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introduzione alla sezione persone e status nei diritti religiosi

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Academic year: 2021

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QDPE - Daimon 2013– numero speciale su persone e status nei diritti religiosi

Introduzione

Roberta Aluffi e Domenico Francavilla

Versione inviata all’editore – postprint – non definitiva – non citare

Ci sono tre termini di cui i giuristi si servono quotidianamente, in modo di fatto intercambiabile: persona (persona fisica, diritti personali), soggetto (soggetto di diritti, soggettività giuridica), individuo (diritti dell’individuo). A questi tre, si potrebbe aggiungere “uomo”, che è tuttavia attualmente usato con una certa cautela dai giuristi che parlano lingue che non permettono di distinguere l’”uomo/essere umano di sesso maschile” dall’’”uomo/essere umano” (come l’italiano e il francese, e al contrario del tedesco con la coppia Mann/Mensch; del russo мүҗ/ҹєловéк; o dell’arabo rağul/isnān). La cautela dei giuristi cresce in modo proporzionale alla loro preoccupazione di non escludere dalle proposizioni che formulano gli esseri umani di sesso femminile.

Torniamo dunque ai primi tre termini. Ci si può chiedere se essi siano davvero completamente sovrapponibili e se siano tutti, nella stessa misura, passibili di traduzione interculturale. Una delle ipotesi che il numero di Daimon intende approfondire in particolare è se i presupposti teologici caratteristici delle diverse religioni esercitino una qualche influenza sulla definizione di tali concetti.

Il sistema di pensiero metafisico australiano del “sogno” stabilisce un rapporto mistico di natura totemica tra singoli, gruppi e specifiche regioni geografiche, e fa dell’uomo e della natura un tutt’uno. Ciò non comporta la negazione alla persona umana della soggettività giuridica, ma determina la natura squisitamente relazionale di tale soggettività (Pelizzon).

Nell’induismo il pensiero rituale costruisce il concetto di soggetto sul presupposto della necessaria differenziazione degli esseri umani, che trova legittimazione mitica nel sacrificio di un uomo primordiale dal cui smembramento si sarebbero originati quattro varna, categorie sociali centrali nel sistema delle caste. La differenziazione tra esseri umani avrebbe così, almeno secondo alcune interpretazioni, un rango ontologico e non semplicemente funzionale. La fitta articolazione di capacità e incapacità che derivano dall’appartenenza a un determinato varna e da molti altri tipi di appartenenza rifletterebbe, e sarebbe legittimata, quindi da concezioni fondamentali in cui non trova spazio l’idea dell’unicità dell’essere umano.

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La fede nel Dio unico, personale e trascendente, che crea l’uomo, unica tra le creature, a propria immagine e somiglianza, è particolarmente adatta a favorire lo sviluppo di un discorso giuridico saldamente imperniato sulla centralità della persona umana. La somiglianza posta da Dio tra sé e l’uomo permette al giurista di parlare di entrambi come persone titolari di diritti: così il diritto islamico distingue i diritti di Dio, la cui violazione comporta un attentato all’ordine generale, dai diritti dell’uomo, la cui violazione perturba i rapporti interpersonali.

In Europa sulla base di presupposti teologici dello stesso tipo si sviluppa, in età moderna, l’uso del termine soggetto per indicare il centro dell’attività senziente, quel centro di autocoscienza e consapevolezza autonomo e libero che, per Leibniz, è lo spirito. Gli spiriti sono le monadi più elevate: non comunicano tra loro, ma riflettono un medesimo universo governato da un’armonia prestabilita.

Nasce l’idea moderna di individuo, di soggetto autonomo di diritti, enormemente produttiva. L’Illuminismo se ne serve per far crollare un vecchio ordine, con le sue odiose gerarchie e classificazioni, e proclamare l’esistenza di diritti di cui tutti, in quanto appartenenti al genere umano, sono ugualmente titolari.

Durante l’età coloniale, l’Europa dissemina ovunque le idee di soggetto e di diritto soggettivo, attraverso un diritto positivo di modello europeo che si afferma come “parametro di riferimento della normatività” (Parolin). Nell’ultimo dopoguerra, e con rinnovato vigore dopo la caduta dell’URSS, il discorso internazionale sui diritti umani, che costituisce il fondamento della ricostruita comunità internazionale, è articolato sulla base di quelle stesse categorie.

L’affermazione pervasiva delle categorie di soggetto e di diritto soggettivo ha richiesto laboriosi e sofisticati sforzi di traduzione linguistica e concettuale, ma ha finito per dare una nuova forma alla narrazione stessa delle tradizioni giuridiche non occidentali. Ha suscitato resistenze, nuove interpretazioni e critiche.

La critica più frequentemente rivolta alla categoria di soggetto di diritti, in particolare quando è utilizzata per declinare il discorso sui diritti umani, è quella della sua eccessiva astrattezza. In effetti, il soggetto di diritti è una persona avulsa da un preciso contesto, e dunque riconoscibile ovunque: così soltanto il riconoscimento universale dei suoi diritti può essere garantito. Ma, per i critici, l’universalità dei diritti è apparente e l’astrattezza, con la sua promessa di generalità, nasconde a malapena l’origine occidentale.

