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Le esposizioni italiane prima dell'unità (1805-1860)

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GENNAIO-AGOSTO 2015 ANNO XLV - NUMERO 1/2

RICERCHE STORICHE

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In copertina: Champ de Mars - Paris Expo 1900 - Library of Congress, Washington (USA) La pubblicazione del presente fascicolo è stata possibile grazie all’appoggio economico e alla collaborazione del Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche

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RICERCHE STORICHE

Rivista Quadrimestrale

Anno XLV - numero 1-2 gennaio-agosto 

SOMMARIO

Esposizioni Universali in Europa.

Attori, pubblici, memorie tra metropoli e colonie, 1851-1939

(a cura di Giovanni Luigi Fontana - Anna Pellegrino)

G.L. Fontana - Introduzione. Esposizioni universali in Europa. Tecnologia e scienza, A. Pellegrino spettacolo e cultura in un dispositivo moderno

D. Sassoon Alla maggior gloria del capitalismo

Excelsior! Le feste popolari della civiltà industriale A. Roca Rosell Science and technology in world exhibitions

A. Schwarz Reshaping legacies: content and meaning of cultural heritage at uni-versal expositions

A. Simoncini Note sulla nascita del «pubblico». Per una genealogia della società dello spettacolo

A. Pellegrino Democrazia e imperi. L’Italia all’esposizione di Parigi nel 1889 G. Zucconi Europa-Usa: un confronto tematico e cronologico all’indomani

del-l’anno 1900

Cittadelle espositive e contesti urbani: i resti e il patrimonio

N. Leemann The Weltausstellung of 1873 in Vienna. Didactical programs and the multi-ethnic empire as a bridge between east and west

P. van Wesemael World exhibitions: didactical projects towards real reform advocates and catalysts of modern urban society, economy and metropolis G. de Spuches Le esposizioni universali: spazialità e politiche di rappresentazione P. Brenni Universal and international exhibitions and the birth of museums of

history of sciences and technology

I protagonisti e i pubblici

A. Cardoso Uomini di scienza alle esposizioni universali: il confine labile tra de Matos scienza e tecnologia

C. Demeulenaere Les expositions universelles et la fabrique des images: l’Amerique Douyère Latine entre presentation et representation

Pag. 5 » 15 » 29 » 37 » 47 » 59 » 71 » 83 » 93 » 105 » 115 » 133 » 143

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G. Fiorentino Immagini da un’esposizione. L’esperienza mediale, Londra 1862 L. Tomassini Fantasmagorie, rispecchiamenti, battaglie di immagini. Alle origini

dell’immaginario sociale delle esposizioni universali L. Massidda The Great Exhibition. Storia di un’evasione di massa

M. Viera de Cristoforo Colombo tra Italia e Spagna: poetiche di appropriazione e Miguel identità nelle arti visuali all’esposizione universale di Filadelfia del

1876

Il sogno imperiale – metropoli e colonie

G. Abbattista Beyond the ‘human zoos’. Exoticism, ethnic exhibitions and the pow-er of the gaze

M. Carli L’Italia all’Exposition Coloniale Internationale et des pays d’outre-mer, Paris 1931

C. Baldazzi L’universo a Parigi: gli arabi visitano le esposizioni universali (1855; 1889; 1900)

N. Vargaftig « Penser la grandeur » : les expositions coloniales du Portugal et de l’Italie entre les deux guerres mondiales

Le esposizioni in Italia. L’Italia alle esposizioni

I.M.P. Barzaghi Milano 1881-1906: rappresentazione della modernità e moderniz-zazione popolare

S. Di Vita Le grandi esposizioni dalla metropoli industriale alla glocal-city. L’e-sperienza di Milano dall’expo 1881 all’expo 2015

S. Onger Le esposizioni italiane prima dell’unità (1805-1860) A. Giuntini L’esposizione del 1861 a Firenze: gioie e dolori di un debutto P. Colombo Eccellenze produttive e maestrie artigianali: gli esordi italiani alle

espo-sizioni universali

S. Magagnoli La globalizzazione del gusto. Esposizioni universali e prodotti ali-mentari

S. Montaldo Le esposizioni del primo cinquantenario dell’Unità d’Italia

Note conclusive

S. Musso Temperamento del capitalismo e pedagogia ambientalista L. Masina La prima esposizione universale in Italia

I. Prostakov Evolution of global economy as seen through the history of World Expos 1851-2015 Abstracts Gli autori Pag. 151 » 161 » 181 » 193 » 207 » 219 » 229 » 239 » 249 » 265 » 279 » 291 » 299 » 307 » 317 » 333 » 335 » 339 » 343 » 355

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Censire le strutture produttive, incoraggiare l’industria e il commercio, promuovere l’innovazione tecnologica, favorire la ricerca applicata, verificare la competitività con la concorrenza straniera, furono le ragioni che spinsero prima associazioni private inglesi e poi il governo francese a mettere a punto modelli espositivi sempre più com-plessi. Fin dal loro nascere le esposizioni vollero essere uno spazio di promozione di nuovi valori sociali e di incontro tra capitale, lavoro e mercato1.

L’atto formale di nascita delle esposizioni industriali potrebbe essere indicato nella fondazione della London Society of Arts nel 1751, che stabilì di acquistare disegni, modelli e macchine vincitrici di premi e con questi allestì, nel 1756 e nel 1761, due mostre e in seguito un museo permanente. Queste prime rassegne, che davano ampio spazio alle innovazioni tecniche in agricoltura, furono iniziative dei privati, senza il coin-volgimento dello stato. L’esempio venne poi seguito da accademie e governi in varie parti d’Europa: esposizioni di tipo industriale si tennero a Ginevra nel 1789, ad Amburgo l’anno seguente e infine a Praga nel 17912. Si deve però riconoscere il merito alla Francia di aver dato particolare solennità a queste manifestazioni, codificando regole e stile, fissando il linguaggio espositivo del nascente capitalismo industriale3.

