alla letteratura basca, interpretazione di “letterature migranti” con adozione di categorie come “spaesamento”, “auto-esilio”, “eremo interno”, “ecocritica”; 4. “percorsi linguistici e letterari” nel mondo iberico e latinoamericano; 5. la sezione “condizioni di possibilità” che continua a proporre riletture (storico-)teoriche sul formalismo, sia sul piano letterario che su quello linguistico, promuove lavori di scavo nei saperi italiani sulla teoria letteraria russa, si indirizza, in questi termini, verso la progettazione di una mappatura europea della teoria letteraria e della sua terminologia, e si indirizza inoltre verso linee di ricerca che in qualche modo discendono da o si riconnettono a quel complesso teorico che ha tracciato il formalismo russo; 6. “osservatorio”, di territori di ricerca nuovi o in fase di rin-novamento tra cui la teoria del romanzo, l’ecocritica, la storiografia letteraria, l’interpretazione dell’ermetismo e della “testimonianza” – con una quarantina di contributi e con la frequentazione di una dozzina di lingue, permettono e richiedono di confermare gli obiettivi della rivista, così come sono stati formulati nel 2012, nell’introduzione alla nuova serie.

Conviene ricordare gli elementi principali del progetto LEA anche qui, ovve-ro: promuovere un costante lavoro linguistico-letterario nei termini di Pierre Bourdieu (che ha rifiutato la falsa idea di una vita intellettuale e culturale spontaneamente internazionale), sui “campi nazionali”, con gli strumenti e procedimenti letterari, per ricostruire i contesti d’origine dei testi (ri)tradotti e, come suggerisce Walter Siti, per riprodurre la densità della vita (“la vita non è la somma di elementi discreti, i livelli di significazione vi si affollano in un tutto continuo”, vd. LEA-2013, introduzione). Su questa base, sperimentare e consolidare il valore e il carattere ontologico dell’altro e dell’alterità e, quindi, nel senso profondo dello Jetztzeit benjaminiano (vd. LEA-2014, introduzione), comprendere, interpretare e proporre la valenza ontologica ed etica del presente

storico e, insieme, la qualità della memoria (letteraria).

Al progetto già noto si aggiungono ora le implicazioni di una novità perentoria. Il fatto cioè per cui non soltanto la letteratura ha definitivamente perduto la possibilità di vedersi attribuito un posto speciale rispetto ad altri media in offerta ma, negli ultimi anni, il chiarimento empirico della sua col-locazione tra gli altri media concorrenti (vd. LEA-2012, LEA-2013) si svolge in un contesto economico-sociale, politico e culturale in cui la situazione e le prospettive degli stessi media stanno intensamente cambiando. La radicaliz-zazione del processo di globalizradicaliz-zazione (o mondializradicaliz-zazione) è aspetto noto. Forse è meno noto (o semplicemente suscita minor interesse per il chiarimento

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XIII

qualità della memoria e possibilità di una “totalità letteraria”

teorico) un altro aspetto che invece indica la definitiva affermazione della “seconda realtà” economico-sociale, politica e culturale (costituita da Internet e dalle reti che esso contiene) e quindi dei suoi specifici procedimenti tra cui la “remediazione” (che produce Intermedialità) e l’interattività e, inoltre, con la presenza sempre più diffusa nella vita quotidiana di tecnologie e strumenti che producono “realtà aumentata”.

La novità perentoria è dunque che l’intermedialità diffusa implica im-portanti mutamenti nella percezione sensibile e sensoriale della realtà, sia esterna che interna. Il punto è allora che tale novità sollecita forme, strumenti e ambienti culturali nuovi, adatti a comunicare, narrare, comprendere e con-dividere il materiale percettivo di nuova natura.

Sul piano del pensiero scientifico, si moltiplicano le riflessioni condotte in termini interdisciplinari2. Negli studi letterari (linguistico-letterari) e artistici

riemergono antichi quesiti. Anzitutto quello della funzione sociale del letterato, dell’artista e dell’intellettuale umanista in generale. Con un aspetto aggiun-tivo: ciò che per qualche decennio (sostanzialmente dal 1989 a oggi) poteva essere rimandato o rimosso (nella parte dell’Europa “dis-sequestrata”) e (nella parte della “vecchia Europa”) poteva essere risolto nel senso che in ogni caso il

2 Nella prospettiva dell’inevitabile coinvolgimento degli studi letterari nelle riflessioni sui

mutamenti della percezione sensibile della realtà, conviene ricordare almeno tre recenti lavori di carattere interdisciplinare: 1) CheFare (2016) propone riflessioni tra l’altro sull’adozione acritica di modalità argomentative, schemi di riferimento, gusto retorico in uso negli USA (“Fare cultura oggi in Italia significa in larghissima misura fare da mediatori, spiegatori, diffusori, traduttori, di cultura prodotta in inglese” scrive Vincenzo Latronico, scrittore e giornalista, lavorando sull’evolu-zione storica delle attestazioni del termine americanata), sui rischi provenienti dalla globalizzasull’evolu-zione e dalla standardizzazione per la biodiversità culturale (Roberto Casati, filosofo del linguaggio, distinguendo tra normatività e prescrittività confronta romanzo e videogioco), sulle difficoltà delle istituzioni culturali a collegarsi con la società in termini adeguati ai tempi della cultura partecipativa. 2) in una nuova edizione aggiornata di studio parallelo della mutazione biologica e dell’evoluzione culturale L.L. Cavalli Sforza consolida la tesi per cui, nel caso dell’uomo, l’evoluzione culturale è più importante di quella biologica (sottolineando inoltre la facilità e la rapidità con cui sul piano individuale è possibile “dirigerla”) e riprende la riflessione sul potenziale ereditario, molto forte, della società odierna; sono di particolare interesse nel volume di Cavalli Sforza (i) l’uso del concetto di DNA culturale per indicare l’oggetto culturale che si autoriproduce e muta nel tempo tramite unità di invenzione (idea), memoria (mneme), comunicazione (seme, da distinguere dall’analogo concetto della semiotica) o imitazione (meme); (ii) le osservazioni circa le differenze in termini di velocità e di stabilità ereditaria che caratterizzano i due assetti dell’evoluzione; (iii) la messa in evidenza dello studio interdisciplinare del pensiero e delle emozioni, e degli studi su fenomeni come mode e conformismo. 3) Domenico Parisi (2006), con formazione in filosofia teoretica coordinatore del Laboratorio di robotica presso il CNR-ISTC, sostiene che oggi le ipotesi e le teorie si possono formulare non a parole ma con le simulazioni, e le simulazioni sono qualcosa di essenzialmente non verbale [...] Le tecnologie digitali danno alla comunicazione non verbale potenzialità nuove e molto grandi che si intravedono chiaramente anche se sono ancora pochissimo sfruttate. Si tratta delle visualizzazioni, delle animazioni, delle interfacce interattive, delle simulazioni, dei mondi virtuali, dei computer games. Qui il linguaggio non c’è o ha un ruolo del tutto marginale”.