Di fronte al meccanismo potente dell’eguaglianza (Caterina) messo in moto dalla categoria di soggettività giuridica, si reclama dunque il riconoscimento di quelle differenze che sono meritevoli di essere rispettate, prime fra tutte quelle religiose. Per questa via possono emergere delicati conflitti tra diverse concezioni della persona, che tuttavia si confrontano utilizzando l’unico vocabolario egemone, quello della soggettività giuridica.

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La vocazione espansiva della categoria della soggettività si manifesta nelle spinte a estendere agli animali la titolarità di diritti. La possibilità di allargare i confini della soggettività è assecondata dall’erosione delle basi metafisiche su cui si era sviluppata l’idea di soggetto. Da un lato le neuroscienze svelano il carattere illusorio dell’esperienza del sé e quindi dell’autocoscienza del soggetto; d’altra parte il netto confine che separava l’umano dall’animale si è scolorito da quando Darwin ha formulato la sua teoria sull’origine delle specie.

Ma la categoria di soggetto giuridico viene estesa anche oltre i confini del regno animale, fino a dar voce a concezioni tradizionali che personificano elementi naturali. La costituzione dell’Ecuador celebra la Pacha Mama, personificazione della Terra Madre, quale natura di cui tutti facciamo parte, e riconosce il suo diritto al rispetto totale della sua esistenza, e al mantenimento e rigenerazione dei suoi cicli vitali, struttura, funzioni e processi evolutivi (art. 71). Le Corti di quel paese fanno applicazione della disposizione costituzionale. L’estensione della soggettività giuridica, o al contrario la difesa dei suoi confini, riveste sempre e chiaramente un alto valore simbolico o ideologico. Ma, come fa notare Caterina, dal punto di vista strettamente tecnico, “il soggetto di diritto è una nozione di cui si potrebbe fare a meno”. Il concetto di soggettività giuridica è stato elaborato nella tradizione giuridica occidentale assumendo come punto di riferimento l’essere umano adulto e capace di esercitare la sua volontà ed è pertanto strettamente legato al concetto di capacità di agire. Il titolare per così dire paradigmatico dei diritti soggettivi è l’essere umano adulto e padrone di sé. L’estensione oltre questi confini è servita soprattutto a marcare, sul piano simbolico, la pari dignità di tutti gli esseri umani, che si è voluto configurare come soggetti di diritti e non come semplici destinatari di doveri di cura e protezione.

La stessa relativa autonomia tra due piani del discorso giuridico si rinviene anche nel diritto islamico, che ha in comune con il diritto occidentale una vigorosa impostazione universalistica. La discontinuità tra l’impostazione delle opere di uṣūl e quelle di furūʿ è ben descritta da Parolin. Gli autori delle prime, sensibili alle ragioni della teologia, tendono a estendere al massimo la cerchia dei soggetti destinatari del messaggio divino, e tenuti a conformarsi alle sue prescrizioni: alcuni di loro vi fanno rientrare anche gli infedeli. Al contrario, gli specialisti in furūʿ non ricorrono a categorie tanto universali e indifferenziate e procedono attribuendo la qualificazione giuridica a ogni singola azione in considerazione delle qualità soggettive di chi agisce.

Ogni diritto ingloba un’epistemologia, definisce o recepisce delle categorie ordinanti, forma schemi esplicativi del mondo. Le categorie giuridiche sono espressione di concezioni generali elaborate in una determinata cultura. A loro volta le categorie giuridiche si proiettano sulla sfera del non giuridico. È in questa prospettiva che essere soggetti di diritto assume in rilievo simbolico legato a considerazioni di valore. Contemporaneamente le categorie giuridiche devono soddisfare un’esigenza tecnica relativa alla specificità delle questioni giuridiche. Esistono diritti più o meno inclini all’astrazione e alla costruzione di categorie dogmatiche generali, ma tutti i diritti costruiscono categorie che

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permettano di ordinare le molteplici regole che governano l’esperienza umana. In questo campo, rimane essenziale distinguere le declamazioni, le enunciazioni simboliche, e le regole operative seguite nella pratica.

Il modo in cui viene elaborato il concetto di persona nel diritto è chiaramente fondamentale, visto che il diritto delle persone rappresenta, per così dire, il primo capitolo del diritto sostanziale, parte necessaria della costruzione di un sistema di regole di condotta destinate a regolare la vita sociale. Dalla definizione del soggetto giuridico derivano conseguenze per tutti i rami del diritto.

Non bisogna peraltro assumere che vi sia una coerenza complessiva del sistema. Alcuni rami del diritto possono avere categorie proprie che possono entrare in conflitto con quelle utilizzate in altri rami, come nel caso della soggettività degli animali, dove esiste una tensione tra categorie penalistiche che, almeno in alcuni ordinamenti, più rapidamente stanno riconoscendo il carattere senziente degli animali e categorie civilistiche che mutano in questo caso più lentamente e non riescono a elaborare una categorizzazione degli animali alternativa a quella di res.