Infatti, l’Esposizione pubblica dei prodotti nazionali inaugurata a Parigi nel Campo di Marte il 4 settembre 1798 indicò un modello che era destinato a dilagare in tutta Europa assieme alle armate napoleoniche4. Confluivano in questa iniziativa, voluta dal ministro dell’Interno François de Neufchâteau, insieme all’idea rivoluzionaria e patriot-tica di convocare e premiare a Parigi tutti coloro che avevano ben operato nelle industrie

LE ESPOSIZIONI ITALIANE PRIMA DELL’UNITÀ (1805-1860)

Ricerche Storiche anno XLV, numero 1-2, gennaio-agosto 2015

1Cfr. L. AIMONE, Le esposizioni industriali a Torino (1829-1898), in Innovazione e modernizzazione

in Italia fra Otto e Novecento, (a cura di) E. Decleva, C.G. Lacaita, A. Ventura, Milano, Franco Angeli, 1995, p. 497.

2S. CAVICCHIOLI, Tra Settecento e Ottocento, in Le Esposizioni torinesi 1805-1911. Specchio del progresso

e macchina del consenso, (a cura di) U. Levra e R. Roccia, Torino, Archivio storico della città di Torino, 2003, p. 3-4.

3P. BOLCHINI, Fiere, mercati, esposizioni: l’età contemporanea, in Mercati e consumi organizzazione e

qua-lificazione del commercio in Italia dal XII al XX secolo, I° Convegno Nazionale di Storia del Commercio in Italia, Reggio Emilia, 6-7 giugno 1984 - Modena, 8-9 giugno 1984, Bologna, Edizioni Analisi, 1986, p. 434.

4P.L. BASSIGNANA, Le esposizioni, in Storia di Torino, vol. 6°, La città nel Risorgimento (1798-1864),

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e nei commerci in favore della Repubblica e alla rivalità con l’Inghilterra, i valori dell’Il-luminismo5. Non soltanto nell’idea di poter classificare e giudicare tutti i prodotti, ma anche nel desiderio di democratizzare la diffusione delle conoscenze, che in una pubblica manifestazione diventavano visibili a chiunque volesse provare il proprio talento, a qual-siasi condizione sociale e collocazione professionale si trovasse. I premi assegnati furono tra i principali motivi di successo e la ricompensa premiale diverrà anche in seguito una delle molle che spingeranno i produttori a intervenire a queste manifestazioni6.

Divenuta un’iniziativa fissa delle celebrazioni per la fondazione della repubblica, l’e-sposizione parigina venne ripetuta nel 1801, nel 1802 e nel 1806. Nonostante la dispo-sizione di Napoleone di far intercorrere un intervallo di tre anni tra una manifestazione e l’altra, il perenne stato di guerra della Francia impedì l’organizzazione di altre esposi-zione durante l’età napoleonica. Nel frattempo però l’idea si era diffusa in Europa e fra il 1800 e il 1815 Anversa, Berna, Gand, Milano, Napoli, Torino e Trieste si accodarono all’esempio parigino, chi con una sola edizione, chi con più manifestazioni7.

1. Gli esordi italiani del primo Ottocento

La prima esposizione realizzata in Italia fu quella di Torino dell’aprile del 1805, nel-l’ambito dei festeggiamenti per il passaggio di Napoleone, diretto a Milano per l’in-coronazione. Venne organizzata in tutta fretta dalla locale Camera di commercio in due sale presso la sede della Corte d’Appello e vide la partecipazione di 80 artefici e 33 arti-sti. Il catalogo era suddiviso in tre sezioni. La prima illustrava gli oggetti di belle arti, ed era divisa nelle categorie accademiche di pittura, scultura e modelli, incisione, disegno e architettura. La seconda trattava gli oggetti d’arti, manifatture e mestieri a cui però parteciparono pochissime imprese private, alcune manifatture pubbliche attive negli istituti assistenziali o correzionali, e diverse botteghe di alto artigianato tra-dizionalmente fornitrici della corte. Seguiva infine una sezione miscellanea, in cui erano raccolti gli oggetti più diversi8. Solo nel 1811 e nel 1812 si tennero a Torino altre due rassegne. Nella prima, forse a causa di problemi organizzativi e dell’ambiente angusto in cui era collocata l’esposizione, gli oggetti d’industria si videro frammisti a quelli di

5P. BOLCHINI, Fiere, mercati, esposizioni…, cit., p. 434.

6P.L. BASSIGNANA, Le feste popolari del capitalismo. Esposizioni d’industria e coscienza nazionale in

Europa 1798-1911, Torino, Allemandi, 1997, p. 14.

7Ivi, p. 15-16.

8Cfr. F. MAZZOCCA, Le esposizioni d’Arte e Industria a Milano e Venezia (1805-1848), in Istituzioni e

strutture espositive in Italia. Secolo XIX: Milano, Torino, Pisa, Scuola Normale Superiore, 1981, p. 65; R. ROCCIA, Le esposizioni a Torino nell’Ottocento preunitario, in Mercati e consumi…, cit., p. 545; P.L. BAS -SIGNANA, Le feste popolari del capitalismo…, cit., p. 20; S. CAVICCHIOLI, Tra Settecento e Ottocento, cit., p.

10-18; S. MONTALDO, Le esposizioni industriali nel Regno di Sardegna: suggestioni modernizzanti tra

pro-paganda dinastica e riforme economiche, in Arti, tecnologia, progetto. Le esposizioni d’industria in Italia prima dell’Unità, (a cura di) G. Bigatti e S. Onger, Milano, Franco Angeli, 2007, p. 109.