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XIV beatrice tÖttÖssy

destino della letteratura e dell’arte “alta” sarebbe potuto dipendere dalle prese di posizione del letterato e dall’artista “alto” (che comunque avrebbe potuto decidere di creare per una nicchia “alta”), oggi, nel contesto delle tecnologie

della sensibilità diffuse e distribuite, e nell’epoca delle forme di vita tecniche

(Agamben 2005, Montani 2014), non può che essere ridiscusso. Nel mezzo, nella tecnica e tecnologia (negli ambienti, reti, software e strumenti, ecc.) è oggettivato – ed è in funzione – un sapere immenso, disponibile per essere utilizzato. Ancora Sartre si poteva porre la questione della comunicazione “alta/di massa” come aporia irrisolvibile:

les masses luttent aussi pour l’homme, mais à l’aveuglette, parce qu’elles courent le risque constant de se perdre, d’oublier ce qu’elles sont, de se laisser sé-duire par la voix d’un faiseur de mythes et parce que l’artiste n’a pas le langage qui lui permettrait de se faire entendre d’elles. C’est bien de leur liberté qu’il parle – car il n’y a qu’une liberté – mais il en parle dans une langue étrangère. (Sartre 1964 [1950], 22)

Le masse lottano anche per l’uomo, ma alla cieca, correndo continuamen-te il rischio di perdersi, di dimenticare ciò che sono, di lasciarsi sedurre dalla voce di un fabbricante di miti, e per-ché l’artista non possiede un linguag-gio che gli consenta di farsi da loro comprendere. Egli parla, sì, della loro libertà – perché la libertà è una sola – ma in una lingua straniera. (Sartre 1995 [1950], 430)

Oggi, invece, così deduciamo dalle circostanze, la nuova antropologia dei sensi, messa a nudo dalle tecnologie della sensibilità (anch’essa, unita al mezzo, è ora “aumentata”), fa riemergere, come opportunità epistemo-logica, la categoria di totalità, quella di una possibile totalità letteraria. Va subito precisato: si tratta di una categoria che non è assimilabile a nessun tentato (o finto3) Gesammtkunstwerk. È pertinente a questo punto quanto

scrive Pietro Montani ragionando sulla responsabilità che evidentemente richiede la gestione delle tecnologie della sensibilità ovvero della cultura radicata nell’intermedialità:

La principale caratteristica politica della ri-mediazione consiste nel fatto che l’evoluzione dei nuovi media mira piuttosto alla realizzazione di numerose conver-genze in una pluralità di forme mediali che non alla loro omogeneizzazione in un singolo medium [...] Si tratta dunque di un movimento fisiologicamente pluralizzante che può essere favorito e incrementato a fronte di una tendenza all’unificazione che è senz’altro ben attestata e incisiva, ma che non gode, in via di principio, di alcun primato. (2010, 18, corsivo mio)

3 Scrive Montani: “Il progetto di unificazione multimediale e multisensoriale, in altri

termini, dipende da una decisione di politica economica e non da una logica di sviluppo interna ai nuovi media. E il suo obiettivo, molto concreto e mercantile, è quello di ‘impegnare tutte le risorse sensoriali’ in ‘una sorta di finto Gesamtkunstwerk‘” (2010, 18).

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XV

qualità della memoria e possibilità di una “totalità letteraria”

Per un minimo di comparazione dei tempi, conviene riportare qui anche come ha motivato il fallimento delle avanguardie artistiche l’autore del Secolo

breve (Hobsbawm 1995), nel 2001, in un’intervista divenuta celebre:

Le arti visive hanno sofferto più di qualunque altra forma di arte creativa delle conseguenze dell’obsolescenza tecnologica [...] La rivoluzione è avvenuta combi-nando la logica della tecnologia con quella del mercato di massa, con una sorta di democratizzazione del consumo estetico, compiuta principalmente dal cinema, figlio della fotografia e arte principale del XX secolo. Il Guernica di Picasso colpisce indubbiamente di più ma, in termini tecnici, Via col vento di Selznick è un’opera più rivoluzionaria. E per la stessa ragione i cartoni animati di Walt Disney, benché non potessero eguagliare l’austera bellezza di un Mondrian, erano più rivoluzionari della pittura a olio, e allo stesso tempo più efficaci nel trasmettere il loro messaggio. Le pubblicità e i film, ideati da propagandisti, mercenari e tecnici, inzuppavano la vita quotidiana nell’esperienza estetica, iniziando le masse ad audaci innovazioni nella percezione visiva e lasciando così molto indietro i rivoluzionari del cavalletto, che rimasero isolati e ininfluenti. Una macchina fotografica su un piedistallo può comunicare la sensazione di velocità molto meglio di una tela futurista di Balla. Il punto è che le arti veramente rivoluzionarie sono state accettate dalle masse perché queste ultime dovevano comunicare con loro. Era solo nell’arte delle avanguardie che il mezzo coincideva con il messaggio, mentre nella vita reale il mezzo veniva rivoluzionato in vista del messaggio.

Nella condizione della nuova sensibilità (che niente ha a che vedere con il termine usato per caratterizzare il primo postmoderno), dalla prospettiva storica di Sartre e di Hobsbawm non soltanto emerge un forte bisogno di attualità e responsabilità nei confronti della realtà culturale (remediata/ intermedializzata, aumentata, “reteizzata” che sia), ma si pone l’urgenza di riesaminare il pensiero foucaultiano (per il suo forte radicamento nella co-scienza collettiva), sia al fine di approfondire le divergenze – che sembrano sostanziali – tra il suo “Qu’est-ce qu’un auteur?” (2001 [1969]) e il “La mort de l’auteur” di Roland Barthes (1984 [1968]), sia e soprattutto al fine di proseguire in una accurata rielaborazione del rapporto soggetto-oggetto, certamente ritornando all’opera di György Lukács, in cui, fino all’Ontologia

delle essere sociale e oltre – come nucleo fisso – è presente l’idea delineata

du-rante la prima guerra mondiale. Lukács, scrivendo la sua Teoria del romanzo (che poi pubblicherà soltanto nel 1920), riteneva che, con il passaggio dal mondo greco a quello moderno, l’arte in generale, e con essa il romanzo in particolare, si dà come “una totalità creatrice” (“eine erschaffene Totalität”) soltanto “perché l’unità naturale delle sfere metafisiche si è lacerata per sempre” (1999, 30; orig. “denn die naturhafte Einheit der metaphysischen Sphären ist für immer zerrissen”, 1920, 20) e perché, quindi, “la totalità estensiva della vita cessa di offrirsi alla percezione sensibile” (1999, 49; orig. “die extensive Totalität des Lebens nicht mehr sinnfällig gegeben ist”, 1920, 45). La forma-romanzo nata dalla disgregazione della totalità epica