Ugualmente, non bisogna assumere che vi sia corrispondenza necessaria tra le categorie di soggetto utilizzate dalla dottrina e quelle giurisprudenziali o quelle diffuse in una comunità. Il quadro è reso ancora più complesso dalla interazione in un unico contesto di più diritti, che può dare luogo a dinamiche di conflitto o assimilazione non solo tra regole sostanziali ma anche tra le categorie che le accompagnano. Si tratta oramai della situazione “normale” per tutti i sistemi giuridici. Questa interazione può avvenire tra diritti religiosi che vengono osservati in una stessa società, ad esempio diritto hindu e diritto islamico nel contesto indiano, tra diritti statali che vengono in contatto attraverso fenomeni di circolazione giuridica, tra diritti statali e diritto di matrice internazionale, e naturalmente tra diritti laici e diritti religiosi.

Questo numero di Daimon si propone anche l’obiettivo di elaborare una mappa delle categorie riferite alle persone fisiche e delle conseguenze normative collegate. I diritti religiosi, così come tutti i diritti, hanno elaborato una serie di distinzioni relative alle persone fisiche da cui trarre conseguenze giuridiche a seconda di status definiti sulla base di diversi criteri (ad es. minore età, genere, anzianità, appartenenza a determinate famiglie, caste, relazioni di parentela, condizioni fisiche e mentali, ecc.).

Le categorie sviluppate nei diversi diritti non sono coincidenti. Alcune differenze di status da cui trarre conseguenze giuridiche possono essere tracciate lungo linee che appaiono centrali in una determinata tradizione e irrilevanti in altre (Kondratuk, Sinclair).

Il concetto di status, inteso in generale come posizione o condizione di un soggetto rispetto ad altri soggetti o a una comunità/gruppo nel suo complesso, è inevitabilmente connesso al problema della soggettività giuridica. Si possono distinguere status di vario tipo: ad esempio sociali e giuridici o, utilizzando altri criteri classificatori, permanenti e contestuali o ontologici e funzionali. Il diritto

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può creare status o riconoscere status preesistenti. Il concetto di status rinvia a una distinzione nel genus soggetto, ammesso che questo venga effettivamente riconosciuto, di una serie di categorie ulteriori che servono a differenziare in modo più analitico le prerogative, i poteri, i diritti, gli obblighi delle singole persone. Il concetto di status di per sé non postula l’assenza dell’idea della unità del soggetto del diritto in una determinata cultura giuridica e può corrispondere a una semplice esigenze tecnico-giuridica di regolazione. Ciononostante, la maggiore o minore rilevanza degli status in un determinato diritto non è neutra sul piano dei valori.

È famosa la teoria di Sumner Maine sul passaggio dallo status al contratto come aspetto fondamentale della modernità. In base a questa teoria nelle cd. società tradizionali il diritto è fondato sugli status, le persone vengono considerate giuridicamente nel quadro del loro gruppo (variamente definito) e da questa appartenenza derivano diritti e doveri specifici, mentre nelle società moderne il diritto è fondato sull’autonomia dell’individuo che determina la propria sfera giuridica. Qui si può osservare come istintivamente si tenda a identificare diritti religiosi e diritti premoderni. Anche sotto questo profilo la contrapposizione di diritti religiosi e diritti non religiosi non appare corretta. Alcuni problemi si pongono in tutti i diritti indipendentemente dalla loro matrice. Del resto non mancano segnali che mostrano una tendenza anche nei diritti non religiosi verso una crescente diversificazione del soggetto di diritto e la riemersione teorica e pratica dei trattamenti differenziati, secondo una direzione che alcuni autori ricostruiscono come parabola di ritorno dal contract allo status.

Lo spirito di questo numero nel suo complesso è comparativo. Che differenze esistano tra i vari diritti religiosi considerati non sembra dubbio. Ciononostante non è detto che le differenze debbano essere estreme o eclatanti per essere significative. Inoltre bisogna ricordare che a differenze estreme sul piano dottrinale possono corrispondere soluzioni molto ravvicinate nelle soluzione concrete o viceversa. Un altro aspetto che deve essere rimarcato preliminarmente è la consapevolezza che lo stesso discorso critico sul soggetto di diritto e gli status corre il rischio di fissare e deformare concezioni che possono essere in realtà più fluide e sofisticate.

Inevitabilmente l’analisi che viene condotta collettivamente in questo numero non può essere esaustiva sia per i diritti considerati che per i temi trattati. I contributi vogliono fornire una mappa rudimentale ma auspicabilmente utile delle concezioni della soggettività e della rilevanza degli status nei diritti religiosi cercando di collocare il discorso in una prospettiva più ampia che suggerisca una riflessione teorica sull’identità nel diritto e una “contemplazione” delle tante vite intessute di norme condotte da persone, soggetti, individui, uomini e donne in contesti diversi.

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