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LE ESPOSIZIONI ITALIANE PRIMA DELL’UNITÀ (1805-1860) 281

belle arti. Nella seconda i prodotti naturali e industriali cedettero vistosamente il passo a dipinti, disegni e sculture9.

Le più importanti iniziative italiane in età napoleonica furono però le Esposizioni annuali d’arti e mestieri di Milano, che vennero istituzionalizzate con decreto il 9 set-tembre 1805 e presero avvio l’anno seguente. Il provvedimento era stato preso in seguito al successo dell’esposizione aperta nel palazzo di Brera il 26 maggio 1805 per l’incoronazione di Napoleone a re d’Italia. L’evento, che registrò una buona adesione con 115 artefici e 70 artisti, diversamente da quello di Torino, seppe dare ampio spa-zio alle attività produttive10.

Le esposizioni industriali milanesi erano allestite dall’Istituto nazionale nelle sale del palazzo di Brera e inaugurate, con intento dichiaratamente celebrativo, il 15 agosto, in occasione del genetliaco dell’imperatore. Una commissione provvedeva a premiare i par-tecipanti con medaglie d’oro, in numero mai superiore a cinque, d’argento, fino a un massimo di venticinque, e menzioni onorevoli, in numero illimitato11. Gli aspiranti ai premi dovevano presentare al prefetto del rispettivo dipartimento una domanda di par-tecipazione accompagnata da una memoria illustrativa e da eventuali disegni. Una com-missione dipartimentale selezionava le domande da trasmettere al Ministero dell’in-terno, dove una commissione centrale giudicava le invenzioni e i perfezionamenti meri-tevoli di essere premiati12.

Con la Restaurazione furono pochi i paesi europei che non adottarono le esposi-zioni, anche se queste si ricollegavano a un passato rivoluzionario con il quale si vole-vano chiudere tutti i conti. Sull’esempio francese si organizzarono esposizioni a Kas-sel nel 1817, a Monaco nel 1821, a Berlino nel 1822, a Mosca nel 1825, a Londra nel 1828, a Manchester nel 183713. In Francia le modalità organizzative delle esposizioni rimasero sostanzialmente invariate nel tempo, salvo stabilire – a partire da quella del 1819 – una periodicità quadriennale (aumentata a cinque anni durante il regno di Luigi Filippo), e concedere per la prima volta ampio spazio al comparto agricolo14.

9R. ROCCIA, Le esposizioni a Torino nell’Ottocento preunitario, cit., p. 546. 10F. MAZZOCCA, Le esposizioni…, cit., p. 65.

11Cfr. Ivi, p. 71-73. Sull’Istituto nazionale, voluto da Napoleone sul modello dell’Institut de France

di Parigi, e sulle sue trasformazioni nell’età della Restaurazione si veda L’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere (secoli XIX-XX). I. Storia istituzionale, (a cura di) A. Robbiati Bianchi, Milano, Istituto Lombardo - Arti Grafiche Motta, 2007.

12Su questi premi si veda A. COVA, Aspetti dell’economia agricola lombarda dal 1796 al 1814. Il valore

dei terreni, le produzioni e il mercato, Milano, Vita e Pensiero, 1977, p. 134-147; A. MOIOLI, Tra intervento

pubblico e iniziativa privata: il contributo di Giuseppe Morosi al progresso tecnico della manifattura lombarda in età francese, in Temi e questioni di storia economica e sociale in età moderna e contemporanea. Studi in onore di Sergio Zaninelli, (a cura di) A. Carera, M. Taccolini, R. Canetta, Milano, Vita e Pensiero, 1999, p. 153-203; F. DELLAPERUTA, Cultura e organizzazione del sapere nella Lombardia dell’Ottocento. L’Istituto

Lom-bardo di Scienze e Lettere dalla fondazione all’unità d’Italia, in L’Istituto LomLom-bardo Accademia di Scienze e Lettere. I. Storia istituzionale, cit., p. 120-136.

13P.L. BASSIGNANA, Le feste popolari del capitalismo…, cit., p. 16.

14L. AIMONE, C. OLMO, Le esposizioni universali 1851-1900. Il progresso in scena, Torino,

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Per quanto riguarda l’Italia, cessato il regno napoleonico, gli austriaci proseguirono nel Lombardo-Veneto le esposizioni industriali, ma alternandole tra le due capitali del nuovo regno, Milano e Venezia15. Dopo lo sdoppiamento, nel 1838, dell’unico corpo accademico milanese nei due istituti di Milano e Venezia, il concorso continuò a essere rivolto a tutti gli abitanti del regno, sia che la premiazione avesse luogo nel capo-luogo lombardo sia che avesse capo-luogo in quello veneto; il giudizio per l’attribuzione dei premi era affidato all’Istituto della città ospitante16.