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XVI beatrice tÖttÖssy

sarà per Lukács il veicolo della frammentazione dell’oggetto e del soggetto ma anche il tentativo di “ricostruire la celata totalità della vita per mezzo dell’atto figurativo” (1999, 53; “der Roman sucht gestaltend die verborgene Totalität des Lebens aufzudecken und aufzubauen”, 1920, 50, corsivi miei). Siamo in un ampio campo di ricerca necessaria dove ogni approccio e pro-posta di metodo, ogni singolo contributo deve essere accolto dal Lettore come sua diretta partecipazione alla ricerca.

Riferimenti bibliografici

Agamben Giorgio (2010), Profanazioni, Roma, nottetempo. [e-book]

Badaloni Federico (2016), Architettura della Comunicazione. Progettare i nuovi ecosistemi

dell’informazione, prefazione di Andrea Resmini, Luca Rosati, Roma-Milano,

Gruppo editoriale L’Espresso (ilmiolibro.it).

Barthes Roland (1984 [1968]), “La mort de l’auteur”, in Id. Le bruissement de la langue. Essais

critiques IV, Paris, Seuil, 63-69. Trad. it. Bruno Bellotto (1988), “La morte dell’autore”,

in Id., Il brusio della lingua: Saggi critici IV, Torino, Einaudi, Torino, 51-56. Cavalli Sforza L.L. (2016), L’evoluzione della cultura, Torino, Codice Edizioni. [e-book] CheFare, a cura di (2016), La cultura in trasformazione. L’innovazione e i suoi processi,

Roma, Edizioni minimum fax.

Foucault Michel (1994), “Foucault” [1984], in Id., Dits et écrits 1954-1988. IV:

1980-1988, éd. établie sous la direction de Daniel Defert et François Ewald avec la

collaboration de Jacques Lagrange, Paris, Gallimard, 631-636 (text n. 16). Trad. it. di Sabina Loriga (1998), “Foucault”, in Id., Archivio Foucault. Interventi, colloqui,

interviste. 3: 1978-1985 Estetica dell’esistenza, etica, politica, a cura di Alessandro

Pandolfi, traduzione di Sabina Loriga, Milano, Feltrinelli, 248-252.

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scritture

Proposte d’autore

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“Mais vint un second jour”

1

Pour Yves Bonnefoy

Michela Landi

Università degli Studi di Firenze (<michela.landi@unifi.it>)

Abstract

This short article intends to honour the poet Yves Bonnefoy who died recently. His “passing away” as a perpetual movement seems to confirm his poetics of presence which he had been evoking throughout his life. The author addresses some aspects of Bonnefoy’s poetics of time as a perpetual threshold, involving decreation of symbols and concepts. Between them lie death and the grave.

Keywords: gift, grave, otherness, presence, time

Mais vint un second jour. Et parut cet enfant

Qui ramasse, hésitant, une brindille Pour l’offrir, infinie en sa main tendue, À d’autres qui, surpris dans leur jeu, se taisent. Ils le regardent qui avance, ils se détournent, Le ciel à grand fracas traverse les arbres, Son feu s’abat, où j’entendais ces rires.

(Bonnefoy 2010a, 26; l’italique est de l’auteur) Il n’y a qu’une maison qui nous inquiète. Celle où nous serons seuls. Dans la prison de marbre qu’on nous montre du doigt à chaque pas devrait fleurir un jour donné notre Paradis, simulacre d’un Ailleurs qui soit bien à la hauteur de notre transcendance.

1 Cfr. “L’enfant du second jour” (Bonnefoy 2010a, 26).

LEA - Lingue e letterature d’Oriente e d’Occidente, n. 5 (2016), pp. 3-10 DOI: http://dx.doi.org/10.13128/LEA-1824-484x-20017

ISSN 1824-484X (online) http://www.fupress.com/bsfm-lea

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4 michela landi

Chestov, l’un des penseurs dont Bonnefoy2 s’est toujours senti le plus

proche, “est de ces très rares qui n’ont voulu de demeure” (Bonnefoy 1967, 35). Celle-ci, bâtie par les “lois de fer de la nécessité naturelle” (ivi, 39), nous cloue aux coordonnées en croix de l’espace et du temps; nous force à marcher vers notre destination à tel point que “peu d’esprits ont imaginé que ce qui eut

lieu, pierre angulaire de la conscience, puisse soudain n’avoir pas été” (ibidem).

“Forcé au temps”, à sa fatalité, Chestov n’a souci, écrit Bonnefoy, “que d’en défaire la trame” (ivi, 35): car il y a bien en nous “une autre évidence, celle des biens que nous recherchons, des maux que nous détestons, des attachements qui nous constituent” (ivi, 37). La liberté sera donc “au-delà de ce monde, dont il n’y a rien à sauver” (ivi, 41).

Alors que “parlant ainsi Chestov est déjà seul en avant” (ivi, 42), il doit pressentir tout de même, autour de lui, “des parois dures et proches”: dans

2 Poète, traducteur, critique d’art, professeur émérite au Collège de France, Yves Bonnefoy

est né à Tours le 24 juin 1923. A Paris, où il fait ses études de mathématiques et de philosophie, il se rapproche des surréalistes: parmi ses fréquentations, Pierre-Jean Jouve, Pierre Reverdy et André Breton. C’est dans une revue surréaliste, La Révolution la nuit qu’il publie, en 1946, son “Traité du pianiste” (Bonnefoy 2008), sur lequel il reviendra plus tard, pour se demander les raisons d’une écriture et questionner les enjeux de sa relation avec Breton. En 1947, Bonnefoy rompt avec le surréalisme, tout en reconnaissant sa vie durant l’influence que ce mouvement a exercée sur sa poétique, dans son souci de rechercher, derrière l’écran de la représentation, ce qu’il appelle “la présence”, ou la “vérité de parole” (Bonnefoy 1988). En 1953 il publie son premier recueil de poèmes, Du mouvement et de l’immobilité de Douve, qui obtient une reconnaissance immédiate. En 1967 il fonde, avec Jacques Dupin, Gaëtan Picon et Louis-René des Forêts la revue L’Ephémère, qui se propose de jeter un pont entre la littérature et les arts visuels. C’est en 1981 qu’Yves Bonnefoy est élu au Collège de France: une chaire d’études comparées de la fonction poétique est fondée en son nom. Traitant la traduction comme une expérience poétique à plein titre (parmi les auteurs vers lesquels il s’est le plus souvent penché figurent Pétrarque, Leopardi, Shakespeare) il fait de la critique d’art (Rome 1630, l’horizon du premier baroque, 1970; L’Arrière-Pays, 1972) et de la critique littéraire (‘Breton à l’avant de soi’, suivi de ‘Tant va Breton’ à l’avenir; et de ‘À l’impossible tenu’, 2001a; Notre besoin de Rimbaud, 2009a) une occasion pour questionner son propre rapport au monde. Son recueil de poèmes intitulé Les planches courbes (2001b), reconnu tout de suite comme l’un des chefs-d’œuvre du poète, a été inscrit au programme du Baccalauréat français en 2006. Suivant son projet de toujours, qui est de questionner les origines de la vie et du langage, Bonnefoy fait paraître, en juin 2016, un recueil de poèmes, Ensemble encore, 2016a, et un écrit autobiographique, L’écharpe rouge,2016b où, à la suite d’un poème impossible à achever, il revient, à la suite de Deux scènes et notes conjointes (2009b), sur son enfance. C’est ce double témoignage qu’il nous consigne juste avant sa mort, survenue à Paris le 1er juillet 2016. Son Douvesera, cette année, au programme de l’Agrégation de Lettres Modernes. Après l’édition parue en Italie pour la collection “I Meridiani” Mondadori (Yves Bonnefoy, L’opera poetica, 2010b) une édition fran-çaise de son œuvre complète est en préparation pour la collection de la Pléiade (Gallimard). Yves Bonnefoy a été notre invité à l’Université de Florence en 2008, en collaboration avec la revue de poésie comparée Semicerchio, <http://semicerchio.bytenet.it/notizia.asp?id=39> (11/2016). Trois vidéos nous restent de cette rencontre: <http://semicerchio.bytenet.it/scuola/video.asp?id=414>, <http://semicerchio.bytenet.it/scuola/video.asp?id=415>, <http://semicerchio.bytenet.it/scuola/ video.asp?id=417> (11/2016).

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“mais vint un second jour”

son obstination, il reste encore pris “dans les défilés de l’éternelle logique” (ivi, 43). Cet homme “évidemment libre, selon les critères des autres, sans doute éprouve-t-il qu’il est encore en prison” (ibidem):

Cette guerre contre le temps devient du temps, écoulé, perdu, qui s’amasse dans la conscience, s’obscurcit, se fait objet (oui, justement, se fait “œuvre”), grandit selon le néant comme la forme intérieure de ce Fatum que Chestov a dénoncé au-dehors. (Ivi, 44)

N’empêche qu’il y a, dans cet esprit qui se révolte contre le scandale de la mort, un “tropisme cherchant le Bien où s’ébauche un second niveau de l’être, – franchie l’obscure fatalité” (ivi, 45). Ce second niveau – ce second jour – gît sous les réseaux de la langue où se cache, encore aveugle, la parole. Celle que profère Dieu, qui crée sans connaître, ou bien l’enfant avant de savoir: lorsque la mère, son initiatrice, lui montre, dans des mots tout en couleur, un sens à découvrir.

La parole qui nous montre la mort reste, comme celle qui nous montre la vie, hors lieu, hors temps, hors syntaxe. “Aucun – écrit Bonnefoy – n’est mort à l’heure où il est mort” (Bonnefoy 2010a, 27). De temps à autre, “quelqu’un d’entre nous se lève, il quitte la salle”, “comme appelé / Par on ne sait quel cri, dans l’avenir” (“C’est bizarre...” I, in Bonnefoy 2016a, 14):

Car c’est vrai que rien n’est réel, de cette salle Où nous sommes ensemble, vous et nous. A-t-elle des cloisons, elles s’effacent Dès que je m’en approche. (Ivi, 9)

Yves Bonnefoy découvre, dans le don de ce qui est nous, ce qui peut nous déprendre de toute logique: “on est le fils de son enfant – écrit-il dans La Rue

Traversière – c’est tout le mystère” (1992, 65). Ce mystère, dont Dante s’est

fait l’illustre porte-parole dans son Hymne à la vierge, nous guide mainte-nant à rebours vers l’acte fondateur de “donner à vivre” (Bonnefoy 2008)3:

la mémoire, scellant une communauté dans l’être, rétablit – “rature outre” (Bonnefoy, 2010a) – la vie dans l’au-delà du destin. Et un regard suffira alors pour que le “ce-qu’on-auraît-pu-être” et le “cela-a-été” se muent dans l’“être-là” qui n’est que le “pour-nous”.

Ensemble encore (2016a) est le titre d’un recueil de poèmes qu’Yves

Bonnefoy nous livre in limine, juste avant de se lever pour répondre à ce cri d’avenir. Se situant dans l’espace même du “leurre” (Bonnefoy, 1975) où la vie peut changer de cours, il y signifie le possible échange. Dans cet espace mitoyen, où les mains du donateur et du récepteur se rencontrent, une voûte – une coupe – se dessine: et c’est là que pourra alors se réaliser le vœu, par

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6 michela landi

lui d’ailleurs si souvent formulé dans toute sa pregnance oblative: l’écrivain à ses lecteurs. Dans ce “leurre” – seuil même du livre où le temps d’écriture et de lecture s’enchevêtrent – l’union des deux adverbes semble vouloir creuser le lieu même où l’indéfaite parole est finalement déposée dans l’ici pour l’Autre. L’adverbe de l’“unité enveloppante, groupante” (Dendien s.d.) – insimul – accolé à l’adverbe de temps si cher à Bonnefoy – hinc ad horam – marque alors l’initiation, le début du chemin. Et la valeur fréquentative de ce dernier adverbe ne nous dit le travail de Sisyphe de l’écriture – ou plutôt le “tonneau des Danaïdes” que Bonnefoy se plaisait souvent à évoquer – que si on entend celui-ci comme le travail incessant de la mémoire scellant, sous la voûte, la communauté des lecteurs. Non plus, en somme, la pierre froide et rugueuse transportée par le héros solitaire jusqu’au faîte de la montagne; mais le passage, de main, en main, de la coupe:

Je comprends que vous tous, vous n’êtes plus Auprès de moi qu’une seule présence, À qui tendre la coupe, je ne sais Ni ne le veux, je la pose, un instant. Apercevant vos mains,

Je les touche des miennes, c’est suffisance. (“C’est bizarre...” I, in Bonnefoy 2016a, 9)

Cette coupe, nous la transportons souvent pour d’Autres sans avoir le courage d’y poser les lèvres, tant le désir est barré, et tant il est difficile: De faire de cette foi de la pensée,

Qu’il semble naturel d’en avoir honte! (Ivi, 11)

De la foi qui nous habite, notre pensée ne cesse de faire le Tombeau: la Pierre, la Chose4: une enseigne venant toujours de “l’encore plus haut du

monde” (ivi, 55). Et plumes, pinceaux, scalpels à la main nous forgeons, pour l’atteindre, nos Discours, nos Tableaux, nos Tombeaux. Pourtant, cette coupe donnée pour rien, c’est le “trésor métonymique” de l’Amour qu’elle contient: le devenir Multiple de l’Un qui assure, dans une agapé laïque, la transcendance de nous-mêmes sur terre.

Cela semblait réel, ce l’était peut-être, Disons, ce fut un vin

Que nous avions désir de boire ensemble. (Ivi, 9)

4 “Des pierres, de l’eau qui court sur des choses qui sont comme des pierres. J’y trempe

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“mais vint un second jour”

La parole nous traverse – traverse la langue – en soulevant en silence, contre nous qui ne le voulons pas – la pierre monumentale qui nous écrase: tel qu’en nous-même enfin l’éternité nous change, pour paraphraser le vers célèbre du Tombeau d’Edgar Poe de Mallarmé (1998, 38). Et c’est ainsi que, dans quelques “sanctuaires”, se “dénouent les signes” (Bonnefoy 2016a, 81). Et si le Tableau, le Tombeau, ou le Poème, c’est la Beauté en image, peindre ce serait alors ce qui, de l’image même, ou Idéal de Soi, se défige: “ce qui se sait dans la couleur, où rien ne cesse” (ivi, 71). La couleur, devenir encore aveugle de la forme, ne se limite pas à “rendre vie”, mais vient, dans l’espace même du tableau, “donner être” (ivi, 70). Par la couleur, “courage des survivants” (ivi, 76), la forme même se défait, nous donnant enfin “le droit de ne pas s’inquiéter du pas du temps” (ivi, 71). Et qu’est-ce que, ce “pas”, sinon l’acte même d’affirmer la négation, et de “raturer outre” le temps irréversible du chemin?

Le plus lointain

Demeure le plus proche. Le plus retrait Dans le passé hante l’instant présent. (“La chambre, le jardin” II, ibidem)

Dans “Perambulans in noctem”, un homme avance à tâtons, la nuit, dans l’atelier du peintre: atelier “très encombré”, où “chevalets, tables, pots de peinture”, sont “laissés ouverts sur le sol” (ivi, 89): gestes “précautionneux”, sans doute, se dit-il, “pour ne pas laisser le monde vieillir!” (ivi, 90). Dans cet atelier, où la recherche du sens n’a pas de fin, on fera lever “toutes sortes de jours” (ibidem). Car, par tous ces tableaux “qui n’existent pas” (ivi, 76) et qui s’échangent l’un l’autre la lumière, la couleur nous enseigne “que la vie ne sait rien des mondes périssables” (ibidem). Elle nous fait rêver que la nuit est un jour qui se lève: et rêver simplement d’un tableau c’est “beauté qui cherche à être” (ivi, 82).

Comme le peintre aveugle – Dieu-enfant qui ne sait pas mais crée – le traducteur plonge dans la mer du sens; si, défiant le leurre des enseignes qu’on lui montre du doigt à la surface, il hante ces profondeurs, il n’aura plus peur de la mort qui l’attend. Des rencontres, toujours, auront lieu, dans ce “ciel d’en bas”, avec l’Autre que nous sommes, hors du temps et de l’espace: “Mon enfant, où es-tu? Ne te cache pas!” (in ivi, 94). Et plonge encore, “plonge plus avant, plus bas, plonge encore toujours plus bas, le traducteur” (ivi, 95) – c’est bien sa tâche – en questionnant la nuit du sens, et l’indéfait de toutes les langues. En traducteur qu’il est, le poète fouille dans la malle de l’Autre, la malle à lui qu’il n’avait pas choisie, et enfonce ses mains dans des “paquets de lettres” où, les élastiques de la mémoire ayant cassé, “tout se mêlait, se défaisait” (ivi, 118): “Ah, crois-moi, je ne lisais pas, je plongeais mes mains dans cette masse en désordre, je remuais ce papier qui faisait un bruit que j’aimais” (ibidem).

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8 michela landi

Parfois, dans cette profondeur aveugle, le traducteur touche à “une main qui était là encore vivante”, et qui “tirait”: “elle cherchait à m’entraîner, dans sa nuit, mais je résistais, […] je tirais dans l’autre sens, vers le haut, vers moi, et bientôt elle ne cherchait plus à me retenir, elle se dissipait dans ces écritures pâles, serrées” (ivi, 118-119).

Encore, le poète prendra, dans l’autre siècle, “l’autre escalier”de l’autre monde, entreprenant ainsi – avec l’Autre qu’il va rencontrer sur place – un chemin sans fin: Et me voici, c’est un autre siècle encore, à l’entrée du souterrain, sous les mêmes arbres que dans mes années d’enfance. (“L’autre escalier”, ivi, 121)

Ah, est-ce toi? Que tu as grandi! Il fait nuit désormais, […] et il va nous falloir marcher, marcher longtemps, marcher tard, dans cet autre monde. (“La porte basse”, ivi, 125)

“Qu’est-ce qui peut justifier” – se demande Bonnefoy – “cette façon qu’a l’espace de dénier la réalité, de défier la mémoire?” “Sans doute que ce monde où il prétend me garder n’est de toutes parts que cette illusion dont autrefois j’avais tout de même su me défendre” (ivi, 122). On n’a, somme toute, qu’à lâcher prise, et nous partons ainsi vers l’autre lieu: vers, d’abord, cette “maison natale” (Bonnefoy 2001b, 81-98) où gît, dans la lumière, la coupe. “La première maison”, raconte le voyageur de la nuit, “ce fut longtemps cette coupe posée là-bas, hors du temps” (Bonnefoy 2016a, 128). C’est d’ici qu’il faut partir, entreprendre le voyage: “Je prends la coupe à deux mains, […] je l’emporte, ce soir d’encore l’été. […] Je m’en vais avec elle” (ibidem).