A Napoli, Ferdinando I di Borbone, che aveva ereditato dal precedente regime l’I-stituto di incoraggiamento, demandò a questa istituzione il compito di promuovere l’in-dustria attraverso la concessione di privative e l’organizzazione di esposizioni inl’in-dustriali. L’istituto venne così configurandosi come una sorta di “ente fiera” che promosse a par-tire dal 1822 periodiche manifestazioni, annuali fino al 1827, biennali fino al 1842 e poi quinquennali, anche se sospesa nel 1848 e differita al 185317. Nonostante l’impe-gno e l’insistenza delle autorità, il tessuto produttivo non rispose mai adeguatamente. Il regolamento per l’esposizione del 1830 cercò di stimolare la partecipazione degli ope-ratori economici stabilendo che coloro che trascuravano di esibire i propri prodotti deca-devano dai privilegi concessi, e allo stesso tempo che soltanto gli espositori avrebbero potuto aspirare a ottenere una privativa18. Le misure risultarono piuttosto inefficaci: dai 200 espositori in media per appuntamento negli anni Trenta si passò ai 115 nel 184419. Nel Regno di Sardegna la ripresa delle esposizioni torinesi fu segnata dalla ricosti-tuzione della Camera di commercio della capitale nel 1825. Furono infatti le istanze di quest’ultima a spingere Carlo Felice ad autorizzare l’istituzione di esposizioni trien-nali, la prima delle quali si tenne nel 1829 presso il castello del Valentino20. Le Camere di commercio di Torino, Genova, Chambéry e Nizza ebbero il compito di selezionare nei territori di loro competenza gli oggetti da esibire alla manifestazione. Così alla prima edizione parteciparono 502 espositori, suddivisi in 30 categorie, e per la grande affluenza di pubblico la rassegna si protrasse oltre il mese prestabilito21. A Torino il modello francese era rispettato, ma l’intervallo di tempo tra un’edizione e l’altra – por-tato da tre a sei anni dopo l’edizione del 1832 che aveva visto scendere a 490 i parte-cipanti – era garanzia di serietà, in quanto consentiva di cogliere i cambiamenti effet-tivamente indotti dall’innovazione tecnologica. Le esposizioni diventavano un

15Cfr. F. MAZZOCCA, Le esposizioni…, cit., p. 96.

16F. DELLAPERUTA, L’Istituto lombardo di scienze e lettere e le esposizioni di Brera, in Arti, tecnologia,

progetto…, cit., p. 72-73.

17G. MORICOLA, Tra velleità e progetto: le esposizioni industriali nel Regno di Napoli, in Arti,

tecnolo-gia, progetto…, cit., p. 181-182.

18Ivi, p. 183. 19Ivi, p. 185.

20P.L. BASSIGNANA, Il messaggio dell’età carloalbertina, in Le esposizioni torinesi 1805-1911…, cit., p.

34-35. Si vedano inoltre: ID., Preludio alla rivoluzione. Le esposizioni torinesi nel Piemonte preunitario, in

Tra scienza e tecnica. Le esposizioni torinesi nei documenti dell’Archivio storico Amma 1829-1898, (a cura di) Id., Torino, Allemandi, 1992, p. 13-35; B. CERRATO, Il ruolo della Camera di commercio, in ivi, p. 37-63.

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LE ESPOSIZIONI ITALIANE PRIMA DELL’UNITÀ (1805-1860) 283

momento obbligato, a scadenza precostituita, di analisi sullo stato dell’economia nazionale, e permettevano di censire realmente il patrimonio industriale del paese, così come fece Carlo Ignazio Giulio nell’esposizione del 184422. A partire da questa mani-festazione venne inoltre stabilito che ogni oggetto dovesse essere accompagnato da una relazione contenente notizie dettagliate sulla qualità e funzione del prodotto stesso e sull’impresa produttrice23.

Il Granducato di Toscana fu l’ultimo in ordine di tempo a organizzare manifesta-zioni espositive. Anche in questo caso fu un’istituzione accademica, quella dei Geor-gofili, ad allestire nel 1838 la prima Esposizione di arti e manifatture toscane, esperienza poi continuata in Palazzo Vecchio con il patrocinio del granduca a cadenza triennale dal 1841 fino al 1857, anche se quest’ultima edizione tenutasi alle Cascine era limitata all’ambito agrario24. Gli espositori non furono molti: 126 nel 1841, 85 nel 1844 e 86 nel 1847, ma rappresentavano abbastanza fedelmente l’economia toscana del primo Ottocento, concentrata su prodotti e strumenti agricoli e sulle lavorazioni di seta e lana, cuoio e pellami, carta, metalli, prodotti chimici, vetro e strumenti ottici, mobili.

L’organizzazione di esposizioni industriali che superassero i confini degli stati regio-nali per diventare momento di confronto dell’intera penisola fu argomento di dibat-tito ai Congressi degli scienziati italiani. In quello di Napoli del 1845, il calabrese Fran-cesco Lattari presentava alla sezione di agronomia e tecnologia un’articolata proposta per una esposizione industriale italiana. Secondo il proponente, gli sforzi intrapresi dagli stati per favorire il processo di industrializzazione nel nostro paese non avrebbero potuto arrivare a risultati soddisfacenti senza un’azione comune. La prima cosa da farsi era «unificare il pensiero industriale italiano, mediante l’Esposizione» proposta25. Si sarebbero così accomunate le «idee industriali de’ diversi produttori», favorendo la «ten-denza generale ad una unità miglioratrice dell’industria della penisola»26, promuovendo l’emulazione tra i produttori e gli stati, ma anche permettendo alle migliori produzioni nazionali di trovare smercio in Italia e all’estero. Da un punto di vista operativo, Lat-tari si spinse a dare indicazioni molto precise:

1. Le esposizioni industriali che ora si fanno in ciascun stato italiano non dovrebbero essere più definitive ma preparatorie: vale a dire, non dovrebbero esser fatte per premiare i migliori prodotti esposti, ma per isceglier quelli che sarebber degni di far parte della generale esposizione italiana […].

22C.I. GIULIO, 1844. Quarta esposizione d’industria e belle arti al real Valentino. Giudizio della regia

Camera di Agricoltura e di Commercio di Torino e notizie sulla patria industria, Torino, Stamperia Reale, s.d. [1845].

23R. ROCCIA, Le esposizioni a Torino nell’Ottocento preunitario, cit., p. 550.

24A. GIUNTINI, La prima volta dell’Italia: l’esposizione del 1861 a Firenze, in Arti, tecnologia, progetto…,

cit., p. 281 e 283.

25F. LATTARI, Proposta d’una esposizione industriale italiana fatta il dì 1° Ottobre 1845 nella sezione

d’a-gronomia e tecnologia del Congresso scientifico di Napoli, s.n.t. [1845], p. 5.

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284 SERGIO ONGER

2. Gli oggetti scelti per l’Esposizione generale dovrebbero essere inviati nella città in cui questa avverrebbe a spese de’ governi rispettivi.

3. In siffatta città dovrebbe riunirsi una Commissione economica, composta di due e più membri di ciascuno stato italiano, ufficialmente nominati da’ rispettivi governi. Que-sta Commissione giudicherebbe del merito de’ prodotti esposti, ed assegnerebbe loro il premio dovuto27.

L’ampio dibattito suscitato dalla proposta, portò all’istituzione di una commissione, presieduta da Cosimo Ridolfi, che redasse un progetto definitivo per il congresso di Genova dell’anno seguente. Il progetto di una esposizione nella quale, come affermava il membro della commissione Pasquale Stanislao Mancini, «l’industria italiana riconosca se stessa, s’incoraggi da sé»28venne accolto favorevolmente e trovò l’appoggio di oltre sessanta congressisti che sottoscrissero l’iniziativa. Così al nono e ultimo Congresso degli scienziati, che si tenne a Venezia nel 1847, venne ospitata anche la prima Espo-sizione generale dell’industria italiana. Ma solo 64 ditte presentarono i loro prodotti nelle sale dell’Istituto Veneto dove venne allestita la manifestazione e per la gran parte si trattava di imprese locali29.

Nelle esposizioni dei primi decenni dell’Ottocento la produzione artigianale valeva su quella industriale, e l’agricoltura occupava una posizione decisamente pre-minente. Tra gli anni Quaranta e Cinquanta, in concomitanza con una sempre mag-giore presenza di oggetti industriali in queste manifestazioni, presero avvio delle espo-sizioni settoriali interamente dedicate all’agricoltura, promosse non solamente da governi o da istituzioni accademiche, ma anche da gruppi di possidenti, imprenditori e uomini di scienza, rivolte a un pubblico diverso rispetto alle tradizionali esposizioni d’arti e d’industria30.

2. Gli anni del cambiamento (1851-1860)

Se nella fase nascente delle esposizioni era stata la Francia la principale protagoni-sta e ispiratrice per le altre nazioni, a metà del secolo fu la Grande esposizione dell’in-dustria di tutte le nazioni aperta a Londra il primo maggio 1851, a colpire profonda-mente l’immaginazione popolare e a modificare da allora in poi la fisionomia di

que-27Ibidem.

28Atti della ottava riunione degli scienziati italiani tenuta in Genova dal XIV al XXIX settembre

MDCCCXLVI, Genova, Tipografia Ferrando, 1847, p. 142.

29Su questo primo tentativo di esposizione industriale italiana si vedano: M.L. SOPPELSA, Immagini

della cultura scientifica veneta nei Congressi degli scienziati italiani di Padova (1842) e Venezia (1847), in Dopo la Serenissima. Società, amministrazione e cultura nell’Ottocento veneto, (a cura di) D. Calabi, Vene-zia, Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, 2001, p. 263-267; S. MONTALDO, Le esposizioni industriali

nel Regno di Sardegna…, cit., p. 123-126.

30G. FUMI, Emulazione o profitto? L’avvio delle esposizioni agricole nell’Italia preunitaria, in Arti,

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LE ESPOSIZIONI ITALIANE PRIMA DELL’UNITÀ (1805-1860) 285

ste rassegne. Per la prima volta una manifestazione di questo tipo si apriva alla com-petizione internazionale: 7.531 espositori inglesi e 6.556 provenienti da altri paesi por-tarono a Londra oltre centomila articoli, suddivisi in trenta classi. Il portato pedago-gico e didattico dell’iniziativa venne moltiplicato dalla capacità dimostrata dagli orga-nizzatori di trasformare il progresso tecnico in spettacolo. Il fantasmagorico palazzo di cristallo, che faceva cadere sulle merci una luce che le trasfigurava, ebbe un’influenza enorme sul comune visitatore, come sulle qualificate delegazioni provenienti da ogni parte del mondo31.

La grande esposizione di Londra vide una limitata partecipazione italiana: 273 espo-sitori provenienti dal Piemonte, dal Lombardo-Veneto, dalla Toscana e dallo Stato pon-tificio, mentre il Regno delle Due Sicilie era assente32. Il Regno di Sardegna era pre-sente ufficialmente con un proprio stand33e inviò una delegazione di 147 tra tecnici, operai e artigiani34. Questo grazie anche a una convinta politica di libero scambio che vedeva nella prima esposizione universale, come scriveva il giornale «Il Risorgimento» del 24 agosto 1850, l’occasione non solo di mostrare le proprie merci competitive, ma anche prodotti che, seppure meno riusciti di quelli stranieri, avrebbero potuto attrarre nel paese nuovi investimenti e nuove industrie35. Non solo, il ministro delle Finanze Camillo Benso di Cavour, in una circolare a tutti gli espositori del regno, li invitava a donare gli oggetti inviati alla commissione reale inglese, in vista del costituendo museo di South Kensington36.