Cette coupe, on n’en sera plus intimidé, car elle est nous, notre vie même: “j’ai touché de mes lèvres au breuvage que je transporte, j’ai même bu” (ibidem). Lors de sa première étape, le voyageur “pose la coupe dans l’herbe d’un étroit chemin envahi de pierres” (ibidem). Ces pierres tout autour, ce sont peut-être les Choses qui nous hantent avec la mort qu’elles portent. On se voit, en effet, nous-mêmes “dans des photographies” (ivi, 129): dans le leurre de l’image on a rêvé un instant l’Idéal de soi, cette Beauté figée de l’être dont on devra bientôt se défaire pour “donner à vivre” (Bonnefoy 2008, 155-162): La veille nous avions revu la tombe, la statue. Mais était-ce bien ce que nous cherchions? Non, la tombe de cet ami que nous avons eu, vous et moi, cette tombe […] c’est une nuée arrêtée au-dessus d’un de nos chemins. (“La promenade en forêt”, in Bonnefoy 2016a, 101)

Et il faudra donc rebrousser chemin, et suivre à jamais l’autre, montré un instant par ce nuage:

Qu’une nouvelle fois, mais vers où, j’emporte la coupe […]. J’ai pris la coupe, à deux mains, les fumées de sa profondeur s’épaississent, elles m’empêchent de voir

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“mais vint un second jour”

où je vais, dans cette nuit maintenant; [...] et je ne sais pour combien de temps il me faudra la porter, avant de toucher du genou à peut-être une table basse. (“Perambulans in noctem”, ivi, 129)

Il y aura, tôt ou tard, une “porte franchie”: “cette porte basse de dernier jour” (ivi, 125), seuil devant lequel on sera bien obligé de plier le genou. La coupe, transportée “à même la nuit” et déposée sur une “table basse”, fera “de ce qui fut ce qui demeure” (“La chambre, le jardin” III, ivi, 72):

Que ce monde demeure, Malgré la mort!

(“Que ce monde demeure!” I, in Bonnefoy 2001b, 25)

Et que donc ici-bas où s’ouvre la porte basse, “lumière soit”, “fille de nous” (ivi, 76).

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10 michela landi

Sitografia

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Video sull’incontro con Yves Bonnefoy del 3 ottobre del 2008:

<http://semicerchio.bytenet.it/scuola/video.asp?id=414> (11/2016). <http://semicerchio.bytenet.it/scuola/video.asp?id=415> (11/2016). <http://semicerchio.bytenet.it/scuola/video.asp?id=417> (11/2016).

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La biblioteca dei vivi. Sulla poesia di Jouni Inkala

1

Viola Parente-Čapková

Università di Turku (<viocap@utu.fi>)

Abstract

Jouni Inkala’s poetry brought about innovation of expression into Finnish poetry of the 1990s. My article situates Inkala in the tradi-tion of poetry and literature in the Finnish language and traces the development of themes, topics and formal strategies I consider central in his work (among others, the “great tradition” of Western civilization and culture, relation between spirituality, art and science, intertextual-ity, self-reflexive qualities, social commitment). The analysis of this development culminates in the discussion of Inkala’s five unpublished poems, which are presented also in the Italian translation. The article and the poems are accompanied by my interview with the author. Keywords: Finnish literature, Finnish poetry, “Great Tradition”, inter-textuality, Jouni Inkala

La poesia di Jouni Inkala viene spesso ritenuta difficilmente classificabile nell’ambito della letteratura finlandese. Esemplare è l’affermazione di Jaakko Mikkola (2015), secondo il quale “il discorso poetico creativo, intellettuale, peculiare ha sempre avuto difficoltà a collocarsi all’interno dei confini delle diverse scuole letterarie”2 (“[o]malakista, älyllistä runopuhettaan luova on

sopi-nut aina huonosti erilaisten kirjallisten koulukuntarajojen sisään”). Possiamo, naturalmente, chiederci se sia necessario considerare le opere di Inkala soltanto come poesia finlandese: la loro natura intertestuale, una delle caratteristiche

1 Jouni Inkala, figlio di un pastore luterano, nasce nel 1966 a Kemi, città nord-occidentale

della Finlandia. È considerato uno dei “classici viventi” della poesia finlandese. Alla sua premiata raccolta d’esordio Tässä sen reuna (1992; Qui il suo limite) hanno fatto seguito altre undici rac-colte. La sua ultima opera edita in Finlandia è Vakiot ja muuttujat (2015a; Costanti e variabili). Per il 2017 è prevista l’uscita di una sua nuova raccolta Nähty. Elämä (2017a;Vista. La vita). Le poesie di Inkala sono state tradotte in quattordici lingue. In Italia i suoi testi sono apparsi su riviste (2000, 2004, 2006, 2015b) e in antologie (2011, 2012, 2015c). È di prossima uscita un’antologia di testi tradotti scelti dalla sua intera produzione (2017b).

2 Tutte le traduzioni sono di Antonio Parente.

LEA - Lingue e letterature d’Oriente e d’Occidente, n. 5 (2016), pp. 11-17 DOI: http://dx.doi.org/10.13128/LEA-1824-484x-20018

ISSN 1824-484X (online) http://www.fupress.com/bsfm-lea

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12 viola parente-Čapková

chiave della sua poetica, può essere ritenuta segno di internazionalità, ricolle-gandosi anche alla cosiddetta “grande tradizione” della letteratura finlandese, tradizione che si fonda sulla cultura dell’antichità e sul Cristianesimo, vale a dire sul patrimonio della civiltà e della cultura occidentali. La tradizione locale, invece, che originada quella popolare (nell’ambito letterario, si può menzionare soprattutto la tradizione orale nei vari dialetti finlandesi), viene definita “tradizione piccola” (vd.Branch 1978, 7-8; Laitinen 1995, 29-30). Come in altre culture, nelle quali la lingua letteraria venne codificata solo come conseguenza dei risorgimenti nazionali del XIX secolo, la storia relativamente recente della letteratura finnofona può essere considerata, ovviamente, come la storia dell’interazione di queste due tradizioni. Il folclore è sempre stato un forte motivo di ispirazione, diventando di recente ancora più prominente, e ciò sia nel campo delle arti popolari (ne sono esempio i gruppi heavy metal) sia nelle opere letterarie considerate parte della categoria dell’arte alta.