Inizialmente vetrina di oggetti di artigianato industriale, le esposizioni toscane registrano un salto di qualità a partire da quella del 1850, tenutasi al Palazzo della Cro-cetta con 120 espositori, grazie all’opera del livornese Filippo Corridi, direttore del neo Istituto tecnico toscano, che negli stessi mesi intraprendeva una statistica industriale

31J.A. AUERBACH, The Great Exhibition of 1851: A Nation on Display, New Haven, Yale University

Press, 1999. Si vedano inoltre: P.L. BASSIGNANA, Le feste popolari del capitalismo…, cit., p. 31-35; M. SICA,

1851. Esposizione Universale di Londra (1 maggio - 11 ottobre), in Le grandi esposizioni nel mondo 1851-1900. Dall’edificio città alla città di edifici. Dal Crystal Palace alla White City, (a cura di) A. Baculo, S. Gallo, M. Mangone, Napoli, Liguori, 1988, p. 108-115.

32Cfr. L’esposizione industriale di Londra, in «Annali universali di statistica», 1851, vol. 27°, p.

226-227. In particolare, 65 erano gli espositori del Lombardo-Veneto (Catalogue officiel de la grande exposition des produits de l’industrie de toutes les nations 1851, London, Spicer frères papetiers - W. Clowes et fils impri-meurs, 1851, p. 179-191) e 92 quelli dello Stato pontificio (D. SCACCHI, Le nazioni a confronto: le

espo-sizioni universali, in L’Italia nel secolo XIX. Aspetti e problemi di una tradizione contesa, Atti del Convegno in onore di Giuseppe Talamo, Roma, 18-20 ottobre 1995, (a cura di) S. La Salvia, Roma, Archivio Guido Izzi, 2002, p. 356n). Sulle difficoltà incontrate dall’Istituto di incoraggiamento di Napoli nel trovare qual-che imprenditore meridionale disposto a partecipare all’esposizione di Londra del 1851 si veda A. DEL -L’OREFICE, Il Reale Istituto di Incoraggiamento di Napoli e l’opera sua, Ginevra, Droz, 1973, p. 101.

33G. BRACCO, Dall’età cavouriana agli anni Settanta, cit., p. 56.

34L. AIMONE, Le esposizioni industriali a Torino (1829-1898), cit., p. 510. Sulla delegazione lombarda

all’esposizione londinese si veda invece C.G. LACAITA, L’intelligenza produttiva. Imprenditori, tecnici e

ope-rai nella società d’Incoraggiamento d’Arti e Mestieri di Milano (1838-1988), Milano, Electa, 1990, p. 83-87.

35D. SCACCHI, Le nazioni a confronto: le esposizioni universali, cit., p. 355. 36L. AIMONE, C. OLMO, Le esposizioni universali 1851-1900…, cit., p. 45.

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dello stato. Queste manifestazioni, come quella successiva del 1854 preparata sempre da Corridi, furono predisposte in vista degli appuntamenti londinese del 1851 e pari-gino del 1855. La visita dei toscani e di Corridi in veste di rappresentate ufficiale del Granducato al Crystal Palace fu determinante: l’esposizione del 1854 ne rimarrà profondamente segnata37.

Anche in una realtà sostanzialmente refrattaria agli eventi internazionali quale quella del Regno delle Due Sicilie, l’ultima esposizione di Napoli del 1853 non solo registrò un numero insolitamente alto di partecipanti, più di trecento, ma vide pure una rilevante presenza industriale, anche se in gran parte ascrivibile a quella costellazione di attività riferibili all’impegno economico dello stato, dal settore tessile agli opifici metalmeccanici di Pietrarsa38.

Le esposizioni del Regno di Sardegna degli anni Cinquanta vollero essere celebra-tive ma anche occasioni per rappresentare al completo il tessuto produttivo e, quindi, incentivi allo sviluppo economico con il confronto diretto, la conoscenza delle inno-vazioni e la loro propagazione39. Lo si vide all’Esposizione di Genova del 1854, voluta per festeggiare l’apertura della linea ferroviaria tra Torino e il capoluogo ligure, durante la quale Cavour non perse occasione per rafforzare il consenso delle forze produttive intorno al nuovo corso politico e alla nuova politica economica40.

Per l’esposizione torinese del 1858, posticipata di due anni in quanto l’impegno organizzativo per la partecipazione piemontese all’Esposizione di Parigi del 1855 aveva assorbito gli sforzi degli enti promotori rendendo impossibile l’allestimento di quella di Torino l’anno seguente, si era giunti in un primo momento a ipotizzare un evento mondiale. Alla fine, dismessa ogni velleità e forti dell’importanza della produ-zione serica dello stato, ci si limitò a organizzare al suo interno un’esposiprodu-zione univer-sale della seta41. L’idea originale di una sezione campionaria a carattere internazionale registrò però una scarsissima partecipazione italiana e straniera. Comunque, la rottura con le precedenti manifestazioni torinesi fu completa. Per la prima volta l’esposizione venne finanziata dallo stato. Fu scelto un unico allestitore e i criteri espositivi imposti dal regolamento denotano come la mostra fosse diventata importante quanto ciò che vi si esponeva42. Dalle sette classi del 1850 si era passati a ben diciassette, con 1.687 espositori contro i 924 della manifestazione precedente. Non vi era più una rassegna di oggetti artistici; mentre, sull’esempio dell’Esposizione di economia domestica di Bruxelles del 1856, venne realizzata una Galleria economica per i prodotti di uso dome-stico e personale, che doveva offrire una rassegna di merci a basso costo accessibili ai ceti popolari. Alla stregua dell’esposizione parigina, venne istituito un premio destinato

37A. GIUNTINI, La prima volta dell’Italia: l’esposizione del 1861 a Firenze, cit., p. 282. 38G. MORICOLA, Tra velleità e progetto…, cit., p. 186-187.

39G. BRACCO, Dall’età cavouriana agli anni Settanta, in Le esposizioni torinesi 1805-1911…, cit., p. 54. 40S. MONTALDO, Le esposizioni industriali nel Regno di Sardegna…, cit., p. 141-143. Si veda il

Cata-logo della esposizione industriale in Genova, Genova, Fratelli Ferrando, 1854.

41G. BRACCO, Dall’età cavouriana agli anni Settanta, cit., p. 57-58. 42L. AIMONE, Le esposizioni industriali a Torino (1829-1898), cit., p. 509.

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LE ESPOSIZIONI ITALIANE PRIMA DELL’UNITÀ (1805-1860) 287

agli operai che avevano contribuito alla realizzazione dei manufatti esposti, sottoli-neando così quello spirito interclassista di armoniosa coesistenza tra capitale e lavoro che fu peculiare a tutte le esposizioni industriali del secondo Ottocento43.

La particolare situazione politica del Regno Lombardo-Veneto, posto sotto regime militare fino al maggio 1854, fece sì che le manifestazioni internazionali non mettes-sero in crisi il vecchio modello delle esposizioni di Milano e Venezia ripreso pressoché immutato a partire dal 1851. E questo nonostante all’Esposizione internazionale di Londra avessero partecipato alcune delle migliori menti del mondo milanese come Luigi De Cristoforis e Antonio De Kramer, con il compito di studiare i nuovi mac-chinari e i nuovi ritrovati per l’industria44. Furono invece alcuni ambiti provinciali a farsi interpreti dei cambiamenti in atto. Così quando nel 1853 il Ministero del com-mercio sollecitò gli istituti camerali a farsi promotori di esposizioni locali alcune camere di commercio risposero all’invito. In particolare la Camera di commercio di Brescia elaborò il progetto di un’esposizione «esatto inventario del nostro patrimonio economico», nella quale si doveva apprendere «quanto fu fatto in questi ultimi anni, e quanto convenga di fare ai privati, e alle rappresentanze cittadine affinché gli anni avvenire non volgano sterili di progresso»45. Il regolamento fissava la classificazione degli oggetti da esporre secondo una tassonomia che rompeva con la tradizione delle pub-bliche esposizioni dell’Ateneo di Brescia per ispirarsi alle recenti esposizioni universali di Londra e Parigi. Non solo il numero di operatori che accolsero l’invito a partecipare fu sorprendente per una città di provincia, 285, ma oltre il 77 per cento degli esposi-tori rientrava nell’ambito della produzione agricola e industriale, mentre negli appun-tamenti dell’Ateneo di Brescia dei due decenni precedenti difficilmente raggiungevano il 50 per cento46.

A poche settimane dall’inaugurazione, il 5 luglio 1857, il milanese Giuseppe Sac-chi, collaboratore degli «Annali universali di statistica», venne invitato a tenere all’A-teneo bresciano una pubblica lettura sull’utilità delle esposizioni provinciali. In quel-l’occasione definì l’impresa «un vero atto di cittadino coraggio». Ai molti detrattori delle esposizioni locali47 Sacchi rispondeva: «è necessario che ogni provincia scopra per così dire i suoi ignoti tesori, e li porti con intima fiducia nel suo palazzo di cristallo, perché tutti veggano e tutti stimino il presente stato dei suoi prodotti naturali e manu-fatti, e la incoraggino e la consiglino, ove occorra, per raggiungere ogni possibile

43S. MONTALDO, Le esposizioni industriali nel Regno di Sardegna…, cit., p. 148-149.

44Cfr. E. BORRUSO, Il giovane Colombo e la formazione dei requisiti per lo sviluppo industriale lombardo

(1857-1881), in Ricerche di storia in onore di Franco Della Peruta, vol. 2°, Economia e società, (a cura di) M.L. Betri e D. Bigazzi, Milano, Franco Angeli, 1996, p. 274.

45Archivio di Stato di Brescia (da ora ASBs), Archivio Storico dell’Ateneo di Brescia (da ora ASABs), b.

33, Camera di commercio di Brescia, processo verbale della seduta 19 agosto 1856.

46Su questa esperienza espositiva si rimanda a S. ONGER, Verso la modernità. I bresciani e le esposizioni

industriali 1800-1915, Milano, Franco Angeli, 2010, p. 101-109.

47Cfr. G. SACCHI, Intorno all’utilità delle esposizioni provinciali di agricoltura, di arti e di industria, in

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miglioramento»48. Era convinto che dalle singole esposizioni provinciali sarebbe nato «spontaneo il buon pensiero di vedere un giorno associate tutte queste locali esposizioni in un’unica esposizione […], onde si possa conoscere ed apprezzare in una sola volta tutto il tesoro delle produzioni naturali e manufatte del paese nostro. E allora si vedrebbe come le esposizioni provinciali riescono utili per sé stesse, e come possono pre-parare anche il campo ad una grande esposizione comune»49.

Nel Lombardo-Veneto la rassegna bresciana fu uno dei non molti casi in cui si rispose adeguatamente alle sollecitazioni ministeriali. Nel 1855 era stata organizzata un’esposizione a Vicenza, seguita l’anno dopo dall’Esposizione provinciale veronese di agricoltura, industria e belle arti, alla quale avevano partecipato 234 espositori, di cui il 73 per cento appartenevano all’ambito agricolo-industriale50. Pochi giorni dopo l’a-pertura di quella bresciana, il 26 agosto, si apriva a Bergamo l’Esposizione industriale bergamasca, promossa dalla locale Società industriale. L’iniziativa, che aveva faticato a decollare, era riservata al solo comparto manifatturiero con la partecipazione di 124 espositori, in grado quindi di offrire un panorama articolato delle principali attività industriali del Bergamasco51.