Jouni Inkala, per suo conto, è rimasto fedele alla “grande tradizione” durante i quasi 25 anni della sua carriera. Dopo il suo debutto, nei primi anni Novanta, la critica sottolineò più volte come l’autore fosse consapevole della tradizione anche in relazione alla poetica finlandese del Novecento, princi-palmente al cosiddetto “modernismo finlandese”, ovvero alla nuova ondata di poesia del periodo postbellico (gli anni Cinquanta), dominato dalla poetica imagista, vale a dire dalla centralità dell’immagine poetica. Le prime raccolte di Inkala misero in mostra la profonda conoscenza del giovane autore dello sviluppo della poesia finlandese, ma allo stesso tempo mostrarono anche la sua capacità di ammodernarla. Fin dall’inizio, a partire dalla sua tesi di laurea (redatta con il titolo “La lingua della poesia – il mondo della poesia” [“Runon kieli – runon maailma”]) Inkala lavora sulle varie sfaccettature della categoria e del processo che in estrema sintesi riassumiamo come “creazione del mondo attraverso il linguaggio poetico”. Inkala è stato sempre conscio dell’esistenza di limiti in tale processo creativo, così come del fatto che la poesia sia in grado di testare e sfidare questi limiti: “Qui il mondo, qui il suo limite” (”Tässä on maailma, tässä sen reuna”, 9), è l’incipit della sua prima raccolta intitolata

Tässä sen reuna. Secondo Pekka Tarkka (1994), il linguaggio poetico di

In-kala “si sforza in ogni momento di estendere la realtà, non tanto alla ricerca di qualcosa oltre essa, ma piuttosto per svelare quell’esperienza alla quale il linguaggio poetico imitativo non arriva” (”pyrkii kaiken aikaa laajentamaan todellisuutta, ei niinkään etsimään tuonpuoleista vaan avaamaan kokemusta, jota jäljittelevä runokieli ei tavoita”). Per apprezzare il significativo contributo di Inkala alla riforma del linguaggio poetico finlandese, è necessario, quindi, analizzarlo partendo dal contesto della poesia finnica.

Anche se Inkala, come studioso di letteratura, si specializzò a suo tempo in poesia americana, la grande tradizione non significa nel suo caso il patrimonio culturale occidentale in senso stretto, ma anche la cultura russa e, nelle raccolte che seguiranno, la tradizione orientale, soprattutto cinese. Tutta la letteratura

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è, in qualche misura, intertestuale e dialogica, ma le poesie di Inkala possono essere definite dialogiche per eccellenza: interagiscono con i testi, ma anche, molto esplicitamente, con le persone dietro questi testi. A tal proposito, pos-siamo citare Čechov, Wittgenstein, Dante, Beckett, Mozart, Weil, Szymborska e molti altri. Inkala si spinge ancora oltre e discute con la forza superiore che lui vede al di sopra delle persone, dei testi poetici e dell’arte tutta. Questa dimensione apertamente spirituale è qualcosa di abbastanza straordinario nella poesia finlandese contemporanea degli autori della sua stessa generazione: le poesie di Inkala parlano di Dio e a Dio. Ma, d’altra parte, nelle poesie della raccolta Pyhien seura (1966; La compagnia dei Santi), i “Santi” non sono quelli cristiani ma, tra gli altri, Joyce, Heaney, Achmatova e Brodsky. Così come per i santi cristiani, quelli di Inkala, vale a dire i grandi personaggi delle arti e delle scienze, sono visti come molto vicini e, allo stesso tempo, come figure mitologiche. Ciò risulta più evidente nella raccolta Kirjoittamaton (2002; Non scritto), in cui l’autore crea per questi personaggi destini e storie di vita rimaste, appunto, non scritte. Santi sono per Inkala anche i libri, che sembrano altrettanto vivi quanto le persone: “Ascolta il battito del cuore tra la copertina” (“Kuuntele kuinka kansien välissä sydän potkaisee!”), recita la poesia “Henkivartija” (“Guardia del corpo”) dalla raccolta Sarveisaikoja (2005; Tempi di corno). Nella stessa opera l’autore sviluppa una peculiare mistica del sangue in relazione al catalogo della biblioteca: “Il mio sangue mi guarda come un bibliotecario a guardia della sua sala, profondo conoscitore dell’opera omnia dell’esistenzialismo” (“Vereni katsoo minua kuin saliaan vartioiva / kirjastonhoitaja, eksistentialismin kootut teokset / erikoisalanaan”, da “Aorttavieraat” [Gli ospiti dell’aorta], 58).

Inkala rimane distante dal post-umanesimo e dalla critica o addirittura dal disprezzo dell’essere umano e della sua civiltà, che attualmente riscon-triamo spesso in filosofia, in letteratura e nell’arte (cfr. e.g. Braidotti 2013; Lummaae Rojola 2014). Tuttavia, in alcune delle sue poesie egli riflette sulla natura dell’alterità radicale, non umana (ad es. i processi chimici, descritti in alcune poesie della raccolta Kemosynteesi (2011a; Chemiosintesi). Inkala è attratto anche dalle scienze naturali e dalla matematica, come evidenziato in particolare nelle raccolte Kemosynteesie Vakiot ja muuttujat. Tuttavia, l’essere umano non è mai completamente fuori dai giochi, così come la natura, la cui presenza nella poesia finlandese (e, più generalmente, nordica) è stata sempre evidenziata, a volte persino stereotipicamente. La natura di Inkala è parte del mondo che si crea nella lingua, e allo stesso tempo è sostanzial-mente tangibile e fisica. Spesso è personificata; la personificazione di cose inanimate e del non umano si verifica ripetutamente a partire dalla prima raccolta. Qui l’autore a suo modo continua e, al tempo stesso, commenta la tradizione della descrizione della natura finlandese, vista talvolta come un nemico crudele da combattere, ma più spesso come l’ambiente abitativo più immediato, un partner o a volte anche una parte di se stessi (e, di

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guenza, se stessi come parte della natura). Nelle sue poesie, molte immagini naturali richiamano il panteismo e, parimenti, possono essere lette come commenti alla visione panteistica del mondo. Ciò vale anche per quei versi che alludono alle varie credenze associate alle stelle: “Quando mi alzo di notte / il cervello di granito della roccia duole alla terra. Il gelo si trasforma / muta la lunga idea. / Le argomentazioni delle stelle / si condolgono, non si esplicano proprio ora” (1992, 11; “Kun nousen yöllä / kallion graniittiaivot särkevät maan. Routa kääntyy / vaihtaa pitkää ajatusta. / Tähtien väitteet ottavat osaa, eivät juuri nyt yksilöi”).

La natura emerge molto concretamente, spesso come natura della Fin-landia settentrionale, vicina e familiare al poeta fin dall’infanzia. A volte la natura crea uno sfondo per riflessioni sull’eternità, che si incarnano in un ciclo di vita e morte senza fine, o più precisamente in un ciclo di nascite e morti. I morti, gli antenati, appaiono in molte delle poesie di Inkala (il titolo della sua seconda raccolta del 1994 è Huonetta ja sukua, Della casa e della famiglia), e talvolta si pongono a fianco del non umano e dell’inanimato: “Quando i pini ricordano, i loro antenati, / quando le pietre ricordano, perdurano” (“Mäntyjen muistaessa, esi-isänsä, / kivien muistaessa, kestäessä”, “Meilahti”, Pyhien seura, 1996 [La compagnia dei santi]). In alcune poesie viene adottata l’atmosfera panteistica dei cimiteri finlandesi e scandinavi che si fondono nella natura. E ancora: il continuum della vita si lega ai libri, come nella poesia “Kuolleiden kirjasto” (Kemosynteesi, 2011a; La biblioteca dei morti), in cui i nomi dei morti dei secoli passati “toccano” l’essere umano vivente, presente nella poesia come suo testimone, lettore/scrittore, conscio che da vivo non sarà capace di raggiungere l’informazione definitiva. “I libri non si possono aprire senza allo stesso tempo andare via” (“Kirjoja ei voi avata ellei samalla itse poistu paikalta”). L’esistenza di antenati morti si unisce al tema delle responsabilità umane; come l’autore sottolinea nella poesia “Nyt” (“Adesso”) della raccolta

Minkä tietäminen on ihmiselle välttämätöntä (2008; Quale sapere è

indispen-sabile all’essere umano), “i morti ci hanno lasciato questa terra da abitare” (“kuolleet jättivät meille asuttavaksi / tällaisen maapallon”, 11). La poesia di Inkala è spesso invocativa, a volte in colloquio diretto o per interposta persona (“Notte dopo notte sei parte di questa massima interezza possibile”; “Ilta illan jälkeen sinä olet osa tätä suurinta mahdollista kokonaisuutta”, dalla raccolta

Pyhien seura, 1996 [La compagnia dei Santi], 9), altre volte indirettamente,

ma con altrettanto vigore. La prima sezione della raccolta Vakiot ja

muut-tujat è intitolata “Vastuu ja velvoitus” (Obbligo e responsabilità). Il senso di

responsabilità si lega spesso alla colpa e la colpa alla compassione, come in “Imitatio Christi” (Pyhien seura), che si rifà alla problematica della mimesi irrisolta se imitare Cristo oppure seguirlo. In molte poesie Inkala riflette sul tema della responsabilità con riferimento alla situazione attuale della Terra (cfr. Parente-Čapková 2006, 64). Questo aspetto si rafforza nelle sue opere dell’ultimo decennio, a partire dalla raccolta Sarveisaikoja.

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Per la critica Piritta Maavuori (2002) la raccolta Kirjoittamaton (Non scritto) appare come un’entità ermetica non connessa al mondo concreto, ma alle opere e alla vita di altri artisti. Può darsi che questa raccolta possa lasciare una sensazione simile in qualche lettore. A noi pare, invece, che Inkala offra un’intertestualità di carattere ermetico e una concretezza che allude al mondo fisico. Ad esempio, “Ikaros Helsingissä” (da Kirjoittamaton; Icaro ad Helsinki) tratta di un tragico evento realmente accaduto: il suicidio di una donna sola nella catena di grandi magazzini della capitale finlandese. Nella stessa poesia troviamo la coesione di astratto e concreto, “letterario” e “reale/sociale”, a testimonianza che nei testi di Inkala il mondo è creato con la lingua e nella lingua. Questa stessa coesione si riflette nella poesia ”Karthago” (Cartagine), dalla raccolta Sarveisaikoja, in cui l’autore si occupa dei rifugiati e che può essere considerata una prova della visionarietà degli artisti: “Poiché nel vil-laggio di tende del campo profughi c’è poco / da fare, all’ombra della pelle nuda l’amore / che cova è il modo comune per trascorrere il tempo” (“Koska pakolaisleirin telttakylässä on vain vähän / tekemistä, on paljaan ihon varjossa kytevä / rakkaus yleinen tapa saada aika kulumaan”, 16).

La natura seriamente filosofica, sociale, spirituale e impegnativamente intertestuale è sempre stata un aspetto importante della poesia di Inkala, ma fin dall’inizio nelle sue raccolte troviamo anche poesie brevi suggestivamente “semplici”, tra cui le poesie d’amore. Dal punto di vista formale i testi di Inkala mostrano un’abbondante eterogeneità. Il verso lungo, in lenta e serena progres-sione, “caricato” semanticamente e sintatticamente complesso e ambiguo, con il suo eccedere il rigo e il doppio senso grammaticale, è sempre stato un marchio di fabbrica del poeta, e questa strategia la si può trovare anche nelle sue raccolte più recenti. Inkala ha però dimostrato anche la sua padronanza del sonetto, di saper giocare con le rime e le allitterazioni, utilizzare i punti esclamativi e in-terrogativi, scrivere poesie aforistiche o testi che potrebbero essere caratterizzati come poesia in prosa. Pur non avendo mai dimostrato un particolare interesse per gli esperimenti tipografici (a differenza di e.e. cummings), nelle sue ultime opere troviamo un intenso uso del corsivo. In ogni nuova raccolta, il poeta riesce a sorprendere il lettore, e così sarà anche per la prossima, che includerà le cinque poesie inedite che qui presentiamo. Esse mostrano dei tratti caratteristici già noti e, allo stesso tempo, nuovi contenuti ed elementi formali.

“Ensimmäinen hetki...” (Il primo attimo…) ripropone il problema del tempo, uno dei temi chiave per l’autore. Questa volta non si tratta della “durata aperta” (cfr. la raccolta Kesto avoin, 2013; Durata aperta), ma della limitatezza del tempo, delle questioni concernenti il primo e l’ultimo istante. Nel testo in questione si riflette sul ciclo di nascita e morte, si osserva la numerosità dei primi attimi nella vita, come viene fatto intendere nell’originale con l’in-versione sintattica della seconda strofa. Il mistero della vita e della morte si lega alle “realtà” politiche, alla responsabilità, al continuo o a volte al groviglio delle decisioni, delle conseguenze e del possibile senso di colpa. L’immaginario

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