3. Conclusioni

Nel 1980 Roberto Romano, in un saggio che avrebbe però contribuito a migliorare la situazione, denunciava «il disinteresse degli storici italiani verso le esposizioni»52. Il suo rammarico era tanto più forte in quanto «se esiste un evento storico che per sua natura si presti all’analisi di una storiografia “globale” (che cioè consideri unitariamente gli aspetti economici, sociali, culturali, artistici e di costume), questo è certamente l’e-sposizione industriale»53. Concepite inizialmente in una dimensione locale, nel corso dell’Ottocento divennero rapidamente eventi nazionali e internazionali: simboli della nuova società borghese e dei suoi valori.

48ASBs, ASABs, b. 220, G. Sacchi, “Intorno all’utilità delle esposizioni provinciali di agricoltura, di

arti e di industria”, 1857, ms, cc. 4v-5r. Concetti analoghi erano ripresi da Zanardelli nella sua prima let-tera apparsa su «Il Crepuscolo» il 25 ago. 1857, ora in G. ZANARDELLI, Sulla esposizione bresciana. Lettere

estratte dal giornale Il Crepuscolo del 1857, Milano, Antonio Valentini, [1859], p. 4-5.

49ASBs, ASABs, b. 220, G. Sacchi, “Intorno all’utilità delle esposizioni provinciali di agricoltura, di

arti e di industria”, cit., cc. 11v-12r.

50Cfr. M.L. FERRARI, Tra città e campagna in epoca austriaca. Aspetti dell’economia veronese sotto la

domi-nazione asburgica (1814-1866), in Verona e il suo territorio, vol. 6°, tomo 2°, Verona, Istituto per gli studi storici veronesi, 2003, p. 194.

51Cfr. P. BOLCHINI, «Il lavoro fecondato dall’intelligenza…»: il caso di Bergamo (1840-1860), in Le vie

dell’industrializzazione europea. Sistemi a confronto, (a cura di) G.L. Fontana, Bologna, il Mulino, 1997, p. 835-838.

52R. ROMANO, Le esposizioni industriali italiane. Linee di metodologia interpretativa, in «Società e

sto-ria», 7, 1980, p. 217.

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LE ESPOSIZIONI ITALIANE PRIMA DELL’UNITÀ (1805-1860) 289

«Più che studiare le Esposizioni – ha scritto un altro autore quindici anni dopo – gli storici italiani, in particolare quelli dell’economia, si sono limitati ad usarne i cata-loghi, i rapporti, le relazioni per l’elaborazione di dati sulla realtà economica italiana e sulla storia industriale»54. In realtà, a parte la semplice evidenza della sincronia fra svi-luppo del capitalismo ed esposizioni industriali, esse sono un interessante caso di «istituzione intermedia», ossia una organizzazione in grado di migliorare la funzione allocativa, adattiva, innovativa propria della sfera economica55. Una simile prospettiva, se utilizzata per guardare a una realtà ancora periferica come quella italiana dell’Otto-cento, «può essere utile per valutare la funzione svolta dalle esposizioni industriali, come possibili agenzie di modernizzazione»56.

Dal momento in cui nel corso del Settecento si struttura il linguaggio formale del sapere tecnico, e diviene quindi possibile trasferire la conoscenza tecnologica non più solamente attraverso l’esperienza e la dimensione formativa, ma anche con il disegno e la documentazione tecnica, allora il momento espositivo poté diventare non solo un modo per sollecitare attraverso il premio l’invenzione, ma anche un mezzo per favo-rirne realmente la diffusione, di trasformare l’invenzione in innovazione. Se prima erano soprattutto le corporazioni a trasmettere i segreti del mestiere, oppure, nel caso dei distretti industriali, era la comunità a trasferire i saperi informalmente tra i suoi mem-bri, tra la fine del Settecento e il primo Ottocento anche le esposizioni si ritagliano un ruolo nel trasferimento del sapere tecnico. Non a caso sono proprio le accademie, cioè i luoghi dove si era contribuito a codificare il linguaggio formale del sapere tecnico, a promuovere per prime premi ed esposizioni.

Pur nell’ambiguità del termine «industriale», soprattutto nella prima metà del secolo, le esposizioni hanno rappresentato il processo di industrializzazione: ne sono state la vetrina, ne hanno favorito l’emulazione e permesso il trasferimento di cono-scenze. Ma nel processo di trasformazione cui le esposizioni andarono incontro nella seconda metà dell’Ottocento il ruolo dell’Italia fu marginale. Le condizioni di arre-tratezza economica, i problemi posti dall’unificazione, l’esigenza prioritaria di portare a compimento l’unità del paese, furono gli ostacoli maggiori57.

Sergio Onger

(Università di Brescia)

54M. MISITI, L’Italia in mostra. Le Esposizioni e la costruzione dello Stato nazionale, in «Passato e

pre-sente», 37, 1996, p. 35.

55A. ARRIGHETTI, G. SERAVALLI, Introduzione. Sviluppo economico e istituzioni, in Istituzioni intermedie

e sviluppo locale, (a cura di) A. Arrighetti e G. Seravalli, Roma, Donzelli, 1999, p. IX-XXVII.

56G. MORICOLA, Tra velleità e progetto…, cit., p. 180.

57Per un inquadramento più generale del ruolo svolto dall’Italia nell’organizzazione di esposizioni

indu-striali nel corso dell’Ottocento, si rimanda a: S. ONGER, Immaginare lo sviluppo: le esposizioni industriali

nell’I-talia dell’Ottocento, in Rileggere l’Ottocento. Risorgimento e nazione, (a cura di) M.L. Betri, Torino - Roma, Comi-tato di Torino dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano - Carocci, 2010, p. 457-472; ID., Le

esposi-zioni di arti e industrie, in Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, Il contributo italiano alla storia del pen-siero. Tecnica, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, 2013, p. 268-278.

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